giovedì 18 aprile 2024

Con-vocati e con-corporati in Cristo buon pastore

 

Commento al vangelo della IV domenica di Pasqua, anno B – 21 aprile 2024


Dal vangelo di Giovanni (10,11-18)

 In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Commento

 Gesù è un buon pastore, o meglio il buon pastore, per almeno due motivi.

 1 Non solo non è mercenario, cioè un operaio salariato che si interessa solo di prendere la paga e fare le sue ore di lavoro, al di là della resa del gregge, ma addirittura sacrifica la sua vita per il bene del gregge. E se ci pensiamo questa è una cosa assurda. Normalmente un pastore deve vivere tosando le pecore, mungendo il loro latte, e nutrendosi e vendendo la loro carne. Gesù fa il contrario mette a disposizione la sua vita per il bene del gregge.

2  Ma ancora ben oltre questo Gesù ci parla di una riunificazione di tutte le pecore in un solo gregge e in un solo pastore, con una sorta di immedesimazione delle pecore nella persona stessa del pastore. Capiamo anche da qui che siamo su un piano totalmente altro da quello naturale. Tutti noi, o quasi, abbiamo mangiato carne di agnello nei giorni scorsi, così la carne delle pecore diventa la carne nostra. 

Ma Gesù fa esattamente il contrario, perché ci riunisce in unità, ci fa diventare in lui una cosa sola facendosi lui cibo da mangiare per noi; è un pastore così buono che è piuttosto lui che si farà dono e carne da mangiare e saremo noi sue pecore a nutrirci di lui e diventare, tramite il misterioso segno dell’Eucaristia, un solo corpo in lui, proprio come lui stesso afferma nello stesso vangelo di Giovanni “…chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 5,56).

Come non ricordare a questo punto le parole di San Francesco che nella Lettera a tutto l’Ordine così scrive: “O umiltà sublime, o sublimità umile […] Guardate fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori, umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati” (FF221)

mercoledì 10 aprile 2024

Per la salvezza di tutti gli uomini e di tutto l'uomo

 

Commento al vangelo della III domenica di Pasqua – 14 aprile 2024
 

Dal Vangelo secondo Luca (24,35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».



Commento

 «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme». Abbiamo letto così.
Un versetto così non si trova nell’Antico testamento. Gesù interpreta la scrittura, fa una sintesi, dal suo punto di osservazione, abbastanza autorevole, quello di Dio: un’interpretazione sicuramente autentica.
Come si apriva ad esempio la legge di Mosé? “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile” (Dt 5,6).
Ebbene Gesù è esattamente quel Dio che prima di darci delle indicazioni di cammino – le 10 parole o comandamenti – ci dice quello che egli ha fatto per noi.
Noi sempre andiamo subito al “cosa devo fare per ingraziarmi Dio, per tenermelo buono, per conquistare la sua benevolenza”, quando invece Gesù – il figlio di Dio -  si presenta dicendo: “Pace a voi!” e poi spiega tutto ciò che lo riguarda, cioè come Dio ha compiuto, in lui e tramite lui, le promesse fatte ad Abramo e ai padri di Israele. Lui è l’eletto, il messia, il prescelto, il Cristo; in lui si compiono tutte le promesse del popolo ebreo. Ma – qui nascono i problemi per Gesù – addirittura le oltrepassa di molto. Perché neppure gli ebrei si attendevano un Messia che fosse lui stesso Dio in persona, e tanto meno che dovesse soffrire, morire e addirittura risorgere. Quest’ultima cosa in realtà era nel panorama mentale degli ebrei degli ultimi secoli prima di Cristo, ma era assurda per coloro che provenivano dalla cultura greca, per quali il nostro evangelista Luca sta scrivendo il vangelo. Tanto che indugia nel raccontare in dettaglio le parole di Gesù: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». […] Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Concludiamo con un pensiero alla bellezza della nostra resurrezione della carne, sulla quale forse non ci soffermiamo mai abbastanza. Forse in un certo linguaggio si è sempre sottolineato la necessità di “salvarsi l’anima”, ma il figlio di Dio è venuto in un corpo e un’anima umana per salvare tutti gli uomini e tutto l’uomo, anima e corpo. Gregorio Nazianzeno († 390 ca.) diceva: «Ciò che non è stato assunto non è stato salvato (… ma ciò che è congiunto con Dio, ciò è anche redento» - Epistola 101[12]). Che bello pensare l’eternità in un abbraccio concretissimo e reale con le tante persone che via via, nel tempo, ci hanno lasciato! 


mercoledì 3 aprile 2024

Assetati di vita vera

 

Commento al vangelo della II domenica di Pasqua – 7 aprile 2024

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-31).

