mercoledì 31 dicembre 2014

Commento al Vangelo della II Domenica di Natale, anno B; 4 gennaio 2015.




La seconda nascita del figlio di Dio



TESTO (Gv 1,1-5. 9-14)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.


COMMENTO

Chissà quante volte abbiamo sentito introdurre il Padre Nostro durante la S. Messa con queste parole: “Il Signore ci ha donato il suo Spirito, con la fiducia e la libertà dei figli diciamo … “ 

Il breve monito ci ricorda la vera e propria rinascita dall'alto che si rinnova ogni volta che per le mani del sacerdote viene offerto a Dio Padre il sacrificio di Cristo Gesù, presente nel pane e vino appena consacrati. Il Battesimo che ci rende un medesimo essere con Cristo (cfr CCC 2565) una volte per tutte, e l’Eucaristia che a lui ci incorpora in modo sempre più profondo, realizzano quello che Giovanni annuncia proprio nelle prime righe del suo Vangelo: “A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”. 

La rigenerazione come figli di Dio non è opera nostra, ma è anzitutto frutto della Grazia divina che giunge alle nostre vite tramite quei prolungamenti dell’umanità di Cristo che sono i segni sacramentali. Questi segni ci trasmettono in modo efficace e reale la sua salvezza, il suo amore, la sua stessa vita, il suo spirito che prega in noi e in nostro favore Dio Padre chiedendo quello che neanche noi sapremmo o oseremmo  chiedere; si realizza proprio ciò che Gesù voleva indicare a Nicodèmo in quel celebre dialogo notturno, raccontato due capitoli più tardi: “se uno non rinasce dall’alto non può vedere il regno di Dio”.

 Si dice spesso vedere per credere, ma è ancor più vero il contrario: credere per vedere. Credere nel suo nome, appunto, per vedere cose veramente nuove sorgere nella nostra povera esistenza di mendicanti di Dio, per vedere la luce di Cristo rischiarare il nostro cammino verso un’esistenza più piena, più vivibile, o semplicemente più umana.

In questa prima Domenica dell’anno ci potrebbe far bene riassaporare la celebre espressione di San Paolo “Se uno è in Cristo è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” ( 2 Cor 5,17 ).
Buon anno e buona rinascita a tutti!

sabato 27 dicembre 2014

Commento al Vangelo I Domenica di Natale, anno B; 28 dicembre 2014



UNO STUPORE CHE STUPISCE


TESTO ( Lc 2,22-40)

22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, 23 come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore»; 24 e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi. 
Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest'uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d'Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui; 26 e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. 27 Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, 28 lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo: 29 «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo,secondo la tua parola; 30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,31 che hai preparata dinanzi a tutti i popoli 32 per essere luce da illuminare le gentie gloria del tuo popolo Israele».33 Il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui. 34 E Simeone li benedisse, dicendo a Maria, madre di lui: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione 35 (e a te stessa una spada trafiggerà l'anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati». 36 Vi era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser. Era molto avanti negli anni: dopo essere vissuta con il marito sette anni dalla sua verginità, era rimasta vedova e aveva raggiunto gli ottantaquattro anni. 37 Non si allontanava mai dal tempio e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38 Sopraggiunta in quella stessa ora, anche lei lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme. 39 Com'ebbero adempiuto tutte le prescrizioni della legge del Signore, tornarono in Galilea, a Nazaret, loro città. 40 E il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui.


COMMENTO

Una famiglia del tutto speciale ma anche molto normale; Maria e Giuseppe sono due genitori così umani da non essere risparmiati dalla fatica di capire e approfondire ciò che Dio stava operando in essi e in particolare tramite il loro figlio Gesù. Una famiglia normale perché come tutte le famiglie di questo mondo sono custodi di un mistero, in senso stretto una realtà umana che rivela qualcosa di divino, che sfugge ai sensi della nostra intelligenza.

La loro normalità addirittura ci deve stupire perché a loro volta Giuseppe e Maria si stupiscono di ciò che Simeone  dice di Gesù. “Egli è luce per illuminare le genti e gloria del popolo di Israele”. 

  Eppure Maria aveva ricevuto qualche spiegazione dall’angelo Gabriele, e la parente Elisabetta l’aveva salutata come la madre del suo Signore. Ma anche Giuseppe, ci dice il vangelo di Matteo, aveva ricevuto in sogno delle istruzioni abbastanza dettagliate su ciò che quel bambino avrebbe realizzato. Proprio qui la straordinarietà della famiglia di Nazareth: la presenza di Dio che accetta il lento e progressivo sviluppo della crescita umana, e due genitori che non danno nulla per scontato e crescono nella grande scuola del silenzio, della custodia umile delle parole del Signore.

Tratteniamo e custodiamo anche noi qualcosa da questa meraviglia di famglia di Nazareth: da primo direi la pazienza di Dio, egli non solo fa aspettare tutta una vita il pio Simeone, perché sa di ricompensarlo abbondantemente, ma la stessa pazienza Egli la usa con noi perché aspetta e accetta il nostro cammino, fatto di molte cadute, che porta all’incontro con la piena verità della sua persona. Pensate! un cammino che anche la Vergine Maria, pur preservata da ogni macchia di peccato ha dovuto fare. 

Secondo, la capacità di porre domande alla storia quotidiana, di leggere gli eventi con curiosità, di sapersi stupire delle tante piccole novità che germogliano nelle nostre famiglie. Mai nulla deve essere scontato nelle nostre case, e sempre ogni giorno i nostri occhi possono e devono vedere le opere di Dio incarnarsi nelle nostre relazioni familiari, tanto ripetitive quanto cariche di mistero. Occhi nuovi frutto di un cuore puro. Ha detto Gesù: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”     

mercoledì 24 dicembre 2014

Vangelo della Notte di Natale. A.D. 2014



NOTTE DI NATALE
L’UOMO DELLA PORTA ACCANTO


TESTO ( Lc 2, 1-14 )

1 In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l'impero. 2 Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3 Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città.
4 Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide, 5 per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta.
6 Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto; 7 ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
8 In quella stessa regione c'erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge. 9 E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore. 10 L'angelo disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: 11 "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. 12 E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia"».
13 E a un tratto vi fu con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
14 «Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch'egli gradisce!»


