mercoledì 28 dicembre 2016

Commento al Vangelo di Domenica 1 gennaio 2017, Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio



MARIA: IL PENSARE CHE ACCENDE LA PASSIONE DELLA VITA


TESTO  (Lc 2,16-21) 

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.


COMMENTO

Lo stesso Vangelo della mattina di Natale, ma in questa Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, vale la pena soffermarsi sulla figura di Maria. Si dice di lei che “ … da parte sua , custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.

Maria custodisce le tante cose sentite su questo straordinario bambino fiorito nel suo grembo e le medita. Il testo originale si potrebbe tradurre “…le metteva insieme”. Maria ha ascoltato l’angelo Gabriele che le ha annunciato la nascita di Colui che sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo. Poi la parente Elisabetta le conferma che diventerà la madre del Signore. Infine i pastori riferiscono di quegli angeli che hanno annunciato loro nella notte la nascita di un salvatore nella città di Davide, Betlemme.
Maria custodisce queste parole e le “mette insieme”.

 Di questi tempi la velocità delle comunicazioni ci permettono di scambiarci informazioni con grande rapidità ma quante di queste “cose” sono da noi trattenute, filtrate? Quanto siamo capaci di valutare, soppesare cose importanti e cose insignificanti? Tutto viene sottoposto alla nostra attenzione ad una tale velocità che in realtà non siamo più capaci di trattenere, e ancor meno di mettere insieme.
Maria non era una donna intellettuale, ma era una donna sapiente che sapeva intuire, a partire dalla saggezza della sua fede semplice, che c’era qualcosa di profondamente vero in tutto quello che le stava accadendo; ha saputo fare sintesi di tutti questi eventi e infine ha colto quel filo rosso di una storia divina che stava intrecciandosi con la trama della sua povera umanità.

Dovremmo fare anche noi la stessa cosa. Saper trattenere con più attenzione i tanti messaggi che il Signore ci manda nella nostra storia quotidiana; in ogni circostanza il Signore ci parla, ci affida un messaggio; ogni incontro e ogni esperienza possono diventare esperienze di fede se letti e custoditi con il cuore semplice di chi vive in ascolto e alla ricerca del vero, del bene e del bello.

giovedì 22 dicembre 2016

Commento al Vangelo di Domenica 25 dicembre 2016, Natale del Signore.




Il Riscatto Degli Esclusi


TESTO (Lc 2,15-20) messa dell'Aurora

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 

Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.

I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.


COMMENTO

“Vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Questa è la motivazione che muove i pastori ad intraprendere il loro viaggio, non sappiamo quanto lungo, verso Betlemme. I pastori hanno conosciuto, in qualche modo sono già entrati in contatto con un fatto accaduto e annunciato loro dagli angeli: “…oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.”

La situazione dei pastori è significativa: ci dice il Vangelo che “c’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge”. Questi uomini erano costretti dal loro lavoro alla veglia notturna e alla precarietà di dover dormire all’aperto, senza neppure un tetto sopra la testa. Vi troviamo il modello di due atteggiamenti spirituali quanto mai necessari per accogliere l’annuncio di Cristo Salvatore.

La veglia è qualcosa di più che rinunciare al sonno; indica piuttosto la sobrietà della vita, il fatto di avere una coscienza vigilante, sempre attenta e desiderosa di distinguere il bene dal male. San Paolo indica la veglia come una condizione per la vigilanza dello spirito che prega in noi: “Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza” (1 Ts 5,12).  La veglia è segno dell’attesa della venuta del Salvatore.

 I Pastori condividevano l’attesa degli ebrei del tempo e con la loro semplicità piena di speranza, accolsero l’annuncio della venuta del Salvatore delle genti. Come i pastori siamo chiamati a guardare con fiducia il nostro tempo: esso non sarà mai troppo ricolmo di male e di dolore da non far germogliare la salvezza finale di Cristo Signore.

Poi i pastori vivono la sobrietà e la precarietà della vita, senza neanche un tetto sotto il quale dormire. Quella notte di 2000 anni fa la gioia della nascita del Salvatore del mondo fu vissuta anzitutto da due giovani sposi che non trovarono alloggio per passare la notte, e da un gruppo di pastori momentaneamente “senza tetto”. Le consolazioni del Signore arrivano anzitutto ai poveri della terra, a quelli che non hanno altro riparo che il cielo, a quelli che non hanno un posto confortevole, caldo e sicuro per riposare, a quelli che quanto meno non investono su questo i loro sogni di felicità.

