venerdì 27 maggio 2011

Commento al Vangelo VI Dom Pasqua 29 maggio 2011

Figli di chi ?
(cf Gv 14, 15-21)

Testo

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Commento

Figli di chi? E’ una domanda che ci potrebbe far tornare indietro nel tempo, ad altre epoche della storia quando la famiglia, il lignaggio, la parentela e la classe sociale contavano più della persona e del valore realmente dimostrato. Anche qui in Bénin la paternità identifica in maniera chiarissima la persona. Molti cognomi finiscono con il suffisso “vi” che significa “figlio di” e allora non è infrequente sentire cognomi come Akakpovi (figlio di Akakpo), Adjovi (figlio di Adjo), Lokovi (figlio di Loko).
Oltre a questo la paternità identifica anche colui che genera: devo confessare che ancora non conosco il nome del signore e della signora che vengono a darci una mano per lavorare la terra del convento qui a Ouidah. Da tutti sono conosciuti come Papà Claude e Maman Claude, cioè il papà e la mamma di Claude, che sarebbe il primogenito dei loro cinque figli: l’essere padre o madre di qualcuno identifica dunque anche i genitori. Per questo quando delle ragazze italiane vengono qui rimangono un po’ stupite del fatto che la prima domanda che la gente pone loro non è se sono sposate o fidanzate, ma se hanno figli e quanti.

La paternità di Dio non è privilegio esclusivo di qualcuno ma un dono gratuito per ogni uomo, anche per quelli che purtroppo non arriveranno mai ad ascoltare queste stupende parole di Gesù: “Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi”. Questa paternità non si esaurisce nell’atto creativo di un momento, come se Egli fosse quel grande orologiaio di cui qualcuno ha parlato, che costruisce una sveglia e dopo averla caricata aspetta passivamente che s’arresti. Se si vuole restare nell’esempio, dovremmo piuttosto dire che se il Signore è un orologiaio, i suoi orologi vanno tutti a corrente elettrica e continuano a funzionare perché Lui non lascia un solo attimo senza corrente elettrica la sua bottega planetaria. La creazione è un atto d’amore infinito che ci genera e ri-genera attimo per attimo.

La paternità di Dio che si manifesta nella creazione e ancor più nella seconda creazione, cioè la redenzione operata da suo Figlio unigenito Gesù Cristo, è un atto d’amore senza fine, un respiro che non si esaurirà più, neppure alla fine del mondo: fin tanto che Lui è Dio, noi resteremo sempre figli suoi. La promessa di Gesù è degna di fede: ”Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi”. Proprio Gesù è colui che ristabilisce i “collegamenti” interrotti, colui che dal Padre è venuto per amore e al Padre ritorna per ristabilire da parte dell’uomo l’accoglienza a questo paterno amore, un’accoglienza perduta col peccato di Adamo e i peccati a seguire; una paternità quindi che non ci è stata mai tolta, ma che l’uomo da un certo momento in poi ha escluso dal panorama delle sue scelte. Gesù è venuto per mostrarci il volto misericordioso del Padre e ritorna al Padre per mostrare a Lui il volto accogliente e pentito di una umanità rinnovata, purificata e riconciliata.
 Nell’attesa del suo ritorno Gesù implora per noi dal Padre la più bella consolazione, il dono dell’amore stesso. Nel Vangelo di Domenica scorsa Gesù si è definito la via, la verità, la vita: dunque lo spirito di verità è il suo stesso spirito, il suo stesso soffio d’amore, un soffio che lo ha sospinto verso di noi e che nel momento della sua morte rimetterà nelle mani del Padre. (“Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” - Lc 23,45 -). Il grande Consolatore è un amore inossidabile, è l’amore divino, è la terza persona della Trinità, è l’amore “andata e ritorno”; il mondo non lo conosce perché non ha riconosciuto in Gesù l’inviato del Padre; il mondo che cerca se stesso non può comprendere il linguaggio del dono e della gratuità usato da Gesù.