 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Commento

 Gesù risorto annuncia ai suoi discepoli la cosa di cui maggiormente oggi l’umanità sente il bisogno: la pace.
Proprio lui che aveva detto di essere venuto piuttosto a portare la divisione e non la pace (cf Mt 10,34 “sono venuto a portare non pace, ma spada”). Ma lui è l’uomo che non ha fatto compromessi con il male: in questo senso, non è venuto portare pace. La sua parola invece è come una spada che segna con chiarezza il bene dal male, ma dall’altra parte si è fatto morte per noi, ha subito in nostro favore tutto il male dell’uomo, portandone misteriosamente tutte le conseguenze sul legno della croce, perdonando i suoi uccisori.
Grazie alla sua infinita capacità di perdono noi possiamo essere nella storia di oggi quello stesso volto segnato dal dolore ma – allo stesso tempo “guarito”, glorioso, risorto  -  che si presentò in mezzo alla sala del cenacolo la sera di quel giorno che d’ora in poi sarà detto “Domenica” (giorno del Signore).
In fondo nel discepolo Tommaso è rappresentata tutta l’umanità che vorrebbe credere nella vita, nella vittoria della vita sulla morte, ma che ha bisogno di vedere un segno tangibile. Proprio questo dovremmo essere noi cristiani: la presenza di Cristo risorto vivo, cioè Chiesa, corpo di Cristo risorto, una comunità di uomini che portano – certo – le piaghe, le conseguenze di una vita di peccato, ma che hanno fatto esperienza della redenzione, della sua guarigione. Ciò che potrà convincere il mondo della vittoria di Cristo sul male, sulla morte, non sarà un gruppo di discepoli quasi perfetti e performanti, ma una fraternità di uomini che hanno fatto esperienza della sua misericordia, che nei segni della propria fragilità lasciano risplendere anche i segni della più sovrabbondante grazia di Cristo risorto. Papa Francesco ha ragione di sentirsi un peccatore misericordiato. Così dovremmo sentirci ognuno di noi, se cristiani. Questo il segno che il mondo chiede ai discepoli di Cristo di tutti i tempi.


mercoledì 27 marzo 2024

Alla sorgente della fede cristiana

 

 Vangelo della Veglia pasquale – sabato notte 30 marzo 2024

Dal Vangelo secondo Marco (16,1-7)
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.
Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. è risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».

 

Commento

 La tomba vuota, primo segno a parlarci di risurrezione in questo lungo giorno pasquale che nella nostra tradizione cristiana chiamiamo ottavario pasquale e che ci permetterà di ascoltare tutte le testimonianze evangeliche su questo fatto straordinario. Potremmo chiamarlo anche un “non segno”, perché di fatto le donne non trovano il corpo del maestro che, anzi, si disponevano ad ungere, essendosi portate gli oli aromatici, e avendo come unica preoccupazione la rimozione della pesante pietra di chiusura del sepolcro.

Viene loro detto da un giovane in bianche vesti (probabilmente un angelo) che il loro maestro, Gesù di Nazaret, è risorto, non è più lì. Da qui prende vita la nostra fede, da qui prende senso il fare memoria annuale della Pasqua di Cristo.
Gesù non è semplicemente vivo nella nostra memoria, come diciamo spesso dei nostri cari defunti, ma al contrario siamo noi ad essere vivi nella sua memoria di uomo-Dio: lui che ora, in eterno, intercede a nostro favore presso il Padre, che - come ci ricorda la Lettera agli Ebrei “… può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio” – Eb 7,25). Il celebrare nell’Eucaristia la vittoria di Cristo sulla morte, in modo più solenne la domenica – e in modo ancor più solenne la domenica di Pasqua – non aggiunge nulla alla grandezza dell’evento storico, ma piuttosto fa entrare noi che vi partecipiamo nella grazia, nell’amicizia ritrovata di Dio, dopo che l’avevamo rigettata. Anche per chi partecipa alla celebrazione della Pasqua si compie la promessa di Gesù in croce rivolto a quel ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso!”. Si, il paradiso comincia quando si accetta di vivere con Cristo, ogni esperienza, bella o brutta che sia. Il beato Carlo Acutis diceva che l’Eucaristia è “autostrada per il Paradiso”, ma in parte è paradiso essa stessa.