Il Signore che viene continuamente nel mondo, nel giorno in cui la Chiesa lo celebra bambino nella grotta di Betlemme, ci trovi vigilanti nel desiderio di vivere alla sua presenza ogni momento; ci trovi con un cuore povero, non appesantito da false sicurezze, pronto e sollecito per intraprendere il viaggio verso la capanna di Betlemme.   

giovedì 15 dicembre 2016

Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento; 18 dicembre 2016




LA SAPIENZA DELL’UMILE GIUSEPPE




TESTO  (Mt 1,18-24) 

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

COMMENTO

In occasione di questo Natale 2016 Papa Francesco ha scelto per i suoi biglietti di auguri l’affresco della natività di Giotto che si trova nella Basilica inferiore di San Francesco d’Assisi in Assisi. Invito tutti a contemplarla perché un’opera d’arte non si può descrivere a parole. A partire dal Vangelo di questa Domenica voglio fermarmi però, su un dettaglio molto stimolante: in un angolo dell’affresco è rappresentato San Giuseppe, seduto, pensoso, con una mano appoggiata alla guancia, in un chiaro atteggiamento pensoso e meditativo.

Giuseppe con Maria ha custodito la vita del bambino Gesù e sebbene i 4 Vangeli non ci riportano alcuna parola da lui pronunciata, ne emerge una figura di un uomo in ascolto, docile alla volontà di Dio, e soprattutto aperto e disponibile alle imprevedibili sorprese di Dio.

Dal testo si comprende che Giuseppe elabora una sua soluzione al “problema” della gravidanza della sua promessa sposa; non è in nessun modo passivo, anzi cerca di applicare in modo, diremmo umano, le prescrizioni della legge ebraica; se fosse stato un osservatore bigotto avrebbe certamente fatto lapidare Maria. Invece Giuseppe risulta essere un uomo profondamente spirituale, osservante della legge ma al contempo in ascolto della sua coscienza e quindi capace di applicarla con giustizia, intelligenza e sapienza: non vuole coprire con la sua paternità una vita che non gli appartiene ma allo stesso tempo si fida troppo della sua promessa sposa Maria per esporla alle conseguenze della legge. 

Proprio in un cuore così onesto, umile da una parte di fronte all’autorità, sapiente nell’applicazione della legge dall’altra, il Signore trova il varco per entrare, per potergli parlare e spiegare la natura stra-ordinaria di quella maternità. 

Vi propongo di accogliere la parola di speranza e sapienza che il silenzioso San Giuseppe ci consegna: egli che ha parlato con la sua docile obbedienza ci ricordi il senso e il valore della responsabilità, della intelligenza con cui siamo chiamati ad applicare la legge di Dio, e soprattutto il valore del sacrificio fatto per amore. Vi lascio a tal proposito questa bellissima espressione di Papa Francesco: 
“Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immen¬samente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizio¬ne. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustifi¬care il dono della mia vita.” (EG 274)

mercoledì 7 dicembre 2016

Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento, anno A; 11 dicembre 2016




L’ONESTÀ DI UN DESIDERIO
  

TESTO (Mt 11,2-11)  

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

COMMENTO

Dal carcere Giovanni Battista manda a chiedere a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» Sembra strano ma anche Giovanni Battista ha avuto bisogno di rassicurazioni! Proprio lui che ha inaugurato la venuta di Gesù dicendo che Questi sarebbe venuto con un Battesimo di Spirito Santo e fuoco, per “pulire la sua aia”, raccogliere il grano buono e bruciare la paglia.

 Forse anche Giovanni rimase stupito dai suoi gesti di misericordia verso i peccatori, da quel programma di vita così paradossale delle beatitudini. Forse anche per Giovanni lo stile di Gesù non corrispondeva esattamente alla sua immagine di Messia che doveva porre la scure alla radice degli alberi per tagliare e bruciare, e quindi venire a dire e realizzare una parola di giudizio definitivo. Ma le vie di azione di Dio sono sempre imprevedibili come disse Isaia: “«Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie», dice il SIGNORE. «Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri. (Is 55,8-9)

Questo non toglie nulla alla santità e alla grandezza di Giovanni; anzi egli è grande perché mette tutto se stesso nella ricerca del centro della sua fede, scegliendo di vivere nel deserto lontano dai riflettori delle opinioni della gente, non concedendo alcuna attenzione all’effimero, pagando di persona la coerenza del suo annuncio con la prigionia.
Gesù offre una risposta che chiede il coinvolgimento di chi ascolta. 
Avremmo preferito una risposta “si o no”, in questo caso “si”, ma Gesù invece invita a leggere i segni, a comprendere il significato delle sue guarigioni, obbliga a confrontare tutto quello che fa con le profezie dell’Antico testamento: in altre parole Gesù dialoga non solo con Giovanni ma anche con ognuno di noi, chiedendo l’onestà del cuore per guardare i segni, tanti e forse trascurati, attraverso i quali il Signore ci parla ancora oggi. 