E noi, sotto quale paternità ci vogliamo mettere? Vogliamo vivere di questo amore o di qualcosa d’altro? Se fossimo coscienti che siamo stati fatti per saziarci dell’amore di Dio, come potremmo pensare di trovare dei sostitutivi a un amore così immenso? Quale altra consolazione il nostro cuore potrà trovare per rimpiazzare ciò che viene da Dio, che è immenso, infinito, sublime e che è Dio stesso? San Francesco inizia proprio così il Cantico di Frate Sole: “Altissimo, Onnipotente, Bon Signore, tue so’le laude , la Gloria l’Onore et omne benedictione. A te solo se konfanno o Altissimo, et nullo homo è digno te mentovare”.

Sotto quale paternità ci vogliamo mettere?
Un’altra immagine mi viene in mente a partire dagli usi locali beninesi. Quando c’è la morte di un papà (o più raramente di una mamma) tutti i vari figli provvedono innanzitutto a far conservare il corpo in una cella frigorifera all’obitorio. Nel frattempo i figli delle varie mogli si rintracciano e organizzano il ricevimento e le celebrazioni varie. La cosa significativa è che i figli e nipoti del defunto si raggruppano a seconda della moglie da cui provengono e quelli che discendono dalla stessa madre preparano per il giorno del funerale un abito dello stesso colore e tipo, in maniera tale da identificarsi chiaramente.  Questo mi fa’ riflettere sul fatto che anche noi dobbiamo scegliere un “habitus”, un comportamento che identifichi la nostra figliolanza. Per noi obbedire ai comandamenti di Gesù significa infatti scegliere di rientrare nel solco della sua figliolanza divina, scegliere il suo stesso itinerario, vivere la sua Grazia e della sua Grazia, cioè del suo amore. “Cristo Gesù patì per voi, lasciandovi un esempio, affinché ne seguiate le orme” – 1 Pt 2,21-.

Scegliere il peccato sarebbe invece come scegliere di restare al buio quando fuori splende il sole, rifiutare di godere i benefici della paternità di Dio che non vuole imporsi per forza a nessuno! Ancora San Francesco, questa volta in fondo al Cantico di Frate Sole, dice: “Laudato sii mio Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale nullo homo vivente può scappare. Guai a quelli che muoiono nei peccati mortali, beati quelli che ella troverà nelle tue volontà, che’ la seconda morte non gli farà male!”

Oggi, 27 maggio 2011, mancano 175 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI in Bénin.

sabato 21 maggio 2011

Commento al Vangelo V Dom Pasqua 22 mag 2011

Incontro a mezza strada
(cf Gv 14,1-12)

Testo :
1 «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
2 Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
3 quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.
4 E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».
5 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?».6 Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
7 Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
8 Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
9 Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?
10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere.
11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
12 In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.

Commento:
Basterebbe un colpo d’occhio superficiale da turista per capire che qui in Bénin Dio è importante e oggetto di molte aspettative; cosa ci sia poi sotto questo nome, o cosa si intenda e come lo si concepisca è tutto un altro discorso; ad esempio la nomenclatura dei locali ( bar, ristoranti, lavanderie etc.): “Jésus le bon Pasteur" (Gesù Buon Pastore), “Le Seigneur est le Sauver" (Il Signore è salvatore), “La puissance de Dieu" (La potenza di Dio); oppure le scritte appiccicate dietro ai camion o nelle vetture in generale: “Dieu s’en charge” (ci pensa Dio), “ne t’inquiete pas, Dieu s’en occupe” (non ti inquietare, se ne occupa Dio), “Mawu na blo” (Dio farà, in fon); “Dieu est le Toutpuissant” (Dio è l’Onnipotente), “Le Seigneur est au travail” (il Signore è al lavoro).
Una fiducia illimitata sembra giacere sotto la pelle dei nostri fratelli beninesi  e d’altronde è il Signore stesso che ci invita ad avere fede e a non avere il cuore turbato: “vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”. Scorrendo il brano di questa Domenica  ci si accorge poi che la  fede non è solo attesa ma anche un cammino e che per arrivare alla casa del Padre bisogna passare tramite Gesù stesso. Su questo cammino ci sono delle cose da fare, non è una semplice passeggiata, ci sono delle opere da compiere che saranno addirittura più grandi di quelle fatte da Gesù stesso.
Il tutto potrebbe essere riassunto dicendo che mentre Gesù ci viene incontro, noi dobbiamo andare incontro a Lui. Tutto quello che era necessario per salvarci Gesù l’ha già fatto; nel tempo presente il nostro compito è di accogliere e assumere su di noi questo destino di salvezza camminando verso Lui e vivendo nell’osservanza dei suoi comandamenti. Gesù è il nostro cammino ma nello stesso tempo è anche il nostro punto d’arrivo, la nostra destinazione, il “luogo” e la persona dove possiamo trovare la casa del Padre, cioè casa nostra. La fede è un cammino lungo il quale la vita di Cristo deve divenire pian piano anche la nostra, un cammino lungo il quale apprendere tutta la verità di ciò che sono.
Sarà bene ricordare che se Gesù è la via per tornare “a casa”, si tratta sempre e comunque di una “via crucis”. Come San Paolo dobbiamo dire (cf Col 1,24) “completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo”. L’esperienza di Gesù deve diventare anche mia esperienza personale e la sola cosa che “manca” alla realizzazione della mia salvezza è il mio “si” incondizionato alla sua volontà, un “si” detto con tutta la mia vita, anche nel dolore e nello sconforto, sapendo che dove c’è la croce sovrabbondano le consolazioni del Signore: la croce accolta per amore di Dio è l'unico luogo dove si può pregustare qui in terra la gioia del Paradiso.
P. Pio da Pietrelcina è stato un uomo che ha sofferto moltissimo, eppure lui stesso diceva che sperimentava tali e tante consolazioni da parte del Signore che a volte si sentiva quasi sulla soglia del Paradiso.