COMMENTO 

Usi e costumi del tempo di Gesù ci chiariscono ancora meglio i dettagli pratici della nascita di Gesù. Ogni famiglia giudea doveva avere una casa patriarcale in cui tutti i figli e discendenti potevano saltuariamente radunarsi insieme. Il censimento ordinato da Quirinio poteva essere una di queste occasioni. Ma la casa, o l’albergo, come viene definito, era talmente stipato che Maria e Giuseppe dovettero accontentarsi di appoggiarsi in un fianco della casa, presumibilmente dove erano gli animali, dato che si parla di una mangiatoia. Capiamo che il buon Giuseppe della casa di Davide non doveva certo essere uno dei membri più eminenti e in vista del suo casato, eppure su lui e la sua sposa, e non su altri, doveva cadere la scelta dell’Altissimo per abbassarsi fino a noi, fino alla bassezza della nostra povera umanità.
Questo scenario basterebbe a capire la grandezza del nostro Salvatore Gesù di Nazareth. Lui ha scelto gesti semplici e persone umili per operare cose immense ed eterne. Bastò questo scenario per commuovere il cuore di Francesco d’Assisi. Francesco a Greccio in quella notte di Natale , dove secondo la tradizione creò il primo presepe della storia, non aveva statuette e neppure una statua del bambinello, ma solo paglia e un bue e un asino, che secondo una tradizione extra evangelica dovevano essere presenti al momento della nascita. A Francesco bastò rivedere con i suoi occhi la semplicità, la povertà di quel quadro familiare così privo di ogni esteriorità , ma così carico di immensa piccolezza, che alla proclamazione del Vangelo del Natale,  poté rivedere con gli occhi del cuore il bambino Gesù. E le fonti francescane ci dicono che di fatto in quella notte di Greccio Gesù nacque di nuovo nel cuore di molti uomini presenti che da tempo si erano allontanati da Dio. 
Buon Natale a tutti e un’attenzione! Gesù potrebbe nascere qualche metro fuori dalla vostra porta di casa.

venerdì 19 dicembre 2014

Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento, anno B; 21 dicembre 2014



IL “DI PIÙ” DELLE PROMESSE DI DIO


TESTO  ( Lc 1,26-38 )

26 Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria. 28 L'angelo, entrato da lei, disse: «Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è con te». 29 Ella fu turbata a queste parole, e si domandava che cosa volesse dire un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. 32 Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. 33 Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine». 34 Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, dal momento che non conosco uomo?» 35 L'angelo le rispose: «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà dell'ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. 36 Ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia; e questo è il sesto mese, per lei, che era chiamata sterile; 37 poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace». 38 Maria disse: «Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola». E l'angelo la lasciò. 


COMMENTO

Nell'adempimento della promessa di donarci un Salvatore e un Messia, sembra calpestata la promessa di matrimonio di una coppia di bravi giovani. La cosa in fondo non sarebbe poi così scandalosa: se tutta l’umanità può finalmente accogliere il Messia e ricevere il condono totale e definitivo di tutti i propri peccati, non è tollerabile che ci siano una o al massimo due persone che si sacrificano per tutti? 

In realtà anche per Maria e Giuseppe la promessa di matrimonio si è realizzata e questo in una pienezza al di là e al di sopra delle loro stesse aspettative. Il modo che usa Dio nel mantenere le sue promesse di felicità è talmente più grande, stupefacente e imprevedibile di quello umano che in effetti l’attuazione pratica sembra più una disgrazia che una Grazia. 

Maria la piena di Grazia in un primo momento si sente privata della sua promessa, e il povero Giuseppe con lei; tuttavia nell'affidamento totale alla Parola di Dio, tutti e due diventano i genitori del Figlio di Dio , non nel senso che lo generano loro ma nel senso che lo custodiscono, e Maria in particolare è capace di rinunciare così radicalmente a se stessa che nel donarci il Salvatore salva se stessa e fa della sua vita un capolavoro di bellezza, di gioia, di stupore. 

Dice San Paolo:  “ … a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen. ( Ef 3,20-21 )

Accostiamoci alla festa del Natale pensando a tutte le promesse di felicità che la vita non ha mantenuto, pensiamo a tutte le delusioni, ai veri o presunti fallimenti, perché anche in questi si può celare un annuncio di una gioia diversa, nuova, sconvolgente, inimmaginabile. Gesù, lui sì, si è sacrificato per noi per cambiare il senso dei nostri fallimenti e delle nostre cadute. Dunque: Buona rinascita nella speranza  a tutti. Vi auguro un Natale che abbia già il sapore della risurrezione. 

sabato 13 dicembre 2014

Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento, anno B; 14 dicembre 2014



“CHI SEI TU, E CHI SONO IO?”


TESTO ( Gv 1,6-8. 19-28 )

Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
 Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
 E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia».
 Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.


COMMENTO

Un giorno San Francesco d’Assisi rivolse al Signore questa preghiera: “O mio Dio, chi sei Tu, e chi sono io?” La risposta alla prima domanda determina la risposta alla seconda. Se non conosciamo il vero volto di Dio, anche noi diventiamo degli sconosciuti a noi stessi e perdiamo il senso della nostra origine e quindi del nostro destino e della nostra missione.

Giovanni Battista aveva una chiarissima consapevolezza del suo essere solo la “voce” di Colui che era la Parola, la coscienza di avere la missione di preparare la strada, di essere testimonianza della luce vera. Giovanni il battezzatore è veramente un grande perché sa di essere piccolo rispetto a Colui per il quale sta spendendo la sua vita. L’umiltà la conosce e la può spiegare solo chi coglie la grandezza di Dio. L’umiltà è si il risultato di un cammino di ascesi e di mortificazione, a condizione però che a monte vi sia un’esperienza di Dio che tocchi il cuore e che faccia decidere per Lui.

