mercoledì 29 ottobre 2014

Commento Vangelo della commemorazione dei defunti; 2 novembre 2014



Un gancio dal Cielo


TESTO ( Gv 6,37-40 )

In quel tempo, Gesù disse alla folla: 
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

COMMENTO

In questa Domenica 2 novembre tutte le letture fanno centro sull’annuncio, sulla buona notizia della vita eterna , della vittoria  della vita sulla morte.
In questo testo del Vangelo di Giovanni Gesù, dopo aver moltiplicato pane e pesci   e sfamato oltre cinquemila uomini , si proclama come l’inviato di Dio Padre: inviato per compiere la sua volontà  e raccogliere un’umanità persa e dispersa. Ecco perché egli si proclama anche come il buon pastore venuto a radunare le pecore disperse. Gesù dirà infatti più tardi: “io e il Padre siamo una cosa sola” ( Gv 10,30 ). Questa unità non è più solo sul piano divino , ma si cala nella nostra umanità perché il Figlio Gesù ha preso le nostre sembianze, le nostre debolezze, le conseguenze dei nostri peccati. In questo eterno abbraccio tra il Padre e il Figlio, tutto ciò che appartiene alla fragilità della nostra natura assunta dal Figlio viene bruciato dal fuoco dello Spirito, dall'eterno amore che unisce il Padre e il Figlio, da quell'eccesso di amore vissuto sulla croce sul Golgota. 

Nessuno che si avvicina con fede al mistero del Figlio Gesù può sfuggire alla sua forza di salvezza, a questo fuoco d’amore che lega Gesù al Padre: l’amore per il quale Gesù ci è stato donato come mediatore e espiatore dei nostri peccati, e l’amore per il quale Gesù si è donato al Padre per portare tutti noi nella vita eterna. 

La risurrezione nell'ultimo giorno è difatti l’esito finale della vittoria di Cristo, e anche della nostra vittoria se avremo fiducia in Lui, abbracciando tutta intera la realtà della sua persona: se ci affideremo a Lui con perseveranza, se ci nutriremo del suo corpo-cibo di vita eterna, se vivremo il suo stesso stile di vita improntato alla gratuità e al dono.

La nostra speranza è proprio questa: nel ciclo quotidiano di giorni e notti, arriverà un giorno, l’ultimo appunto, in cui il sole non tramonterà più; ci sarà un giorno senza tramonto, il giorno di Cristo, in cui la sua luce trionferà e per tutti coloro che in Lui hanno sperato non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” ( Ap 21,4 ).

mercoledì 22 ottobre 2014

Commento al Vangelo della XXX Dom TO anno A; 26 ottobre 2014



Prendi due, Uno paga.


TESTO (Mt 22, 34-40)

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme35 e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:36 «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?».37 Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.38 Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.39 E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


COMMENTO

Il dottore della legge domanda un comandamento, il comandamento più importante, quello che veramente fonda tutti gli altri. Gesù ne da due, e non può fare a meno di rispondere così  proponendo due comandamenti che si rassomigliano a tal punto da essere una cosa sola.
San Giovanni nella sua prima lettera ce lo fa capire altrettanto chiaramente:
 "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore ….  Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi". (1Gv 4, 7- 12)  

La croce di Gesù è la spiegazione e l’esegesi più completa dell’amore che è Dio. Lui ci ha amato da morire. Se noi diciamo di amare Dio dobbiamo ri-trasmettere quello che abbiamo ricevuto, altrimenti  diciamo frottole, a noi stessi anzitutto.

"Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede". (1 Gv 4, 19 ).
Chi ha l’amore di Dio nel cuore fa tutto per amore. Chi non vive nell’amore di Dio, farà tutto per un tornaconto personale, anche si trattasse del gesto, in se stesso, più generoso e altruistico. 

Se la croce di Cristo è l’esegesi e la spiegazione più precisa del comandamento dell’amore, l’incarnazione è il presupposto della perfetta somiglianza di questi due precetti. Da quando Dio ha assunto un volto e una natura umana, ogni uomo,  specialmente  quello più fragile e sofferente, è diventato immagine del Cristo sofferente. Per questo dice Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” ( Mt 25,40 ). 

Quello che vivo con il fratello più vicino , il prossimo,  dice la verità di ciò che sto vivendo con Dio. Non a caso San Francesco d’Assisi testava la sincerità della vocazione dei suoi primi frati mandandoli ad assistere i lebbrosi. In effetti  senza radicamento  nella croce di Cristo, il fratello non è più il termine della donazione, di una carità totale, ma piuttosto strumento per andare oltre, per passare oltre, diventa una stazione di transito per raggiungere , a volte in modo molto subdolo, fini esclusivamente personali. Il fratello che mi vive accanto è dunque un esame di coscienza permanente.  

lunedì 13 ottobre 2014

Commento al Vangelo della XXIX Domenica del TO, anno A; 19 ottobre 2014



Non Sempre L’evasione Fiscale È Peccato 


TESTO
( Mt 22, 15 – 22)

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.


COMMENTO

La domanda dei discepoli dei farisei e degli erodiani  è veramente attuale: “ siamo obbligati a pagare le tasse? ”. Non conosciamo precisamente il livello di pressione fiscale dell’impero romano del tempo, ma sicuramente il pagamento delle imposte era cosa odiosa non meno di adesso, e non meno di adesso ognuno cercava e riusciva a evadere il fisco.

Per di più Gesù si trova davanti come interlocutori i rappresentanti di due opposte tendenze del mondo giudaico: i farisei, che si reclamavano ad un’austera purezza libera da ogni contagio e contatto col potere politico romano pagano, e gli erodiani che al contrario erano collaborazionisti con l’autorità imperiale.

