venerdì 24 dicembre 2010

Commento al Vangelo della I Domenica di Natale Anno A: 26 dicembre 2010.

Vietato l'ingresso ai maggiori di … ( cf. Mt 2, 13-23 )

Lo sposo di Maria era un uomo che sognava spesso: stando al Vangelo di Matteo almeno in quattro occasioni: una prima volta un angelo gli "spiega" la gravidanza di Maria ( Mt 1,20), e poi i tre episodi del brano in questione.

Spesso nella Bibbia il sogno non è la sede dell'ir-razionalità, ma piuttosto della sovra-razionalità, un "luogo" in cui Dio si comunica e si lascia intravedere, un "luogo" che è imprendibile dai sensi della ragione , che appunto è al di là del definibile.
E' durante il sonno del primo uomo che Dio modella a partire dalla carne di lui la prima donna; è durante un sogno che Giacobbe intuisce la presenza di Dio nel luogo in cui si trovava. Per venire a fatti più recenti , è durante un sogno che i Magi sono avvertiti di non tornare da Erode a fargli il resoconto di ciò che avevano visto.

Per comprendere certe cose la ragione non basta!  Le cose di Dio , certe ispirazioni che vengono dall'Alto possono essere colte solo con una percezione intima , sintetica , immediata , intuitiva.
Quello che avviene in un sogno in fondo è difficilmente spiegabile: rimane sempre qualcosa dai contorni sfumati, ne resta piuttosto una sensazione, come un sapore, una sorta di "retro gusto".

Giuseppe obbedisce a dei sogni, obbedisce alla voce di Dio che non gli chiede di capire, di cogliere una logica, ma di accogliere il Mistero che si fa strada e che per far questo ha bisogno della sua strada e dei suoi passi.
Giuseppe , uomo umile davanti a Dio e umile laddove la ragione umana vorrebbe de-finire, limitare i contorni di tutto, possedere le spiegazioni di tutto, comprendere le ragioni remote e i fini ultimi.
Giuseppe, uomo dell'abbandono . Abbandonarsi alle sorti e al destino di un bambino e di una " ragazza madre ". Un abbandono che fiorisce nel giardino della fede semplice e umile dei puri di cuore.

Le sorti del Regno del Dio hanno bisogno di una fede come quella di Maria e di Giuseppe, coppia inedita nella storia della Bibbia, coppia "capo-lavoro" della Grazia di Dio e dell'umiltà umana.
Potremmo domandarci all'infinito cosa ne sarebbe stato dei piani di Dio se la libertà di Maria o di Giuseppe avesse detto " NO ! "  
Ma perché chiedersi gli infiniti modi con cui Dio ci avrebbe potuto salvare? La salvezza ha questo volto: l'umiltà di un bambino, scarrozzato a destra e a sinistra, come fosse un pacco, di Natale appunto.
 Mi fa' pensare a tanti bambini di quaggiù in Bénin: sballottati dalle schiene delle loro mamme alla polvere delle loro dimore, e trasportati sulle moto poco meglio di un sacco, in due, tre, a volte anche in quattro.
Il racconto ci presenta Gesù in balia degli eventi, di una storia che sembra trascinarlo qua e là secondo il capriccio di un potente di turno. Ma sarà invece proprio Lui a cambiare la sorte degli eventi. Per capire il modo di operare di Dio bisogna essere piccoli come il piccolo Gesù, bisogna partire dal basso, bisogna accogliere questa storia , la mia , quella di questo frangente. Forse una storia che mi sta schiacciando, che mi fa' sentire naufrago anziché navigante, vagabondo anziché pellegrino, precario anziché confermato, una storia che mi attraversa senza lasciarsi vivere e decifrare.

Qui e adesso nasce il piccolo Gesù: nel momento in cui lo celebriamo come nel giorno in cui nacque a Nazareth. Gesù si fa' piccolo nel mio cuore, si fa' speranza concreta nel mio cuore, e che chiede di essere alimentata , cresciuta, custodita.  Bisogna però essere piccoli come lui, lasciando che l'inevitabile ci sballotti qua e là; e chiudere gli occhi come Giuseppe, lasciandosi prendere per mano dalle nostre più intime e segrete ispirazioni. Tutto può cambiare, ma non per chi troppe volte ha l'abitudine dire " …ormai! ", per quelli che pensano che ci siano sempre e solo strade a senso unico con divieto di inversione.  Anche una vita banale può diventare bella. L'invito di Nazareth è a farsi piccoli , ad accettare quello che siamo e quello che abbiamo perché … chi avrebbe potuto immaginare che la Salvezza di tutto si rendesse presente in una stalla? Generalmente tra la paglia di una stalla si trova altro! In quella di Betlemme per noi c'è Tutto. Per capire il sole sfolgorante di Pasqua e non lasciarsene abbagliare bisogna farsi familiari della piccola luce di Natale. Quella luce sarà troppo forte e imprendibile se non avremo preso dimestichezza con la piccola stella di Nazareth.
Auguri a tutti i " minorenni " del mondo.

