sabato 29 dicembre 2012

II Domenica di Natale. Festa Santa Famiglia, 30 dicembre 2012

PROPRIO UNA SANTA FAMIGLIA

 
TESTO ( Lc 2, 41 – 52 )

41 I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
42 Quando giunse all'età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa; 43 passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori; 44 i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45 e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. 
46 Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; 47 e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. 48 Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». 49 Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?» 50 Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro. 51 Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
52 E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini.

 
COMMENTO

Gesù ha accettato non solo la sfida dell’incarnazione, dell’assumere una natura umana completa di anima e corpo , ha accettato anche la sfida dell’infanzia. Dio si è fatto uomo cominciando dal concepimento e poi passando per l’infanzia. Rimarrà una questione sempre aperta quando e come Gesù, crescendo, ha cominciato a razionalizzare la sua identità e la sua missione. L’evangelista Luca ci dice tuttavia quanto ci basta: il fanciullo Gesù già a dodici anni, età alla quale gli ebrei riconoscevano una certa maturità religiosa, sapeva di dover assolvere la sua missione, occupandosi delle cose del Padre suo, ma restava sottomesso ai suoi genitori e “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
 
Tutto questo dovrebbe far molto riflettere, il fatto cioè che il Figlio di Dio fino all’età di circa trent’anni accetti di restare alla scuola di due creature, un padre e una madre. Se Gesù ha riconosciuto e rispettato l’autorità parentale, pur capendo già all’età di dodici anni di essere Figlio di Dio, quanto dovrebbe essere grande il rispetto di un giovane verso chi gli ha trasmesso la vita!
 
Nell’attuazione pratica della paternità umana vedo due eccessi che si distaccano in sensi diversi dal modello offertoci dalla famiglia di Nazareth. L’eccesso autoritario, che ho visto spesse volte negli strati sociali più tradizionali del Benin: il figlio, peggio la figlia, è quasi proprietà del padre, fino al punto che da questi anche a età inoltrata il figlio deve ottenere il consenso per le scelte fondamentali come sposarsi, farsi prete, intraprendere una certa attività. Sembrerebbe una paternità di proprietà.
 
L’altro eccesso è quello amicale, che viceversa constato spesso nel contesto italiano: il figlio che non vede nella coppia genitoriale un’autorità (spesso per colpa di quest’ultimi che giocano a fare gli amiconi dei figli!) ma dei consiglieri-sponsor dalle cui direttive sentono di distaccarsi assai velocemente, senza assumersi le correlate responsabilità di autonomia finanziaria, lavorativa e di gestione pratica della propria vita.
 
Per tutti la paternità-maternità umana è sacramento, in senso lato, della paternità divina: onorare il padre e la madre è comandamento cardine della legge ebraico cristiana. Dall’altra parte il genitore è amministratore e non proprietario assoluto della propria prole; I figli sono anzitutto figli di Dio.

sabato 22 dicembre 2012

Commento Vangelo IV Domenica Avvento anno C, 23 dicembre 2012.

LA CIRCOLARITA’ DELLA GIOIA

 
TESTO( Lc 1, 39-45 )

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

COMMENTO

Maria di Nazareth è una ragazza vergine, pulita; la presenza di Gesù in lei e attraverso lei traspare fino a far sussultare Giovanni nel grembo della madre Elisabetta. Elisabetta a sua volta è colmata di Spirito Santo e proclama a gran voce la beatitudine di Maria che ha creduto. Infine Maria intonerà il canto più carico di gioia di tutta la Bibbia e che la Chiesa prega tutte le sere ai Vespri: il canto del Magnificat.

 
E’ la circolarità della gioia, è la presenza di Gesù che provoca l’effetto domino dell’esultanza e della felicità.

Riflettiamo: cosa impedisce a noi di essere veramente felici? Certamente il fatto di non credere nell’adempimento di ciò che il Signore ci dice. Forse non siamo seriamente convinti che far circolare la Parola, la presenza del Signore nella nostra vita è la più vera e più autentica sorgente di felicità!

 
Prepariamoci al Natale facendo pulizia nei nostri cuori, facendo un po’ di spazio, un po’ di spazio per accogliere il Signore che viene. Se così non faremo il Natale sarà pieno, strapieno … ma strapieno di cose vuote, e deludente.

sabato 15 dicembre 2012

Commento Vangelo III Domenica Avvento anno C: 16 dicembre 2012

NEL FUOCO DELLO SPIRITO


TESTO ( Lc 3, 10 – 18 )

Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.


COMMENTO

Giovanni il battezzatore ha appena detto al versetto Lc 3,8: fate opere degne di conversione; giustamente dunque alcuni di coloro che lo ascoltavano si posero la domanda su quali fossero le opere degne di conversione: “che cosa dobbiamo fare?” E’ la domanda che ritorna tre volte rivolta al Battista da tre gruppi di persone. E’ la domanda che anche noi dobbiamo porci nell’imminente evento del Natale, la cui grazia si ripresenterà nelle nostre vite tale e quale, se noi avremo raddrizzato i sentieri del Signore e preparato le sue vie.
 
