sabato 30 dicembre 2023

Famiglia, il linguaggio umano della Comunione.

 

 I domenica dopo Natale – Festa Santa Famiglia – 31 dicembre 2023


 Dal Vangelo secondo Luca (Forma breve: 2,22.39-40)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

 

Commento

 Oggi, prima domenica dopo Natale, la Chiesa celebra la festa della santa famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria. Molto poco ci viene detto sulla vita nascosta di Gesù a Nazareth prima della sua vita pubblica iniziata circa a trent’anni; ma in realtà i vangeli in particolare quello di Luca racconta l’essenziale. Abbiamo ascoltato: “Cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”. Qualche versetto più avanti, dopo il ritrovamento di Gesù fra i sapienti del tempio di Gerusalemme, ai versetti 2,51-52 viene ripetuta una descrizione analoga: “Gesù scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.  
Nel prepararci a celebrare il Natale abbiamo sottolineato che il Figlio di Dio, colui che è stato generato nell’eternità dal Padre si è fatto uomo, ha preso la nostra natura umana corrotta e decaduta, per renderci partecipi della sua eredità di figlio di Dio. Una sorta di scambio di doni. Il figlio di Dio, nella sua Pasqua, ha rottamato nel suo corpo la vecchia natura umana e in cambio ci rende una nuova umanità, a garanzia illimitata.

Facendo questo il nostro salvatore ci svela il modo di essere di Dio, che è quello della comunione, non solo donando la vita per amore, ma anche cominciando a vivere fin da subito la comunione nel linguaggio umanamente più immediato, quello di una famiglia umana. Un padre e una madre che nella loro necessaria diversità diventano fecondi e generano vita, con una qualche analogia, ci rappresentano la relazione che c’è nella santissima trinità tra P, F e SS: tre persone distinte ma inseparabili. 

Sappiamo benedire il Signore, allora, per la famiglia che storicamente ci ha voluto donare, pur con tutti i suoi limiti; e il Signore certamente benedirà il desiderio di chi metterà la propria vita a disposizione per essere a sua volta “famiglia” a beneficio di altri. Pace a voi.

venerdì 22 dicembre 2023

Una possibilità di Infinito e non infinite possibilità.

  

Commento al vangelo della IV domenica di Avvento, anno B – 24 dicembre 2023

+ Dal Vangelo secondo Luca (1,26-38)

 In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

 

Commento

 In questi ultimi giorni di Avvento nei vangeli della liturgia notiamo l’avvicendamento dei due grandi testimoni della venuta del Messia Gesù; c’è una sorta di passaggio di testimone tra Giovanni Battista e Maria di Nazaret. Il primo invitata a preparare la strada, a cambiare vita per accogliere la venuta del Messia Gesù. Maria di Nazaret accoglie, prima, nel suo grembo il Messia e di conseguenza cambia la sua vita. In lei – cioè - c’è il primato dell’intervento della grazia divina, il completamento di quanto predicato da Giovanni, e capiamo che vano sarebbe ogni tentativo di conversione se prima non ci fosse il potente intervento dello Spirito di Dio nel cuore dell’uomo.
 A Maria viene chiesto un grande atto di fede. Il suo eccomi è un atto di fiducia totale alle parole che l’angelo le porta da parte del Signore; è chiamata a credere alle impossibili (umanamente parlando) possibilità di Dio, di generare, cioè, una vita senza intervento umano.

A partire dalla sua vicenda capiamo che la nostra salvezza dal potere del male e della morte, il compimento in generale della nostra vita, non è frutto della ricerca affannosa di una tra infinite possibilità, ma l’accoglienza nella fede di una possibilità d’Infinito. La nostra vita è limitata nel tempo e nello spazio, condizionata da eventi in gran parte non dipendenti da noi che restringono le alternative a disposizione; ma con l’evento storico dell’incarnazione Dio entra nelle vicende della corrotta natura umana e la vita di ciascuno di noi è toccata dalla possibilità di partecipare alla vita di Dio, appunto infinita.

Nel vangelo si dice poi che l’angelo, dopo la risposta affermativa di Maria, “si allontanò da lei”. Dove è andato? Allontanato da Maria, ma, verso dove?” Sicuramente per andare a propagare lo stesso annuncio al cuore di ogni uomo. Anche la tua vita è toccata da questo annuncio. Il Signore, ci ricorda il prossimo Natale, vuole fare anche del tuo cuore una sua dimora. Ma tu credi possibile questa infinita bontà e bellezza per la tua vita? Mentre mediti la tua risposta ti auguro un santo Natale, di pace e di bene.

mercoledì 13 dicembre 2023

TESTIMONI PERCHÉ TRASPARENTI

 

Commento al vangelo della III domenica di Avvento, anno B – 17 dicembre 2023

Dal vangelo di Giovanni (1,6-8.19-28)

 Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.


Commento

 Anche oggi il protagonista del vangelo è Giovanni Battista, questa volta nel racconto non di Marco ma di un altro Giovanni, il quarto evangelista. Se nella II d’Avvento l’accento era sull’invito alla conversione, in questa III l’accento è piuttosto sull’identità del Battista, e più propriamente sulla sua identità di testimone. C’è una domanda, infatti, che ricorre in modo incalzante: “Chi sei? Cosa dici di te stesso?”
Alla quale egli risponde limitandosi, apparentemente, a dichiararsi di essere un “portavoce” di colui che grida “Rendete dritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. Tuttavia, un portaparola ordinariamente ha un rapporto esterno, puramente professionale con la persona rappresentata, mentre in questo caso il suo essere voce coinvolge tutta la sua vita, il suo stile di vita improntato alla massima essenzialità, quasi per non fare la minima ombra al vero protagonista – Gesù - di cui, unico tra tutti i presenti, lui avverte la presenza: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”
In fondo qual è il modo migliore di essere testimone di colui che è luce del mondo? Non opporre alcun ostacolo ai suoi raggi, essere trasparente; fuor di metafora, avere un cuore puro. I puri di cuore, dirà Gesù, sono beati perché vedranno Dio, ma lo sono anche perché lo partecipano già da subito al mondo intero.
Ecco la testimonianza del Battista: far passare la luce nascente del Messia attraverso la sua umanità, senza preoccuparsi di andare a cercare le folle nelle città del tempo, ma collocandosi in un deserto, forse precursore di una pastorale per attrazione rispetto a uno stile più preoccupato di far numeri (cosiddetto proselitismo).
A tal proposito vi riporto una frase molto forte che papa Francesco ha detto nell’udienza di mercoledì 29 novembre scorso (2023): “Più che voler riconvertire il mondo d’oggi, ci serve convertire la pastorale perché incarni meglio il Vangelo nell’oggi”.
Molto bello: Giovanni ha sentito forte la chiamata non a convertire il mondo, (e tanto meno per portarlo a sé), ma a dare testimonianza a colui che è la luce del mondo. Che ciascuno di noi, soprattutto se cristiano, senta lo stesso desiderio di una vita autentica, sinfonica, in cui – cioè – le parole e le azioni, in modo diverso, suonino la stessa melodia.   


mercoledì 6 dicembre 2023

Abbassarsi per essere esaltati: il cammino battesimale

 

 Commento al vangelo della II domenica di Avvento, anno B – 10 dicembre 2023


+ Dal Vangelo secondo Marco (1,1-8)

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».


Commento

 Se la parola d’ordine della prima domenica di Avvento era “Vegliare”, quella di questa domenica è “conversione”: Giovanni battezzava (da qui il suo soprannome Battista) e proclama la conversione, e folle di persone da Gerusalemme e dalla Giudea andavano a lui per ricevere questo gesto, confessando i loro peccati. Tutto il brano ruota attorno all’esigenza urgente di un cambiamento di vita in vista di colui – il Cristo salvatore – che ci immergerà in una nuova vita, quello dello Spirito Santo; e la confessione dei peccati è la manifestazione non solo dell’indegnità morale, ma anche dell’impossibilità di vivere la legge di Dio con le sole forze umane.
D’altra parte, Giovanni si pone - lui per primo - in un atteggiamento di spoliazione di se stesso. La sobrietà delle vesti prepara a ricevere la veste nuziale (cf. Mt 22,12) della grazia divina che ci sarà data in dono e che non dovremo in nessun modo rifiutare; l’essenzialità del nutrimento dispone a procurare quel cibo – la parola del Signore - che dura per la vita eterna (cf. Gv 6,26-34).