Résumé en français
Se rencontrer à mi-chemin ! Jésus nous l’a promis : il est parti nous préparer un siège, une place, il n’y a rien à craindre. Notre confiance en  Jésus doit être ferme et absolue : il reviendra nous chercher, « à nouveau je viendrai et je vous prendrai près de moi ». De l’autre côté Jésus nous dit que Lui, il est le chemin et que « nul ne vient au Père que par moi » ; c’est pas suffisant d’attendre la pluie qui tombe du ciel, c'est-à-dire d’attendre sans rien faire le retour du Seigneur. Entre-temps il nous faut parcourir notre chemin et notre chemin pour le retour à la maison du Père est seulement un : le Christ Jésus. Il s’agit d’accueillir sa vérité, la vérité de ses commandements, il s’agit d’accueillir sa vie, la vie de la Grâce divine qui nous est donnée par Lui, il s’agit de témoigner de Lui à travers non œuvres.
Nous ne pouvons pas oublier, par ailleurs,  que si Jésus est le chemin, ce chemin-ci sera forcement un « chemin de croix ». Encore une fois Jésus est là pour nous dire « que votre cœur ne se trouble pas ». Celui qui accueille la croix par amour de Dieu fera en même temps l’expérience de ses innombrables consolations. La seul possibilité qui nous est donnée d’avoir d’ici-bas un avant-gout de la joie du Paradis, c’est « d’embrasser» la croix de Jésus! Jésus reviendra nous chercher mais, en ce moment-là, est-ce qu’Il nous trouvera en marche ?

 Oggi, 21 maggio 2011, mancano 181 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI in Bénin

venerdì 13 maggio 2011

Commento al Vangelo IV Dom Pasqua 15 mag 2011

C'è Porta e Porta
(cf Gv 10,1-10)

Testo
1 «In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.2 Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.4 E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».6 Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
7 Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.
8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.
9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
 
