venerdì 27 marzo 2015

Commento al Vangelo della Domenica delle Palme, 29 marzo 2015



DOVE  è  LA  VITTORIA?



TESTO ( brano estratto:  Mc 15, 24-32 )

24 Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. 25 Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. 26 E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. 27 Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra. 28 .
29 I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, 30 salva te stesso scendendo dalla croce!». 31 Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: «Ha salvato altri, non può salvare se stesso! 32 Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.


COMMENTO

Gli antichi romani dicevano che la vittoria ha sempre molti padri ma la sconfitta è sempre orfana. Nell’ingresso a Gerusalemme la folla addirittura stende mantelli per terra al passaggio di Gesù inneggiando a lui come l’inviato del Signore a stabilire il Regno di Davide. 

Tanto plateale quell’entusiasmo quanto effimero! Nulla di falso in quelle acclamazioni ma la regalità di Gesù non passa per gli esiti favorevoli degli “exit poll” di una consultazione popolare o di un sondaggio di opinione. Al contrario, la regalità di Gesù si afferma nell’offerta totale della propria vita, nel dono di sé, nella coerenza al messaggio dell’amore misericordioso di Dio  che giunge fino all’estremo di accettare la condanna a morte senza opporsi ma anzi invocando misericordia per gli uccisori, perché “non sanno quello che fanno”. 

In questo spaccato della sua passione vediamo Gesù abbandonato, orfano e anzi deriso per non essere capace di sfuggire alla sua tragica condanna, come avrebbero voluto quei passanti sotto la croce, spettatori distratti e superficiali, come lo siamo anche noi di fronte al grande mistero della sofferenza.  Al contrario questo momento è luogo di definitiva affermazione della sua potenza, perché egli salva se stesso, e quindi anche noi, non scendendo dalla croce ma offrendo la sua vita in sacrificio. 

La sua offerta, il suo sacrificio ci commuove e cambia le nostre domande: la vecchia e solita domanda: “perché Dio tu permetti la sofferenza nel mondo e il dolore innocente, diventerà: “Perché Dio hai scelto di farti vittima del male nel mondo e di essere vittima innocente per tutti i nostri peccati? Perché questo e non un altro modo di perdonare il peccato dell’uomo?

venerdì 20 marzo 2015

Commento al vangelo della V Domenica di Quaresima anno B; 22 marzo 2015




Dalle Stelle alla terra  …  Andata e Ritorno


TESTO ( Gv 12, 20-33 )

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». 
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.


COMMENTO

Il chicco di grano caduto in terra non può permanere nella sua solitaria integrità, altrimenti non servirebbe, anzi per sua natura è destinato a morire e a moltiplicarsi facendo germogliare altri chicchi, e per far questo deve  immergersi nella terra in cui è stato gettato. 

Anche l’itinerario del Signore Gesù è stato un immergersi nella nostra umanità fino ad assimilarsi alle nostre fragilità fino alla croce per poi riemergere nella risurrezione.
Così deve essere di ogni uomo che riconosce in Cristo il suo stesso destino di luce e gloria infinita. A differenza di un chicco di grano, noi uomini possiamo decidere se compiere o no questo itinerario di abbassamento, di morte a noi stessi. Non è facile, bisogna riconoscerlo, accettare di morire nella terra della comunione ecclesiale con  altri fratelli nella fede, perché ognuno si sente di poter praticare il suo cammino da solo, senza bisogno di altri, e questa è la constatazione più frequente. 

Morire a se stessi significa anche, per chi invece vive e cammina all’interno della comunità ecclesiale,  non cercare la propria gloria ma quella di Dio, ma anche in questo caso come è facile riscontrare cammini molto personalizzati dove il servizio diventa piuttosto vetrina di esibizione anziché luogo di donazione!

Il Signore Gesù  attira tutti a sé, la sua morte e l’intensità della sua misericordia vissute sulla croce dovrebbero suscitare stupore, destare ammirazione, e porre interrogativi. Lasciamoci toccare da quell’eccesso d’amore, come direbbe San Francesco d’Assisi, che ha condotto Gesù non tanto ad amare il sacrifico, ma ad amare fino al sacrificio.

venerdì 13 marzo 2015

Commento al Vangelo della IV Domenica di Quaresima, anno B; 15 marzo 2015



UN INFALLIBILE AVVOCATO


TESTO  (Gv 3, 14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».


COMMENTO

Il libro dei Numeri (al capitolo 21) ci racconta l’episodio a cui Gesù fa riferimento; era  successo che nella fatica dell’esodo verso la terra promessa gli israeliti avevano rimpianto la schiavitù d’Egitto e mormorato contro Mosè tanto che Dio aveva loro mandato dei serpenti velenosi per punirli. L’unico rimedio che venne offerto, di fronte al pentimento degli israeliti, fu di rivolgere lo sguardo ad un serpente di bronzo innalzato dallo stesso Mosè sopra un’asta.