Più di mille anni prima, Mosé condusse il popolo di Israele verso la libertà, accompagnandolo dall’Egitto, terrà di schiavitù, fino alla Palestina, la terra della promessa, lungo un cammino di pochi km se rapportati ai 40 anni impiegati per percorrerlo, giorno più giorno meno. Arrivato a destinazione, dall’alto del monte Nebo, Mosè vide il confine di quella terra, il fiume Giordano ma poi morì senza metterci piede (cf. Dt 35,1ss). Quel desiderio così fortemente custodito nel cuore gli dette di vivere la gioia del compimento al di là dell’effettivo possesso fisico.

Ora qui c’è un uomo, Giovanni detto il battezzatore, che accompagna il popolo in un itinerario che geograficamente è esattamente l’inverso, da Gerusalemme verso il Giordano. Perché qui c’è una schiavitù diversa da abbandonare, quella del peccato radicato nel cuore. E allora bisogna scendere in basso, sotto il livello del mare, depositare il fardello della vita vecchia, della supremazia del nostro “io”, e prepararsi ad accogliere la vita nuova, quello dello Spirito, quella dei figli di Dio, quella che ragiona secondo il “tu e il noi”, e che fa gridare “Abbà padre!”.

La vera conversione, quindi, non è anzitutto quella morale – dei comportamenti -, ma ancor prima è quella del cuore: accettare di non poter vivere il comandamento dell’amore sintesi di tutta la legge di Dio, con la nostra sola buona, (o presunta tale) volontà. Occorre fare un atto di umiltà e accogliere il cuore nuovo che solo in Cristo, nel suo Santo Spirito, nella grazia della comunione ecclesiale, si può ricevere.
Forse, come per Mosè e come per il Battista morto in prigione prima di vedere la gloria di Gesù risorto, questa vita terrena non sarà sufficiente a vedere il completamento della nostra conversione ma già il desiderio appassionato di essa riempirà di speranza, e ci anticiperà la gioia eterna.   


domenica 3 dicembre 2023

Non lasciamoci svaligiare la Comunione

 

  Commento al Vangelo della I domenica di Avvento, anno B – 3 dicembre 2023


+ Dal Vangelo secondo Marco (13,33-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Commento

 Ma perché il padrone di casa se ne va? Forse perché non sta bene a casa sua? Forse perché è andato costruirsi casa altrove? Possiamo solo pensare, da tutta la narrazione biblica, che nostro Padre - che padrone non è - vuole darci la libertà e quindi anche la responsabilità di gestire la sua casa terrena, come se fosse la nostra: il creato, le relazioni con i fratelli, le nostre doti intellettuali. Tutto è nostro! San Paolo – scrivendo ai cristiani di Corinto – dirà: “tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.” (1 Cor 3,22-23).

 Noi sappiamo che Gesù è venuto in terra a rivelarci e a tradurre in modo umano il modo di essere di Dio, che è la comunione: Padre e Figlio e Spirito Santo, e di conseguenza a toglierci dalle conseguenze del peccato che è la radicale disunione rispetto a Lui e tra noi. Allora nella grande casa che è lumanità, immagine e somiglianza di ciò che vive Dio stesso, noi suoi figli abbiamo da custodire che cosa? Perché dobbiamo vegliare giorno e notte? Perché questa casa che ci viene affidata è il dono dell’amore, della fraternità, della reciproca custodia in cui ognuno è chiamato ad essere custode del fratello. Tutto questo ci è dato gratuitamente, senza alcuno sforzo da parte nostra.
Ma attenzione: gratuitamente si, ma non per forza. Qui entra in campo la libertà dei servi della casa, la libertà di ciascuno di noi. Vogliamo fare come il figlio minore della parabola che è accecato dal suo individualismo e se ne va altrove a sperperare l’eredità del padre? Lo possiamo fare. Vogliamo fare come – in quella stessa parabola – ha fatto il figlio maggiore, vivendo senza alcuna gratitudine verso il padre, con una mentalità da schiavo? Anche questo possiamo farlo. Ma Gesù è venuto a spiegarci con gesti e parole che c’è un modo bellissimo di vivere in questo mondo: quello di un figlio.

Allora il servo vigilante è colui che rinnova costantemente la sua gioia e la sua gratitudine per i doni ricevuti; è colui che condivide tali doni con i fratelli, perché figli del suo stesso genitore; è colui che sta di guardia alla porta del suo cuore perché non entri nessun cattivo pensiero, e nessun nemico vi venga a seminare la zizzania dell’egoismo. Ecco perché tutte le sere la liturgia di Compieta ci fa pregare “…il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace”.
Purtroppo a volte immaginiamo il rapporto con Cristo come quello col codice stradale; non siamo del tutto convinti che sia bene rispettare i limiti di velocità, ma se vediamo un cartello “controllo elettronico della velocità”, rallentiamo giusto il tempo per evitare la fotografia e la relativa multa, e poi si riprende a camminare come prima. Ma il Signore invece ci dice di vegliare sempre, e non ci vuole dire il momento esatto del suo ritorno perché la bellezza della vita da discepolo si gusta solo se proviamo a viverla sempre. 

La vita cristiana non è la raccolta dei punti del Mulino bianco o una patente a punti; la vita cristiana è attesa gioiosa dell’incontro finale custodendo i tanti momenti in cui noi già – pur in modo velato (nel mistero) - possiamo incontrarlo su questa terra, in questa bellissima casa che egli ci ha affidato, e nelle tante relazioni umane che possono essere già anticipo del Paradiso, se vissute nella carità, o l’anticamera della disperazione, se vissute in modo strumentale all’esaltazione del mio “io”.
Pace e Bene, e rispettiamo sempre i limiti di velocità!

venerdì 24 novembre 2023

Un Regno Unito nell'amore

 

Commento al vangelo della Solennità di Cristo re (XXXIV domenica del TO)

 

Dal Vangelo secondo Matteo (25,31-46)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

COMMENTO

 Ultima domenica dell’anno liturgico, solennità di Cristo re, e ci prepariamo a iniziare domenica prossima con la prima d’Avvento un nuovo anno liturgico. Due domeniche fa la parabola delle dieci vergini ci ha esortato a ricevere l’unzione di Cristo, cioè i suo doni di tenerezza, di fiducia in lui. Domenica scorso la parabola dei talenti ci ha esortato a trafficare i doni di Dio, a farli circolare, ad amare dello stesso amore che lui ci ha dato per primo, a non sotterrare la sua vita divina in noi. Oggi Gesù ci dona non un’altra parabola ma piuttosto un’immagine di ciò che avverrà alla fine, nel giudizio finale per spiegare come concretamente si possono trafficare i suoi doni di amore gratuito.

La lista di questi atti di misericordia sembra essere più esemplificativa che esaustiva, nel senso che ci vengono offerti da Gesù a modo di esempio, e non esauriscono certo tutti gli atti di misericordia possibili; tanto è vero la Chiesa ha poi nel tempo ha esortato a compiere anche le azioni di misericordia spirituale come “consolare gli afflitti, consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, sopportare le persone moleste etc”.