Commento:
Qui a Ouidah, a 10 – 12 Km dal nostro convento , sono stati posti in riva all’Oceano due monumenti commemorativi che potrebbero riassumere i due eventi più significativi della storia del Bénin (ex regno del Dahomey).  Il primo per ordine di importanza e di celebrità si chiama “La porte du non retour” (la porta del non ritorno). Al di la’ della discutibile bellezza, questa specie di arco di cemento vuole ricordare che in quel punto della spiaggia, dal 1780 al 1848 (anno di abolizione dello schiavismo portoghese) furono imbarcati nelle navi negriere direzione Brasile, qualcosa come 3 milioni e mezzo di uomini e donne, fatti schiavi dai re delle tribù nemiche e venduti ai commercianti portoghesi per qualche coccio di vetro, qualche pistola o qualche cannone. La metà del “carico” moriva in viaggio e veniva gettato in mare, ma il margine di guadagno era talmente alto che ne valeva comunque la pena, per i commercianti ovviamente. Il monumento è stato chiamato porta del non ritorno perché coloro che sono stati imbarcati incatenati in quel punto della spiaggia, generalmente non sono più tornati.
Un po’ più in la’, 2 – 300 metri circa, più recentemente è stato posto sulla spiaggia un altro monumento: “La porte de l’Evangelisation” (la porta dell’evangelizzazione): esso commemora l’arrivo dei primi missionari cristiani il 18 aprile 1861. Proprio per celebrare il 150° anniversario dell’evangelizzazione del Bénin, il Papa Benedetto XVI verrà qui in Bénin il 18 novembre prossimo. Due monumenti, due “porte”, due avvenimenti, ma soprattutto due modi di entrare in relazione con l’uomo, con un popolo, con dei fratelli in Cristo, anche se non se ne è coscienti.
Il Vangelo di oggi ci dice che c’è una sola porta per accedere al recinto delle pecore e di fatto una delle due porte  sulla spiaggia di Ouidah è una “non porta”, è il simbolo di chi è partito ma soprattutto di chi è venuto per rubare, uccidere e umiliare, di tutto coloro che sono venuti “prima” di Cristo. La porta dell’evangelizzazione è la porta attraverso la quale è passato Cristo nella persona dei suoi discepoli, arrivati 1800 anni dopo. A dir il vero già nel 1600 arrivarono dei missionari cappuccini e anche loro passarono per la porta dell’evangelizzazione, cioè passarono attraverso la vera e sola porta dell'ovile, perché quei popoli ricevessero la vita, e la vita in abbondanza, cioè per l’eternità. Dopo una settimana ne morirono una metà e l’altra metà fu costretta a ripartire dopo poco, decretando così il "fallimento" di quel primo viaggio missionario; erano venuti per donare e non per rubare. La loro voce tuttavia ancora parla e annuncia la Parola di salvezza, cioè la parola della croce redentrice. Sulle loro orme altri cappuccini arrivarono qui in Bénin a partire dal 1987, questa volta dalle Marche: di questi fra Michele Peirano dopo due anni è ritornato al Padre, fra Vittore è rientrato in Italia per seri motivi di salute, fra Giansante è rientrato in Italia due anni fa' per epatite B fulminante e oggi ricorre il 2° anniversario del suo trapianto di fegato.
Noi conosciamo bene, dunque, la forma che deve avere quell’unica porta d’accesso al recinto del gregge, la porta alla quale Gesù stesso si paragona: è la forma della croce. I farisei cercavano gloria l’uno dall’altro, cercavano di fare a tutti i costi proseliti (e Gesù dice che poi trovatone uno, erano capaci di renderlo pure peggio di loro) ma lo facevano più per affermare il loro prestigio che per la gloria di Dio. Chi è venuto dopo Gesù e in nome di Gesù, non è venuto per “rubare” ma per donare, meglio ancora, per donarsi e dare la propria vita, scegliendo di passare per la porta della croce.
Il segno più sicuro di credibilità di colui che pretende essere pastore degli altri è il sacrificio di sé, sull’esempio di Gesù. Chi non accetta di perdere qualcosa, chi non accetta di rischiare un po’ della sua vita, di perdersi per gli altri, rende palese la ricerca di fini personali e egoistici, la ricerca dell’auto-affermazione, la meschina ambizione di dire a se stesso e far dire agli altri: “… ma guardate quante pecore nel mio recinto!!! Sono o non sono un buon pastore!?”
Colui che si dona invece vuole solo che gli altri abbiano la vita, e la vita in abbondanza. cosicché ognuno “… entrerà, uscirà e troverà pascolo”. San Paolo direbbe: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Cor1,24). Che ognuno scelga la sua porta, ma quella che permette di accedere al cuore degli uomini è solo una: Cristo Gesù.

