mercoledì 24 luglio 2024

La cura dell'essenziale

 Commento al vangelo della XVII domenica del TO, anno B – 28 luglio 2024

Dal vangelo di Giovanni (6,1-16)
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Commento

 Apriamo con la domanda di Gesù: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. La domanda va nella stessa direzione del vangelo di domenica scorsa, ove si diceva che Gesù sentiva compassione per le folle, perché erano come pecore senza pastore. E non c’è neppure nessuno che si occupa del loro nutrimento.
I discepoli hanno in cassa 200 denari, ma poi spunta fuori un ragazzo con i suoi 5 pani e 2 pesci, più che sufficienti per lui ma ridicolamente insufficienti per gli altri 4999 pellegrini. Qui interviene il colpo di scena del Maestro: dopo la preghiera di rendimento di grazie Gesù distribuisce quel poco cibo che incredibilmente risulta ampiamente sufficiente, tanto da esserci 12 ceste di pane in avanzo.
Qualcuno ha sostenuto che Gesù non abbia moltiplicato il cibo presente, ma piuttosto abbia moltiplicato la generosità dei cuori, facendo si che la generosità di quel ragazzo contagiasse anche tanti altri. La cosa è possibile, ma non sicura. Immaginiamo quanti di quei 5 mila avranno avuto da parte del cibo certamente sovrabbondante per sé, ma anche tanta paura di metterlo a disposizione per il rischio di doverne mangiare solo una piccola e insufficiente porzione. Ma nel momento in cui tutti avessero condiviso il poco di più che avevano a disposizione, diventerebbe spiegabile l’enorme sovrabbondanza.
Il miracolo della condivisione, in effetti, è un miracolo è ancora più grande della moltiplicazione del cibo. Rimaniamo però alla realtà dei fatti: c’è una folla affamata e Gesù che ha compassione dell’uomo - e di quegli uomini in particolare - dà loro da mangiare, a partire dal poco che c’è. Certamente questo pane simboleggia un cibo ben più decisivo, ma di questo parleremo nelle prossime 4 domeniche in cui ascolteremo tutto il capitolo 6 di Giovanni che riporta il discorso di Gesù sul pane di vita. Accogliamo per adesso la buona notizia del vangelo di oggi: ‘Gesù non ci priva mai, mai, dell’essenziale’, perché egli – direbbe san Gregorio di Nazianzio – “con la sua anima è venuto a sanare le nostre anime, e con il suo corpo è venuto a sanare i nostri corpi”. Mettiamo nelle mani di Gesù il nostro poco perché lui lo moltiplichi a beneficio di tutti, e ricordiamoci che la fame di cibo, di pace, di giustizia e tutti gli altri tipi di fame sono piuttosto il frutto del moltiplicarsi dell’egoismo degli uomini. Ma anche le tante, troppe, vittime della cattiveria umana saranno comunque saziati vedranno restituito ciò che sarà stato loro sottratto.


giovedì 18 luglio 2024

Il riposo richiede memoria

 

Commento al vangelo della XVI domenica del Tempo Ordinario, anno B – 21 luglio 2024


Dal vangelo di Marco (6,30-34)

 In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.


Commento

 ‘Venite in disparte … e riposatevi un po’”. Il poco chiesto da Gesù per stare con i suoi discepoli ha la stessa vaghezza che si trova nei ricettari di cucina dove a volte si dice di aggiungere un dato condimento q.b. (cioè: quanto basta). Gli apostoli erano ritornati, immaginiamo con grande entusiasmo, e lo abbiamo ascoltato nel vangelo di domenica scorsa: “scacciavano demòni, guarivano i malati”. Ora però è il momento del riposo, e per noi questo significa un non fare; l’immagine che forse meglio ce lo  rappresenta è il cuscino. 

Nel contesto capiamo che Gesù chiede invece ai suoi di riposare attivando un’altra facoltà, non quella del sonno ma quella della memoria. ‘Gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato’. Il riposo del cuore, il riposo che ci dà pace non è semplicemente l’astenersi dal lavoro di sempre, che comunque è necessario, ma anche il fare spazio alla gratitudine, al fare memoria di quanto bene la nostra vita è stata disseminata.
Dovrà essere così anche la nostra vita di cristiani di oggi. Anche noi siamo invitati dal Signore a trovare momenti per riportare alla memoria i benefici ricevuti nella nostra vita, prima ancora di iniziare a domandare un qualsiasi beneficio. 