Il Papa Benedetto XVI, all'occasione di un incontro per i religiosi e i sacerdoti, disse che la più bella virtù che dobbiamo vivere è la trasparenza, la pulizia; ci ha portato l’esempio del cristallo che nella sua limpidezza lascia vedere e lascia passare la luce. L’umiltà non è silenzio (o comunque non sempre), ma annuncio di una verità che salva e che si rivela in pienezza nella persona di Gesù di Nazareth e di cui tutti siamo chiamati ad essere trasparente manifestazione.

giovedì 27 novembre 2014

Commento al Vangelo della I Domenica di Avvento, anno B; 30 novembre 2014




BEATI GLI INSONNI 



TESTO (Mc 13, 33-37)

State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».


COMMENTO

Non si sa più se la percepiamo o no come una bella notizia, ma in ogni caso il Signore un giorno tornerà. Non si può fare il conto alla rovescia  ma l’oggetto dell’attesa è certo, più certo di ogni altro avvenimento della storia. Non ci resta che vegliare.

Ciascuno ha  “il suo posto” e ciascuno deve perseverare nel servizio affidatogli, e noi sappiamo che questa casa che il Padrone affida temporaneamente ai suoi servitori è la casa del Regno di Dio, la casa dove deve regnare l’amore e la pace devono regnare, grazie e tramite noi, che abbiamo lo spirito di Cristo. Ognuno di noi ha l’incarico di vivere e lavorare per il bene di tutti, perché questo ci chiede il Signore: edificare il Regno dell’amore nell'attesa del suo ritorno. 

Non si può pensare di essere a servizio di questo Regno pensando solamente al proprio portafoglio e vivendo solo per il lavoro e per la sicurezza economica della propria famiglia.  Bisogna uscire dallo schema “lavoro-guadagno-pago-pretendo” per essere discepoli di Cristo, e mettere la nostra vita a servizio degli altri, in modo gratuito.

La vigilanza è un atteggiamento di discernimento continuo tra il bene e il male, perché se c’è il male che fa’ rumore e notizia, c’è anche il male strisciante che si insinua silenziosamente nelle coscienze e che a piccoli passi allontana dall'Amore. A furia di dire “Che male c’è?” si va lontano, ci si chiude in se stessi, ci si addormenta e non ci si indigna più di niente. Il Signore lo dice anche a noi: “vegliate!”

martedì 18 novembre 2014

Commento al Vangelo della Domenica XXXIV. Cristo Re




MOMENTI DI GLORIA 



TESTO (Mt 25,31-46)  

31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria.32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri,33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere;43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me.46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».


COMMENTO

La parabola delle dieci vergini , la parabola dei talenti, infine la descrizione del giudizio universale: il Gesù del Vangelo di Matteo mette in serie tre messaggi che sono lì a specificare e circostanziare sempre meglio le sue ultime volontà prima dell’inizio della Passione. Un vero e proprio itinerario di salvezza.

Primo passaggio: Gesù ci invita a vegliare nell’attesa dello sposo perché è lui l’oggetto della nostra speranza e al tempo stesso il soggetto della nostra salvezza.
 Secondo: la nostra vigilanza non potrà essere passiva ma operosa e intraprendente desiderio di moltiplicare i doni di Grazia che il Signore ci affida, perché i talenti non sono fatti per essere sotterrati ma per essere donati e quindi incrementati. 
Terzo e ultimo passaggio: cosa sono i talenti, cosa vuol dire impiegare i talenti, farli fruttare? Essi sono i semi del Regno di Dio che il Signore ci mette nel cuore, semi d’amore che devono trovare terreno fertile per rendere ore il trenta , ora il cinquanta, ora il cento per uno. Il terreno fertile è il cuore di ciascuno di noi, ma anche il terreno di tanta umanità spesso sofferente, abbandonata, dimenticata. Se saremo capaci di “fare misericordia” come fece Francesco d’Assisi con il lebbroso, allora i talenti d’amore ricevuti gratuitamente ( cioè gratis ) dal Signore faranno frutto nel cuore di quei fratelli che capiranno in modo più che mai eloquente che anche per loro è giunto il Regno di Dio. 

Il nuovo umanesimo portato da Cristo non è un fatto anzitutto intellettuale, filosofico, ma primariamente spirituale, un nuovo modo di impostare le relazioni umane, in un’attenzione privilegiata ai più deboli e fragili. In una mentalità e cultura contemporanea centrata sulla massimizzazione del profitto, Gesù ci chiede, facendolo lui per primo, di massimizzare l’attenzione agli ultimi. Solo la pratica di una carità cristiana fattiva e concreta potrà cambiare la mentalità e le culture dei popoli, instaurando già fin d’ora il primato dell’amore, della compassione, cioè il regno dell’amore Dio. Altrimenti anche la chiesa diventa un clan, come dice Papa Francesco, un microclima ecclesiastico in cui senza il respiro dei poveri in cui Gesù è presente, si finisce per morire d’asfissia nelle piccinerie parrocchiali o nelle mafie movimentiste.

Madre Teresa di Calcutta diceva che ogni sera dovremmo farci un esame di coscienza guardandoci il palmo delle mani. Cosa hanno fatto queste mani? Chi hanno servito, a cosa sono servite? Per chi hanno lavorato? Cosa hanno toccato? Come hanno toccato?  Mi auguro che la meravigliosa semplicità di questo brano di Vangelo possa essere colta da gesti e momenti altrettanto semplici come quello suggerito da Madre Teresa. Per riflettere e per poi agire.

venerdì 14 novembre 2014

Commento al Vangelo della XXXIII Domenica del T.O. 16 novembre 2014



LASCIA O RADDOPPIA !


TESTO (Mt 25, 14-30)

14 Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.16 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.20 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.21 Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.22 Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.23 Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.24 Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;25 per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.29 Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.