Cosa dobbiamo fare dunque? A partire da ciò che Giovanni chiede alle folle, ai pubblicani e ai soldati, le opere degne di conversione potrebbero essere sintetizzate in due azioni: condividere e operare la giustizia. Queste sono le condizioni minime per aprire la strada al Salvatore che viene, per permettere che il suo fuoco in cui saremo immersi non sia il fuoco inestinguibile che brucia la pula del grano, ma il fuoco che dal frumento divenuto farina produce il pane buono, quello che dura per la vita eterna.
Giovanni chiede il minimo indispensabile ai suoi ascoltatori, perché non chiede loro di restituire il mal tolto o tutto ciò che hanno estorto in passato; sarà poi il fuoco dello Spirito a guidare i cuori alla perfezione della carità.
 
Quante situazioni di ingiustizia forse anche noi stiamo vivendo o tollerando. Quanta irriconoscenza nei confronti di chi ci ha tanto amato! Anche questa è un’ingiustizia. Quante piccole disonestà e scorrettezza nelle nostre attività lavorative, sportive o nei rapporti familiari.
Spianiamo la via al Signore astenendoci da tutto ciò che non è bene, cercando di condividere con chi è nella privazione; allora la venuta del Signore porterà il fuoco nei nostri cuori e il suo Santo Spirito ci mostrerà percorsi di conversione al momento sconosciuti.
Quando si prova a vivere immersi nel fuoco d’amore di Dio, si sa come si incomincia, non si sa mai dove il Vento ci porterà. Per fortuna.

sabato 8 dicembre 2012

Commento al Vangelo II Dom Avvento anno C: 9 dicembre 2012.

Le vie del Signore: dove sono finite?

 
TESTO ( Lc 3,1-6 )
 

 Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, quando Ponzio Pilato era governatore della Giudea, ed Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene,  sotto i sommi sacerdoti Anna e Caiafa, la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutta la regione intorno al Giordano, predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati, come sta scritto nel libro delle parole del profeta Isaia:
«Voce di uno che grida nel deserto:
"Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata
e ogni monte e ogni colle sarà spianato;
le vie tortuose saranno fatte diritte
e quelle accidentate saranno appianate; e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio"».


COMMENTO
 
Un canto molto bello mi ritorna alla mente alla lettura di questo brano di Vangelo.
Dice il ritonello:  
Dio aprirà una via dove sembra non ci sia. Come opera non so ma una nuova via vedrò. Dio mi guiderà mi terrà vicino a sé. Per ogni giorno amore e forza lui mi donerà , una via aprirà.
 
In questo contesto di crisi economica ma soprattutto di una crisi ancor più grande di ideali forti, un credente si pone sovente la domanda di come Dio stia operando e di quale modalità possa trovare per riportarci verso migliori prospettive.
 
Se penso alla mia Africa, cioè il Bénin, mi chiedo ugualmente come potrà riuscire il Signore a ri-orientare certe radici velenose del comune sentire religioso, certe forme di carrierismo ecclesiale, quali vie concrete troverà per risanare gli effetti di scandali conclamati di una Chiesa fatta di persone che si dichiarano tuttavia radicate in Cristo.
 
Nulla è impossibile a Dio, ci ricorda il Vangelo dell’annunciazione, ma le impossibili (per l’uomo) possibilità di Dio passano attraverso la fede di qualche persona. Maria è una di queste. Anche Giovanni il battezzatore come Maria, accoglie la Parola che “venne” su di lui e proclama nel deserto la Parola di Dio: “preparate la via del Signore”.
 
Giovanni ci invita ad aprire la strada del Signore nella nostra vita, a praticare la carità e la giustizia, qui e adesso, a colmare le lacune e i vuoti delle mie scelte sbagliate, a riparare le brutte conseguenze dei miei errori. 
 
Nello smarrimento e nell’incertezza delle prospettive umane, la confidenza in Dio che è capace di fare cose impensabili per le corte vedute umane, va di pari passo con la scelta che si rinnova ogni mattina di accogliere la Parola che scende su di noi, per ascoltarla, meditarla e praticarla. Solo allora comprenderemo e vedremo il nuovo stradario della Provvidenza divina.

sabato 1 dicembre 2012

Commento al Vangelo I Dom Avvento anno C, 2 dicembre 2012

          LA GRANDE ATTESA
 
TESTO ( Lc 21,25-28. 34-36)
 
25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra, angoscia delle nazioni, spaventate dal rimbombo del mare e delle onde; 26 gli uomini verranno meno per la paurosa attesa di quello che starà per accadere al mondo; poiché le potenze dei cieli saranno scrollate. 27 Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con potenza e gloria grande. 28 Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina». […]
34 Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all'improvviso come un laccio; 35 perché verrà sopra tutti quelli che abitano su tutta la terra. 36 Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».



COMMENTO

Inizia con oggi un nuovo anno accademico, o meglio un nuovo anno liturgico, ma come in un anno accademico il tempo che il Signore ci dona di vivere è fatto di tanti piccoli insegnamenti e di tanti piccoli esami che testano l’unica domanda su cui siamo interrogati in ogni momento e su cui saremo interrogati il giorno in cui dovremo comparire davanti al Figlio dell’uomo, cioè il Gesù che tornerà nella Gloria: “hai amato?”
 