Papa Francesco aggiunge al riguardo che la gratitudine rende il cuore libero e leggero, e – aggiungo io – lo riposa da tutti gli affanni più inutili e penosi.
Ma potremmo andare anche oltre, dicendo che sostare e riposare col Signore significa anche fare memoria del futuro, cioè rinvigorire la speranza per il domani, ritrovare l’ancoraggio alle nostre paure e incertezze. Ecco la vita del discepolo di Gesù di tutti i tempi: vivere il presente nella costante memoria dei benefici ricevuti ma anche nella memoria rinnovata che la Provvidenza e benevolenza del Padre non ci farà mancare mai nulla, neppure dopo l’incontro con sorella morte. Quando in ogni giornata avremo trovato il tempo per dire grazie e ridestare la nostra speranza nel Signore, potremo veramente dire di aver riposato ‘quanto bastava’.  

venerdì 12 luglio 2024

L’outfit dell’apostolo

 Commento al vangelo della XV domenica del TO, anno B – 14 luglio 2024


Dal Vangelo secondo Marco (6,7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 

Commento

 Forse non sarà un dettaglio: Marco ci racconta che Gesù dette la possibilità ai suoi inviati di partire, oltreché con i sandali, anche con un bastone. Secondo Matteo e Luca, invece, Gesù ordino agli apostoli di non prendere neanche quello. Sarà un dettaglio dicevo, ma la tunica, i sandali e il bastone in mano era l’out-fit – si direbbe adesso – l’abbigliamento degli israeliti durante il banchetto pasquale prima del passaggio del Mar Rosso (cf. Es 12). Sembra molto evocativo: gli apostoli sono chiamati a partire per testimoniare la loro esperienza della novità del Regno di Dio instaurato da Gesù, nello stesso modo, con la stessa precarietà di quegli ebrei in partenza per la terra promessa, in fuga dall’Egitto. 

Anche gli apostoli, anche quelli di oggi e non solo quelli di allora, sono invitati ad un esodo, alla fuori uscita dal mondo vecchio, dall’uomo vecchio verso una nuova umanità, che fiorirà in coloro che accoglieranno il loro annuncio, grazie alla pasqua di Cristo, al suo passaggio tramite la morte, alla gloria definitiva del Padre.

Anche gli apostoli dovranno sopportare incomprensioni, a volte persecuzioni, lunghi momenti di deserto, ma tutti i segni che li accompagneranno  – “scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” - sarà per loro conferma che ormai il passaggio, la Pasqua , è irreversibile. Buon esodo pasquale.


venerdì 5 luglio 2024

Gesù, il profeta della porta accanto

 

 Commento al vangelo della XIV domenica del Tempo Ordinario, anno B – 7 luglio 2024


Dal vangelo di Marco (6,1-6)

 In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.



Commento

 Pavel Florenskij diceva che non c’è nulla di visibile che non sia manifestazione di ciò che è invisibile. Nella persona di Gesù si è resa visibile e presente lo stesso Dio Padre, di per se inaccessibile alla conoscenza degli uomini. Gesù infatti aveva detto: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11,25). Gesù è venuto a farci conoscere il volto di Dio Padre, ma, appunto, cosa ha impedito agli uomini, in particolare ai “suoi compatrioti” di riconoscerlo, tanto da portarlo all’amara constatazione che “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” (6,4)? In prima battuta potremmo dire il peccato, e nello specifico la presunzione di possedere Dio, di averne quasi il monopolio. Ricorderete quello che Gesù disse a quei farisei: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite “noi vediamo”, il vostro peccato rimane” (Gv 9,41).

Proprio così: anche per noi cristiani che crediamo – o quanto meno dovremmo credere! - che Gesù è la piena e definitiva rivelazione di Dio, sempre dovrebbe rimanere aperta la possibilità alle nuove e inedite vie di manifestazione della sua sapienza, della sua santità, della sua provvidenza, anche nei modi – attenzione a questo aspetto – più ordinari e più semplici, e nelle persone più semplici. Papa Francesco ha invitato noi credenti a fare attenzione alla “santità della porta accanto”, alla santità di tutte quelle persone che vivono la loro fede in modo feriale, perseverante, al di fuori di manifestazioni eccezionali e di segni eclatanti. Essere falegname – o carpentiere – doveva sembrare troppo banale e incompatibile con i prodigi compiuti da Gesù; e la sua parentela fatta di persone troppo poco significative. Dunque, da dove gli venivano tutte quelle cose?
In definitiva, l’uomo di oggi, io, voi, non abbiamo bisogno di altre manifestazioni di Dio, ma di saper leggere i segni della sua presenza nei fratelli che ci attraversano la strada. 