COMMENTO

La parabola che immediatamente precede quella di oggi è un’esortazione alla  vigilanza: si parla di dieci vergini di cui cinque sagge che presero olio per non far spegnere la propria lampada ed essere pronte all'arrivo dello Sposo. Quando si dice che certi treni passano una sola volta nella vita !  La parabola di oggi ci permette di fare un’aggiunta: questi treni sono diretti verso fuori, verso destinazioni non del tutto note, sono treni in uscita. La vigilanza a cui invitava Gesù con la parabola delle dieci vergini assume cioè una specificazione: essere vigilanti significa donare, impiegare i doni di Grazia che il Signore ci ha dato. Noi non abbiamo meritato niente, ma tutto abbiamo ricevuto. Se non vogliamo che questa dote deperisca tra le nostre mani, dobbiamo dunque impiegarla, trafficarla, spenderla. Cosa significhi impiegare i talenti lo capiremo ancora meglio Domenica prossima quando il Signore ci parlerà del giudizio universale. “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.” Potrà sembrare un po’ severo ci l’atteggiamento di Gesù, ma severo non è: nella vigna del Signore o si da tutto e si raddoppia oppure non si raccoglie niente e si perde tutto. Istintivamente avessi ricevuto io i 5 talenti, avrei diversificato il rischio: avrei messo due o tre talenti in Banca e gli altri me li sarei imboscati da qualche parte. Le parabole di Gesù hanno sempre qualcosa di paradossale perché Gesù vuole scardinare i luoghi comuni, i pregiudizi, e soprattutto delle mentalità religiose meschine, come quella di una ricerca egoistica della propria salvezza, indipendentemente dalla relazione con l’altro. 
I talenti sono tutti i pezzi che il Signore ci affida per il nuovo mondo da costruire, tutti i doni di Grazia che dobbiamo impiegare per edificare il Regno di Dio. Ma la Grazia non può essere conservata, la si può solo ricevere e donare . I doni del Signore sono fatti per restare tali: un dono. Annunciare la beatitudine del dono di sé mi sembra veramente un’opera missionaria basilare, perché ho constatato, soprattutto quando ero missionario in Africa, che fino a quando si lavora sulla promozione sociale, culturale o sanitaria, si trovano facilmente finanziatori e orecchie ben disposte ad ascoltarti. Quando incominci a parlare della logica del dono e della gratuità e a dire che Gesù si è rivelato pienamente sulla croce e che i suoi discepoli devono seguire i suoi passi, allora gli entusiasmi si calmano. Chi ti vorrebbe dare una mano pensa che l’annuncio esplicito del vangelo delle beatitudini non sia poi così centrale, e chi ti ascolta sarà tentato di “cambiare parrocchia”.

martedì 4 novembre 2014

Commento al Vangelo di Domenica 9 novembre 2014, Dedicazione della Basilica lateranense.




Chiesa e brutti tentativi di imitazione



TESTO ( Gv 2, 13-22 )

13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. 15 Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». 17 I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19 Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20 Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.


COMMENTO

Il Vangelo ci presenta le pesanti parole accompagnate da gesti altrettanto forti, sebbene non violenti che Gesù proclama per dichiarare: primo, l’abuso dello spazio sacro che diventa occasione di commercio. Secondo, quel tempio di Gerusalemme luogo sacro della presenza di Dio per la spiritualità ebraica verrà totalmente sostituito dal nuovo tempio: il corpo dello stesso Gesù, costituito Cristo mediante la risurrezione avvenuta appunto tre giorni dopo “la distruzione” della crocifissione. Questo corpo è vivo nella Chiesa di cui noi cristiani siamo membra vive e di cui il Cristo è il Capo, in un legame organico dove ognuno è parte del tutto, e vive della vita che il capo trasmette a tutti.

Così si esprime Papa Francesco: “L’immagine del corpo non vuole ridurre il credente a semplice parte di un tutto anonimo, a mero elemento di un grande ingranaggio, ma sottolinea piuttosto l’unione vitale di Cristo con i credenti e di tutti i credenti tra loro (cfr Rm 12,4-5). I cristiani sono "uno" (cfr Gal 3,28), senza perdere la loro individualità, e nel servizio agli altri ognuno guadagna fino in fondo il proprio essere” ( Lumen Fidei 22 ).
Per noi cristiani del mondo occidentale sembra ormai molto difficile avere questo senso di legame profondo e spirituale tra noi, accecati da un crescente individualismo e da un atteggiamento di autonomia e auto sufficienza che indurisce i cuori e ci allontana gli uni dagli altri. 

Questo scarso senso di chiesa come unità organica e vitale fondata su Cristo crea le tante distorsioni e svisamenti in cui si ritrovavano anche i cambia valute e i commercianti del tempio.  Non si fa forse ancora oggi commercio nel tempio-corpo del Signore che è la Chiesa? Quando certe forme di associazionismo cattolico diventano taciti accordi di reciproco scambio di favori, di favoritismi offensivi della giustizia, di privilegi concessi con l’aspettativa di futuri contraccambi, e tutto questo avviene discriminando chi invece sarebbe più meritevole o più legittimato a certi opportunità; tutto questo non è ugualmente fare della casa del Padre un luogo di mercato? 

La santa povertà e più ancora la santa umiltà di nostro Signore Gesù Cristo che è venuto per servire e non per essere servito ci richiama il cuore dell’esperienza cristiana e quindi ecclesiale: nella Chiesa servire significa dare la vita per i fratelli, e non servirsi dei fratelli per le proprie scalate sociali o di prestigio, fossero anche con l’etichetta cristiana. Troppo frequente è ancora il fenomeno di inopportuni protagonismi che trovano nell'ambiente ecclesiale il palcoscenico adatto per prendere corpo. Mi piace ricordare invece il sogno che Papa Innocenzo III fece, secondo le Fonti Francescane, dopo l’incontro con Francesco d’Assisi. Egli sognò la Basilica del Laterano diroccata e pericolante con il santo poverello sotto a sostenerla. Francesco e la sua scelta di minorità ci ricordino sempre che la Chiesa si ricostruisce nell'esperienza del dono di sé e che tale riedificazione è sempre possibile, a partire da me, dalla mia conversione. I nemici più pericolosi della Chiesa sono sempre all'interno, mai fuori.   

mercoledì 29 ottobre 2014

Commento Vangelo della commemorazione dei defunti; 2 novembre 2014



Un gancio dal Cielo


TESTO ( Gv 6,37-40 )

In quel tempo, Gesù disse alla folla: 
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