Fra Damiano

domenica 19 dicembre 2010

Commento al Vangelo della IV Domenica d'Avvento Anno A: 19 dic. 2010.

La paternità non è questione di sangue, ma di passione.
(cfr. Mt 1, 18-24)

La persona di Giuseppe è intrigante. Il periodo dell'Avvento ce lo presenta a ridosso di Giovanni Battista cosicché l'accostamento ne fa' risaltare ancor più certi tratti.
Giovanni mangiava cavallette e vestiva di peli di cammello errando in una zona desertica della Giudea. Giuseppe viveva in un piccolo villaggio della Galilea e si stava tranquillamente preparando alle nozze.
Il Battista era "voce di uno che grida nel deserto". Lo sposo di Maria  non dice una parola in tutto il Vangelo.
 Giovanni denunciava: "razza di vipere, chi vi ha suggerito di sfuggire all'ira imminente?". Giuseppe sembra essere di una docilità infinita. Obbedisce in silenzio .

Personalmente, ho intuito più da vicino la grandezza di Giuseppe proprio all'inizio della mia presenza qui in Bénin, due anni fa'. Saluti, abbracci e baci prima di partire dall'Italia e poi, dopo soli due mesi, di nuovo in Italia per accompagnare un bambino di una nostra casa di accoglienza di Cotonou a fare due operazioni ai due occhi. Complessivamente un mese di ospedale, dormendo nella stessa camera, vivendo con lui ogni momento compresa la sala operatoria, a volte essendo obbligato anche a rinunciare alla celebrazione della S. Messa. Un bambino conosciuto la mattina stessa del volo d'aereo per l'Italia. Disponibilità totale per una creatura … che non ti appartiene. Eppure poi ti accorgi che lo stai generando nel cuore, nell'affetto , che ti sta diventando figlio: perché? Per il semplice fatto che gli vuoi bene e chi gli stai consegnando tutto, e che per lui stai rinunciando a tutto: alla tua Missione, alle tue abitudini di vita da convento, anche al più santo desiderio di celebrare Messa. Ho capito più che mai che la Santità di Giuseppe è di un'altezza siderale, irraggiungibile.

La santità di Giuseppe è lo svuotamento totale da ogni progetto umanamente lecito per accogliere la pienezza del piano divino. La sua vita è il "vuoto-assenza di ostacoli" a ciò che in Maria  sua sposa è pienezza … di Grazia, presenza di Colui che è generato dallo Spirito.

Giuseppe ha preso in custodia un Figlio che non "veniva" da lui.
 Ha preso in sposa una donna rimanendo celibe. Ha portato i pesi della vita familiare senza assaporarne le gioie umane. Per questo la beatitudine del Santo Giuseppe viene tutta dall'Alto, dal sapere amare nello Spirito e secondo lo Spirito.

Solo una vita nello Spirito ci può liberare dall'ansia di realizzare, di fare, di far parlare, di incidere; chi ama nello Spirito non si attacca a nulla . Chi ama nello Spirito ha i piedi per terra ma il cuore già in Paradiso.

sabato 11 dicembre 2010

Commento al Vangelo della III Domenica d'Avvento Anno A: 12 dic. 2010.

Anche in Bénin è arrivato il Messia (cfr Mt 11, 2-11)

Di male in peggio! Giovanni Battista passa dal deserto alla prigione. Dall'esilio volontario da questo mondo che ha già la scure alla radice, all'esilio forzato , voluto da chi cerca di mettere il bavaglio alla sua voce che grida nel deserto, che grida la Parola di verità. La verità scomoda , come sempre, gridata da chi aveva tanti peli (di cammello) nel suo vestito , ma evidentemente non li aveva affatto sulla lingua.

Chi viene dalla Verità è anche capace di riconoscere la verità. Giovanni è sicuro della sincerità e dell'autorità di Gesù. Se avesse dubitato non avrebbe mandato degli emissari proprio a Gesù per sapere se era Lui il Messia. Giovanni sa che la parola di Gesù è parola di verità.

