venerdì 29 aprile 2016

Commento al Vangelo della VI Domenica di Pasqua



INDOVINA CHI VIENE A CENA !


TESTO ( Gv 14,23-29 )

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: 
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».


COMMENTO

In una delle sue prime riflessioni, Papa Francesco ha paragonato il cuore dell’uomo a una casa, e rifacendosi all’esempio fatto anche da Gesù nel Vangelo, ha esortato a fare ben attenzione a chi e a che cosa entra nella casa del nostro cuore.  A volte entrano pensieri cattivi, cioè cattive ispirazioni, cattive intenzioni che possono turbarci e togliere la pace; altre volte invece entrano spiriti amici, cioè delle buone ispirazioni che orientano al bene i nostri desideri  e le nostre scelte, piccole o grandi, della nostra giornata. 

Mi sembra che in questo brano del Vangelo proprio a questo Gesù ci esorti: vivere nel suo amore, fidarsi e affidarsi alla sua Parola, obbedire ai suoi comandamenti non in maniera fredda, distaccata, come per paura di un castigo (perché chi teme non è perfetto nell’amore) ma per la certezza di fede che nei suoi precetti di vita c’è pace e gioia vera per la vita dell’uomo. Non come la dà il mondo Gesù può darci la pace, perché la pace può venirci solo dallo stare alla sua presenza, dal permettere a Lui di prendere dimora nella nostra coscienza, Lui che solo conosce per che cosa siamo fatti e il percorso della nostra felicità. 

“Ascoltare Israele” ; è questo l’inizio di un brano della Bibbia che gli ebrei ripetevano tutti i giorni, per ricordare che il primo comandamento è l’ascolto della parola e della volontà di Dio. Dalla sua Parola provengono le buone ispirazioni che orientano al Bene sommo tutto ciò che facciamo e progettiamo; così facendo la nostra casa, il nostro cuore è custodito e protetto dal male e Dio può prendere dimora, può trovare accoglienza permanente. Nell’Apocalisse il Signore dice “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. ( Ap 3,20 )

 Nella nostra giornata affollano le nostre orecchie tanti messaggi pubblicitari, consigli per gli acquisti, proposte di vario tipo, ma il Signore continua sempre, nelle occasioni più impensabili e semplici a sussurrarci le sue parole. Non corriamo il rischio di lasciargli la porta chiusa. Lui porta la pace vera!  

martedì 19 aprile 2016

Commento al Vangelo della V Domenica di Pasqua anno C; 24 aprile 2016



L’Amore (vero) può tutto 


 TESTO  ( Gv 13,31-35 )

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».


COMMENTO

L’atmosfera è quella dei grandi addii. Prendendo il boccone di cibo indicato da Gesù, Giuda ha appena dato il segno ultimo della sua volontà di tradire, cioè di consegnare Gesù alle autorità giudaiche. L’evangelista annota nel versetto che immediatamente precede il testo appena ascoltato:  “ ed era notte “. Non solo la notte che seguiva il giorno nel ciclo quotidiano, ma anche una notte simbolica, la notte del male che sembra prendere il sopravvento sull’amore che invece Gesù è venuto a predicare, lui volto della misericordia di Dio Padre.

Quale sconfitta più bruciante potrebbe esserci per colui che predica l’amore dell’essere ucciso per invidia ?! Eppure Gesù è lì a consegnare le sue ultime volontà, le sue ultime indicazioni di rotta per un’umanità alla deriva, in balie delle onde del mare dell’odio e della vendetta.
Gesù parla della Gloria di Dio che si sta rivelando. 

Apparente paradosso: proprio mentre è buio, nella notte più terribile, Gesù dice di essere glorificato, cioè che si sta manifestando  in tutto il suo splendore la sua vera persona, la sua missione, il fine della sua presenza in mezzo a noi.
La grandezza insuperabile dell’amore di Dio si rivela proprio qui, nella capacità di continuare ad amare anche di fronte al rifiuto dell’uomo, di continuare ad amare sino alla fine, e fino al fine ultimo,  come ci aveva detto l’evangelista proprio all’inizio del racconto dell’ultima cena: “Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. 