La domanda è estremamente semplice, tanto che Sant’Agostino diceva provocatoriamente “ama e fa’ ciò che ti pare”. Lui però usava la parola amare in maniera univoca, nell’unico modo inteso dalla fede cristiana e insegnatoci da Gesù, quello di donare, di donarsi a Dio e al prossimo. Ovvio allora che chi ama Dio così come si è manifestato in Gesù, ama tutti coloro a cui Gesù si è affidato e a cui ha affidato il suo messaggio, cioè gli apostoli e i suoi successori, ama tutti i piccoli che Gesù ha indicato come termine privilegiato della sua presenza.
 

Vegliate e pregate per essere sempre capaci di amare perché chi vive nella tiepidezza adesso, vivrà nella tiepidezza anche quel giorno benedetto del ritorno del Signore. La santità non la si può programmare per il momento della sua venuta; si è santi adesso o mai più. Perché se la si rimanda , la santità non diventerà mai l’oggi della nostra vita.

domenica 25 novembre 2012

Commento Vangelo Solennità Cristo Re, 25 novembre 2012.

Una monarchia veritocratica

 
TESTO ( Gv 18, 33 – 37 )
 

33 Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» 34 Gesù gli rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?» 35 Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?» 36 Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui». 37 Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce».



 

COMMENTO

“Il mio regno non è di questo mondo”; eppure un giorno Gesù disse che il Regno di Dio non verrà in modo tale da attirare l’attenzione, “ perché il Regno di Dio è in mezzo a voi“. Come mettere insieme queste due affermazioni, che il Regno di Dio non è di questo mondo e che nello stesso tempo è in mezzo a noi? La risposta forse ce la da proprio San Paolo in Rm 8 quando spiega che tutta la creazione geme nelle doglie del parto in attesa della redenzione e di quei cieli nuovi e terra nuova ove risplenderà la giustizia. L’immagine di una gestazione è molto espressiva perché fa comprendere che la Signoria di Cristo, sebbene sarà manifesta solo negli ultimi tempi, è già presente in mezzo a noi quando ascoltiamo la sua voce e quando viviamo della sua verità; il nuovo mondo sta già crescendo in questo mondo in cui viviamo, drammaticamente ferito dalle conseguenze del peccato originale e di tutti  i peccati successivi. Il regno di Gesù è quindi una realtà che si sta affermando gradualmente nella nostra storia, dove chiunque è alla ricerca sincera della verità non può non interessarsi alla voce, alla parola del Signore. Un regno dove ci si sente tanto più forti quanto più ancorati alla verità rivelataci da Gesù: regnare vuol dire servire , cioè dare la vita per Amore.

sabato 17 novembre 2012

Commento Vangelo XXXIII Dom TO anno B, 18 novembre 2012.

Proprio una bella notizia!

TESTO ( Mc 13, 24-32)
24 Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore; 25 le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno scrollate. 26 Allora si vedrà il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con grande potenza e gloria. 27 Ed egli allora manderà gli angeli a raccogliere i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremo della terra all'estremo del cielo. 28 Ora imparate dal fico questa similitudine: quando i suoi rami si fanno teneri e mettono le foglie, voi sapete che l'estate è vicina. 29 Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. 30 In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. 31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
32 Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre.

COMMENTO
 

Il Vangelo di oggi è proprio una buona novella, una bella notizia : la storia non ha soltanto un fine , quello di godere e diffondere l’Amore che è Dio stesso, ma anche una fine, l’abbraccio finale di Gesù quando Egli tornerà nella Gloria, non più nella croce questa volta.
Condivido con voi a tal proposito, fratelli internauti in ascolto, il più bell’inno della Liturgia delle ore in lingua francese che io conosca, l’inno di Nona, perché esprime tutto l’anelito del cuore dell’uomo per l’incontro definitivo.
 

Berger puissant qui nous conduis, tu nous as faits pour ta lumière; et par-delà ce jour trop bref tu nous emmènes dans ta gloire.
A travers l'oeuvre de tes mains, nos coeurs déjà te reconnaissent ; mais le désir de ton amour toujours plus loin poursuit sa quête.
Nous voulons voir à découvert l'éclat radieux de ton visage. Dans l'aujourd'hui de ton appel, prépare en nous le face-à-face.
 

(O pastore onnipotente che ci conduci, tu ci hai fatto per la tua luce ; e dal di-là di questo giorno troppo breve tu ci accompagni verso la tua Gloria.
Attraverso l’opera delle tue mani, i nostri cuori già ti riconoscono; ma il desiderio del tuo amore sempre più lontano continua la sua ricerca.
Vogliamo vedere in pienezza lo splendore radioso del tuo volto. Nell’oggi della tua chiamata, prepara in noi il faccia-a-faccia.)
 