Gesù rimanda alle scritture. Ognuno deve vedere in Gesù il compimento delle attese dell'AT , in questo caso delle profezie di Isaia ( cfr la prima lettura di oggi, Is 35,5-6: …Siate forti, non temete, ecco il vostro Dio…si schiuderanno gli occhi dei ciechi, si apriranno le orecchie dei sordi, lo zoppo salterà come un cervo, e la lingua del muto griderà la sua gioia").
Non basta riconoscere in Gesù un uomo mandato da Dio, ma ognuno deve vedere il Lui esattamente il Liberatore che Dio aveva promesso a Israele , e credere così che Dio mantiene parola. Lui è fedele per tutte le generazioni.

I segni della sua fedeltà sono presenti anche qui in Bénin, terra d'Africa così lontana nello spazio e nel tempo dalla Palestina di Gesù.
Nel nome di Gesù tanti malati sono guariti, tante sofferenze alleviate. Ieri , il maestro della scuola elementare del nostro villaggio di Ouessé mi diceva dei rari casi di mortalità infantile , grazie proprio alla presenza del vicino dispensario tenuto dai padri Camilliani.
Nel nord del Bénin pregiudizi tribali condannano a morte alcuni bambini ritenuti stregoni perché nati con parto podalico o con contestuale morte della mamma . Dove ci sono famiglie cristiane questi bambini vengono salvati e accolti e cresciuti. Non sono anche questi " morti " che risuscitano?

A tutti, anche qui in Bénin, è annunciata la Buona Notizia che Dio perdona, libera dalla morte e ci accompagna alla gioia eterna e senza limiti del Paradiso laddove, qui come altrove, si vive spesso sotto il giogo della paura di qualche spirito malefico o dello spirito vendicativo di qualche defunto.
Si , il Messia è arrivato anche qui in Bénin ! Dio sia benedetto! Ditelo a tutti. E questo è solo l'inizio.

sabato 4 dicembre 2010

Commento al Vangelo della II Domenica d'Avvento Anno A: 5 dic. 2010.

GIOVANNI IL BATTEZZATORE:
A CHI AVRA' FATTO I SUOI PISTOLOTTI , IN MEZZO AL DESERTO?

cfr. Mt 3,1-12

Si dice che San Francesco d'Assisi una volta avesse anche predicato a degli uccelli. Ma nel deserto a chi avrà predicato Giovanni, figlio di Zebedeo, detto il Battezzatore? Lui , lo avrà trovato almeno qualche passeretto a cui rivolgere i suoi sermoncini?
Ammettiamo pure che la regione montagnosa della Giudea dove si recò il Battista non fosse proprio così desolata come ce la descrive la nota della Bibbia di Gerusalemme; ammettiamo pure che ci sarà stato qualche pastore nomade, o qualche viandante. Il punto è: uno che deve lanciare un grido di allarme perché "il Regno dei Cieli è vicino" perché "la scure è già alla radice degli alberi", perché non va a gridarlo nel bel mezzo della città, in mezzo alle folle? Detto altrimenti : gli sta a cuore o no il pentimento e la conversione dei suoi fratelli , oppure si preoccupa solo di salvare se stesso?

Un esempio analogo ce l'abbiamo qui in Bénin dove una comunità di suore ( di clausura ) Clarisse Cappuccine provenienti da Mercatello sul Metauro ( PU ), è venuta ad annunciare il Vangelo con la propria vita. Vivono in mezzo alla boscaglia beninese! A chi annunciano? A chi può parlare la loro vita?

Giovanni predica il pentimento e chiede di fare frutti degni di tale pentimento. Andando nel deserto, rivestito solo di un panno e di peli di cammello e nutrendosi solo di miele selvatico e cavallette, lui è il primo a vivere ciò che annuncia. Lui è il primo a non accontentarsi di essere figlio di Abramo e a produrre segni concreti di un cuore nuovo.
Giovanni va nel deserto perché ha talmente urgenza di preparare nei cuori degli uomini la strada al Messia che lui stesso inizia in sé un'opera radicale di spogliamento , di mortificazione e di una totale messa a disposizione della propria vita.
E' sempre così: la prima e più efficace predica è quella della vita. Quel battesimo di fuoco operato dal Messia e al quale Giovanni ci vuole preparare , Lui, lo ha già anticipato nella passione del suo cuore. Lui il fuoco ce l'ha già dentro e per non estinguerlo cerca di tenersi lontano dai richiami del mondo , dalle comodità della città , dalle lusinghe di una religiosità accomodata che non ti domanda troppo ( … e chi non ti potrà mai dare nulla ).
E' il profumo di qualcosa di vero e autentico che attira i cuori; "…e allora andavano da lui Gerusalemme, tutta la Giudea, e tutta le regione del Giordano, … confessando i loro peccati " ( Mt 3,5 ).

