lunedì 29 settembre 2014

Commento al Vangelo della XXVII Domenica del TO anno A. 5 ottobre 2014



I NEMICI DELLA CROCE
(  Mt 21,33-45 )


TESTO

Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?
 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.


COMMENTO

Ancora una parabola disegnata sullo sfondo di una vigna, realtà fortemente radicata nella vita sociale della Palestina. Si tratta questa volta di alcuni affittuari talmente disonesti e delinquenti da arrivare ad uccidere il figlio del padrone. Elemento a dir poco strano è che il padrone decida di  inviare a regolare una questione così pericolosa e con degli uomini così assassini addirittura il proprio figlio. Proprio su questo Gesù vuol far riflettere: Dio Padre adotta un comportamento fuori da una logica di ordinario buon senso, non ha paura di mandare suo figlio, non risparmia la cosa più preziosa che ha, osa giocare il tutto per tutto, spera fino all’ultimo nel ravvedimento degli israeliti, destinatari della sua Alleanza.

Tanti i modi per uccidere il Figlio del Padrone della vigna-Regno di Dio e per appropriarsi del potere di quest’ultimo.
Nella storia del pensiero occidentale qualcuno ha iniziato ad affermare che Dio è un’affermazione della nostra mente, che tutta la realtà e quindi anche Dio non esistono in se stessi ma esistono solo se c’è qualcuno come l’uomo che li pensa; per poi arrivare a decretare, come qualcuno ha fatto, che “Dio è morto”. Purtroppo viviamo in un contesto dove veramente Dio sembra proprio scomparso.

Diversamente molti non osano mettere in dubbio l’esistenza di Dio, tutt’altro, ma il problema è che lo si stiracchia, lo si adatta, lo si adegua a mille esigenze: conoscere il futuro, proteggersi dal malocchio, conquistare l’amore di qualcuno, ottenere guarigioni, facilitare il proprio successo economico e così via. Ci si vuole appropriare della potenza di Dio, della sua “vigna” eliminando il Figlio e lo scandalo della croce, proprio come i vignaioli omicidi. 

L’uccisione del Figlio avviene attraverso la negazione del Cristo, e del Cristo obbediente fino alla morte di croce. La sofferenza deve scomparire a tutti i costi; la sofferenza non è più luogo di incontro con il mistero della redenzione e occasione di co-redenzione,  ma solamente una maledizione o peggio una condanna.


Su ogni tentativo di estromissione del piano del Signore regna la croce di Cristo. Ciò avviene negli umili credenti e nei piccoli di ogni tempo e cultura, in coloro che sanno trasmettere l’ardente passione di Cristo per l’umanità,  che sanno farsi carico delle proprie e altrui avversità con la stessa sua tenerezza e abbandono nell’amore del Padre.

Un giorno, in Africa, dopo la celebrazione di una Messa domenicale, una signora con un sorriso e un volto solare mi ha chiesto di pregare per lei. Da 14 anni suo marito era paralizzato in casa , e da 14 anni lei continuava a restargli accanto per assisterlo. Ecco i nuovi vignaioli che nel silenzio stanno facendo fruttificare la Vigna e che saranno sasso di inciampo per i mille adùlteri della leggerezza, della banalità e del nulla.

martedì 23 settembre 2014

Commento al Vangelo della XXVI Dom del TO anno A; 28 settembre 2014.



NON TUTTI I PUBBLICANI E LE PROSTITUTE SONO UGUALI
( Mt 21, 28-32 )



TESTO

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.


COMMENTO

Un discorso , quello di Gesù appena ascoltato, corto ma tagliente. 
Non tutti i modi di prostituirsi sono uguali: c’è quello palese di chi ha riconosciuto il suo vuoto totale, il fatto cioè di essersi venduti totalmente, corpo e anima, al Dio denaro. I pubblicani, che erano gli esattori delle tasse per conto dei romani e che vi rubavano abbondantemente comprendono la via della giustizia predicata da Giovanni Battista, quella giustizia che dista mille miglia dal loro atto di prostituzione al dio denaro. 
Anche molte prostitute hanno riconosciuto che la loro vita era tutta fuorviata e malata, e hanno avuto l’umiltà di ammettere l’evidenza.
Ma c’è anche un altro modo di vendersi, molto peggiore, molto più subdolo: quello di chi mentendo a sé stesso, cioè alla propria coscienza, si cela dietro un’apparenza di falsa religiosità. 