Abbiamo bisogno di recuperare uno sguardo purificato dall’amore di Dio per poter vedere l’invisibile nel visibile che incontriamo, e poi ci occorre una grande apertura di cuore e della mente. In una preghiera dei Vespri la liturgia ci fa pregare così: “concedi a chi cerca la verità di trovarla, e di cercarla ancora dopo averla trovata”. Ecco: questa preghiera, è anche un bellissimo augurio. Non illudiamoci mai di aver capito abbastanza della persona del Signore!

mercoledì 26 giugno 2024

Soltanto abbi fede!

 
 

Commento al vangelo della XIII domenica del TO, anno B – 30 giugno 2024


Dal vangelo di Marco (5,21-24. 35b-43)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.


Commento

 “Soltanto abbi fede!”. Questa è la parola di Gesù a quel povero papà che ha da poco appreso la morte di sua figlia. Può la fede essere la soluzione di tutti i problemi, inclusa la morte? Diciamo anzitutto che senza una accorata fiducia nell’amicizia del Signore, tutto può divenire problema e angoscia. Ma di fronte a ciò che supera le nostre forze umane, le nostre possibilità di porre rimedio, cosa può ‘produrre’ la fede nel Signore? Sembra poi che i miracoli raccontati dal vangelo siano confinati in quel breve frangente di storia della vita di Cristo ma che poi non raggiungano l’ordinarietà della nostra vita.
Proprio qui si gioca la vera la guarigione del Signore. Egli non viene per riportare alla vita biologica o per prolungarla di qualche annetto. Troppo poco! Egli è venuto per  aprirci una prospettiva di vita diversa che attraversa anche la soglia invalicabile della morte. Questi miracoli sono sicuramente veri, ma sono segni e caparra di una promessa di vita ben più grande, di vita eterna.
Secondo aspetto. Pensando all’eternità, poi, non dovremmo pensare solo alla vita dopo la morte, alla beatitudine del paradiso, ma alla possibilità, qui e ora, - si badi bene: qui e ora - di sfuggire all’angoscia dei limiti oggettivi della natura. C’è una salvezza ben più grande della fine dell’emorragia per quella donna che ha toccato con fede le vesti di Gesù. C’è una resurrezione più decisiva di quella prodotta per la fanciulla figlia di quel Giairo: la resurrezione della fede.
Per chi crede nessun segno è più necessario: Ma per chi non crede, o meglio ha deciso di non credere, nessun segno è sufficiente. In questo momento che abbiamo appena ascoltato le parole di Gesù è come se Gesù fosse di nuovo in mezzo a noi, come se ognuno di noi lo stesse toccando. Ma il punto è: quanti di noi lo toccano con fede? Quanti di noi sono veramente convinti che lui e solo lui può risvegliare in noi un modo totalmente diverso di vivere ogni cosa?... e questo modo unico è vivere in lui, una relazione fiduciosa e filiale con Dio Padre, grazie alla potente azione dello Spirito Santo.

lunedì 24 giugno 2024

Il granello di senape che placa le tempeste

 

 Commento al vangelo della XII domenica del TO, anno B – 23 giugno 2024


Dal Vangelo di Marco (4,26-31)

 In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».