Quante volte avremo sentito dirci che la penitenza più importante è quella del cuore e che non contano le penitenze in quanto tali ma la conversione profonda del cuore? Tutto vero. Si pone un problema: se non poniamo in essere segni concreti di cambiamento, di una qualche rinuncia a noi stessi, al nostro mondo, al nostro quietismo, come non dubitare addirittura della nostra reale volontà di cambiare direzione, di dare una svolta alla nostra vita?
A tutti noi il dovere di una risposta.

domenica 28 novembre 2010

Commento al Vangelo della I Domenica d'Avvento Anno A: 28 nov. 2010.

Il Papa da' appuntamenti, il Figlio dell'uomo no!
Mt 24, 37-44
" Comme les jours de Noé, ainsi sera l'avènement du Fils de l'homme. En ces jours qui précédèrent le déluge, on mangeait et on buvait, on prenait femme et mari, jusqu'au jour où Noé entra dans l'arche, et les gens ne se doutèrent de rien jusqu'à l'arrivée du déluge, qui les emporta tous. Tel sera aussi l'avènement du Fils de l'homme.
 Alors deux hommes seront aux champs : l'un est pris, l'autre laissé ; deux femmes en train de moudre ; l'une est prise, l'autre laissée. " Veillez donc, parce que vous ne savez pas quel jour va venir votre Maître.
 Comprenez-le bien : si le maître de maison avait su à quelle heure de la nuit le voleur devait venir, il aurait veillé et n'aurait pas permis qu'on perçât le mur de sa demeure. Ainsi donc, vous aussi, tenez-vous prêts, car c'est à l'heure que vous ne pensez pas que le Fils de l'homme va venir.


E' di ieri la notizia confermata dalla sala stampa vaticana che il prossimo anno ( 18-20 novembre 2011) Papa Benedetto XVI verrà qui in Bénin.
Gesù nel Vangelo odierno ci da' un appuntamento diverso , meglio dire un "non appuntamento": Ci dice : " a l'ora che non pensate il Figlio dell'uomo verrà". Quindi non vale la pena perdere troppo tempo a tirare a indovinare.
Il Figlio dell'uomo è Gesù stesso nella veste di giudice ( misericordioso ). Non ce lo dice per farci paura ma per prepararci a quello che necessariamente dovrà avvenire quando , secondo la profezia di Daniele, uno simile a  Figlio dell'uomo ( cfr Dan 7 ) comparirà sulle nubi e gli verranno affidati potere , regno e gloria.
Gesù non ci abbandona mai, Egli è sempre con noi così come ci ha promesso: " Io sono con voi fino alla fine del mondo" ( Mt 28,20) . Non ci inganni il fatto che Gesù parli della venuta ( o se preferite dell'Avvento ) del Figlio dell'uomo, alludendo a Lui stesso, come se ci fosse una partenza e poi un ritorno. Ci vuole semplicemente dire che da dopo l'Ascensione Egli continua a camminare con noi , ad essere presente con il suo Spirito e che solo alla fine di questa nostra storia tornerà ad essere visibile a tutti  come alla prima venuta.
Questa volta però il suo rendersi visibile non  sarà più nell'umiltà di una condizione umana sofferente e oltraggiata come due mila anni fa', ma nella luce splendente, gloriosa della sua divinità … per giudicare i vivi e i morti e per ricapitolare tutta la storia nelle sue mani ( misericordiose ).
Possiamo usare un'immagine per renderci più consapevoli della realtà delle due venute di Cristo.
Fino all'incarnazione di Cristo potremmo dire che la storia ha seguito una linea orizzontale, una fase di sviluppo , di progressione in avanti verso il punto culminante del suo corso, la venuta del Messia appunto. In questa prima venuta, Cristo ha compiuto tutta l'Opera della nostra redenzione, in modo perfetto, totale ma inaugurale: infatti noi uomini siamo si salvi, ma al momento nella speranza ( cfr. Rm 8 ).
 Da questo momento in poi la storia continua il suo corso , ma questa volta verso l'Alto. Se prima era la fase dello sviluppo, ora siamo nella fase della ricapitolazione. Stiamo vivendo la ricapitolazione finale e ognuno di noi ha la possibilità di accogliere in lui l'opera della redenzione operata dal Cristo: opera in sé completa, come già detto, ma che deve essere completata ( nel senso che deve essere accolta ) da ciascuno di noi  nella propria carne ( cfr Col 1,24) tramite una vita di concreta sequela dei passi di Cristo. Se necessario fino alla croce.
          

