giovedì 29 ottobre 2015

Commento al Vangelo della Festa di Tutti i Santi; 1 novembr 2015




FELICI COME I SANTI


TESTO  ( Mt 5,1-12 )

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».


COMMENTO

Potremmo partire da queste ultime parole di Gesù: per causa mia! Le parole appena ascoltate sono la sintesi del messaggio , della buona notizia del Messia Gesù, il compimento, non l’annullamento si badi bene, della legge antica; il programma di vita e della missione di Colui che per primo le proclama. La chiave di comprensione è esattamente la sua persona e quel “per causa mia” significa che i nove atteggiamenti elencati e ritenuti fonte di gioia lo sono se vissuti nella relazione viva con Lui: Cristo Gesù risorto e vivo.

D’altra parte la povertà da sola non salva, né le lacrime da sole danno gioia. Perché mai uno che piange dovrebbe essere felice al di fuori di una motivazione ben precisa e solida? Tantomeno la mitezza e l’essere vittima di ingiustizia sono da sole fattori di auto redenzione e di gaudio. E perché mai ancora il fatto di essere insultati dovrebbe essere fonte di beatitudine, cioè di felicità? Ci sono tanti motivi che possono spingere una persona a non vendicarsi, a non reagire contro una persona violenta, a dare il proprio perdono. 
Il punto è che questi atteggiamenti , interpretati nel miglior modo possibile dall’uomo storico Gesù di Nazareth, sono motivo di felicità vera, duratura e profonda, cioè eterna, se vissuti nell’accoglienza della sua presenza di uomo-Dio crocifisso e risorto.

Egli non è venuto a proclamare la bellezza della povertà, dell’ingiustizia, del dolore; Egli è venuto piuttosto a condividere le sorti degli uomini diseredati e abbandonati perché questi nella sua parola e nella comunione con Lui possano trovare la vera ricchezza che non passa. Egli è venuto a piangere con chi è nel dolore, perché chi piange possa, in Lui, dare un senso alle proprie lacrime. Egli è venuto a farsi compagno di cammino di tutti i poveri in spirito, consapevoli di non poter bastare a sé stessi, perché in Lui trovino salvezza; e più ancora Gesù è venuto a rivelare la misericordia di Dio Padre perché in Lui tutti gli offesi trovino la forza e la gioia del perdono e della riconciliazione; perché tutti gli uomini accogliendo il farsi prossimo di Gesù possano condividere anche il suo stesso destino di Gloria dopo la croce, di vita dopo la morte, di esaltazione dopo l’umiliazione.

mercoledì 21 ottobre 2015

Commento al Vangelo della XXX Domenica del TO; 25 ottobre 2015



Vedere  per credere !



TESTO (Mc 10,46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.



COMMENTO

C’è un cambiamento vertiginoso nell’esistenza di Bartimèo. La sua cecità lo paralizzava alla dipendenza da altri, al passaggio di Gesù egli era a terra mendicando lungo una strada che evidentemente non lo conduceva in alcuna direzione. 
Al contrario dopo l’incontro con Gesù tutto cambia e la sua vita si rimette in movimento: Bartimeo torna a vedere, ora può rialzarsi da terra, può autonomamente camminare, e così la sua strada acquista una direzione ben precisa che è quella di seguire Gesù. 

La sua vita cambia a partire dall’esperienza di una persona, Gesù di Nazareth, e in questo incontro il fatto cruciale è il tornare a vedere.
Tutto ovviamente ha un grande significato simbolico: se non diveniamo capaci di vedere la realtà del mondo e della vita nella sua verità, perdiamo tutte le coordinate, diveniamo schiavi o comunque dipendenti dalle masse, dalle mode, da quello che dicono gli altri; soprattutto rimaniamo a terra a mendicare qualche spicciolo di gratificazione che il mondo ci può dare.

L’incontro con Gesù cambia tutto. Non a caso il giorno del Battesimo viene consegnata una candela accesa al cero pasquale simbolo di Cristo risorto e viene detto al bambino tramite i suoi genitori: 
“ Ricevi la luce di Cristo “.
E’ proprio quella luce che ci permetterà di vedere bene, non fermandoci alle apparenze. Solo quella luce ci permetterà di ricevere la dignità di figli di Dio, di stare in piedi di fronte agli uomini, di poter fare un nostro percorso libero alla ricerca della verità e di chi veramente ci può salvare dal male.

Nulla è mai perduto del tutto. Come questo cieco si aggrappa a Gesù proprio mentre stava uscendo ormai da Gerico, anche noi non dobbiamo mai sentirci battuti né abbattuti, perché anche un istante, un’apparente ultima occasione può diventare l’incontro della vita.

Pace e Bene

venerdì 9 ottobre 2015

Commento al Vangelo della XXIX Dom del TO anno B; 18 ottobre 2015




SIATE EGOISTI, … FATEVI SERVI DI TUTTI!



TESTO  (  Mc 10,35-45 )

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 

Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».