In questo inno c’è tutta la bellezza della ricerca dell’incontro definitivo, la bellezza dell’attesa del ritorno dall’esilio verso la nostra vera Patria , quella del Cielo, il Paradiso. 
Una realtà che sento molto fortemente in questo frangente della mia vita, esule in patria mia, ma consapevole sempre più di essere esule comunque e ovunque, fino a quando non vedremo il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Restiamo ancorati in questo cammino di luce all’unica cosa che non passerà: la sua parola.
Ci dice Gesù: : “Cieli e terra passeranno ma le mie parole non passeranno”. Il Signore è fedele alle sue promesse.

sabato 10 novembre 2012

Commento Vangelo XXXII Dom TO anno B, 11 novembre 2012


Il dono di una vita


TESTO ( Mc 12, 38-44 )

38 Nel suo insegnamento Gesù diceva: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ed essere salutati nelle piazze, 39 e avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti; 40 essi che divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere per mettersi in mostra. Costoro riceveranno una maggior condanna». 41 Sedutosi di fronte alla cassa delle offerte, Gesù guardava come la gente metteva denaro nella cassa; molti ricchi ne mettevano assai. 42 Venuta una povera vedova, vi mise due spiccioli che fanno un quarto di soldo. 43 Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico che questa povera vedova ha messo nella cassa delle offerte più di tutti gli altri: 44 poiché tutti vi hanno gettato del loro superfluo, ma lei, nella sua povertà, vi ha messo tutto ciò che possedeva, tutto quanto aveva per vivere».


COMMENTO

Mi suscita un epidermico fastidio la consuetudine para-liturgica beninese di fare due , a volte addirittura tre, questue ad ogni Messa: vedere quella povera gente andare più volte a depositare nel cesto davanti all’altare i loro pochi soldi ogni Domenica mi dà l’idea di voler spremere dei limoni già spremuti, e tuttavia la gente lo fa con gioia, anche solo per buttarci dentro qualche spicciolo. Non so se quelle monete donate siano il tutto quanto quelle persone hanno per vivere, ma di certo alcuni non ne sono lontani!

Tuttavia dovrebbe essere su un altro piano di lettura che dovremmo leggere il gesto della vedova: quella donna non dona solo qualcosa di ciò che ha ma ben di più in quel gesto ella dona tutta la sua vita, tutta se stessa, si abbandona totalmente nelle mani di Dio, con un atto estremo forse disperato o meglio ancora di un’ultima residua speranza, rende la sua vita a Colui dal quale sa di averla ricevuta in dono. 

I poveri non è detto che siano più buoni dei ricchi e dei potenti ma certamente, a causa della loro situazione di miseria, non sono portati a fare calcoli, non sono portati a fare analisi di costi – benefici, a soppesare i loro atti di carità perché ogni scelta viene misurata nell’attimo presente e l’esistenza viene valutata per quello che essa è lì in quel momento, data la totale incertezza del futuro.

Il ricco e il potente no! Lui è tentato di difendere il suo prestigio, la sua autonomia. Il suo rapporto con Dio rischia di diventare un optional, un soprammobile, una roba che si fa quando c’è tempo e voglia, a volte anche per mostrarsi pio e devoto agli occhi degli altri, perché l’immediatezza delle sicurezze materiali abbaglia e forse si fanno solo gesti di culto per cantare la ninna nanna alla coscienza sperando che si addormenti.

La totalità dei poveri, la totalità di quei contadini che in Benin vengono a portarci le loro banane o il loro mais, ( loro poveri a noi missionari ricchi ) mi stupisce anche se non più di tanto. La totalità dell’abbandono può essere vissuta da chi non ha niente da difendere. Anche noi dobbiamo difendere troppe cose: il tempo, i miei interessi, le mie priorità, il mio lavoro, e cosa diamo a Dio? Spesso solo il superfluo cioè quello che ci avanza, quei cinque minuti prima di andare a dormire, quei nostri atti di culto, “imparaticcio di consuetudini umane” direbbe Isaia, e poi poco altro. 

La vedova che Gesù addita ci insegna a donare tutta la nostra vita a Dio e a mettere Lui al primo posto in tutte le nostre scelte di lavoro, affettive e di tempo libero, nei nostri criteri di azione e nelle nostre motivazioni. Queste cose sono per noi “Il tutto quanto abbiamo per vivere”.

sabato 3 novembre 2012

Commento Vangelo XXXI Dom TO anno B, 4 novembre 2012

NON CHI DICE “SIGNORE, SIGNORE !” …

 
TESTO ( Mc 12, 28 – 34 )
 
 Uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto che egli aveva risposto bene, si avvicinò e gli domandò: «Qual è il più importante di tutti i comandamenti?»  Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l'unico Signore.  Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua".  Il secondo è questo: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Non c'è nessun altro comandamento maggiore di questi».  Lo scriba gli disse: «Bene, Maestro! Tu hai detto secondo verità, che vi è un solo Dio e che all'infuori di lui non ce n'è alcun altro; e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l'intelletto, con tutta la forza, e amare il prossimo come se stesso, è molto più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Gesù, vedendo che aveva risposto con intelligenza, gli disse: «Tu non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno osava più interrogarlo.