sabato 20 novembre 2010

Commento al Vangelo della XXXIV Domenica Tempo Ordinario Anno C. 21 nov. 2010. Solennità di Cristo Re

 Si chiama croce , ma si legge Amore

Cfr. Lc 24, 35 - 43

Alla fine di un ritiro di tre giorni che ho predicato a dei giovani, incamminati verso la consacrazione religiosa, della Diocesi di Cotonou , un giovane ha confidato: " il tuo Ordine religioso ( cioè i francescani ) non mi piace. San Francesco, il fondatore, ha ricevuto le stimmate, Santa Veronica Giuliani ha ricevuto le stimmate, Padre Pio ha ricevuto le stimmate…insomma da voi si soffre troppo! Non è roba per me.

Effettivamente vivere la croce, cioè la sofferenza, non piace a nessuno. Vorrei però aggiungere che la sofferenza in se stessa non è MAI piaciuta a nessun cristiano, neppure ai suddetti santi, neppure ai martiri che, sebbene si facevano uccidere, lo facevano per non rinunciare a testimoniare Cristo risorto figlio di Dio. La sparo ancora più grossa: la croce fine a se stessa , non l'ha ricercata nemmeno Gesù di Nazareth. Ripeto: nemmeno Gesù di Nazareth ha voluto la croce per se stessa.
"Padre, se è tua volontà, allontana da me questo calice! Tuttavia non la mia ma la tua volontà sia fatta" ( Lc 22, 42 ). La croce è stata per Gesù un passaggio obbligato per fare la volontà del Padre, e quindi per amare gli uomini fino in fondo. Non solo , come dice il ladrone pentito, "...Lui non ha fatto nulla di male", ma al contrario ha voluto così bene che ha suscitato l'odio e l'invidia .

Gesù è re nel Regno d'amore che il Padre gli ha affidato non perché ha voluto soffrire o perché se l'è andata a cercare, ma perché ha amato fino in fondo, fino a dare la vita. Nessun uomo ha mai amato come e quanto Lui: Ecco perché è Re dell'universo. Perché questo universo è stato creato per il Bene e nonostante gli spettacolari colpi di coda del male, da Adamo fino a oggi, l'Amore vincerà.

Chi vuol seguire un simile Maestro non può estraniarsi da questo stesso atteggiamento: dare la vita, offrire la propria esistenza per amore di Dio Padre  e del prossimo . " Se qualcuno vuol venire dietro a me , che rinneghi se stesso, prenda la sua croce , e mi segua " ( Mt 16,24 ).
Il fine di tutto non è la croce in se stessa, ma l'imitazione di Gesù nel suo itinerario di amore.
Noi cristiani non amiamo la sofferenza, ma amiamo fino a soffrire. Ecco il punto! Per noi la parola amare dovrebbe essere una cosa seria. Diceva una canzone di Fossati: " la costruzione di un amore  spezza le vene delle mani e mescola il sangue col sudore! "

Siamo noi cristiani il vero partito dell'Amore! Gente poco compresa , così tanto difficile da comprendere che a volte perfino noi non sembriamo capaci di capire e vivere la bellezza e la gioia vertiginosa di questa esperienza , magari restando  a mezza strada. Si rinuncia a parole alla logica del mondo ma poi si lega il cuore al primo luccichio… e si rinuncia a volare Alto; oppure, peggio ancora, al primo problema un po' serio si sospetta il castigo divino!

lunedì 15 novembre 2010

Commento al Vangelo della XXXIII Domenica Tempo Ordinario Anno C.

PERCHE' NON POSSO ANDARE DA UN MARABOU?

 Cfr . Lc. 21, 8-19

Il Marabou è una sorta di indovino al quale si può ricorrere o per conoscere il futuro o per sapere cosa è meglio fare in certe situazioni.
Una giovane di Cotonou ieri mi ha appunto posto la questione: "perché in quanto cristiana non posso consultare l'oroscopo
o magari andare dal Marabou per conoscere il futuro? Come faccio a sapere se il mio fidanzato è la persona giusta da sposare?
O come faccio a scegliere il lavoro che si rivelerà giusto per me?"