Gesù sta parlando ai sommi sacerdoti e agli anziani, cioè ai leaders religiosi del tempo e parole non meno dure avrà anche per i farisei da cui provenivano molti di questi.
“Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze,  avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti;  essi che divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere per mettersi in mostra. Costoro riceveranno una maggior condanna». ( Mc 12,38-40 )

Questi uomini falsi religiosi, amavano la gloria degli uomini più che quella di Dio, e siccome il loro ruolo religioso dava loro autorità, erano più interessati al potere ( e al denaro ) che alla causa a cui doveva servire quella autorità. E’ la prostituzione della coscienza: incredibile ma è così. Sembrerà una contraddizione ma nessun pretesto come quello religioso rende così facile offendere gravemente la volontà di Dio e arrecare assurde violenze agli uomini. 

Guardiamoci intorno e guardiamoci dietro senza spostarci dall’ambito della nostra società: in tempi recenti la religione è servita per ottenere potere politico, ingannando la buona fede della gente. 

Nei tempi attuali, l’appartenenza a gruppi o a associazioni religiose serve spesso per acquisire posizioni dominanti in ambito economico, o per affermare semplicemente la propria mania di ‘liderismo’, avendo un alibi da usare per non coinvolgersi nelle necessità più vere della chiesa. 
Ognuno trovi la propria collocazione e agisca di conseguenza ! 

martedì 16 settembre 2014

XXV Domenica del Tempo Ordinario anno A; 21 settembre 2014



Padrone assoluto
(Cf Mt 20, 1-16)


TESTO

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».


COMMENTO

Incredibile a dirsi e ad ammettersi: nella parabola di Gesù gli operai impiegati dalle prime luci dell’alba ricevono la stessa paga di quelli assunti alle cinque del pomeriggio e che quindi faranno appena in tempo a versare poche gocce di sudore. 

Due cose tuttavia sfuggono agli operai dell’alba nella stranezza, voluta, di questo racconto: la prima è che la generosità del loro datore di lavoro non toglie niente alla loro paga, che corrisponde a quanto era stato pattuito. La seconda è che il padrone della vigna è appunto il padrone assoluto e non deve chiedere il permesso di ciò che fa.
Il ragionamento degli operai dell’alba è il ragionamento dell’uomo del mondo che dista dal pensare di Dio come la terra dal cielo (ci dice Isaia nella prima lettura). 
Nella ristrettezza delle cose umane è ragionevole temere che l’abbondanza data all'altro tolga qualcosa a me; avrei tutto il diritto di lamentarmi se il mio datore di lavoro largheggiasse troppo con i miei colleghi, perché nel lungo termine questa eccessiva generosità impoverirà l’azienda e potrà compromettere i miei futuri stipendi. 

Inoltre l’azienda del mio padrone, benché giuridicamente resti del mio padrone, è anche mia in quanto io vi lavoro e il suo prosperare e produrre reddito dipende anche da me. Il comportamento di questo padrone insomma, non solo è anti-sindacale ma è anche palesemente anti-economico. 
Nelle dinamiche umane di questo mondo, non a caso viene definito “economico” qualsiasi bene che in natura è scarso. 
Ma nella grandezza delle cose di Dio alla Grazia non esiste limite né restrizione: la sovrabbondanza elargita al fratello non toglie niente a me. Se il mio fratello è stato ricolmato di doni dall'alto o se riceve molto di più rispetto a quanto si merita, questo non impedisce che anche io possa ricevere abbondantemente dalle mani del Signore. 

Secondariamente la Grazia di Dio è tutta di Dio. L’uomo non vi entra in nessuno modo. La Grazia che ci salva  viene tutta dal Signore Dio; l’uomo non ne è com-proprietario nemmeno in minima parte: può solo accoglierla o rifiutarla.
Ecco perché la gelosia non ha ragione di essere. Dobbiamo solo rallegrarci della generosità smisurata di Dio perché, detto per inciso, non si sa mai: noi, operai dell’alba, potremmo ritrovarci ad essere operai del crepuscolo.

martedì 9 settembre 2014

Esaltazione della Santa Croce. 14 settembre 2014




Come una bandiera



TESTO (Gv 3, 13-17)

13 Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo. 14 «E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, 15 affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. 16 Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. 17 Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.


COMMENTO

Momento culminante di ogni premiazione di una competizione sportiva di livello mondiale è l’innalzamento della bandiera del paese del vincitore con l’esecuzione dell’inno nazionale. In quella bandiera che sale sul pennone più alto non è solo simboleggiata la vittoria di un atleta o di una squadra, ma vi si ritrova il sano orgoglio e senso di appartenenza di un’ intera collettività nazionale.