 
COMMENTO
 
Gesù non aggiunge nulla di nuovo a quanto già era stato detto nell’AT: il primo comandamento resta quello di un amore a Dio vissuto con tutte le nostre forze spirituali, mentali e fisiche, così come già enunciato in Deuteronomio 6. Il secondo segue logicamente e strettamente il primo, l’amore al prossimo secondo il precetto del capitolo 19 del libro del Levitico, tanto che Gesù non può non menzionarlo per completare la risposta.
 In cosa consiste dunque la novità di Gesù? Nel fatto che Gesù spinge all’estremo l’interpretazione di questo precetto fondamentale, ne è la massima concretizzazione, egli è l’incarnazione dell’amore dovuto dall’uomo a Dio e non solo dell’amore di Dio per l’uomo. In contro luce vi è il messaggio della croce, abisso di abbandono nelle mani di Dio Padre, evento che al contempo è atto sublime di culto a Dio e atto di redenzione e di amore per tutti gli uomini, anche per i non israeliti , superando così quell’accezione di “prossimo” limitata al popolo israelita.
 
Lo scriba , uomo retto e sinceramente alla ricerca della verità e del bene, approva quando detto da Gesù e questi a sua volta lo gratifica giudicandolo non lontano dal regno di Dio. In realtà cosa manca a questo scriba, già vicino al regno, per entrarvi completamente e compiutamente? Proprio ciò che ha fatto Gesù.
Anche lo scriba sarà chiamato a vivere ciò che ha intuito, anche per lui si tratterà di diventare discepolo del Regno, cioè del Messia , per seguirlo e per abbracciare quello stesso desiderio di abbandono amoroso a Dio e al prossimo. Anche lo scriba dovrà abbracciare la croce per fissare e incarnare nella sua vita una suprema forma d’amore già vagheggiata dai profeti e dai sapienti dell’AT ma divenuta visibile e umana nella persona di Gesù e, a partire della presenza del suo Spirito, possibile per ogni uomo di buona volontà.
 
Non chi dice “Signore, Signore” entrerà nel regno, ma chi saprà imitare l’esempio di Gesù che ha dato tutto se stesso per amore di Dio Padre e degli uomini.

sabato 27 ottobre 2012

Commento Vangelo XXX Dom TO anno B, 28 ottobre 2012.

Guariti Per Servire


TESTO (Mc 10,46-52)
 
46 Poi giunsero a Gerico. E come Gesù usciva da Gerico con i suoi discepoli e con una gran folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco mendicante, sedeva presso la strada. 47 Udito che chi passava era Gesù il Nazareno, si mise a gridare e a dire: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!» 48 E molti lo sgridavano perché tacesse, ma quello gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!» 49 Gesù, fermatosi, disse: «Chiamatelo!» E chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio, àlzati! Egli ti chiama». 50 Allora il cieco, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51 E Gesù, rivolgendosi a lui, gli disse: «Che cosa vuoi che ti faccia?» Il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io ricuperi la vista». 52 Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». In quell'istante egli ricuperò la vista e seguiva Gesù per la via.

 
COMMENTO

Chi ha vissuto vicino a portatori di handicap sa benissimo che sono molto più capaci di tollerare tale situazione coloro che vi si trovano fin dalla nascita; altra cosa e tutt’altra difficoltà è quella di chi ci si trova all’improvviso, dopo aver vissuto un tempo della propria vita in maniera normale.
 

Bartimeo apparteneva a quest’ultima categoria e lo deduciamo dal tenore della sua supplica quando chiede: “Rabbunì, che io ri-abbia la vista!” Bartimeo non è un cieco nato, sa cosa vuol dire vedere e sa cosa vuol dire trovarsi d’un tratto a non poter più godere di questa autonomia. La sua insistenza , la sua tenacia, anche di fronte ai tentativi della gente di tacitarlo nascono da questo dolore insopportabile di aver perso qualcosa di bello, di meraviglioso, e con questa cosa di aver perso la propria autonomia fisica e economica, un tempo sperimentata. Bartimeo rinuncia anche a quel poco che aveva, il suo mantello, perché ha capito che in quell’incontro con il Gesù si gioca il suo tutto per tutto.
 

Quella di Bartimeo è la storia della nostra umanità, creata nel Bene totale del paradiso terrestre ma decaduta e ferita a causa del peccato originale e di tutti i peccati che ne sono seguiti. La nostra umanità sente il richiamo di Dio, dell’Assoluto, della Verità, dell’Amore unico e vero che è Lui stesso, perché essa è stata pensata e creata per godere tali realtà; al tempo stesso tuttavia sente anche l’incapacità di raggiungerlo, il peso e la cecità prodotte dal peccato. Ecco che nasce il grido verso Cristo, nostra salvezza: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Con San Paolo potremmo dire “non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” ( Rm 7,19); tuttavia da quando Gesù ha dato la sua vita per noi … “Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? (Rm 8,33-34).
 