Gesù un giorno disse al discepolo Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Dopo aver ascoltato questo vangelo possiamo anche dire: “chi ha visto un essere umano in difficoltà ha visto Cristo, nella sua permanente dimensione incarnata”.  O gli giriamo le spalle, ma questa cecità del cuore, se resterà ostinata fino all’ultimo, ci verrà rimproverata dalla nostra coscienza in eterno, oppure nel bisognoso sappiamo riconoscere il volto di Cristo fin da subito e così facendo accogliamo in lui e tramite lui il regno di amore di Dio, e saremo sempre uniti a lui, in eterno.

domenica 12 novembre 2023

Credere all’amore

 

Commento al vangelo della XXXIII domenica del TO, anno A – 19 novembre 20

Dal Vangelo secondo Matteo (25, 14-15.19-21, forma breve)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”».


Commento

Ecco i piccoli vasi di olio per le lampade, di cui Gesù parlava nella parabola di domenica scorsa: i suoi talenti, cioè i suoi doni d’amore, i tanti piccoli segni della sua presenza e della sua misericordia attraverso i quali siamo tenuti desti nell’attesa e provocati ad una risposta che, vista la fecondità dei doni, non potrà che essere moltiplicativa.
Ci sono certi, però, che si sentono sempre a credito con il Signore, o che non vogliono compromettersi con lui più di tanto, o addirittura proprio per niente; di fatto questi mettono il talento ricevuto sottoterra e se ne riparla al massimo al ritorno del padrone. Invece chi cerca di farli fruttare, custodirà sempre una memoria viva di colui che glieli ha consegnati. Perché custodire un dono significa anche mantenere viva la memoria del donatore.
È vero: il Signore raccoglie anche dove non ha sparso, e miete dove non ha seminato, ma non è vero che è un uomo duro, anzi egli è “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6). Chi è disposto a trafficare con questa ricchezza renderà ricco di bellezza il proprio esistere e quello di tanti altri fratelli. Chi resterà convinto che Dio sia un uomo duro e che quasi ci abbia fatto un dispetto a metterci al mondo, avrà invece sotterrato ogni germoglio di felicità. Non dobbiamo inventarci chissà quale impresa, ci basti solo accorgerci – piuttosto - che siamo stati amati, creati per amore, e destinati a una gioia senza fine.


martedì 7 novembre 2023

Non i doni ma il Donatore

 

Commento al Vangelo della XXXII domenica del Tempo Ordinario, anno A – 12 novembre 2023

 
Dal Vangelo secondo Matteo (25,1-13)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».


Commento

 Perché le stolte di cui si parla in questa parabola non hanno preso l’olio? Forse credevano che lo sposo sarebbe arrivato da un momento all’altro, riducendo i tempi di attesa a meno di quelli di un pacco Amazon. Ma la loro colpa non è stata quella di addormentarsi perché, si “si assopirono tutte e si addormentarono – si dice nella parabola” -. La fatica della pazienza, il peso delle speranze non ancora realizzate è uguale per tutti.
Coloro che prendono l’olio, usando piccoli vasi, sono coloro, però, che in tutti i frangenti della propria esistenza, anche quelli più banali, accettano la sfida del tempo, e sanno disporsi a leggere e vivere la storia come una serie di piccoli incontri, di piccole esperienze della presenza del Signore, centro della nostra vita, e che si manifesterà in pienezza solo al termine del pellegrinaggio. Gesù in questa e in altre parabole usa la metafora dello sposo che vuole rendere partecipi della sua gioia tante altre persone. Per noi entrare al banchetto delle nozze significa accedere alla sua stessa gioia. Quanto è bello, allora, vivere nella speranza certa che neppure la più piccola preghiera resterà inascoltata; neppure il più flebile gemito del cuore si perderà nel vuoto.
Quanto è miope, invece, lo sguardo dell’uomo che pretenderebbe sempre un premio immediato per il suo retto agire, vero o presunto; che vorrebbe vedere da subito il frutto della sua condotta di vita sana e ordinata, o presunta tale.
Prendere l’olio della lampada, la vera vigilanza, significa invece continuare a sperare nell’assoluta fedeltà di colui che ci ha detto: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto», (Mt 7,7) pur non precisando la tempistica, e continuare a dimorare presso la casa dove avverrà la festa, sfuggendo all’idolatria del “tutto e subito” che costringe ad “allontanarsi” alla ricerca di speranze supplementari che non sazieranno mai il cuore.


giovedì 2 novembre 2023

Alla sorgente di ogni paternità

 

 Commento al vangelo della XXXI domenica del TO, anno A – 5 novembre 23

 
+ Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».


Commento

 “Non fatevi chiamare ‘rabbi’, non fatevi chiamare ‘guide’; e non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra”, ci ha appena ricordato Gesù. Eppure, ognuno di noi – immagino - riferendosi ai suoi genitori ha sempre detto “mio padre” o “mia madre”. 

Dicendo questo Gesù aveva di fatto in mente scribi e farisei che avevano sovrapposto alla legge divina consegnata a Mosé sul Sinai le proprie interpretazioni, molto cavillose ed esageratamente scrupolose, facendole passare come legge divina e mettendo quindi in tremenda difficoltà spirituale e morale la povera gente, spesso in buona fede. Gesù non usa mezzi termini: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei”.
Qualsiasi autorità spirituale, ma anche sociale, non potrà mai che essere riflesso e trasmissione dell’unica autorità, quella di Dio, da cui tutto discende e dipende.
Quando vediamo una lampada accesa diciamo di vedere la luce, e a nessuno di noi verrebbe da dire “ecco un vetro”, perché il vetro è solo trasparenza della luce che la attraversa. La paternità biologica, o creativa - il fatto cioè di inventare qualcosa – ma soprattutto la paternità nella fede, il fatto cioè di accompagnare qualcuno a riconoscere la paternità fontale, sorgiva di Dio, dovrebbe sempre essere accompagnato da un atteggiamento di profonda e grande umiltà.
E per compiere questo itinerario occorre arrivare a Gesù, perché solo lui ci rivela il vero volto di Dio.
Padre Pio da Pietrelcina, il celebre santo cappuccino - a coloro che erano preoccupati della sua imminente morte e che avevano visto in lui un chiaro segno della paternità di Dio, disse un giorno: “Andate a Gesù Eucaristia, lì mi troverete”. In definitiva per chi vuole vivere da figlio di Dio non mancheranno mai su questa terra uomini e donne che saranno segni autentici della paternità di Dio. E questo grazie a Cristo Gesù e alla guida del suo Santo Spirito che agisce soprattutto, ma non solo, nel suo corpo ecclesiale.



giovedì 26 ottobre 2023

Si può donare solo ciò che si ha

 

 Commento al vangelo della XXX domenica del TO, anno A – 29 ottobre 2023


+ Dal Vangelo secondo Matteo (22,34-40)

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Commento

 Mi sembra che nessuno si sia mai lanciato nell’ardua impresa di scrivere un bignami dei 4 vangeli; forse anche perché in certi passaggi sembra averlo fatto Gesù stesso. Penso alle beatitudini, ma penso anche a quando Gesù insegna ai suoi discepoli a pregare iniziando con le parole “Padre nostro”. E anche in questi due comandamenti, appena ascoltati, dice Gesù, c’è la radice di tutto quello che è contenuto negli antichi profeti e nella legge di Mosé. L’amore, a Dio e al prossimo, è la radice di ogni pensiero e azione di bene; tuttavia, è anche vero che non esiste nel vocabolario corrente una parola – Amore - così tanto fraintesa e con così tante accezioni e significati. Mentre vi parlo ho ben in mente, ad esempio, il significato che ne darebbero i miei alunni dell’IPSIA di Civitanova Marche.
Per restare però nel senso più vero e genuinamente evangelico del verbo amare ci viene in aiuto l’ultimo documento scritto da Papa Francesco, il 15 ottobre scorso, nel quale portando ad esempio l’atteggiamento spirituale di Santa Teresina di Lisieux egli puntualizza: “soltanto la fiducia, null’altro, non c’è un’altra via da percorrere per essere condotti all’Amore che tutto dona. Con la fiducia, la sorgente della grazia trabocca nella nostra vita, il Vangelo si fa carne in noi e ci trasforma in canali di misericordia per i fratelli” (C’est la confiance, 2).
Se ci fidiamo di Dio, se ci abbandoniamo in lui e a lui, possiamo allacciare le nostre esistenze alla sorgente stessa dell’amore, a Dio stesso, a Dio che… è… amore, e divenire mediatori di misericordia verso i nostri fratelli. Mi sembra che troppo spesso la nostra fede è fatta di gesti formali, di obbedienza paurosa nei confronti della divinità, o altre volte di pratiche con le quali si pensa di meritare la vita eterna del paradiso. Il vangelo di oggi, invece, ci aiuta a ricordare che l’amore non si compra, non si merita e neppure si inventa; si può solo accogliere e manifestare perché, se non fosse che Dio padre, nella persona di Cristo Gesù e per la potenza del divino spirito, ce ne ha riempito il cuore, sicuramente neppure ci chiederebbe di ricambiarlo e di donarlo ai fratelli.