Permettiamo al Signore risorto di rimuovere la pietra della nostra incredulità: questa sì, l’incredulità, è la pietra tombale che impedisce la rinascita della nostra vita in Cristo. “Signore, aumenta la nostra fede”.
Buona Pasqua !


venerdì 22 marzo 2024

L'inizio del compimento

 Commento al vangelo della domenica delle Palme – 24 marzo 2024
 

Dal vangelo di Marco (Data la lunghezza del testo 14,1-15,47, si è scelto di limitare il commento ai versetti 15,33-39)

 […]  Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
 
Commento

 Il racconto della passione e morte di Gesù di questa domenica (delle Palme) si completerà con l’annuncio della risurrezione di domenica prossima. Gli ultimi capitoli della narrazione di Marco, primo a scrivere tra i quattro evangelisti, costituiscono in realtà il cuore e il fine di tutta l’opera: fine che era stato già sinteticamente annunciato fin dal primo versetto: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.” (Mc 1,1).

Saranno le parole del centurione sotto la croce a confermare questo lieto annuncio: le parole di un uomo pagano trovatosi lì per adempiere le sue mansioni di carnefice e del quale si dice che “avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»” (Mc 15,39). Doveva esserci qualcosa di straordinariamente convincente nel modo di spirare di Gesù che in un ultimo grido così si rivolse al Padre: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”

Sono le ultime parole che secondo San Marco Gesù ha proferito prima di morire, esprimendo in esse la domanda di senso di tutta l’umanità, ma anche prendendo a prestito i versetti del salmo 22 (21) che egli ovviamente, comi ogni ebreo praticante, doveva conoscere quasi a memoria e che continuano con delle parole di fiducia (“in te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti” (Sal 22,5) ma che le morte gli impedì di proferire. Sono le parole di chi umanamente fatica ad accettare la sua sorte, che non vede la pienezza di una vicenda dolorosa, come non doveva vederla, in quegli istanti, neppure Gesù.

Dunque, Gesù è morto rivolgendosi al Padre, reclamando da lui il senso e il fine di quell’immenso dolore. Un Gesù tremendamente umano, così umano perché dall’inizio alla fine del cammino della sua vita non ha mai interrotto la sua relazione filiale con il Padre. Ecco il modo che affascinò il soldato romano: la relazione mai interrotta con Colui che lo aveva inviato nel mondo a radunare i figli dispersi, cioè tutti gli uomini orfani, a causa del peccato, della paternità di Dio. Il modo della fiducia, della comunione con Dio, sempre e comunque.

In quel grido ci siamo tutti. O forse è più significativo sottolineare che in ogni nostro grido c’è anche il suo: un grido che reclama la conoscenza del fine di bene di tante esperienze crocifisse, che reclama di sapere, di capire, di comprendere. A queste grida che salgono a Dio continuamente in tutti i tempi e da tutta la terra, come in questi giorni dall’Ucraina o dalla striscia di Gaza, o da tanti ospedali e da tante case di reclusione, Gesù risponde: “abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

giovedì 14 marzo 2024

Benedetti in Cristo innalzato

 

 Commento al Vangelo della V domenica di Quaresima, anno B – 17 marzo 2024


Dal Vangelo secondo Giovanni (12,20-33)