Cristo nostra salvezza è l’unica porta di accesso verso un’umanità rinnovata e riconciliata, pienamente reintegrata in tutte le sue potenzialità; per chi deciderà sinceramente di intraprendere il santo viaggio per seguire Lui ogni ostacolo sarà rimosso, fosse anche quello di una malattia fisica, come successe a Bartimeo.

sabato 20 ottobre 2012

Commento Vangelo XXIX Dom TO anno B, 21 ott 2012

Il calice del servizio


TESTO (Mc 10, 35-45)
35 Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, si avvicinarono a lui, dicendogli: «Maestro, desideriamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36 Egli disse loro: «Che volete che io faccia per voi?» 37 Essi gli dissero: «Concedici di sedere uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra nella tua gloria». 38 Ma Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che io bevo, o essere battezzati del battesimo del quale io sono battezzato?» Essi gli dissero: «Sì, lo possiamo». 39 E Gesù disse loro: «Voi certo berrete il calice che io bevo e sarete battezzati del battesimo del quale io sono battezzato; 40 ma quanto al sedersi alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma è per quelli a cui è stato preparato». 41 I dieci, udito ciò, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42 Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che quelli che sono reputati prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i loro grandi le sottomettono al loro dominio. 43 Ma non è così tra di voi; anzi, chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore; 44 e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti. 45 Poiché anche il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti».


COMMENTO

Il carrierismo è sempre esistito in tutte le dinamiche delle relazioni umane, in qualsiasi gruppo sociale e contesto storico o geografico, mascherandosi in svariate sembianze come l’amor di patria, la più grande gloria degli dei, la ricerca del bene comune; tanti principi sacrosanti che nascondano il desiderio di emergere, di essere qualcuno e qualcosa, di avere autorità e importanza.
 

Come condannare troppo severamente questi due fratelli, figli di Zebedeo? Lo spettacolo loro offerto dalla leadership della religione ebraica non doveva certo invitarli all’abbassamento, alla ricerca degli ultimi posti, tutt’altro: Gesù rimprovera i capi ebrei perché amavano i primi posti e i saluti nelle piazze e l’essere chiamati “Rabbì” (cioè maestro).
Giacomo e Giovanni vanno subito al sodo, all’esito finale della loro scelta di seguire il Messia, tralasciando tutto quello che sta in mezzo; eppure nei versetti immediatamente precedenti Gesù per la terza volta aveva annunciato la sua futura passione e morte, prima di risorgere.
 

Chi vuole seguire il Signore Gesù non può astenersi dal percorrere il suo stesso itinerario, il donare la vita in riscatto per molti, nella certezza che solo Lui e il suo sacrificio salvano l’uomo ma anche nella speranza che offrire per Lui la nostra esistenza ci renderà partecipi della sua Gloria divina.
Gesù vuole tuttavia condurre gli apostoli a non puntare l’attenzione sul dopo, sull’esito finale di ciò che seguirà, ma su ciò che la loro missione comporta nell’immediato, cioè mettersi a servizio e assumere la posizione scomoda di chi ha responsabilità sulla comunità dei credenti; la posizione scomoda di chi per primo deve dare l’esempio attraverso una dedizione totale.
 

L’autorità come servizio è forse lontana dalle logiche comuni ma se vissuta seriamente  rappresenta un vero e proprio donarsi. Prendersi la responsabilità di una decisione, spesso o quasi sempre non condivisa da tutti, costituisce veramente il dare la vita per gli altri. Avere il compito del discernimento, o comunque del discernimento ultimo, obbliga alla verità della vita e alla pulizia della coscienza.
 

Ecco perché San Francesco d’Assisi volle chiamare i suoi frati “minori” e rifuggì da titoli ecclesiastici che in quel tempo erano troppo contaminati da logiche di potere sociale; ecco perché noi frati, indegni eredi del santo poverello, avremmo tanto da dire in una struttura ecclesiale come quella africana dove ancora il titolo pesa tanto, troppo, e dove colui che ricopre un incarico ecclesiale diventa un personaggio importante, rispettabile e quasi intoccabile.
 

Solo un rapporto personale e stretto con il Cristo può insegnare la via dell’umiltà e dell’abbassamento, solo un contatto quotidiano con la sua Parola e il suo spirito potrà elevare l’uomo dalla ricerca di se stesso e della propria gloria.  
 

domenica 14 ottobre 2012

Commento Vangelo XXVIII Dom TO anno B, 14 ottobre 2012.

Quattro spiccioli per il Regno.




Testo (Mc 10,17-27)

17 Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» 18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. 19 Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"». 20 Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù». 21 Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». 22 Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni. 23 Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!» 24 I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25 È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio». 26 Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?» 27 Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».

 
Commento
 
Forse aveva proprio ragione San Paolo quando diceva che  “ l'amore del denaro è radice di ogni specie di mali” (1 Tm 6,10); non solo perché la sua è una parola ispirata dall’Alto ma perché l’esperienza sembra confermarlo: il possesso di molti beni, materiali o spirituali che siano, obnubila la mente, soprattutto il cuore, e impedisce di cogliere quello sguardo carico d’amore di Gesù; in fondo l’identità del tale che interpella Gesù per sapere cosa fare di buono per ereditare la vita eterna non viene specificata dall’evangelista forse proprio per farci capire che quel tale rischiamo di esserlo ciascuno di noi che ascolta. 

 La povertà non è un valore in sé stesso e anzi nell’Antico Testamento solo tardivamente fu recepita come luogo di predilezione da parte di Dio, situazione vitale in cui Dio ama manifestarsi per provocare gli autosufficienti e gli orgogliosi. Questa evoluzione trova il suo culmine in Gesù perché Lui stesso è il povero per eccellenza che chiede di mettere al primo posto i valori del Regno.