Possono essere queste inquietudini molto serie, che nascono da un animo che in buona fede cerca il Bene e la volontà di Dio.

La risposta è legata a una parola e ad un concetto assai importanti per la nostra spiritualità cristiana: RESPONSABILITA'.

Il Signore ci interpella, mette in guardia , offre dei segni premonitori, ma in tutto questo non ci esonera dallo scrutare
i segni dei tempi e dall'impegno del discernimento. Sta' a noi scegliere di vivere in costante comunione con il Signore:
 guardare la realtà, interpretarla, capire, decidere e agire.
Gesù poteva benissimo essere molto più preciso per indicarci la fine della storia , avrebbe potuto darci un appuntamento
così come si fà tra i fidanzati. Avrebbe potuto dirci ora e giorno degli sconvolgimenti finali precedenti la fine del mondo
così da poterci preparare bene bene.
Perché invece è rimasto sul "vago"?

Il Signore non vuole togliere nulla alla nostra responsabilità. Lui è il protagonista della nostra storia, Lui ci ha creati, ri-creati
nell'opera di redenzione, Lui interviene ogni istante della nostra vita con la sua Grazia. Tuttavia noi siamo co-protagonisti e ci spetta
il dovere di una risposta puntuale, libera, momento per momento.

Guerre e disordini si sono sempre verificati nella storia dell'uomo; terremoti, epidemie di peste, fame, carestie, cataclismi e cose simili
hanno da sempre accompagnato la storia del mondo e dell'umanità. Fin da subito i discepoli di Cristo sono stati a più riprese perseguitati e
osteggiati.
In tutto ciò l'uomo non deve sforzarsi di tirare a indovinare date e ora del ritorno glorioso del
suo Maestro; l'uomo in ogni momento della sua vita deve rispondere alla Grazia che lo interpella.
Ogni momento della nostra storia è ferito dalla fragilità della natura umana e della creazione, e allora in ogni evento di sofferenza
e di lutto il credente intuisce la temporaneità di ciò che lo circonda e si dovrebbe sentire interpellato a rinsaldare i legami di
amicizia con il suo Creatore e Salvatore e capire che solo Lui al di là di tutto e dopo tutto, resterà in eterno.

Solo questa relazione d'amicizia permanente ci dà veramente gioia e riempie la vita, e non l'aspettare passivamente la fine del mondo.
La ricerca continua della volontà di Dio ci rende veramente adulti, persone robuste che affrontano la vita a testa alta e senza paura,
solidali con il fratello accanto.
Solo questa fiducia perseverante e a tutto campo riempie il cuore e ci farà attraversare indenni qualsiasi sconvolgimento, sia esso cosmico
sia esso personale. E se poi dovesse anche arrivare la fine del mondo ... che problema c'è?
"E' con la perseveranza che salverete le vostre vite!"

venerdì 5 novembre 2010

XIX Convegno Missionario frati minori Cappuccini delle Marche – Loreto - 5 settembre 2010
NELLA CASA DI MARIA… IL SI ALLA MISSIONE.

Un vecchio slogan pubblicitario diceva “ dove c’è Barilla c’è casa”.
Si potrebbe dire a più forte ragione: dove c’è Maria c’è casa.  La casa è sinonimo di intimità, di familiarità, in sintesi di accoglienza. Maria è la femminilità compiutamente realizzata, perché in lei si compie un evento di accoglienza senza eguali nella storia dell’umanità: una creatura che accoglie il Creatore. Più che della casa di Maria dovremmo parlare di Maria come Casa … del nostro Salvatore, di Gesù, di Dio stesso.

Maria donna missionaria perché donna accogliente, e quindi donna pienamente realizzata.
Quello che nessun teologo è mai riuscito a fare , comprendere il Mistero di Dio, Lei lo ha realizzato nella piccolezza della sua vita. L’infinitamente piccolo ha potuto accogliere e contenere l’infinitamente Grande.

Maria ci aiuta a capire, mi ha aiutato a capire, che non si può sempre comprendere tutto, ma a che a volte bisogna abbandonarsi e mettersi in cammino. Anche Abramo partì senza capire dove. A lui il Signore disse : “ Va’ nel paese che io ti indicherò “. Le realtà di Dio meglio si capiscono vivendole.

Accogliere la proposta di Dio è sempre un mettersi a disposizione delle impossibili possibilità di Dio. La missione di Maria è iniziata dal gesto coraggioso di credere che ciò che è impossibile all’uomo è possibile Dio.