COMMENTO

In questa Domenica 2 novembre tutte le letture fanno centro sull’annuncio, sulla buona notizia della vita eterna , della vittoria  della vita sulla morte.
In questo testo del Vangelo di Giovanni Gesù, dopo aver moltiplicato pane e pesci   e sfamato oltre cinquemila uomini , si proclama come l’inviato di Dio Padre: inviato per compiere la sua volontà  e raccogliere un’umanità persa e dispersa. Ecco perché egli si proclama anche come il buon pastore venuto a radunare le pecore disperse. Gesù dirà infatti più tardi: “io e il Padre siamo una cosa sola” ( Gv 10,30 ). Questa unità non è più solo sul piano divino , ma si cala nella nostra umanità perché il Figlio Gesù ha preso le nostre sembianze, le nostre debolezze, le conseguenze dei nostri peccati. In questo eterno abbraccio tra il Padre e il Figlio, tutto ciò che appartiene alla fragilità della nostra natura assunta dal Figlio viene bruciato dal fuoco dello Spirito, dall'eterno amore che unisce il Padre e il Figlio, da quell'eccesso di amore vissuto sulla croce sul Golgota. 

Nessuno che si avvicina con fede al mistero del Figlio Gesù può sfuggire alla sua forza di salvezza, a questo fuoco d’amore che lega Gesù al Padre: l’amore per il quale Gesù ci è stato donato come mediatore e espiatore dei nostri peccati, e l’amore per il quale Gesù si è donato al Padre per portare tutti noi nella vita eterna. 

La risurrezione nell'ultimo giorno è difatti l’esito finale della vittoria di Cristo, e anche della nostra vittoria se avremo fiducia in Lui, abbracciando tutta intera la realtà della sua persona: se ci affideremo a Lui con perseveranza, se ci nutriremo del suo corpo-cibo di vita eterna, se vivremo il suo stesso stile di vita improntato alla gratuità e al dono.

La nostra speranza è proprio questa: nel ciclo quotidiano di giorni e notti, arriverà un giorno, l’ultimo appunto, in cui il sole non tramonterà più; ci sarà un giorno senza tramonto, il giorno di Cristo, in cui la sua luce trionferà e per tutti coloro che in Lui hanno sperato non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” ( Ap 21,4 ).

mercoledì 22 ottobre 2014

Commento al Vangelo della XXX Dom TO anno A; 26 ottobre 2014



Prendi due, Uno paga.


TESTO (Mt 22, 34-40)

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme35 e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:36 «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?».37 Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.38 Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.39 E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


COMMENTO

Il dottore della legge domanda un comandamento, il comandamento più importante, quello che veramente fonda tutti gli altri. Gesù ne da due, e non può fare a meno di rispondere così  proponendo due comandamenti che si rassomigliano a tal punto da essere una cosa sola.
San Giovanni nella sua prima lettera ce lo fa capire altrettanto chiaramente:
 "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore ….  Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi". (1Gv 4, 7- 12)  

La croce di Gesù è la spiegazione e l’esegesi più completa dell’amore che è Dio. Lui ci ha amato da morire. Se noi diciamo di amare Dio dobbiamo ri-trasmettere quello che abbiamo ricevuto, altrimenti  diciamo frottole, a noi stessi anzitutto.

"Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede". (1 Gv 4, 19 ).
Chi ha l’amore di Dio nel cuore fa tutto per amore. Chi non vive nell’amore di Dio, farà tutto per un tornaconto personale, anche si trattasse del gesto, in se stesso, più generoso e altruistico. 

Se la croce di Cristo è l’esegesi e la spiegazione più precisa del comandamento dell’amore, l’incarnazione è il presupposto della perfetta somiglianza di questi due precetti. Da quando Dio ha assunto un volto e una natura umana, ogni uomo,  specialmente  quello più fragile e sofferente, è diventato immagine del Cristo sofferente. Per questo dice Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” ( Mt 25,40 ). 

Quello che vivo con il fratello più vicino , il prossimo,  dice la verità di ciò che sto vivendo con Dio. Non a caso San Francesco d’Assisi testava la sincerità della vocazione dei suoi primi frati mandandoli ad assistere i lebbrosi. In effetti  senza radicamento  nella croce di Cristo, il fratello non è più il termine della donazione, di una carità totale, ma piuttosto strumento per andare oltre, per passare oltre, diventa una stazione di transito per raggiungere , a volte in modo molto subdolo, fini esclusivamente personali. Il fratello che mi vive accanto è dunque un esame di coscienza permanente.  

lunedì 13 ottobre 2014

Commento al Vangelo della XXIX Domenica del TO, anno A; 19 ottobre 2014



Non Sempre L’evasione Fiscale È Peccato 


TESTO
( Mt 22, 15 – 22)

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.


COMMENTO

La domanda dei discepoli dei farisei e degli erodiani  è veramente attuale: “ siamo obbligati a pagare le tasse? ”. Non conosciamo precisamente il livello di pressione fiscale dell’impero romano del tempo, ma sicuramente il pagamento delle imposte era cosa odiosa non meno di adesso, e non meno di adesso ognuno cercava e riusciva a evadere il fisco.

Per di più Gesù si trova davanti come interlocutori i rappresentanti di due opposte tendenze del mondo giudaico: i farisei, che si reclamavano ad un’austera purezza libera da ogni contagio e contatto col potere politico romano pagano, e gli erodiani che al contrario erano collaborazionisti con l’autorità imperiale.

Gesù tuttavia non si lascia intimorire perché, in base alle stesse parole di chi lo interpella, è veritiero,  insegna la via di Dio secondo verità e non ha soggezione di nessuno, perché non guarda in faccia ad alcuno. Ma questo non è segno di disprezzo degli uomini ma piuttosto sintomo del suo essere totalmente  rivolto al volto del Padre, della sua totale disposizione a  fare, anzitutto, la volontà di Dio. Proprio questa sua capacità di porsi di fronte a Dio nella verità lo rende pienamente  libero di fronte agli uomini. La storia di questi 20 secoli di cristianesimo d’altronde ce lo conferma: chi sa stare in ginocchio davanti a Dio è capace di restare sempre in piedi di fronte agli uomini. 