Oggi, 13 maggio 2011, mancano 189 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI in Bénin.

sabato 7 maggio 2011

Commento al Vangelo III Dom Pasqua 8 maggio 2011

DISCRETAMENTE VICINI
(cfr Lc 24,13-35)


TESTO

13 Et voici que, ce même jour, deux d'entre eux faisaient route vers un village du nom d'Emmaüs, distant de Jérusalem de 60 stades, 14 et ils conversaient entre eux de tout ce qui était arrivé. 15 Et il advint, comme ils conversaient et discutaient ensemble, que Jésus en personne s'approcha, et il faisait route avec eux; 16 mais leurs yeux étaient empêchés de le reconnaître. 17 Il Leur dit: "Quels sont donc ces propos que vous échangez en marchant?" Et ils s'arrêtèrent, le visage sombre.
18 Prenant la parole, l'un d'eux, nommé Cléophas, lui dit: "Tu es bien le seul habitant de Jérusalem à ignorer ce qui y est arrivé ces jours-ci"  -- 19 "Quoi donc?" Leur dit-il. Ils lui dirent: "Ce qui concerne Jésus le Nazarénien, qui s'est montré un prophète puissant en oeuvres et en paroles devant Dieu et devant tout le peuple, 20 comment nos grands prêtres et nos chefs l'ont livré pour être condamné à mort et l'ont crucifié. 21 Nous espérions, nous, que c'était lui qui allait délivrer Israël; mais avec tout cela, voilà le troisième jour depuis que ces choses sont arrivées! 22 Quelques femmes qui sont des nôtres nous ont, il est vrai, stupéfiés. S'étant rendues de grand matin au tombeau 23 et n'ayant pas trouvé son corps, elles sont revenues nous dire qu'elles ont même eu la vision d'anges qui le disent vivant. 24 Quelques-uns des nôtres sont allés au tombeau et ont trouvé les choses tout comme les femmes avaient dit; mais lui, ils ne l'ont pas vu!"
25 Alors il leur dit: "O coeurs sans intelligence, lents à croire à tout ce qu'ont annoncé les Prophètes! 26 Ne fallait-il pas que le Christ endurât ces souffrances pour entrer dans sa gloire?" 27 Et, commençant par Moïse et parcourant tous les Prophètes, il leur interpréta dans toutes les Ecritures ce qui le concernait.
28 Quand ils furent près du village où ils se rendaient, il fit semblant d'aller plus loin. 29 Mais ils le pressèrent en disant: "Reste avec nous, car le soir tombe et le jour déjà touche à son terme." Il entra donc pour rester avec eux. 30 Et il advint, comme il était à table avec eux, qu'il prit le pain, dit la bénédiction, puis le rompit et le leur donna. 31 Leurs yeux s'ouvrirent et ils le reconnurent... mais il avait disparu de devant eux. 32 Et ils se dirent l'un à l'autre: "Notre coeur n'était-il pas tout brûlant au-dedans de nous, quand il nous parlait en chemin, quand il nous expliquait les Ecritures?"
33 A cette heure même, ils partirent et s'en retournèrent à Jérusalem. Ils trouvèrent réunis les Onze et leurs compagnons, 34 qui dirent: "C'est bien vrai! le Seigneur est ressuscité et il est apparu à Simon!" 35 Et eux de raconter ce qui s'était passé en chemin, et comment ils l'avaient reconnu à la fraction du pain.