giovedì 19 ottobre 2023

In nome del vangelo si può anche disobbedire

 Commento al vangelo della XXIX domenica del Tempo Ordinario, anno A – 22 ottobre 2023

Dal vangelo di Matteo (22,15-21)

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Commento
La frase di Gesù è diventata quasi un proverbio: “rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. A sottolineare normalmente che ognuno è padrone nel suo ambito e che occorre distinguere il sacro dal profano.
Ora: è giusto distinguere ciò che viene da Dio e ciò che è frutto delle decisioni degli uomini, ma se per distinguere si intende tenere separati, allora non ci siamo, o quanto meno non è questo il senso della risposta di Gesù. La moneta porta l’effige di Cesare, ed è giusto che chi esercita un’autorità abbia entro certi limiti il rispetto e l’obbedienza; ma siccome il mondo intero, e soprattutto l’uomo, ha in sé l’immagine di Dio, il rispetto della sua presenza – che poi è una presenza misericordiosa, paterna e benevola – ha il primato su tutto, e su qualsiasi potere umano.
Giusto pagare le tasse? Giusto rispettare l’autorità civile? Si, se queste autorità umane non violano la dignità che Dio ha dato all’uomo. Si, a patto che una qualsiasi legge non obbligo il cittadino a non poter vivere ed esprimere pubblicamente e liberamente il suo essere credente.
Se il pagare le imposte dovute mi impedisse, per assurdo – ma a volte neanche troppo per assurdo - di avere un minimo di dignità per me e per la mia famiglia, allora mi potrei anche attrezzare per evadere il fisco. Ma se facessi questo per aumentare il gruzzolo, allora evasione è sinonimo di furto.
Oppure: giusto l’obbligo dell’istruzione scolastica per i bambini, ma perché dei cittadini non si possono organizzare autonomamente per dare l’istruzione che vogliono ai loro figli!
 Oppure: l’attività bancaria è regolata dalle leggi dello stato? Giusto. Ma perché dei privati cittadini non si possono organizzare autonomamente per inventare circuiti cooperativi di reciproco finanziamento, visto e considerato che le banche spesso prestano soldi solo a chi li ha già.
Lo Stato ha legalizzato le slot-machines, ricavandone discrete entrate per le sue casse? Ebbene, io cercherò di non comprare neanche un francobollo in quegli esercizi commerciali.  
Quindi, in nome della dignità che Dio dona all’uomo è sicuramente doveroso per quest’ultimo rispettare il potere costituito, ma è altrettanto doveroso fare scelte se non proprio e-versive, quanto meno di-versive, mai violente, per non avallare leggi ingiuste.

 

giovedì 12 ottobre 2023

L’occasione della vita

 Commento al vangelo della XXVIII domenica del Tempo Ordinario, anno A – 15 ottobre 2023  

 Dal Vangelo di Matteo (22,1-14)
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


Commento 

Non sappiamo se anche a quei tempi la partecipazione a un pranzo di nozze comportasse fare un regalo e neppure se bastassero 100-200 euro per cavarsela; la cosa certa è che nella logica della parabola quegli invitati hanno rifiutato l’invito non per evitare di spendere i soldi del regalo, ma perché non hanno intuito la bellezza di quell’invito, ritenendolo meno importante dei loro affari, dei loro campi, e tanto da permettersi di uccidere chi glielo aveva recapitato.
Le parabole di Gesù, lo abbiamo ripetuto spesso, hanno sempre qualcosa di paradossale, esattamente per far cadere l’attenzione dell’ascoltatore sul punto desiderato.
C’è un contrasto incredibile tra due aspetti: gli invitati, gli aventi diritto al banchetto di nozze disdegnano la festa, e uccidono i servi del re e dall’altro questo re, dopo aver reso la medesima condanna agli omicidi, allarga l’invito a tutte le persone possibili, buoni o cattivi che siano.
Due conclusioni. La prima: la peggior condanna per aver rifiutato l’amicizia di Dio ce la diamo da soli. La vendetta del re è, fuor di metafora, è l’imbarbarimento e la devastazione della città dell’uomo ogni qual volta questi chiude il cuore all’amore di Dio. I castighi di Dio? No, non sono necessari, ce li diamo da soli quando diventiamo centrati su noi stessi. Chiudersi all’amore significa morire.
Seconda conclusione. Gesù fa capire cosa è il peccato: un’occasione persa. Se un caro amico ci chiedesse di andare a giocare alcuni numeri al superenalotto, rivelatisi poi vincenti e milionari, cosa diremmo se ci accorgessimo che ci siamo dimenticati di andarli a giocare? Che peccato! (beh, forse potrebbe scappare qualche altra imprecazione!) Che peccato! Potevo sistemarmi la vita e ho perso l’occasione.
Siamo certi di questo: non c’è per l’uomo peggior sciagura di quella di rifiutare l’amore di Dio. Scrive Papa Francesco all’ultima riga della sua recente Esortazione “Laudate Deum”: “Un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio, diventa il peggior pericolo per sé stesso”.


giovedì 5 ottobre 2023

Espropri per pubblica utilità

 

Commento al vangelo della XXVII domenica del TO, anno A – 8 ottobre 2023



 Dal Vangelo secondo Matteo (21,33-43)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Commento

 Le ultime parole contengono tutto il senso della parabola: “a voi – ricordiamo: Gesù sta parlando ai sacerdoti e ai capi del popolo ebreo - sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”; ma nelle parole e nel pensiero di Gesù, quale sarà quel popolo a cui sarà dato il regno di Dio e che ne produrrà i frutti?
Potremmo rispondere intuitivamente, e correttamente, che si tratta dei cosiddetti popoli non ebrei, definiti genericamente “pagani”. La storia ci dice in effetti che il vangelo fu rifiutato da molti figli di Israele e, al contrario, accolto da molti uomini di altre appartenenze religiose.
Dobbiamo andare oltre. Sappiamo che nella Chiesa siamo invitati a riconoscere la pienezza della presenza di Cristo. Ma quel “voi” pesa come un macigno anche per i cristiani di oggi, perché la realtà del regno di Dio non coincide con i confini visibili della Chiesa, e vi possono essere persone di buona volontà che, pur ignorando Cristo in tutto o in parte, nel loro sincero desiderio di giustizia e di verità, di fatto, portano in questo nostro mondo i frutti più belli dell’amore di Dio, dell’amore che è Dio.
Oppure ci possono essere cristiani che per mille motivi, non sempre e non del tutto dipendenti dalla propria volontà, si trovano in situazioni sacramentalmente “irregolari”. Ma quanto più l’amore di Dio è presente e regna in persone che, riconoscendo i propri sbagli, vivendo come possono la comunione con il Signore, vivono sinceramente una nuova relazione affettiva, rispetto a chi vive situazioni, diciamo regolari, ma senza alcun slancio del cuore, nella massima freddezza e senza la minima preoccupazione per la custodia dell’amicizia di Cristo, e senza alcun pentimento per i propri errori!
E voglio concludere anche con un esempio che riguarda la vita di noi consacrati e sacerdoti. Con la vocazione religiosa ci sono stati donati frutti abbondantissimi di questa meravigliosa vigna che è il regno, l’amore di Dio. Ma a volte la castità del cuore, ad esempio, non è un amore indiviso per i confratelli e per il popolo di Dio, ma piuttosto la sterilità totale, la freddezza e l’indifferenza di fronte a tutto e a tutti. Anche qui i frutti dell’amore di Dio apparterranno piuttosto a chi, pur nell’apparente infedeltà ai suoi voti, avrà cercato di mantenersi vivo nel cuore, pubblicamente abbandonando lo status di religioso e cercando di recuperare la sua vita in una dimensione coniugale. Di esempi se ne potrebbero fare tanti; ricordiamoci comunque che chi veramente è stato toccato dall’amore di Dio non potrà, non dovrà, mai sentirsi a posto e arrivato. Ci guidi l’esempio di quel grande santo dei primi secoli cristiani, Agostino d’Ippona, definito non a caso “inquieto cercatore di Dio”. Cari amici, con gli auguri di pace e di bene questa settimana aggiungo gli auguri di una SANTA inquietudine.