Gesù tuttavia non si lascia intimorire perché, in base alle stesse parole di chi lo interpella, è veritiero,  insegna la via di Dio secondo verità e non ha soggezione di nessuno, perché non guarda in faccia ad alcuno. Ma questo non è segno di disprezzo degli uomini ma piuttosto sintomo del suo essere totalmente  rivolto al volto del Padre, della sua totale disposizione a  fare, anzitutto, la volontà di Dio. Proprio questa sua capacità di porsi di fronte a Dio nella verità lo rende pienamente  libero di fronte agli uomini. La storia di questi 20 secoli di cristianesimo d’altronde ce lo conferma: chi sa stare in ginocchio davanti a Dio è capace di restare sempre in piedi di fronte agli uomini. 

Come è diverso l’atteggiamento di quegli scribi che, interrogati sulla loro opinione riguardo l’autorità di Giovanni Battista, cominciarono a fare i conti con le possibili reazioni della folla e di Gesù ; talmente preoccupati delle critiche di chi  li ascoltava che preferirono tacere. Questa per altro è proprio l’ipocrisia di chi cerca prima la gloria e il consenso degli uomini e non la Verità con la “V” maiuscola. Gesù da uomo veramente libero non può disprezzare la concreta espressione dell’autorità politica, in quanto essa è la logica conseguenza del naturale tentativo dell’uomo di associarsi, di collaborare e di vivere insieme, ma antepone a tutto questo il rispetto dell’autorità di Dio.

Dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare significa proprio  tenere le cose al loro posto e secondo il loro ordine. Sganciare una qualsiasi autorità umana dal riferimento divino può portare all’idolatria e all’odio: alla totale anarchia e rifiuto di ogni regola civile da una parte, o al contrario all’impropria identificazione tra autorità divina e civile, come di fatto avveniva a quel tempo e che tante persecuzioni portò ai primi cristiani. 

La convivenza umana esige l'esercizio da parte di qualcuno dell’autorità politica ma il cittadino cristiano vi resta obbligato entro i limiti del rispetto della dignità dell’uomo  che Dio gli ha dato. Pagare le tasse dunque è e resta un dovere morale, a condizione però che non metta a rischio la sopravvivenza dell’uomo, della famiglia, delle sue minimali esigenze di coprirsi, di un tetto e di alimentarsi. Prima l’autorità e il rispetto della legge di Dio e poi quella degli uomini. 

martedì 7 ottobre 2014

Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del TO anno A; 12 ottobre 2014



Il paradiso non è solo per  i buoni 


TESTO ( Mt 22, 1-14 )

 Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


COMMENTO

Siamo usciti dalla vigna ed entriamo ora nella sala da pranzo. Lo scenario delle parabole di Gesù, dopo tre domeniche incentrate sulla vigna, diventa quello di una festa di nozze: una festa con un notevole e perfino esagerato coinvolgimento emotivo, tanto che gli invitati, oltre a rifiutare l’invito, arrivano ad uccidere i servi del re a loro inviati. Il re poi non è da meno, facendo uccidere a sua volta quegli invitati insensibili e snobbatori di così abbondante grazia. 
La posta in palio è molto più alta della semplice partecipazione ad una festa, qui ci si gioca veramente la vita!
La partecipazione allora a questo banchetto è questione di vita o di morte, dove non esiste una mezza misura tra una partecipazione festosa ad un evento gioioso e una “non esistenza”. O la vita è partecipazione e condivisione di una festa, oppure è un suicidio. Questo è un primo messaggio.

Ma la cosa ancor più interessante a mio parere arriva dopo, quando questo re decide di far partecipare al banchetto tutte le persone incontrate per strada dai servi. Cattivi e buoni. Molto interessante e intrigante: cattivi e buoni.
Gesù ci disorienta, mostra un atteggiamento molto meno moralista del senso religioso comune. Il problema della festa della vita non è essere buoni per meritare il premio, ma rivestirsi di un nuovo abito, o meglio di un nuovo “habitus”, cioè di un nuovo atteggiamento, quello dell’uomo nuovo, quello interpretato e incarnato dallo stesso uomo-Gesù di Nazareth. Ciò che conta è assumere il suo stesso stile di vita.  San Paolo ci dice ben a proposito di rivestirsi degli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Ogni uomo riceve in Cristo una reale possibilità di rivestirsi di una nuova vita, di una nuova esistenza, tutta di Cristo, e al tempo stesso tutta propria. 

E’ la Grazia di Gesù che cambia la vita. Chi potrà mai dire di essere buono o cattivo? Il criterio di discriminazione non ha un punto di appoggio se non è centrato sull’unico elemento umanamente più vero: l’uomo nuovo Cristo Gesù. Tutto è buono o cattivo solo in riferimento a Lui, dato che nessun uomo potrà mai vantare una sua bontà autonoma e personale sganciata da quella sua ‘veste’ di Amore gratuito e di misericordia infinita che solo lui ci può cucire addosso. 

Rivestire la veste nuziale significa allora rivestirsi delle vesti scomode e sporche dei fratelli più deboli, fragili, disagiati e sofferenti; mettersi nei panni di chi le tante situazioni della vita hanno lasciato a piedi e camminare accanto a lui, come avrebbe fatto Gesù, come avrebbe fatto Francesco d’Assisi che nella scelta di spogliarsi delle vesti lussuose del Padre e di rivestirsi di una semplice tonaca trovò accesso alla festa della vita, la festa di chi ha capito che la gioia non sta nel possedere e nell’avere sempre di più ma nel dare, nel donare e nell’aprire il cuore alla necessità di chi piange.