In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Commento 

Oggi partiamo dalla testimonianza di Elie Wiesel, scampato ai lager nazisti della Seconda guerra mondiale. Nel suo libro La notte, (1958), racconta dell’impiccagione di un ragazzo di tredici anni. L’autore ricorda che nel momento in cui quel tredicenne ancora agonizzava...
"Dietro di me udii il solito uomo domandare:
– Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…" (Elie Wiesel, La notte)
Da notare che chi scrive è un ebreo rimasto ebreo, eppure la sua riflessione tocca il senso profondo del mistero della croce di cui ci ha parlato Gesù in questo brano di vangelo.
Gesù, soprattutto nella memoria dell’evangelista Giovanni, parla della sua morte come di un innalzamento, di una glorificazione, cioè della manifestazione della sua potenza. Qual è l’onnipotenza del figlio di Dio in tutto questo? La libertà di amare fino alla fine, di non essere costretto dalla sua natura divina a mostrare la sua forza, la libertà di offrire la sua vita.

Si, L’onnipotenza di Dio, la gloria di Dio si rende manifesta in questa umanità caduta in terra, come un chicco di grano che muore, ma che diventa generativa e feconda per una nuova umanità.
Ecco la vera risposta a chi domandava: “Vogliamo vedere Gesù”. Non poteva ridursi all’incontro con un volto fisicamente presente. Per incontrare e far esperienza di Gesù occorreva a quei greci, e occorre anche a noi oggi, riconoscerlo nelle centinaia, migliaia di uomini crocifissi della storia, a partire da quelli delle nostre storie quotidiane.

Alla frequente domanda che nei momenti di prova, più o meno tutti ci poniamo: “Mio Dio, ma dove sei finito?” anche noi dovremmo sentire risuonare la stessa risposta dal fondo della coscienza: “Sono nel tuo genitore malato, sono in questo tuo figlio sulla sedia a rotelle, sono nella tua solitudine, abito lì dove tu stai maledicendo la vita, perché io mi sono fatto maledizione per te (cf. Gal 3,13), per benedirti in eterno!”

giovedì 7 marzo 2024

Un morto che cammina?

  

Commento al vangelo della IV domenica di Quaresima, anno B – 10 marzo 2024
 

Il morto che cammina? (dead man walking)
 

Dal Vangelo secondo Giovanni (3,14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

 Commento

 Sembra che in alcuni penitenziari americani il passaggio del condannato a morte fosse accompagnato dal proclama “l’uomo morto che cammina”. La cosa è abbastanza macabra, e ancor più macabra è che tutt’ora esista la pena capitale in qualche angolo del mondo. Nel brano di vangelo di oggi Gesù spinge il nostro sguardo oltre la soglia della vita terrena, e ci invita piuttosto a prendere in seria considerazione il nostro destino finale.
Chi non vorrebbe vivere, felice, in eterno! Gesù ci offre una ricetta talmente semplice da essere trascurata, anche perché assolutamente a costo zero, e noi sappiamo che le cose “a costo zero” destano il sospetto di una fregatura. La ricetta, invece, è credere n lui, credere che lui, Gesù di Nazaret, è il volto di un Dio misericordioso, è il figlio di Dio mandato nel mondo per prendere su di sé le conseguenze nefaste di tutti i nostri peccati, quelle conseguenze che, se non fosse per la misericordia di Dio, noi stessi avremmo prodotto su di noi portandocele nei secoli dei secoli, e non certo provenienti da un Dio che castiga come talvolta ci hanno insegnato a dire in quell’orrendo atto di dolore. (…peccando ho meritato i tuoi castighi).
Gesù dice: “…bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.” E ancora aggiunge: “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

Allora deduciamo da questo brano, come da tanti altri passaggi della sacra Scrittura, che il Signore è signore della vita. La vita eterna è sì un premio, ma non da comprare o da meritare in senso proprio, ma da accogliere dalle mani di colui che è via, la verità e la vita, e che la dona a chi confida nel suo nome. 

Se ad una persona avvelenata venisse offerto un antidoto e se questi lo rifiutasse, di chi sarebbe la colpa? Se presumiamo di entrare nella vita eterna per meriti nostri, senza la grazia di Cristo, allora sì che saremmo veramente un morto che cammina! Propongo allora di acclamare spesso il nome di Gesù invocando la sua misericordia, soprattutto per non aver creduto al suo amore. 

E vi propongo di farlo con la più breve tra tutte le nove formule di “Atto di dolore” proposte nel Rito della Penitenza della Chiesa cattolica italiana: “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.