giovedì 28 settembre 2023

Il guaio della mediocrità

 Commento al vangelo della XXVI domenica del TO, anno A – 1 ottobre 2023

Dal Vangelo secondo Matteo (21,28-32)

 In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

 

Commento

Qual è il vantaggio delle prostitute e dei disonesti esattori delle tasse? Non certo di tenere una condotta oggettivamente riprovevole e che Gesù non ha alcuna intenzione di riabilitare. La loro fortuna, o la loro felice intuizione, è quella di credere alla possibilità della guarigione, del cambiamento: nelle parole del Battista non c’era una semplice condanna del male, ma una messa in guardia in vista di un giudizio che avrebbe separato definitivamente i giusti dagli immorali. 

Hanno creduto perché è stato offerto loro uno spiraglio di cambiamento, che la presenza di Gesù poi renderà concretamente possibile. Il guaio dei farisei invece, che potrebbe essere anche il guaio di molti cristiani di oggi, è di essersi accontentati. Il loro rapporto con Dio resta un rapporto formale di “dare-avere”, si fa qualcosa (un digiuno, una elemosina, una preghiera, un qualsivoglia rito) per ottenere in cambio un premio. Ma la coscienza rimane chiusa. Non è forse questa una forma di prostituzione del cuore? Nel senso che non importa vivere un rapporto personale, sincero, affettivo ed effettivo con Dio, attraverso le sue creature, l’ascolto delle sue ispirazioni e manifestazioni, ma è sufficiente cedergli una parte del proprio tempo e della propria disponibilità, per avere in cambio (si presume) una giusta retribuzione. E poi la vita continua ad essere gestita come viene. 

A quei farisei bastava un Dio così, da tenere buono con un culto dal sapore di “imparaticcio di usi umani” come diceva Isaia, o da comprare con quattro cosine.

Proviamo a navigare lontano dalla sponda di questo mondo spirituale auto-gestito. Proviamo ancora di più, e qui mi rivolgo a chi vorrebbe dire un Si, seguito dai fatti, all’appello del Padre ad andare a lavorare nella sua vigna (cioè nel suo regno), proviamo a tener davanti agli occhi del cuore quel volto paziente e misericordioso che Gesù ci ha mostrato e di cui ci parlano i Vangeli. La contemplazione della sua benevolenza e misericordia, solo questo, attiverà in noi sentimenti di gratitudine, il desiderio di una risposta, e dall’altra parte susciterà pentimento sincero, aperto alla relazione con il Signore, e quindi infinitamente costruttivo, qualora l’umana debolezza avrà indotto a qualsivoglia forma di egoismo.


lunedì 25 settembre 2023

Chi più è gratuito più guadagna.

 

 Commento al vangelo della XXV domenica del TO, anno A – 24 settembre 2023


 Dal Vangelo secondo Matteo (20,1-16)


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Commento

 Buono e quindi giusto, ma le risorse di questo padrone sono infinite, e il di più regalato agli operai della quinta ondata di assunzione non pregiudica il salario di quelli dell’alba. In una dinamica umana la prodigalità del padrone della vigna verso alcuni pregiudica necessariamente la remunerazione degli altri, perché le risorse a disposizione non saranno mai infinite. Ma il nesso cruciale della parabola sta proprio sul fatto che nel regno dei Cieli quel che viene elargito gratuitamente non toglie nulla alla giustizia, perché questo padrone ha un cuore senza limiti: meglio dire che ha un cuore di padre divino.

Piuttosto gli operai della prima ora assomigliano a quel fratello maggiore di un’altra parabola raccontata da Gesù: lavorano nella vigna esclusivamente per un beneficio monetario. Ma questo nella vigna del Signore non può bastare: queste parabole vogliono proprio scardinare questi meccanismi troppo econometrici. Non si può vivere e operare nella casa del Signore solo per una ricompensa finale. Non si può vivere il vangelo solo per comprarsi il paradiso! Non può funzionare così. “Non fate della casa del padre mio un luogo di mercato” (Gv 2,16) disse Gesù scacciando i mercanti dal tempio di Gerusalemme. Il premio o il merito a cui possiamo e dobbiamo aspirare da figli di Dio è di comprendere la gratuità di Dio Padre. I conti non torneranno mai ai cultori della meritocrazia, e ai professionisti del diritto del lavoro. Dinanzi al Signore, cioè fin da questo preciso istante, e compiutamente al suo ultimo ritorno, il più grande guadagno è riservato a chi comprende e vive nella gratuità del dono, che non offende la giustizia, ma la include e la completa.


giovedì 7 settembre 2023

Carità o settarismo

 

 Commento al Vangelo della XXIII domenica del TO, anno A – 10 settembre 2023

 Dal Vangelo secondo Matteo (18,15-20)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Commento

 Su quest’argomento mi addentro in punta di piedi, perché per parlare di correzione fraterna secondo lo stile proposto da Gesù occorrerebbe anzitutto averla praticata con una certa dimestichezza.
Quanto meno teniamo presenti due aspetti. 

Primo. Il centro e il cuore della questione è il desiderio della comunione con il fratello da correggere, il tentativo accorato e sincero di riportarlo nella via del bene, per il suo bene, anzitutto. Di qui tutte le precauzioni che Gesù raccomanda: prima un dialogo riservato, poi la presenza di pochi testimoni, e solo poi, all’ennesimo insuccesso, il riferimento alla comunità. Anche in questo caso però non si tratterà di una punizione-espulsione, ma del riconoscimento pubblico che quel fratello vuole porsi lui stesso al di fuori della comunità credente, cioè del corpo di Cristo-Chiesa; ciò nell’estremo tentativo di farlo riflettere, e di evitare che gli altri membri della comunità ne abbiano scandalo. La prima preoccupazione quindi è la carità, non anzitutto la verità. A volte, purtroppo, certuni, per amore della verità (a dir loro), senza minima delicatezza dicono cose anche giuste, umiliando però gli interlocutori. A volte, per carità, si potrebbe addirittura tacere!

Un secondo aspetto è l’importanza della mediazione della comunità cristiana. “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (18,20). Non basta essere uniti o riuniti, ma occorre esserlo nel nome di Cristo, cioè nella concretezza dei suoi stessi atteggiamenti di umanità e misericordia. Quando i cristiani iniziano una qualsivoglia celebrazione, sempre iniziano “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, per inserirsi spiritualmente in quella comunione di cui si vuole essere la manifestazione nelle cose ordinarie.

A volte, purtroppo, sembra emergere invece l’unità solo su alcuni aspetti della fede cristiana; altre volte l’unità è centrata su un fondatore, più o meno carismatico. Tutto questo non fa trasparire il volto di Cristo, ma solamente un desiderio di autoaffermazione. In conclusione, amiamo sì la Chiesa, ma non in stile patriottico, in contrapposizione con chi è ne è fuori, ma con la gioia di chi sa di essere nato e cresciuto in una bella famiglia e con il desiderio di condividere questo dono.