La mia esperienza missionaria è iniziata in salita: la malaria dopo appena un mese, l’invito pressante, dopo solo due mesi, a rientrare  in Italia per accompagnare un nostro orfano che doveva operarsi agli occhi. Non ho capito subito, ma poi il Signore guida la storia , anche attraverso e all’interno delle leggerezze umane. S. Camillo De Lellis diceva che tutto quello che comincia con la croce appartiene a Dio.
Posso così dire che la mia esperienza missionaria ha avuto il sigillo del Signore, la sua firma, il suo timbro di approvazione. Quando si vuol far sul serio col Signore, poi il Signore fa’ sul serio con noi.

La casa è poi il luogo in cui si custodiscono relazioni  e sentimenti, in cui si dona una testimonianza quotidiana.
Anche in questo senso si può dire che Maria è stata lei stessa “Casa”, casa  del Mistero.
Nella vita feriale dei trent’anni che hanno preceduto la vita pubblica di Gesù, Maria ha custodito. Il Vangelo ci dice che Maria “ meditava queste cose nel suo cuore”. Maria meditava e viveva, viveva e meditava. Meglio si potrebbe dire: viveva meditando e meditava vivendo.
Lei è vera donna missionaria perché sempre ha custodito un’intima relazione con il Mittente: non puo’ esserci missione senza un mittente, senza Colui che invia. Il documento di Paolo VI “Evangelii nuntiandi” dice al n. 41 “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri …  o se ascolta i maestri lo fa  perché sono dei testimoni”. Questo Paolo VI lo diceva nel 1975 ma quanto questa affermazione è ancora attuale e vera!
Il cuore della missione è vivere un’esperienza di fede “tra” gli uomini: non si può annunciare senza condividere la vita, senza un’ ordinaria e quotidiana testimonianza di ciò e di Colui in cui si crede.
Maria ha ricevuto nella semplicità di tutti i giorni il messaggio e la vita del Figlio Gesù, e nella stessa semplicità di una casa ha donato la sua testimonianza a quel Figlio adottivo , l’apostolo Giovanni, che Gesù le ha affidato dalla croce.

Se devo dire cosa mi colpì della mia esperienza missionaria fatta nove anni fa’ in Benin ben prima di decidere di andarci per “sempre”, fu proprio la testimonianza semplice e calda dei miei confratelli lì presenti ormai da 15 anni ( ormai gli anni sono 23 ). Non vidi cose straordinarie, ma vidi dei frati sereni, che pur nella diversità dei modi di vivere la missione, si accoglievano e si custodivano. 

Dove è la nostra casa? Vale la pena chiederselo. Dove è il nostro punto di riferimento affettivo, il luogo in cui ci sentiamo appunto “ a casa nostra “.

L’esperienza missionaria mi ha obbligato a traslocare.
So che il mio passato e i miei amici di una vita non potranno essere presenti allo stesso modo di prima, ora che vivo a sei mila km di distanza. So allo stesso tempo che non potrò mai trovarvi a casa mia in senso pieno in una terra e in un contesto così diverso da quello in cui sono nato e cresciuto.
Tutto ciò mi ha portato a riflettere che la mia vera casa è il Paradiso. Solo là mi troverò a casa mia. Solo là mi troverò per sempre con le persone più care. Solo la’ vedrò saziata una sete di giustizia che grida nella vita di tantissimi poveri di quelle terre lontane.


Fra Damiano Angelucci da Fano ( O. F. M. Capp. )

giovedì 30 settembre 2010

Route de l'Evangile 2010

La route de l’Évangile: un’esperienza di itineranza e povertà tra fratelli poveri, Togo 16 - 31 agosto 2010

Vivere come fratelli poveri tra i poveri, cercare di indossare la camicia del povero anziché donare la camicia al povero, vivere in presa diretta per 15 giorni l’itineranza dei discepoli di Gesù o se si preferisce dei compagni di San Francesco . Tutto questo potrebbe essere una sintesi , seppur incompleta, della “route de l’Évangile”: marcia-pellegrinaggio destinata a tutti i giovani tra i 18 e i 30 anni che dal 1994 si svolge ormai tutti gli anni nell’ultima quindicina di agosto in Togo o in Bénin, per iniziativa dei frati minori di questa stessa regione.