COMMENTO
Un giornalista di Cotonou, fervente cattolico, mi ha espresso un giorno la sua preoccupazione per i tanti battezzati cattolici che passano o ritornano nelle varie sette esistenti. Mi diceva che a suo dire nella Chiesa Cattolica locale, soprattutto qui nel sud del Bénin dove è maggioritaria, tanti ne entrano e tanti ne escono. Non ho il polso della situazione per poter dire se ha ragione oppure no; certo è che comunque non sono pochi quelli che, pur battezzati, non esitano a tornare dai fattucchieri, dagli indovini, o a buttarsi nelle varie denominazioni di gruppi cristiani o se dicenti tali. In questo ambiente la sofferenza fisica, la penuria di mezzi per curarsi, la ricerca di benessere spinge spesso a delle scorciatoie di questo tipo. E’ lecito domandarsi cosa erano venuti a cercare nella Chiesa di Cristo, cosa li ha delusi in seguito, e quale liberazione speravano di trovare. Per noi missionari di Cristo è ancor più urgente e opportuno domandarsi quali mezzi abbiamo impiegato noi, per impersonare quel Gesù risorto che si fa accanto a questi due uomini delusi in cammino verso Emmaus. Gesù ha fatto qualcosa di molto semplice: si è fatto raccontare la storia di quegli ultimi giorni, la storia di quegli straordinari eventi quale essi stessi l’avevano vissuta. Il Vangelo ci dice che i loro occhi non erano stati capaci di riconoscere Gesù, che avevano il volto triste, che fino a qualche momento prima avevano sperato che fosse stato proprio Gesù a liberare Israele. Gesù ascolta pazientemente e poi comincia a spiegare loro tutto ciò che nelle scritture lo riguardava,  ed è così che il cuore dei due discepoli inizia a scaldarsi, i loro occhi tornano a vedere, fino alla sera quando lo riconoscono mentre spezza il pane. Credo che questo brano sia meno un rimprovero dell’incredulità dei due discepoli delusi, per quanto Gesù li definisca “cuori senza intelligenza e lenti a credere”, e più un esempio per tutti noi cristiani, chiamati ad essere testimoni di Gesù. La verità ha bisogno di relazione per comunicarsi, ha bisogno di ascolto. Noi frati, preti e cristiani in genere impegnati nell’evangelizzazione, dovremmo imparare a predicare un minuto per ogni 10 minuti di ascolto.
Qui in Bénin, come altrove e come in tutti i luoghi del mondo, immagino,  l’annuncio cristiano ha bisogno di passare attraverso una relazione di amicizia, di comunione, di dialogo. La dimensione relazionale è di un’importanza cruciale. In un incontro diocesano di tutti i giovani di Cotonou un giovane è andato al microfono per lamentarsi del fatto che molto spesso non si sentono seguiti, che i loro preti non hanno tempo per loro.  Gesù risorto si comunica attraverso una comprensione progressiva di tutto ciò che lo riguarda e tale comprensione può passare solo da cuore a cuore, da una esistenza all’altra, anche attraverso delle domande banali: come quando un ragazzo di qui mi ha chiesto perché nel Vangelo non si dice mai che Gesù si sia messo a ridere.


Résumé en français

L’Evangile de ce troisième dimanche de Pâque, nous donne plusieurs messages mais j’aimerais souligner et mettre en exergue la méthode pastorale de Jésus, c'est-à-dire la manière de susciter dans ses deux disciples la foi en sa résurrection.
Il y a deux disciples déçus qui sont en train de quitter Jérusalem. La suite du récit nous apprend qu’ils ont perdu toute espérance en Jésus de Nazareth. Ils disent : « Nous espérions, nous, que c'était lui qui allait délivrer Israël ». Peut-être que c’est bien à cause de leur tristesse qu’ils n’arrivent même pas à reconnaitre Jésus qui au long du chemin se joint à eux. Jésus ne se révèle pas à eux d’emblé mais il les écoute d’abord, et les interroge même :  "Quels sont donc ces propos que vous échangez en marchant?"
C’est seulement après leur récit et après leur avoir reproché leur incrédulité que Jésus  « commençant par Moïse et parcourant tous les Prophètes, il leur interpréta dans toutes les Ecritures ce qui le concernait ». Il se dégage là une très belle leçon de théologie pastorale : se joindre à ceux qui sont en chemin et écouter avant d’enseigner. Nous devrions apprendre le style de Jésus. Si voulons témoigner et susciter la foi, il faudrait bien que nous soyons capables de partager les préoccupations, les déceptions et les inquiétudes de nos frères ; comment la foi pourra-t-elle jaillir dans les cœurs de nos contemporains si ceux-ci ne trouvaient pas des compagnons de voyage qui patiemment les accompagneront à la table sainte ? Comment eux pourront-ils reconnaitre Jésus dans le Sacrement de l’autel si personne ne leur interprète la Parole de Dieu ? Et encore, qui voudra nous écouter si nous ne sommes pas les premiers à écouter ?     

Oggi, sabato 7 maggio 2011, mancano 195 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI in Bénin.