Saper perdere per accogliere la vittoria

 

Commento al vangelo della XXII domenica del Tempo Ordinario, anno A – 3 settembre 2023

 Dal Vangelo secondo Matteo (16,21-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Commento

 “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai” risponde Pietro. Ma: “non ti accadrà mai di essere riprovato e venire ucciso? O di risorgere il terzo giorno?” Non ci sono dubbi: Pietro si ferma all’annuncio dell’uccisione del maestro. A questa parola è come se le sue orecchie avessero smesso di sentire; resurrezione non pervenuta; la sua idea di Messia vittorioso gli impediva di pensare che tale vittoria fosse potuta passare nella strettoia della Pasqua.
Per inciso ricordiamo che anche dopo l’episodio della Trasfigurazione i tre apostoli, tra cui Pietro, ricevuto l’ordine di non raccontare nulla “se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti” (Mc 9,9) si domandavano cosa significasse “risorgere dai morti”.
Non è la stessa cosa anche per noi? Potremmo ascoltare tutte le profezie più belle della Sacra Scrittura sul destino di gloria che Dio Padre ci ha preparato, comprese quelle del libro dell’Apocalisse, dove viene annunciata una nuova Gerusalemme, simbolo del paradiso in cui “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21,4), ma la prospettiva del dolore e della morte sembra prevalere su ogni altro sguardo.
Temo che neppure i pochi cristiani che frequentano l’Eucaristia domenicale siano così convinti di quello che dicono nel Credo: “Morì e fu sepolto, risuscitò il terzo giorno” e poi ancora: “Credo la resurrezione dei morti e la vita eterna che verrà”. Quante volte, riguardo la vita eterna, mi sono sentito obiettare da sedicenti cristiani che in fondo “nessuno è mai tornato indietro dall’Aldilà”.
Tanti o pochi, rischiamo di diventare cristiani senza speranza, ma questo perché siamo cristiani senza Cristo, o comunque senza profonda coscienza che il cuore dell’avvenimento cristiano, la Pasqua, non è solo passione e morte, ma anche la resurrezione, di Cristo, e di chi si lascia toccare dalla sua Parola, dalla sua grazia, cioè dalla sua presenza che rende possibile attraversare anche la stagione della lotta e del dolore.





venerdì 25 agosto 2023

Dimmi di chi sei figlio e ti dirò chi sei

 

Commento al vangelo della XXI domenica del TO, anno A – 27 agosto 2023


+ Dal Vangelo secondo Matteo (16,13-20)

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
 

Commento

 Per capire chi siamo occorre capire quale è la nostra relazione vitale, quella sui cui poggia la nostra esistenza. Se a questa domanda qualcuno rispondesse che la propria vita si poggia sulla sua amicizia con Cristo Signore, occorrerebbe allora capire chi è questo uomo e su quale relazione poggia a sua volta la vita di costui.
Pietro, che Gesù chiama non casualmente “figlio di Giona”, tenta di rispondere esattamente a questa domanda, intuendo per rivelazione interiore che l’identità del Maestro non poteva definirsi con termini assoluti, teorici, ma solamente con delle parole che dicessero la sua relazione ad altro.

“Tu sei il Cristo”, cioè “colui che è stato unto”. Questa affermazione presuppone un “untore”, anche se il termine suona male, cioè qualcuno che lo ha scelto, che lo ha “unto”. E poi Pietro aggiunge: “il Figlio del Dio vivente”. Anche qui l’identità è raccontata da un rapporto di figliolanza, con quel Padre-Dio vivente che ha scelto-ed inviato suo figlio Gesù.

Insomma, l’identità personale è questione di relazione, per Gesù e, a maggior ragione per noi, che siamo stati creati in vista di lui, e a sua somiglianza.

Una volta si diceva: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Più opportunamente si dovrebbe dire: “dimmi di chi sei figlio, e ti dirò che persona sei!”. Ma se nella vita biologica il padre non si può scegliere, e tantomeno si può scegliere di venire al mondo, nella vita spirituale, al contrario, ognuno sceglie la paternità a cui innestare la propria vita, e la direzione verso cui allungare le proprie radici. E Pietro sembra essersi lasciato ispirare proprio dalla mano del Padre celeste. Concludo allora con i primissimi versetti del libro dei Salmi: “Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti;ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte.Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere.” (Sal 1,1-3)

martedì 15 agosto 2023

Il Figlio dell’uomo troverà ancora fede sulla terra?

  

Commento al Vangelo della XX domenica del TO, anno A – 20 agosto 2023


+ Dal Vangelo secondo Matteo (15, 21-28)

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
 

Commento

 Appena domenica scorsa ci veniva presentato Pietro, il principe degli apostoli, rimproverato da Gesù per aver dubitato, mentre il suo piede affondava nell’acqua. Nel brano di oggi al contrario Gesù elogia la fede di una donna non ebrea che riemerge dall’abisso della disperazione: “Donna, davvero grande è la tua fede!”
Nel giro di pochi versetti dello stesso vangelo veniamo a comprendere una volta di più che una vera relazione di fiducia e amicizia con Gesù Signore non è la conseguenza di un’appartenenza etnica, ma al contrario è la fede personale in Cristo Signore a generare un’appartenenza esistenziale a Cristo.
Da notare la voluta provocazione di Gesù nei confronti di questa donna: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa d’Israele”. Ma questa provocazione è rivolta soprattutto ai cristiani di oggi che pensano di essere titolari del regno dei cieli unicamente per diritto ereditario, senza alcun assenso della propria vita. Perché in effetti un’eredità può sempre essere rifiutata, ed è il rischio che corrono i battezzati di tutti i tempi, molto spesso non consapevoli del tesoro che hanno ricevuto.
Invece alla donna cananea e per colui che crede nella potenza del Signore è sufficiente appena una briciola della sua grazia, come anche al ladrone pentito in croce bastò qualche briciola di tempo per entrare in paradiso. Ma tutto si giocherà sempre a partire da una fede personale in Gesù salvatore. Così poco scontato che proprio questi ebbe a dire: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).

domenica 13 agosto 2023

Il grido della fede

 

 Commento al vangelo della XIX domenica del TO, anno A – 13 agosto 2023

+ Dal Vangelo secondo Matteo (14,22 – 33)

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».


Commento

Si dice che la sconfitta è orfana ma che la vittoria ha sempre molti padri. Quei discepoli che fino a poco prima avevano chiesto a Gesù di congedare la folla, ora, alla luce del colpo di scena e dell’abbondante cibo per migliaia di persone, si intuisce che sarebbero voluti restare sul posto, quasi a godersi l’entusiasmo della gente attorno al loro maestro. Ma questa volta è Gesù a voler congedare i discepoli, a costringerli a “precederlo sull’altra sponda” e lo fa per tornare “sul monte, solo, a pregare”: immaginiamo a ringraziare, lodare e benedire il Padre, autore di ogni grazia, e anche di quell’abbondante cena.

Il dono ricevuto, per Gesù, è memoria del donatore, e occasione di incontro con Lui. Per i discepoli e per la loro fede ancora acerba, il dono sembra essere solo momento di esaltazione. Ma lo sappiamo dal resto di tutti i racconti biblici. Se il dono non porta al donatore diventa un idolo, cioè una realtà effimera e vuota, che dopo la momentanea soddisfazione, anziché darci vita ce la toglie, perché priva della relazione con il Padre.

La successiva vicenda racconta in maniera plastica esattamente il vuoto di fede che gli apostoli devono ancora colmare. Non sono capaci di credere che quell’uomo che domina i flutti del mare, camminandoci sopra, possa essere veramente Gesù. D’altronde anche da risorto, per convincere i suoi che non era un fantasma si mise a mangiare proprio del pesce dinanzi a loro. Pietro, l’intraprendente porta-parola del gruppo sfida “quell’apparente fantasma” e ne ottiene conferma, riuscendo a camminare anche lui sulle acque, ma è invece la sua fiducia nella presenza di Cristo a non essere confermata, perché prevale la paura.