Ogni giorno un cammino di 14-15 km guidato e intervallato da catechesi e da momenti di preghiera-silenzio e poi all’arrivo la condivisione, la messa in comune di ciò che si è capito, sentito, sperimentato, vissuto. Giorno dopo giorno e km dopo km le barriere tra i ragazzi si abbassano, anche i più introversi non possono fare a meno di condividere qualcosa della loro vita con i loro compagni di viaggio, o con i frati e le suore che accompagnano il pellegrinaggio, anch’essi marciando.

Si cerca di vivere una forte esperienza di fraternità intorno al Vangelo e forse il fatto di spostarsi ogni giorno è proprio lo strumento per centrare l’attenzione su ciò che invece si porta sempre con sé: la presenza del Signore e i fratelli. Tanti villaggi ci hanno accolto e domandato il senso di quello che stavamo facendo e tante comunità parrocchiali ci hanno aperto le porte delle loro chiese per celebrare insieme la Cena del Signore; ovunque abbiamo trovato un pavimento per stendere le nostre stuoie in attesa dell’alba del giorno successivo, per poi ripartire.

Anche in Africa i giovani sono ormai vittime delle tante cose che accorciano le distanze del mondo ma che a volte allontanano da chi passa accanto, e per questo a loro è stato chiesto di lasciare al convento da dove siamo partiti telefonini, lettori MP3 o altri lettori digitali.
Non ci è mancato nulla. Tutto quello che era assolutamente necessario lo si portava dentro il proprio zaino, e così ti  rendevi conto che il tuo “ di più “ è qualcosa che apparentemente non pesa ma che accorcia ogni passo, che tante piccole cose inutili fanno il peso di un sasso , di un fardello di cui ti sei caricato per le tue esigenze di comodità. Anche questo era segno di come nella vita niente è neutro: ogni cosa che viviamo o serve il Bene oppure ce ne allontana, già solo rallentandocene il raggiungimento, e quindi ci avvicina al male.

Nel mezzo di tutto ciò due pause importanti: la prima una giornata di evangelizzazione “porta a porta”. A gruppi di due o tre siamo andati a cercare la gente nelle loro case, nelle loro capanne, nelle loro botteghe, cercando di spiegare cosa stavamo facendo, augurando a tutti la pace del Signore e chiedendo qualcosa da mangiare, visto che quel giorno il pranzo dovevamo andarlo a elemosinare.
Mi sono domandato che senso avesse che io occidentale ( sebbene frate ) andassi a chiedere da mangiare ad altri che hanno senz’altro meno di me. Eppure ho ri-compreso che anche il Figlio di Dio era ricco ma si è fatto povero per venire povero tra i poveri per farci ricchi di Lui, dissetarci con la sua Grazia. Anche Gesù al pozzo di Giacobbe chiese da bere ma in realtà voleva Lui stesso dare un’acqua nuova per la vita eterna.
E ti stupisci della verità delle parole di Gesù ai discepoli: “…non prendete niente per il viaggio “ ( cfr. Lc 10 ).
Anche in questo caso non ci è mancato niente, le porte si sono aperte, le mense si sono imbandite e  i cuori si sono dischiusi.
Commovente la testimonianza di un giovane riguardo questa giornata: “ fino a adesso raccontavo le esperienze che altri avevano fatto ; da oggi in poi posso raccontare un’esperienza del Signore che io in prima persona ho vissuto”.
E mi chiedo: “Chissà se tutte le conquiste del mondo occidentale, le nostre sicurezze in termini di sanità, previdenza, pubblica sicurezza non ci hanno disabituato a ancorare la nostra sicurezza nel Signore, Dio del Cielo e della terra?”

Una seconda pausa: la giornata di deserto.
La notte a turno abbiamo adorato Gesù Eucaristia e il giorno successivo silenzio totale: per pregare, per ripensare, per “guardare, guardarsi e lasciarsi guardare” , per riposare .. e  per ripartire.
No , il silenzio non è scontato nemmeno per i giovani africani. Il silenzio è faticoso anche per loro.
La gioia così facilmente esternata nei momenti di festa e di celebrazione sia civile che religiosa, fatica a diventare esperienza intima e profonda. L’angoscia, le tante paure, il dolore sono fardello comune a tutti gli uomini di questo mondo.

Anche un’esperienza come questa può insegnare molto ai giovani: che occorre fare il sacrificio di lasciare fuori tante cosa pesanti per camminare verso l’essenziale. Mai da soli ma con i fratelli.

Fra Damiano Angelucci
  

mercoledì 29 settembre 2010

Questo è il mio spazio di condivisione con chi si interessa alla vita di un missionario.
fra Damiano