Ciascun connazionale del vincitore, pur non avendo fatto niente per vincere quella medaglia, si sentirà felice di ascoltare il proprio inno nazionale e vedere, al culmine della cerimonia, i colori del proprio paese innalzati al centro della scena. Tutto ciò avviene secondo un certo senso di transfert emotivo e di auto-riconoscimento in colui che nella nazionalità condivide una parte importante dei propri sentimenti.

In questo splendido colloquio notturno, Gesù annuncia a Nicodémo che “… come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Anche qui si parla di una vittoria, e direi di una vittoria più decisiva, quanto meno più definitiva: quella dell’amore sull’odio, del perdono sul rancore, del dono sull’auto-possesso. La vittoria della croce sulla morte.
La partecipazione alla vittoria del Figlio di Dio è ben più di uno shock emotivo, è la partecipazione reale ai suoi frutti, ai suoi benefici. Incredibile a dirsi ma è proprio così: la vittoria sugli avversari, fondamentalmente sulla morte e sul suo atleta-campione che è il peccato, è stata riportata da Gesù ma il premio è per tutti quelli che credono in Lui.

Credere in lui non potrà certo significare solamente guardare un crocifisso e contemplare la sua morte. Nel contesto evangelico credere significa sempre anche coinvolgersi, aderire con la propria vita alle sorti del Maestro, seguire le sue tracce, prendere la propria croce e seguirlo, cioè vivere atti di accoglienza e di misericordia, di semplice carità, di perdono verso l’offensore, di accettazione delle avversità pur nella lotta: gesti questi, che da soli non potrebbero mai valere ad aprirci le porte della vita eterna, ma che vissuti in comunione con Cristo diventano segni della nostra fede che salva.

Il solo titolo di merito di noi cristiani, la nostra bandiera, il nostro vanto è la croce di Gesù, perché “Dio non ha mandato Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

lunedì 1 settembre 2014

Commento al Vangelo della XXIII Dom del TO anno A; 7 settembre 2014



La forza della comunione
(cf Mt 18, 15 – 20)


TESTO 

Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

COMMENTO

Il Signore si fida enormemente dei suoi discepoli e si affida alla loro mediazione a tal punto da legare le cose del Cielo a quelle della terra. Mentre Gesù ci fa pregare dicendo  “sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra” ( … cioè che la storia umana possa coincidere con i progetti di Dio), Lui da parte sua assicura che le decisioni disciplinari della comunità dei suoi discepoli quaggiù, saranno sempre ratificate tali e quali nella Comunità divina di lassù. 
Come possa fidarsi e affidarsi così tanto a una comunità di uomini è spiegabile solo a partire dalla presenza di Cristo risorto in mezzo a questa comunità. La Chiesa non verrà mai meno fino alla fine del mondo proprio perché essa è il corpo di Cristo (vivo) presente nella storia del mondo di ogni tempo.

Spesso mi capita di porre delle domande un po’ trabocchetto ai ragazzi del catechismo. Dopo averli interpellati sul nome dei capi di stato più famosi e menzionati dalla televisione, chiedo loro chi è il capo della Chiesa cattolica. Normalmente i ragazzi rispondono che questi è il Papa, senza ricordare che egli è solo il Vicario e che il capo della Chiesa è Cristo risorto. Proprio Lui continua a essere presente nello spirito in una comunità e anche in un singolo fedele che con senso di responsabilità si prendono la briga di correggere la colpa del fratello. Proprio Lui si rende presente quando due si mettono d’accordo per domandare qualcosa al Padre celeste e infatti l’unico a cui Dio non può rifiutare niente è proprio suo Figlio. 

Sebbene l’apostolo Pietro è la pietra su cui Cristo ha edificato la sua comunità, da questo brano risulta evidente che ogni membro di questo corpo spirituale è chiamato ad essere una pietra viva. Ognuno di noi cioè, nella comunione con Pietro, per vocazione deve essere testimone coerente e quindi pietra di paragone per il fratello, ma per la potenza della comunione dei discepoli di Cristo, ognuno di noi dovrebbe anche sentire sempre “il fiato divino” sul collo nella responsabilità verso tanti fratelli che si perdono. Possiamo esserne certi: quando nella Chiesa vengono alla luce gravi scandali, ovviamente qualcuno ha sbagliato ma ci sono almeno altri dieci fratelli che hanno taciuto, e che invece di essere state pietre vive sono state solo fango. 

Non da ultimo va detto che l’invito alla correzione fraterna va inserito nella passione di quel pastore di cui ai versetti immediatamente precedenti: un pastore che non calcola rapporti di costi/benefici ma che desidera la vita della pecora perduta, perché è disposto a dare la propria vita per essa. La correzione fraterna richiede una grande passione per il bene del fratello, una carità che fiorisce nel campo dell’umiltà.