venerdì 15 giugno 2018

Commento al Vangelo di Domenica 17 giugno 2018, XI del TO, anno B



           Il solo “merito” dell’accoglienza


TESTO (Mc 4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere.
 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.


COMMENTO

Non so se posso sentirmi incluso tra quei discepoli a cui Gesù, “in privato…spiegava ogni cosa”, ma in quest’ultima frase di commento dell’evangelista Marco c’è qualcosa di più di una giustificazione del modo metaforico e figurato del parlare del Messia.
In geometria, le parabole sono delle linee curve, che raggiungono un punto in modo meno diretto. Nel calcio si usano i tiri a parabola per evitare la barriera dei difensori. Nelle telecomunicazioni le parabole servono per captare meglio i segnali. 

Anche Gesù si adegua ai suoi uditori, alla loro fragilità ed usa dei raccontini per annunciare loro la Parola secondo quello che “potevano intendere”, evitando l’ostacolo della loro limitatezza. In fondo la stessa umanità di Gesù è una parabola del volto misericordioso di Dio.
Le parabole esemplificano ma per lo stesso motivo non esauriscono il contenuto, e di fatti Gesù ne usa diverse e di diverso tipo.
Il regno di Dio, dice Gesù è una Parola che ci viene affidata e poi, una volta accolta, porta dei frutti che neppure noi possiamo immaginare e, secondo delle modalità che rimarranno misteriose a noi stessi. 

I venditori di questo mondo cercano di convincere i potenziali clienti spiegando modalità d’uso e potenzialità dei loro prodotti; il Regno di Dio, la nuova vita in Cristo che una volta accolta si sviluppa nella nostra stessa vita biologica, ha degli esiti meravigliosi, stupefacenti, imprevedibili nelle proporzioni. Occorre solo fidarsi del Signore. 

Le sue meraviglie non possono essere descritte a tavolino e spiegate concettualmente, ma ci è data solamente la possibilità di dar seguito al fascino dell’umanità di Cristo e intuire che Lui solo può far fiorire una vita in modo compiuto, rendendola non solo matura ma addirittura capace di essere accogliente per altre creature più deboli.

Inoltre la parabola del seme gettato sul terreno ci fa capire la priorità della Grazia sui nostri arrangiamenti umani. Il merito dell’agricoltore sembra essere, pur con delle forzature rispetto alla realtà, solo quello di aver seminato nel suo terreno il buon seme.
Qui non si parla di concimi, di irrigare, o di strappare erbacce infestanti, perché il seme gettato è di una potenza invincibile, ma il punto è proprio qui: la parola del buon annuncio, del Vangelo di Gesù, ha trovato veramente posto nel terreno del nostro cuore?