Commento

 Mentre si alza la tempesta Gesù dorme a poppa della barca, adagiato su un cuscino. La scena è in sé contradditoria, anzi è l’atteggiamento di Gesù ad esserlo; perché secondo uno stile a lui consueto egli conduce i suoi compagni di navigazione a capire che il sonno più grave, e più urgente da risvegliare, è quello della loro fede, non tanto quello del suo corpo. “Non avete ancora fede?”. Una domanda rivolta a tutti noi, che navighiamo in brutte acque, o almeno così siamo convinti. Infatti, chi di noi avrebbe il coraggio di dire che sta attraversando un periodo della sua vita totalmente tranquillo? Anzi la nostra fede troppo spesso è messa in crisi anche da una tempesta in un secchio di acqua.
Eppure la barca è piena di acqua, tutto sembra perduto. Ecco che ritorna fuori il granello di senape di fede di domenica scorsa. A quei discepoli ne sarebbe bastata una quantità simile per non perdere la calma, e per assistere forse ad un intervento ancor più prodigioso della potenza di Dio. Gesù ha parlato della potenza esplosiva e esponenziale del Regno di Dio, e ora nella concretezza esercita la sua regalità sugli elementi della natura, ingiungendo loro di tacere e di calmarsi.
Dobbiamo continuare ad avere fede, sempre. L’ultima parola a decidere la storia sarà sempre la parola del Signore. Giova ricordare anche il rimprovero di San Francesco ai suoi frati nella Ammonizione V: “E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te”. (FF 154).
Le creature, infatti, definite dal santo di Assisi, nostre sorelle, perché figlie del nostro stesso Padre, obbediscono alla sua voce, e ai suoi richiami, ma il Signore si è fatto uomo per mettersi alla ricerca della nostra libera adesione, perché - a partire da quella stessa domanda: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?” – possiamo godere della straordinaria eredità dei figli di Dio, dell’essere coeredi di Cristo se - aggiunge san Paolo -  “…davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.”(Rm 8,17). Concludo dicendo: cerchiamo di non essere troppo frettolosi nel rimproverare al Signore che non sta facendo niente per noi, per i nostri drammi personali, e per calmare le nostre tempeste. Chiediamoci piuttosto se siamo disposti a prenderlo nella ‘barca della nostra vita’ e a continuare a confidare in lui, a tenere sveglia la nostra fiducia, anche quando abbiamo l’impressione – erronea - che lui non stia facendo niente per noi!


giovedì 13 giugno 2024

Un nuovo principio di vita

 

 XI Domenica del Tempo Ordinario, anno B – 16 giugno 2024

 

Dal vangelo di Marco (4,26-34)

 In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Commento

 Ricordo che proprio all’inizio del mio cammino di religioso un anziano confratello mi disse che, quando si inizia un’esperienza simile, “si sa come si inizia e non si sa mai come va a finire”. Prendendo il lato positivo della battuta si può senz’altro dire che il Signore non finirà mai di sorprendere coloro che si decidono sinceramente per lui. Abbracciare il regno di Dio, accogliere la vita secondo il vangelo, così come Gesù la propone, riserva sempre, fino alla fine, degli sviluppi sorprendenti. Non solo sorprendenti, ma anche sorprendentemente belli.
Vivere alla presenza del Signore significa accogliere un principio di vita nuova che si innesta nella propria, e che potrebbe portare a fare la stessa constatazione di San Paolo: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Ciò che succede nel cuore dell’uomo quando accoglie la grazia di Cristo è paragonato allo sviluppo esponenziale di un piccolo granello di senape, Il problema è di accoglierlo, di osare la scommessa – come avrebbe detto Pascal – del fidarsi del Signore, il quale opererà meraviglie straordinarie, pur nell’ordinarietà dell’esperienza vissuta.
Esattamente quello che avvenne alla stessa comunità cristiana: da un piccolo gruppi di discepoli di medio bassa cultura ad una quantità impressionante di uomini che hanno esteso i rami della propria comunione in tutti i 5 continenti della terra. Come potrebbe essere attribuibile alla capacità umana? Come potrebbe reggersi una simile comunità lungo 2 mila anni di storia, considerato anche le testimonianze non sempre cristalline dei suoi membri? No. Evidentemente il regno di Dio ha in sé una forza strepitosa.
Resta da ribadire quello che Gesù dice nella parabola immediatamente precedente a queste due, e che per certi versi è complementare: quella della semina caduta sui diversi tipi di terreno. Ovvio che il Regno di Dio predicato e inaugurato da Gesù ha una forza divina, ma dovrà trovare un’umanità accogliente e disponibile alla scommessa della fede. Non un terreno superficiale, né con scarsa profondità, e neppure infestato dalle soffocanti spine delle preoccupazioni del mondo. Alla fine, si tratterà sempre di un incontro tra il divino e il “si” dell’uomo!