I discepoli vedevano le guarigioni di Gesù, avevano udito anche le profezia di Isaia che annunciava esattamente quelle guarigioni come segni della venuta del Messia-Salvatore. Anche noi abbiamo visto e udito la testimonianza di fede di tante persone, certo in mezzo anche a tante contro-testimonianze, ma chi ha operato meraviglie nel nome del Signore non potrà mai essere smentito dalla piccineria degli ipocriti. Chi non vola non potrà mai smentire la verità di chi dice che volare è possibile dimostrandolo con i fatti.

Gesù non solo non rimprovera la domanda di Giovanni, ma anzi ribadisce la grandezza di Giovanni, e tuttavia ammonisce a non riporre troppa fiducia sui suoi aspetti umani di grandezza, perché “il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». La grandezza di Giovanni non è tanto nel suo digiunare, vestire di pelli di cammello, mangiare cavallette, vivere nel deserto, quanto nella sua totale umiltà, piccolezza, con cui si è messo in attesa del Messia. Non sono anzitutto i nostri sforzi che producono la salvezza ma la Grazia che viene dall’Alto e che va accolta tuttavia con premura e sincero desiderio di verità.

giovedì 1 dicembre 2016

Commento al Vangelo della II Domenica di Avvento, anno A; 4 dicembre 2016



Giovanni, la sirena della salvezza



TESTO ( Mt 2,1-13 )

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 
Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».


COMMENTO

“Razza di vipere!”. Giovanni Battista non brilla per diplomazia. La sua parola di giudizio, tagliente come una spada a doppio taglio, viene a preparare la strada al Messia, a preparare e disporre i cuori alla verità della salvezza di Gesù Salvatore.

Giovanni è voce del Messia che sta per iniziare la sua missione, ecco perché si permette gli stessi accenti forti e pungenti, specialmente nei confronti di quei sadducei e farisei che rappresentavano le autorità in campo laicale e sacerdotale del popolo ebraico.

“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” grida Giovanni. La sua parola è un appello urgente, la sua voce anticipa la voce e la presenza di Gesù e invita al cambiamento di vita, al risveglio, come abbiamo anche ascoltato nel Vangelo di Domenica scorsa. Non c’è tempo da perdere, occorre rapidamente adeguarsi al nuovo che viene; il cambiamento è urgente perché Gesù è l’ultima chiamata per il Regno di Dio, per incamminarci nella via della vita. I giudei ascoltano nell’esortazione di Giovanni, per il momento, solo una voce. 

Per dare un’immagine, pensiamo cosa succede al passaggio di un mezzo di soccorso, un’ambulanza ad esempio: la prima cosa che si percepisce è il rumore assordante della sirena che mette in allerta, chiede attenzione, spazio, disponibilità ad arrestarsi, e in un momento successivo vediamo arrivare un mezzo a tutta velocità e ne capiamo la provenienza e la direzione.

In modo simile Giovanni richiama, grida, annuncia la salvezza imminente, ma il suo richiamo è anche grido di allarme per chi non si mette in ascolto, soprattutto per chi non farà frutti degni di conversione, per coloro cioè che accolgono la legge solo in modo esteriore, formale continuando ad aggirarne il senso profondo: la giustizia, la misericordia.

La severità del precursore Giovanni non è da temere, ma da considerare un’opportunità, perché il Signore non vuole assolutamente che l’uomo fallisca l’appuntamento decisivo, unico, ultimo con la sua misericordiosa che si fa carne, esperienza di vita nella persona di Gesù.

“Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” dice ancora Giovanni. Il frutto sarà opera anzitutto della Grazia di Cristo Gesù ma anche della buona disposizione dei cuori; infatti ogni terreno fertile non potrà non dare la sua resa in proporzioni variabili, ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta per uno, perché si realizzi la profezia di Isaia:
Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata. Ogni mia parola non ritornerà a me senza operare quanto desidero, senza operare ciò per cui l’avevo mandata” ( Is 55,10-11 ).