Attraverso la vicenda di Pietro capiamo la differenza tra una fede ancora troppo accademica e una fede che nasce dal grido della vita, dal dolore, dal bisogno di sopravvivenza. Si possono avere tanti segni e tante conferme alle proprie certezze spirituali ma sono poi le situazioni più al limite, quelle in cui si ha veramente paura di affondare, che obbligano al grido del cuore: “Signore, Salvami”. Di questa scintilla di intimità con il Signore ha bisogno il nostro cuore, e se per arrivarci occorrerà attraversare momenti critici, forse perdendo qualcosa, avremo in realtà trovato la perla più preziosa di una relazione vera e viva con Dio Padre.


giovedì 3 agosto 2023

La vita è sempre vita, presenza e memoria del donatore

 

Commento al Vangelo della Trasfigurazione – 6 agosto 2023 – nella XVIII domenica del TO


+ Dal Vangelo secondo Matteo (17,1-9)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».



Commento

 Abbiamo appena ascoltato il vangelo della festa della Trasfigurazione di Gesù ( che si celebra il 6 agosto ) che quest’anno coincide con la domenica. Un evento straordinario a cui il Maestro permette di assistere solo a tre della sua già ristretta cerchia di discepoli. Il suo volto assume la luminosità del sole, le sue vesti risplendono di candore luminoso, Mosé ed Elia appaiono al suo fianco, e se questo non bastasse dalla nube di luce una voce – che si desume essere quella di Dio Padre – invita Pietro, Giacomo e Giovanni ad ascoltarlo, in quanto suo figlio prescelto e amato.
Il corpo di Gesù cambia apparenza, e restando tale assume connotati soprannaturali, celestiali, in una parola possiamo dire – noi che ascoltiamo questo racconto 2 mila anni dopo la sua risurrezione – divini.

Si, perché nel Cristo Gesù, dirà san Paolo, scrivendo ai cristiani di Colossi, “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). Gesù è stato un vero uomo, senza mai perdere la sua identità divina di Figlio di Dio; cosa ancor più stupefacente, almeno per i cristiani, la sua persona che permane in eterno una persona umano-divina, si rende presente per la potenza del suo Spirito, dello Spirito di Dio, nel corpo di tutti gli uomini, particolarmente di coloro che sono stati immersi nelle “acque vive” del Battesimo, segno sacramentale della sua presenza. 

Quale dignità abbiamo noi essere umani! Quale dignità non solo per essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio, ma anche per essere memoria e presenza viva della sua venuta nel mondo. I cristiani credono che “Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (GS 22).

Due conseguenze molto importanti. La prima: quanto è bello pensare ciò che anche il cardinale Cantalamessa ha ricordato in una predica rivolta al Papa e a tutti i suoi collaboratori della Santa Sede: e cioè che c’è infinitamente più distanza di dignità tra un essere umano e un animale, di quanta ce n’è tra un essere umano e Dio. Questa affermazione dovrebbe far venire le vertigini, e non è assolutamente arbitraria e fuori dalla tradizione della fede della Chiesa: c’è infinitamente più distanza di dignità tra un essere umano e un animale, di quanta ce n’è tra un essere umano e Dio.

La seconda: ammesso anche che si voglia trattare – non si sa perché - un animale come un essere umano, non c’è alcuna ragione per trattare un essere umano come un animale: considerandolo come puro materiale biologico, o magari togliendogli la vita perché ha sbagliato, o non facendolo neppure venire al mondo perché malato, o accorciando forzosamente la sua vita perché ritenuta improduttiva, o lasciandolo morire naufrago in mezzo al mare (per quanto clandestino), o abbandonandolo alla sua marginalità sociale.

 

giovedì 27 luglio 2023

Un tesoro nascosto nel cuore del fratello

 
Commento al Vangelo della XVII domenica del Tempo Ordinario, anno A – 30 luglio 2023

 
 
+ Dal Vangelo secondo Matteo (13,44-52)

 In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

 

Commento

 “Che male c’è?” È questa, forse, l’obiezione più frequente che, da bambini, abbiamo rivolto ai genitori per giustificare qualcosa. Che male c’è? Molto spesso - vorrei dire quasi sempre – in effetti c’è una parte di bene in ogni scelta che facciamo. Ma raramente pensiamo che c’è un bene e c’è un meglio.
Allora potremmo partire più opportunamente dalla domanda: “cosa c’è di bene in questa scelta che sto facendo?” Oppure: “Qual è il bene più grande per me e per gli altri in queste diverse possibilità che mi stanno dinanzi?
Nelle parabole appena ascoltate Gesù invita a puntare sempre al meglio, alla totalità, a tutto ciò che faccia risplendere, e maggiormente manifesti, la bellezza e la grandezza dell’amore e della misericordia di Dio.
Investire nel regno di Dio è veramente fruttuoso se, diversamente dagli investimenti finanziari di questo mondo, NON si diversifica il rischio, e su di esso, invece, si imposta tutta la propria vita: lavoro, affetti, progetti di vita. Per comprare la perla preziosa o per comprare il campo con il tesoro occorre vendere tutto il resto. Per accogliere la vita nuova di Cristo occorre mettere totalmente da parte l’uomo vecchio e le sue logiche di affermazione sugli altri o di rivendicazione di una propria giustizia nei confronti di Dio.
Se la parola del Signore Gesù trova spazio nel cuore dell’uomo com’è possibile restare indifferenti rispetto alla sofferenza dell’altro? O restare arroccati nelle proprie ragioni – per quanto fondate – negando il perdono a chi sbagliando ci ha fatto soffrire? Domande queste che aiutano a capire se l’amore di Dio ha fatto breccia nel cuore rendendoci discepoli di Cristo, o se siamo solo, al massimo, discepoli di una legge come i farisei del tempo di Gesù di cui F. De André nel testo della sua canzone “Il testamento di Tito” dice: “Lo sanno a memoria il diritto divino, e scordano sempre il perdono”.

venerdì 21 luglio 2023

La “non necessaria ma evitabile" zizzania.

 

 Commento al Vangelo della XVI domenica del Tempo Ordinario – 23 luglio 2023



Dal Vangelo secondo Matteo (Versione breve:13,24-30)

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

Commento

Perché il male? Perché la sofferenza? Perché un Dio onnipotente e buono permette il male, sembrando escludere di fatto una delle due cose, e cioè che o, se buono, non è onnipotente, oppure che se è onnipotente, non sempre è buono.
La parabola della zizzania è una parziale risposta a tali questioni, e sottolineo: “parziale”.

1. Anzitutto la zizzania è evitabile.  “Mentre tutti dormivano” il nemico venne e seminò l’erba infestante. La vigilanza e il discernimento sono virtù sempre necessarie per distinguere tra il bene e il male, per impedire che il male si propaghi nel mondo e nel terreno del mio cuore.

Secondo. Il grano, il seme buono, è talmente buono da poter sopportare la coabitazione col male. Normalmente si fa di tutto per impedire alle erbacce di soffocare quel che viene seminato, ma la parabola ci parla di un grano buono e assolutamente resistente, talmente buono, che comunque arriverà a maturazione. Così è la Parola di Dio. Se accolta, darà sicuramente frutto nella nostra vita, nonostante tutto e tutti.

Terzo aspetto. Non sta all’uomo anticipare il giudizio finale tra giusti e malvagi. Su questo aspetto si è facilmente tentati di fare come i servi del padrone che vorrebbero da subito sradicare la zizzania. Pensate ad esempio all’assurdità della “pena di morte”. In nome della sacralità della vita si ha la pretesa di privarla a chi, comunque, ha certamente sbagliato sottraendola ad altri. Attenzione: ha detto giustamente qualcuno che “chi vuole realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri l’inferno.”

mercoledì 12 luglio 2023

Il regno di Dio in mezzo a noi

 

Commento al vangelo della XV domenica del TO, anno A – 16 luglio 2023


Dal Vangelo secondo Matteo (13,1-9)


Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».