Come è diverso l’atteggiamento di quegli scribi che, interrogati sulla loro opinione riguardo l’autorità di Giovanni Battista, cominciarono a fare i conti con le possibili reazioni della folla e di Gesù ; talmente preoccupati delle critiche di chi  li ascoltava che preferirono tacere. Questa per altro è proprio l’ipocrisia di chi cerca prima la gloria e il consenso degli uomini e non la Verità con la “V” maiuscola. Gesù da uomo veramente libero non può disprezzare la concreta espressione dell’autorità politica, in quanto essa è la logica conseguenza del naturale tentativo dell’uomo di associarsi, di collaborare e di vivere insieme, ma antepone a tutto questo il rispetto dell’autorità di Dio.

Dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare significa proprio  tenere le cose al loro posto e secondo il loro ordine. Sganciare una qualsiasi autorità umana dal riferimento divino può portare all’idolatria e all’odio: alla totale anarchia e rifiuto di ogni regola civile da una parte, o al contrario all’impropria identificazione tra autorità divina e civile, come di fatto avveniva a quel tempo e che tante persecuzioni portò ai primi cristiani. 

La convivenza umana esige l'esercizio da parte di qualcuno dell’autorità politica ma il cittadino cristiano vi resta obbligato entro i limiti del rispetto della dignità dell’uomo  che Dio gli ha dato. Pagare le tasse dunque è e resta un dovere morale, a condizione però che non metta a rischio la sopravvivenza dell’uomo, della famiglia, delle sue minimali esigenze di coprirsi, di un tetto e di alimentarsi. Prima l’autorità e il rispetto della legge di Dio e poi quella degli uomini. 

martedì 7 ottobre 2014

Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del TO anno A; 12 ottobre 2014



Il paradiso non è solo per  i buoni 


TESTO ( Mt 22, 1-14 )

 Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


COMMENTO

Siamo usciti dalla vigna ed entriamo ora nella sala da pranzo. Lo scenario delle parabole di Gesù, dopo tre domeniche incentrate sulla vigna, diventa quello di una festa di nozze: una festa con un notevole e perfino esagerato coinvolgimento emotivo, tanto che gli invitati, oltre a rifiutare l’invito, arrivano ad uccidere i servi del re a loro inviati. Il re poi non è da meno, facendo uccidere a sua volta quegli invitati insensibili e snobbatori di così abbondante grazia. 
La posta in palio è molto più alta della semplice partecipazione ad una festa, qui ci si gioca veramente la vita!
La partecipazione allora a questo banchetto è questione di vita o di morte, dove non esiste una mezza misura tra una partecipazione festosa ad un evento gioioso e una “non esistenza”. O la vita è partecipazione e condivisione di una festa, oppure è un suicidio. Questo è un primo messaggio.

Ma la cosa ancor più interessante a mio parere arriva dopo, quando questo re decide di far partecipare al banchetto tutte le persone incontrate per strada dai servi. Cattivi e buoni. Molto interessante e intrigante: cattivi e buoni.
Gesù ci disorienta, mostra un atteggiamento molto meno moralista del senso religioso comune. Il problema della festa della vita non è essere buoni per meritare il premio, ma rivestirsi di un nuovo abito, o meglio di un nuovo “habitus”, cioè di un nuovo atteggiamento, quello dell’uomo nuovo, quello interpretato e incarnato dallo stesso uomo-Gesù di Nazareth. Ciò che conta è assumere il suo stesso stile di vita.  San Paolo ci dice ben a proposito di rivestirsi degli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Ogni uomo riceve in Cristo una reale possibilità di rivestirsi di una nuova vita, di una nuova esistenza, tutta di Cristo, e al tempo stesso tutta propria. 

E’ la Grazia di Gesù che cambia la vita. Chi potrà mai dire di essere buono o cattivo? Il criterio di discriminazione non ha un punto di appoggio se non è centrato sull’unico elemento umanamente più vero: l’uomo nuovo Cristo Gesù. Tutto è buono o cattivo solo in riferimento a Lui, dato che nessun uomo potrà mai vantare una sua bontà autonoma e personale sganciata da quella sua ‘veste’ di Amore gratuito e di misericordia infinita che solo lui ci può cucire addosso. 

Rivestire la veste nuziale significa allora rivestirsi delle vesti scomode e sporche dei fratelli più deboli, fragili, disagiati e sofferenti; mettersi nei panni di chi le tante situazioni della vita hanno lasciato a piedi e camminare accanto a lui, come avrebbe fatto Gesù, come avrebbe fatto Francesco d’Assisi che nella scelta di spogliarsi delle vesti lussuose del Padre e di rivestirsi di una semplice tonaca trovò accesso alla festa della vita, la festa di chi ha capito che la gioia non sta nel possedere e nell’avere sempre di più ma nel dare, nel donare e nell’aprire il cuore alla necessità di chi piange.  

lunedì 29 settembre 2014

Commento al Vangelo della XXVII Domenica del TO anno A. 5 ottobre 2014



I NEMICI DELLA CROCE
(  Mt 21,33-45 )


TESTO

Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?
 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.


COMMENTO

Ancora una parabola disegnata sullo sfondo di una vigna, realtà fortemente radicata nella vita sociale della Palestina. Si tratta questa volta di alcuni affittuari talmente disonesti e delinquenti da arrivare ad uccidere il figlio del padrone. Elemento a dir poco strano è che il padrone decida di  inviare a regolare una questione così pericolosa e con degli uomini così assassini addirittura il proprio figlio. Proprio su questo Gesù vuol far riflettere: Dio Padre adotta un comportamento fuori da una logica di ordinario buon senso, non ha paura di mandare suo figlio, non risparmia la cosa più preziosa che ha, osa giocare il tutto per tutto, spera fino all’ultimo nel ravvedimento degli israeliti, destinatari della sua Alleanza.

Tanti i modi per uccidere il Figlio del Padrone della vigna-Regno di Dio e per appropriarsi del potere di quest’ultimo.
Nella storia del pensiero occidentale qualcuno ha iniziato ad affermare che Dio è un’affermazione della nostra mente, che tutta la realtà e quindi anche Dio non esistono in se stessi ma esistono solo se c’è qualcuno come l’uomo che li pensa; per poi arrivare a decretare, come qualcuno ha fatto, che “Dio è morto”. Purtroppo viviamo in un contesto dove veramente Dio sembra proprio scomparso.