COMMENTO

Recentemente la più grande mensa dei poveri della città di Milano gestita dai frati cappuccini, ha lanciato questo simpatico slogan: “siate egoisti, fate del bene!” . In questa frase è racchiusa effettivamente la paradossalità del messaggio evangelico, dello stile di vita che Cristo assume e che propone ai suoi discepoli.  

I due fratelli Giovanni e Giacomo dovevano essere due personaggi molto energici, erano detti non a caso Boanerghes, (figli del tuono) e sembrano sicuri di poter aspirare ai due seggi di onore, alla destra e alla sinistra del loro maestro quando regnerà definitivamente.
Gesù non assicura nulla se non la condivisione del suo calice amaro di passione e morte, perché chi lo vuole seguire dovrà anch’egli battezzarsi cioè immergersi nel suo stesso destino di dono totale di sé.

Il paradosso è proprio qui e Gesù lo sottolinea: se si vuole primeggiare e diventare grandi bisogna scendere in basso, al servizio degli altri, dedicarsi alla costruzione del bene degli altri uomini. Anche il fondatore dello scautismo Baden Powel diceva che il modo migliore per essere felici e far felici gli altri. Se si vuole condividere la gloria di Gesù quindi occorre condividere anche il suo destino di offerta totale, di donazione, di gratuità nel servizio di Dio e degli uomini. Con una notazione precisa, che nelle parole di Gesù servire ha proprio il senso di arrivare anche a dare la propria vita. 

Gesù non solo annuncia il paradosso ma lo vive concretamente nella sua vita. Gesù entra nel mondo, nella storia dell’umanità e di ogni uomo per la “porta di servizio”. In ogni grande residenza o albergo o palazzo di prestigio ci sono almeno due entrate: quella principale che è quella ufficiale dove entrano gli aventi diritto e gli ospiti  e poi c’è la porta di servizio, una porta secondaria, nascosta alla vista pubblica dove entra il personale appunto “di servizio”.

Il grande ed essenziale servizio che il Signore ci rende è quello di pagare il debito del nostro peccato, di assumersi le conseguenze e di riscattare tutto il male del mondo, e per un suo benevolo disegno ha permesso di associare la nostra vita alla sua, non semplicemente di dare un assenso intellettuale ma un assenso esistenziale facendo della nostra vita un’offerta per la gioia e il bene dei fratelli e per testimoniare la fedeltà alla misericordia di Dio. 
Pensiamo in questo momento ai tanti fratelli cristiani perseguitati a causa della fede in Siria e in tutto il medio oriente, a quelle comunità cristiane che dopo due mila anni di storia sono state spazzate via, e di cui nessuno parla. Il loro dolore, il loro lutto si cambierà in gioia, ma nel frattempo tutti noi siamo interpellati alla stessa fedeltà e allo stesso coraggio, e ad una testimonianza di fede un po’ più consistente .

martedì 6 ottobre 2015

Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del TO, anno B; 11 ottobre 2015



Ogni bene, tutto il bene, il sommo bene !



TESTO ( Mc 10,17-30 ) 

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». 

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».



COMMENTO

Questo tale pone il problema della vita eterna sul fare qualcosa di buono. La risposta di Gesù pone una premessa fondante: : «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo!” Prima di porre il problema del fare occorre risolvere il problema di “chi” o “cosa” è buono. Gesù è alquanto categorico: “perché mi chiami buono? Dio solo è buono”. A distanza di un millennio  gli fa eco il patrono della nostra Italia San Francesco d’Assisi che nelle lodi di Dio Altissimo dice “ Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene”.

 Ciò vuol dire che non sarà mai possibile fare realmente qualcosa di buono se non entriamo nella sfera d’azione di Dio. Dirà infatti San Paolo nella lettera ai Filippesi … “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 ). Ma un ateo allora potrà fare del bene? Potrà addirittura entrare nella vita eterna? Tutto questo sarà possibile ma sempre per un intervento misterioso e per la presenza di Dio, a volte ignota allo stesso uomo che compie ciò che è buono agli occhi di Dio, ciò che è scritto nei comandamenti ribaditi da Gesù e che sappiamo soprattutto essere incisi col fuoco dello Spirito Santo nel profondo delle nostre coscienze. 

E anche quando Gesù propone la via alta del discepolato , cioè la forma radicale della sequela che consiste nello spogliarsi di tutto per seguire Gesù povero casto e obbediente, anche qui la forza per fare a meno delle ricchezze del mondo e abbandonarsi totalmente alla radicalità del Vangelo sarà sempre Dio a poterla donare, perché “nulla è impossibile a Dio”. Lui che per i suoi apostoli e per tutti quelli che lo hanno seguito nella via stretta della speciale consacrazione saprà moltiplicare già qui in terra la gioia e le magre gratificazioni dei beni di questo mondo a cui hanno rinunciato.

Nel prossimo anno giubilare intitolato “Misericordiosi come il Padre” sentiremo molto parlare delle opere di misericordia corporale e spirituale, ma non dimentichiamoci che il termine di riferimento è sempre l’amore, la misericordia del Padre. Cosa mai potrà fare l’uomo da solo per entrare nella vita eterna, se non fosse che Dio per primo ci ha amato a dato il suo figlio per noi? Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. (1 Gv 4,19)