Siamo nell’antico testamento e certamente gli episodi storici sono interpretati in modo molto semplificato e con delle relazioni di causa-effetto molto stilizzate, tuttavia essi sono delle figure molto espressive della realtà definitiva della nostra salvezza che è Cristo Gesù, innalzato sull’asta della croce, per salvarci da tutti i peccati portando nella vita eterna tutti quelli che con fede, in ogni luogo del mondo ed in ogni epoca della storia, volgeranno a lui lo sguardo del proprio cuore. Secondo questa immagine, dunque, Gesù è il nuovo serpente di bronzo perché in lui si concentra per essere sconfitto tutto il peccato del mondo e l’uomo sarà chiamato a riconoscere questo innalzamento come la sua unica possibilità di salvezza, l’unica luce,  per non smarrirsi nelle tenebre della morte eterna.

Il passaggio dalle colorite descrizioni dell’Antico Testamento alla piena rivelazione della misericordia di Dio rivelata in Cristo Gesù ci fa comprendere perciò la vera natura della missione di Gesù. L’eventuale condanna eterna, o seconda morte, come la chiama il libro dell’Apocalisse, non deve essere più erroneamente considerata una condanna divina , ma piuttosto la logica conseguenza del rifiuto della salvezza proposta all’uomo nella persona di Gesù … che chiede di essere accolto, per dare vita, per dare gioia, per dare pienezza all’esistenza dell’uomo.

Come tanti parroci anche io nella mia Parrocchia di Pesaro sto ultimando le benedizioni delle famiglie in occasione della Santa Pasqua, incontrando e ascoltando tante situazioni di fatica, di prova, spesso di vera e propria sofferenza. Le parole di Gesù appena ascoltate mi fanno pensare che lui, in particolare la sua croce, è l’unica via d’uscita da tutti i rancori, le frustrazioni e le sconfitte che la storia personale può  riservare. Vi confesso che in 46 anni di vita, una piccola parte dei quali vissuti in missione in Africa, non credo di aver mai incontrato una persona intrinsecamente cattiva, ma solo persone sofferenti con enormi ferite nel cuore, incapaci di farsene una ragione, istintivamente portati a vomitare sugli altri tutte le piccole o grandi violenze subite. Non ci sono uomini cattivi, ma uomini incapaci di digerire le cattiverie subite. Solo Gesù innalzato sulla croce salva dalla morte, non solo quella eterna della condanna definitiva, ma anche dalla morte del cuore che ci rende incapaci di perdonare, di accogliere, di scusare. Gesù innalzato sulla croce mostra al mondo il volto misericordioso di Dio Padre e chiede ad ognuno, non tanto di giustificare ma di comprendere, non di condannare ma di accogliere, non di respingere ed emarginare ma di custodire. Quel volto ci interpella e getta luce sull’ombra spesso molto lunga di tante brutte esperienze subite o fatte subire agli altri: non accogliere questa Luce sarebbe un vero Peccato!

venerdì 6 marzo 2015

Commento al Vangelo della III Domenica di Quaresima, anno B - 8 marzo 2015.



VECCHI E NUOVI TEMPLI


TESTO (Gv 2,13-25)

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». 
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del Tempio del suo corpo. 
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.


COMMENTO

La parola “tempio” evoca sacralità, luogo consacrato a qualcosa o a qualcuno, intensiva presenza e profonda espressione di un’attività umana: uno stadio può allora diventare il tempio del calcio, una Borsa valori il tempio della finanza, un teatro il tempio della lirica o un parlamento il tempio della politica. In questo senso il tempio di Gerusalemme era il tempio di Dio, luogo in cui gli ebrei percepivano la massima presenza di Dio, e non a caso dentro la stanza più interna e più sacra (detta appunto “il santo dei santi”) vi era l’arca dell’alleanza che custodiva a sua volta le tavole della legge consegnate da Dio a Mosè sul monte Sinai. 

Effettivamente però, al tempo di Gesù questo luogo di massima espressione del culto ebraico era oggetto di profanazione perché anziché la ricerca del contatto con Dio era divenuto per molti luogo di ricerca di arricchimento e tutte le attività collaterali di commercio che in teoria dovevano essere a servizio del culto erano divenute esse stesse oggetto di culto.

Gesù si propone allora come nuovo tempio, distrutto nella sua passione e morte, ma ricostruito dopo tre giorni nella risurrezione per riportare Dio al centro della vita dell’uomo. Il nuovo culto iniziato da Gesù deve avvenire dentro la sua umanità rinnovata, nel suo corpo spirituale, la Chiesa apostolica fondata su Pietro e i suoi legittimi successori, per poter offrire, si questa volta, sacrifici a Dio graditi. 
Entrati in questo nuovo tempio attraverso la porta di ingresso del Battesimo, non si tratta più di offrire pecore, colombe o buoi ma la propria stessa vita  per testimoniare l’amore di Dio e per amare i fratelli, dai più prossimi ai più lontani. 

Col Battesimo è Dio stesso che ci da la forza di vivere questo amore, di portare e sopportare le mille fatiche e prove di ogni giorno, ma anche di saper ringraziare per i doni ricevuti, e di sperare il Paradiso eterno.
Chi liberamente sceglie di abitare questo nuovo tempio assume anche una nuova intimità divina e apprende progressivamente a vivere come Cristo ha vissuto, con i suoi stessi sentimenti e pensieri. Perché, dice San Giovanni, “chi dice di rimanere in lui, deve camminare com'egli camminò” (1 Gv 2,6) e “se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo” ( 2 Tim 2,12 ).