Diversamente molti non osano mettere in dubbio l’esistenza di Dio, tutt’altro, ma il problema è che lo si stiracchia, lo si adatta, lo si adegua a mille esigenze: conoscere il futuro, proteggersi dal malocchio, conquistare l’amore di qualcuno, ottenere guarigioni, facilitare il proprio successo economico e così via. Ci si vuole appropriare della potenza di Dio, della sua “vigna” eliminando il Figlio e lo scandalo della croce, proprio come i vignaioli omicidi. 

L’uccisione del Figlio avviene attraverso la negazione del Cristo, e del Cristo obbediente fino alla morte di croce. La sofferenza deve scomparire a tutti i costi; la sofferenza non è più luogo di incontro con il mistero della redenzione e occasione di co-redenzione,  ma solamente una maledizione o peggio una condanna.


Su ogni tentativo di estromissione del piano del Signore regna la croce di Cristo. Ciò avviene negli umili credenti e nei piccoli di ogni tempo e cultura, in coloro che sanno trasmettere l’ardente passione di Cristo per l’umanità,  che sanno farsi carico delle proprie e altrui avversità con la stessa sua tenerezza e abbandono nell’amore del Padre.

Un giorno, in Africa, dopo la celebrazione di una Messa domenicale, una signora con un sorriso e un volto solare mi ha chiesto di pregare per lei. Da 14 anni suo marito era paralizzato in casa , e da 14 anni lei continuava a restargli accanto per assisterlo. Ecco i nuovi vignaioli che nel silenzio stanno facendo fruttificare la Vigna e che saranno sasso di inciampo per i mille adùlteri della leggerezza, della banalità e del nulla.

martedì 23 settembre 2014

Commento al Vangelo della XXVI Dom del TO anno A; 28 settembre 2014.



NON TUTTI I PUBBLICANI E LE PROSTITUTE SONO UGUALI
( Mt 21, 28-32 )



TESTO

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.


COMMENTO

Un discorso , quello di Gesù appena ascoltato, corto ma tagliente. 
Non tutti i modi di prostituirsi sono uguali: c’è quello palese di chi ha riconosciuto il suo vuoto totale, il fatto cioè di essersi venduti totalmente, corpo e anima, al Dio denaro. I pubblicani, che erano gli esattori delle tasse per conto dei romani e che vi rubavano abbondantemente comprendono la via della giustizia predicata da Giovanni Battista, quella giustizia che dista mille miglia dal loro atto di prostituzione al dio denaro. 
Anche molte prostitute hanno riconosciuto che la loro vita era tutta fuorviata e malata, e hanno avuto l’umiltà di ammettere l’evidenza.
Ma c’è anche un altro modo di vendersi, molto peggiore, molto più subdolo: quello di chi mentendo a sé stesso, cioè alla propria coscienza, si cela dietro un’apparenza di falsa religiosità. 

Gesù sta parlando ai sommi sacerdoti e agli anziani, cioè ai leaders religiosi del tempo e parole non meno dure avrà anche per i farisei da cui provenivano molti di questi.
“Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze,  avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti;  essi che divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere per mettersi in mostra. Costoro riceveranno una maggior condanna». ( Mc 12,38-40 )

Questi uomini falsi religiosi, amavano la gloria degli uomini più che quella di Dio, e siccome il loro ruolo religioso dava loro autorità, erano più interessati al potere ( e al denaro ) che alla causa a cui doveva servire quella autorità. E’ la prostituzione della coscienza: incredibile ma è così. Sembrerà una contraddizione ma nessun pretesto come quello religioso rende così facile offendere gravemente la volontà di Dio e arrecare assurde violenze agli uomini. 

Guardiamoci intorno e guardiamoci dietro senza spostarci dall’ambito della nostra società: in tempi recenti la religione è servita per ottenere potere politico, ingannando la buona fede della gente. 

Nei tempi attuali, l’appartenenza a gruppi o a associazioni religiose serve spesso per acquisire posizioni dominanti in ambito economico, o per affermare semplicemente la propria mania di ‘liderismo’, avendo un alibi da usare per non coinvolgersi nelle necessità più vere della chiesa. 
Ognuno trovi la propria collocazione e agisca di conseguenza ! 

martedì 16 settembre 2014

XXV Domenica del Tempo Ordinario anno A; 21 settembre 2014



Padrone assoluto
(Cf Mt 20, 1-16)


TESTO

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».


COMMENTO

Incredibile a dirsi e ad ammettersi: nella parabola di Gesù gli operai impiegati dalle prime luci dell’alba ricevono la stessa paga di quelli assunti alle cinque del pomeriggio e che quindi faranno appena in tempo a versare poche gocce di sudore. 

Due cose tuttavia sfuggono agli operai dell’alba nella stranezza, voluta, di questo racconto: la prima è che la generosità del loro datore di lavoro non toglie niente alla loro paga, che corrisponde a quanto era stato pattuito. La seconda è che il padrone della vigna è appunto il padrone assoluto e non deve chiedere il permesso di ciò che fa.
Il ragionamento degli operai dell’alba è il ragionamento dell’uomo del mondo che dista dal pensare di Dio come la terra dal cielo (ci dice Isaia nella prima lettura). 
Nella ristrettezza delle cose umane è ragionevole temere che l’abbondanza data all'altro tolga qualcosa a me; avrei tutto il diritto di lamentarmi se il mio datore di lavoro largheggiasse troppo con i miei colleghi, perché nel lungo termine questa eccessiva generosità impoverirà l’azienda e potrà compromettere i miei futuri stipendi. 

Inoltre l’azienda del mio padrone, benché giuridicamente resti del mio padrone, è anche mia in quanto io vi lavoro e il suo prosperare e produrre reddito dipende anche da me. Il comportamento di questo padrone insomma, non solo è anti-sindacale ma è anche palesemente anti-economico. 
Nelle dinamiche umane di questo mondo, non a caso viene definito “economico” qualsiasi bene che in natura è scarso. 
Ma nella grandezza delle cose di Dio alla Grazia non esiste limite né restrizione: la sovrabbondanza elargita al fratello non toglie niente a me. Se il mio fratello è stato ricolmato di doni dall'alto o se riceve molto di più rispetto a quanto si merita, questo non impedisce che anche io possa ricevere abbondantemente dalle mani del Signore. 