Dunque, sebbene la povertà non sia un valore,  nella situazione storica in cui l’uomo è venuto a trovarsi a causa del peccato originale e dell’avarizia di tanti, e che Cristo ha assunto, essa può divenire occasione per vivere la povertà evangelica cioè la povertà di spirito che ci permette di accogliere il Cristo, manifestazione unica e irripetibile di Dio, unico e sommo bene. Conseguenza di questo è che per quanto possano essere abbondanti i beni terreni, se ci inducono a non dare il primato al Signore, essi diventano una pietra di scandalo e sarebbe veramente come svendersi la beata vita eterna per quattro spiccioli.


Non è la povertà a suscitare un’adesione interessata e quindi falsa alla fede, ma piuttosto la ricchezza e l’autosufficienza ad allontanare da ogni riferimento trascendente. Non è vero che le tante vocazioni di speciale consacrazione del terzo mondo sono vocazioni di comodo, suscitate dalla fame di pane e di riscatto sociale; questo in realtà può avvenire e di fatto a volte avviene. Tuttavia mi sembra che sia più vero il contrario, cioè che la tanta scarsità di vocazioni consacrate nel nostro mondo cristiano occidentale sia spesso provocata dalla droga del benessere, da quella mancanza di sobrietà spirituale che impedisce il coraggio e l’ardire di lasciare tutto per seguire Gesù. 

domenica 7 ottobre 2012

Commento al Vangelo XXVII Dom Tempo Ordinario, anno B, 7 ottobre 2012.

SOLO PER GRAZIA RICEVUTA

 
TESTO (Mc 2, 2-16)
 
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
 13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.




 

COMMENTO
 

In un ambiente culturale di poligamia diffusa, il matrimonio monogamico cristiano fa fatica ad affermarsi nell’Africa sub sahariana come istituzione positiva, buona e vantaggiosa sotto tutti i punti di vista, per l’uomo e soprattutto per la donna. Si deve tener conto che in questa regione il cristianesimo si è seriamente radicato solo cento cinquanta anni fa’ e per questo anche per i fratelli battezzati in Cristo risulta difficile fare il grande salto nel “per sempre” della “sola carne” uomo-donna di cui ci parla Gesù nel Vangelo di oggi. Non rare sono le coppie che si sposano ad età molto adulta per essere più sicure di riuscire a mantenersi fedeli all’indissolubilità coniugale.
Le parole di Gesù ci sembrano dure e perentorie: “L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”, e forse lo sono; ma la dignità della creatura umana è al centro della missione di Cristo e da sempre la sessualità è stato l’ambito umano più delicato e più soggetto alle manipolazioni delle logiche di peccato, cioè di mercificazione del corpo, e per questo Cristo vuole riportare tale realtà alla purezza delle origini, quando ancora il peccato originale non aveva scempiato l’armonico equilibrio maschio-femmina della creazione. Certo, solo Cristo, solo la sua Grazia, potrà realizzare questo meraviglioso piano ma la coppia cristiana è chiamata a mettere la propria relazione di coppia nelle mani del Signore, a trovarvi sostegno, consolazione e forza; la coppia cristiana che punta alla santità troverà nel sacramento delle nozze tutti i mezzi necessari per rivivere la bellezza originaria di ciò che Dio stabilì per la coppia uomo-donna. Tutto ciò non senza i sacrifici dell’ascesi cristiana: potremo mai realizzare qualcosa di buono senza passare per la porta stretta della croce? In una sua canzone Ivano Fossati diceva: “la costruzione di un amore spezza le vene delle mani e mescola il sangue col sudore”. L’amore così come ce lo propone il Signore è impresa meravigliosa ma impegnativa: Accettiamone la sfida.

domenica 30 settembre 2012

Commento al Vangelo XXVI Domenica TO anno B, 30 settembre 2012.

VERBA MOVENT, EXEMPLA TRAHUNT (le parole scuotono, gli esempi trascinano).

 

TESTO ( Mc 9, 38-48)

38 Giovanni gli disse: «Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva». 39 Ma Gesù disse: «Non glielo vietate, perché non c'è nessuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e subito dopo possa parlar male di me. 40 Chi non è contro di noi, è per noi. 41 Chiunque vi avrà dato da bere un bicchier d'acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa.
42 «E chiunque avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono, meglio sarebbe per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino e fosse gettato in mare.
43 Se la tua mano ti fa cadere in peccato, tagliala; meglio è per te entrare monco nella vita, che avere due mani e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile 44 […]. 45 Se il tuo piede ti fa cadere in peccato, taglialo; meglio è per te entrare zoppo nella vita, che avere due piedi ed essere gettato nella geenna 46 […]. 47 Se l'occhio tuo ti fa cadere in peccato, cavalo; meglio è per te entrare con un occhio solo nel regno di Dio, che avere due occhi ed essere gettato nella geenna, 48 dove il verme loro non muore e il fuoco non si spegne.


COMMENTO

Gesù ci pone dinnanzi due prospettive: quella di chi pur non essendo “dei nostri” agisce in nome di Cristo, e quella di chi pur essendo “dei nostri” contraddice con le opere ciò che professa con la bocca.