Commento

 Gesù raccontava “molte cose”, ciò che riguardava il regno di Dio, con delle semplici storie da lui inventate, senza collocazione temporale né geografica, esattamente perché quel messaggio riguardava tutte le epoche e i continenti dell’universo umano.
A volte l’annuncio di Gesù non viene nemmeno accolto, i suoi insegnamenti rimangono semplici onde sonore che vibrano nelle orecchie ma non scendono nel cuore. Pensiamo a tutti coloro che, in modo molto superficiale credono vero solo quello che toccano e vedono. Stranamente questi, però, spesso nei momenti di grave difficoltà, sono i primi clienti di cartomanti, maghi e fattucchieri.
Poi ci sono quelli che accolgono il messaggio di Gesù ma mancano di perseveranza, perché vogliono “tutto e subito”. Pensiamo ai grandi “consumatori del sacro” che non sopportano attese nelle loro preghiere e che avrebbero tante cose da insegnare a Dio su come svolgere il suo “mestiere”, e che passano da una novena ad un’altra, da un veggente all’altro, e che a volte (questo l’ho visto soprattutto in Africa) cambiano setta o confessione religiosa fino a trovare il dio “che funziona”.

Poi ci sono coloro che accolgono sinceramente la Parola, e custodendola portano i primi frutti di una vita secondo Dio, ma si lasciano soffocare dalle spine delle preoccupazioni mondane. Pensiamo agli apostoli di Gesù che discutevano tra loro, secondo il racconto del vangelo, “chi fosse il più grande” (Mc 9,34). Ma questo avviene anche nelle nostre parrocchie, nelle comunità religiose: tutti lavorano per il regno di Dio, all’apparenza, ma a condizione, di fatto, che emerga il “proprio io”.

Ma per fortuna c’è anche la terra buona (meno male!). E allora pensiamo a migliaia di uomini e donne che hanno capito la grande perla racchiusa in Gesù e nelle sue parole, cioè la presenza di Dio stesso, e per questa stessa presenza hanno sacrificato tutto e, già in questo mondo, si sono trasfigurati di bellezza divina.

mercoledì 5 luglio 2023

Tutto concorre al Bene... per chi lo sa vedere

 

 Commento al Vangelo della XIV domenica del Tempo Ordinario, anno A – 9 luglio 2023


+ Dal Vangelo secondo Matteo (11,25-30)

In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
 

Commento

 La custodia di una relazione di amicizia ha sempre un prezzo da pagare, piccolo o grande che sia: a volte si tratta di saper perdonare una fragilità, altre di accettare gli inevitabili limiti. Nel caso della nostra – eventuale – relazione di amicizia con il Signore-Gesù si tratta di saper portare il suo giogo, come lo chiama lui, di una vita donata per amore.
Però, attenzione: primo, noi non abbiamo nulla da dover perdonare a lui, e anzi è lui piuttosto che ci perdona sempre. Secondo: è lui, Gesù, che ci ha amato per primo e quindi, non è che dobbiamo inventarci l’amore, quanto piuttosto si tratta di riconoscere di averlo ricevuto (nel dono della vita, nelle bellezze del creato, nell’affetto di tante persone care), e di farlo scorrere verso i fratelli che vivono accanto.
Come Gesù, nella sua umiltà, ha perfettamente accolto la comunione d’amore del Padre, e per questo lo benedice e lo loda, così noi, grazie a Gesù, al suo Spirito presente ora nel nostro cuore di battezzati, siamo chiamati ad avere lo stesso atteggiamento di umile accoglienza dell’amore di Dio, e di tessere relazioni di comunione con gli altri.
Le leggi degli uomini, come anche le tante osservanze inventate dai farisei del tempo e fatte risalire a Mosé; ma anche le convenzioni umane, come tutte i cosiddetti “obblighi” sociali di visibilità e/o di successo, di cui ci sentiamo spesso schiavi, impongo gioghi ben più pesanti e a volte veramente insopportabili, perché non liberano il cuore. Invece, proprio l’intima unione con lo Spirito del Signore ci dona una libertà meravigliosa: quella di poter capire e scegliere il vero Bene, e di saper sopportare perfino il male, sapendo che, in un modo misterioso, per l’onnipotenza di Dio, anch’esso potrà servire ad un bene molto più grande.


domenica 2 luglio 2023

Cristiano "fai da te"?

 

Commento al Vangelo della XIII domenica del Tempo Ordinario, anno A – 2 luglio 2023


Dal vangelo di Matteo (10,37-42)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Commento

Il creato risplende di tanti doni di Dio, segni della sua amicizia e della sua gratuita benevolenza, ma se tali doni, anziché servire a fare memoria del donatore, diventano centro assoluto dell’attenzione e degli affetti di un uomo, quest’uomo è destinato a perdersi, perché così facendo perde contatto con l’autore della vita.
Una qualsiasi cosa, o una qualsiasi relazione che venisse anteposta all’amicizia del Signore diventerebbe una scatola vuota: forse ben confezionata e ben infiocchettata, ma comunque terribilmente vuota rispetto al desiderio del cuore. Le pagine della Bibbia ci ricordano spesso il pericolo di inciampare nell’idolatria. Il popolo di Israele, già poco dopo la liberazione dalla schiavitù di Egitto, sente il bisogno di avere risposte continue e immediate alle sue esigenze, e non ricevendole, si inventa il vitello d’oro: “Ecco il tuo Dio, o Israele, che ti ha fatto uscire dall’Egitto”.

L’uomo, pur salvato da Cristo e destinato alla vita eterna, continua a sentire un’istintiva inclinazione a farsi un “dio su misura”, un dio “pret-à-porter”. L’originalità della fede di ciascun uomo, la personalizzazione dell’esperienza spirituale sono doverose, ma non si può arrivare a fare della propria idea di Dio l’assoluto, perché torneremmo alla storia del vitello d’oro, facendoci un dio a nostro uso e consumo.

Ecco allora anche il significato della benedizione che Gesù accorda a chi accoglie i profeti e i suoi discepoli come tali, perché comunicheranno ai loro stessi benefici, dimostrando di saper uscire dal proprio “io” e di accettare l’oggettività di come il Signore si è fatto conoscere, rivelandoci il volto di Dio Padre, e di come continua a farsi conoscere tramite l’umanità dei suoi missionari.

sabato 24 giugno 2023

Quale salute cerchiamo?

 

Commento al Vangleo della XII domenica del TO anno A – 25 giugno 2023


+ Dal Vangelo secondo Matteo (10,26-33)


In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

 

Commento

Parole ruvide, quelle appena ascoltate, ma in Gesù si rende presente e fisicamente tangibile la premura paterna di Dio per la nostra salvezza, ma la salvezza quella vera, cioè eterna, dello spirito e del corpo; non il banale benessere ingenuamente invocato da chi dice: “l’importante è la salute!”. No. La cosa ancora più importante è la salute del cuore, cioè la comunione con Dio e con gli uomini. Perché con la salute fisica al massimo si arriva – si e no – a 100 anni. Ma ci si può accontentare di questo?

Gesù, è vero, ha compiuto diverse guarigioni nel suo ministero pubblico, ma sempre in riferimento alla guarigione di quel male radicale che è la lontananza da Dio a cui l’uomo si è condannato rifiutando la sua figliolanza divina.

Per nostra fortuna Dio è un padre fedele, che non si stanca mai di perdonarci, e che non perderà mai la speranza di vedere accolta la sua mano tesa attraverso l’umanità del suo figlio-Gesù, e attualmente attraverso il corpo spirituale di lui che è la Chiesa.

Se Gesù ha parlato nelle tenebre e all’orecchio, ora nella luce e nella potenza dello Spirito gli apostoli possono e debbono parlare apertamente dell’amore del Padre, perché è lo Spirito che rende possibile una comprensione e un’esperienza di Dio, impossibile fino a prima della Pentecoste.