Secondariamente la Grazia di Dio è tutta di Dio. L’uomo non vi entra in nessuno modo. La Grazia che ci salva  viene tutta dal Signore Dio; l’uomo non ne è com-proprietario nemmeno in minima parte: può solo accoglierla o rifiutarla.
Ecco perché la gelosia non ha ragione di essere. Dobbiamo solo rallegrarci della generosità smisurata di Dio perché, detto per inciso, non si sa mai: noi, operai dell’alba, potremmo ritrovarci ad essere operai del crepuscolo.

martedì 9 settembre 2014

Esaltazione della Santa Croce. 14 settembre 2014




Come una bandiera



TESTO (Gv 3, 13-17)

13 Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo. 14 «E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, 15 affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. 16 Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. 17 Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.


COMMENTO

Momento culminante di ogni premiazione di una competizione sportiva di livello mondiale è l’innalzamento della bandiera del paese del vincitore con l’esecuzione dell’inno nazionale. In quella bandiera che sale sul pennone più alto non è solo simboleggiata la vittoria di un atleta o di una squadra, ma vi si ritrova il sano orgoglio e senso di appartenenza di un’ intera collettività nazionale.

Ciascun connazionale del vincitore, pur non avendo fatto niente per vincere quella medaglia, si sentirà felice di ascoltare il proprio inno nazionale e vedere, al culmine della cerimonia, i colori del proprio paese innalzati al centro della scena. Tutto ciò avviene secondo un certo senso di transfert emotivo e di auto-riconoscimento in colui che nella nazionalità condivide una parte importante dei propri sentimenti.

In questo splendido colloquio notturno, Gesù annuncia a Nicodémo che “… come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Anche qui si parla di una vittoria, e direi di una vittoria più decisiva, quanto meno più definitiva: quella dell’amore sull’odio, del perdono sul rancore, del dono sull’auto-possesso. La vittoria della croce sulla morte.
La partecipazione alla vittoria del Figlio di Dio è ben più di uno shock emotivo, è la partecipazione reale ai suoi frutti, ai suoi benefici. Incredibile a dirsi ma è proprio così: la vittoria sugli avversari, fondamentalmente sulla morte e sul suo atleta-campione che è il peccato, è stata riportata da Gesù ma il premio è per tutti quelli che credono in Lui.

Credere in lui non potrà certo significare solamente guardare un crocifisso e contemplare la sua morte. Nel contesto evangelico credere significa sempre anche coinvolgersi, aderire con la propria vita alle sorti del Maestro, seguire le sue tracce, prendere la propria croce e seguirlo, cioè vivere atti di accoglienza e di misericordia, di semplice carità, di perdono verso l’offensore, di accettazione delle avversità pur nella lotta: gesti questi, che da soli non potrebbero mai valere ad aprirci le porte della vita eterna, ma che vissuti in comunione con Cristo diventano segni della nostra fede che salva.

Il solo titolo di merito di noi cristiani, la nostra bandiera, il nostro vanto è la croce di Gesù, perché “Dio non ha mandato Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

lunedì 1 settembre 2014

Commento al Vangelo della XXIII Dom del TO anno A; 7 settembre 2014



La forza della comunione
(cf Mt 18, 15 – 20)


TESTO 

Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

COMMENTO

Il Signore si fida enormemente dei suoi discepoli e si affida alla loro mediazione a tal punto da legare le cose del Cielo a quelle della terra. Mentre Gesù ci fa pregare dicendo  “sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra” ( … cioè che la storia umana possa coincidere con i progetti di Dio), Lui da parte sua assicura che le decisioni disciplinari della comunità dei suoi discepoli quaggiù, saranno sempre ratificate tali e quali nella Comunità divina di lassù. 
Come possa fidarsi e affidarsi così tanto a una comunità di uomini è spiegabile solo a partire dalla presenza di Cristo risorto in mezzo a questa comunità. La Chiesa non verrà mai meno fino alla fine del mondo proprio perché essa è il corpo di Cristo (vivo) presente nella storia del mondo di ogni tempo.

Spesso mi capita di porre delle domande un po’ trabocchetto ai ragazzi del catechismo. Dopo averli interpellati sul nome dei capi di stato più famosi e menzionati dalla televisione, chiedo loro chi è il capo della Chiesa cattolica. Normalmente i ragazzi rispondono che questi è il Papa, senza ricordare che egli è solo il Vicario e che il capo della Chiesa è Cristo risorto. Proprio Lui continua a essere presente nello spirito in una comunità e anche in un singolo fedele che con senso di responsabilità si prendono la briga di correggere la colpa del fratello. Proprio Lui si rende presente quando due si mettono d’accordo per domandare qualcosa al Padre celeste e infatti l’unico a cui Dio non può rifiutare niente è proprio suo Figlio. 

Sebbene l’apostolo Pietro è la pietra su cui Cristo ha edificato la sua comunità, da questo brano risulta evidente che ogni membro di questo corpo spirituale è chiamato ad essere una pietra viva. Ognuno di noi cioè, nella comunione con Pietro, per vocazione deve essere testimone coerente e quindi pietra di paragone per il fratello, ma per la potenza della comunione dei discepoli di Cristo, ognuno di noi dovrebbe anche sentire sempre “il fiato divino” sul collo nella responsabilità verso tanti fratelli che si perdono. Possiamo esserne certi: quando nella Chiesa vengono alla luce gravi scandali, ovviamente qualcuno ha sbagliato ma ci sono almeno altri dieci fratelli che hanno taciuto, e che invece di essere state pietre vive sono state solo fango. 

Non da ultimo va detto che l’invito alla correzione fraterna va inserito nella passione di quel pastore di cui ai versetti immediatamente precedenti: un pastore che non calcola rapporti di costi/benefici ma che desidera la vita della pecora perduta, perché è disposto a dare la propria vita per essa. La correzione fraterna richiede una grande passione per il bene del fratello, una carità che fiorisce nel campo dell’umiltà.