La prima prospettiva ci deve far mettere a fuoco che noi siamo la proprietà esclusiva di Dio ma per contro Dio non è la proprietà esclusiva della Chiesa cattolica. Dio rimane sovranamente libero e può continuamente ispirare uomini e donne di buona volontà che , magari senza conoscere tutte le esigenze della vita cristiana, incarnano almeno in parte le sue scelte e la sua potenza: agiscono cioè in nome suo, in comunione con Lui.


La seconda prospettiva ci orienta verso il panorama vasto e purtroppo variegato degli scandali dei discepoli di Cristo, di coloro che come i farisei del tempo di Cristo, dicono e non fanno. Sarebbe meglio per loro morire, dice Gesù, perché almeno potranno vivere la beatitudine eterna. Cosa servirebbe invece vivere ipocritamente una vita ambigua e doppia che aprisse le porte dell’eterno rimorso di aver chiuso il cuore all’amore di Dio e dei fratelli?
Chi ha scelto Cristo deve annunciarlo più con la vita che con le parole. L’annuncio esplicito e verbale è essenziale ma trova la sua concretezza nell’eloquenza dei gesti.


  Un esempio e una riflessione. Ricordo un piccolo bambino del Benin venuto in Italia per subire un intervento chirurgico. Un giorno vide passare una grossa auto fuori-strada davanti a lui e esclamò: “un giorno, quando sarò frate cappuccino, anche io comprerò una macchina come quella!”
Io, missionario cappuccino, posso fare tutta la teologia della povertà francescana e della spoliazione di sé di Francesco d’Assisi, cercando anche mezzi efficienti e tecnicamente validi per andare ad evangelizzare più persone possibile, ma poi se le scelte concrete non sono capite o sono mal comprese, vale la pena continuare a fare tanti discorsi? Cosa viene colto del mio messaggio, se la macchina con cui raggiungo il villaggio parla più della mia predica?
Il Signore, cioè la nostra coscienza in cui Lui si rende presente,  ci chiederà conto della Grazia, della grande “fortuna” che ci è stata concessa: aver ricevuto la sua Parole e tramite essa i sacramenti, e tramite questi una vota nuova che geme in noi e che vorrebbe esplodere, fiorire e profumare il mondo.
Che il Signore ci doni di essere vigilanti!   

venerdì 21 settembre 2012

Commento al Vangelo XXV Dom TO Anno B, 23 settembre 2012.


Ciò che non si può imparare dai libri.


TESTO ( Mc 9, 30 – 37 )

30 Poi, partiti di là, attraversarono la Galilea; e Gesù non voleva che si sapesse. 31 Infatti egli istruiva i suoi discepoli, dicendo loro: «Il Figlio dell'uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini ed essi l'uccideranno; ma tre giorni dopo essere stato ucciso, risusciterà». 32 Ma essi non capivano le sue parole e temevano d'interrogarlo.
33 Giunsero a Cafarnao; quando fu in casa, domandò loro: «Di che discorrevate per strada?» 34 Essi tacevano, perché per via avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande. 35 Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: «Se qualcuno vuol essere il primo, sarà l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36 E preso un bambino, lo mise in mezzo a loro; poi lo prese in braccio e disse loro: 37 «Chiunque riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato».


COMMENTO

Alcune, molte storie di conversione ci pongono di fronte ad una evidenza: i piccoli, i poveri, chi non conta nulla, Gesù direbbe i bambini, tutti questi sono coloro che ci evangelizzano e che ci rendono presente il mistero di Dio incarnato e crocefisso.

Furono i lebbrosi per San Francesco e per la Beata Teresa di Calcutta, furono dei giovani abbandonati a se stessi per San Giovanni Bosco, furono tanti uomini moralmente malati per San Pio da Pietrelcina.
I bambini del Vangelo che Gesù ci chiede di accogliere sono i fratelli che non hanno alcuna rilevanza sociale, che non fanno tendenza né opinione, coloro che non potranno mai darti nulla in cambio ma solo farti perdere tempo, coloro di cui non hai neppure consapevolezza perché ai tuoi occhi sono talmente secondari che il loro incontro non è stato neppure registrato dalla tua memoria.

Eppure se vogliamo diventare grandi nel Regno dei Cieli, scendendo all’ultimo posto e diventando i servitori di tutti, occorrerà accogliere nella nostra vita il vero e l’unico Povero, il Cristo Gesù: proprio Lui che ci rivela la presenza di Colui che lo ha mandato, Lui che continua a essere presente, non simbolicamente né idealmente, nella persona che non conta e nell’emarginato.

La via dell’umiltà evangelica, cioè della grandezza per il Regno dei Cieli, ci viene descritta e indicata nel Vangelo e tuttavia può essere appresa solo a contatto con gli “inutili”, con quelli che ti obbligheranno ad accorgerti che hai qualcosa da proteggere, da custodire, un utile  da amministrare.
Accogliere i bambini, per accogliere il Cristo, per accogliere la presenza di Dio e per essere i coprotagonisti nel Regno di Dio.