Questa è la Gloria di Dio, questa è la luce di Dio che irrompe nelle tenebre delle solite cattiverie del mondo.
 L’amore di Dio regna perché perdona sempre e vince l’odio a tal punto che chi muore nel comandamento e nell’amore lasciato da Gesù potrà andare ben al di là delle  conseguenze del male, superando perfino i confini della morte.

domenica 10 aprile 2016

Commento al Vangelo della IV Domenica di Pasqua; 17 aprile 2016



In che mani ci mettiamo?


TESTO  (Gv 10, 27-30)

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».


COMMENTO

“Nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio”. L’affermazione di Gesù è molto forte e personalmente mi sembra molto rassicurante; propriamente lo è. Nel momento in cui affidiamo la vita al Signore Gesù, il risorto, colui che , l’unico, dalla morte è passato alla vita, non abbiamo da temere più nulla. San Paolo dirà giustamente scrivendo ai cristiani di Roma: 

“Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?  […] 37 Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. 38 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, 39 né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore. (Rm 8,35-39).

Noi tutti abbiamo presente la fragilità della nostra natura umana, e anche di chi si professa cristiano, ma le affermazioni di Gesù vanno oltre le debolezze e gli sbagli, pur gravi, della umana debolezza e spingono la prospettiva all’esito finale della lotta tra il bene e il male che si svolge nel cuore di ogni uomo. 

Ebbene per coloro che vorranno essere “pecore del Signore”, per coloro cioè che faranno una scelta di fondo per Gesù, la vittoria della Grazia di Dio sulle forze del male sarà inesorabile. Forse si perderanno qualche battaglia, con le inevitabili sofferenze che ne deriveranno, ma alla fine si vincerà la guerra. In tal senso va presa la frase lapidaria di San Giovanni della sua prima lettera: “Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca”.  

Non una fiducia ingenua quindi, come se il fatto di essere battezzati e di aver ricevuto i principali sacramenti siano una bacchetta magica che ci assicura il Paradiso, ma piuttosto la certezza di fede che per chi in coscienza cerca il Signore esprimendo tale ricerca anche nella concretezza di scelte concrete di vita , le forze del Bene prevarranno  su quelle del Male, prima o poi.  

venerdì 8 aprile 2016

15 aprile Festa di San Damiano di Molokai, esempio di vero missionario.


San Damiano di Molokai 

Damiano de Veuster (Tremelo, 3 gennaio 1840 – Molokai, 15 aprile 1889) fu un missionario fiammingo appartenente alla Congregazione dei Sacri Cuori (Picpus), conosciuto anche come Padre Damien. Missionario nell’isola di Molokai, nelle Hawaii, si dedicò particolarmente alla cura dei malati di lebbra: nel 1995 è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II e proclamato santo da papa Benedetto XVI l’11 ottobre 2009..

Biografia 

Figlio di contadini fiamminghi, dopo la scuola primaria nel suo paese, Damiano fu inviato a Braine-le-Comte per imparare la lingua francese. Seguendo le orme di uno dei suoi fratelli, entrò nel noviziato della Congregazione dei Sacri Cuori a Lovanio assumendo il nome di Damiano: dopo gli studi teologici e filosofici a Parigi, emise i voti perpetui il 7 ottobre 1860: suo fratello non poté realizzare il sogno di viaggiare attivamente come missionario all’estero e Damiano fece suo il sogno di suo fratello. 


Missionario alle Hawaii 

Il 19 marzo 1864, padre Damiano sbarcò nel porto di Honolulu, dove rimase a svolgere la sua missione: fu ordinato sacerdote il 24 maggio 1864 presso la Cattedrale di Nostra Signora della Pace (Honolulu), una chiesa fondata dal suo ordine religioso. 
Prestò servizio pastorale presso diverse parrocchie sull’isola di Oahu proprio nel periodo in cui il regno delle Hawaii stava affrontando un periodo particolarmente difficile dal punto di vista sanitario: i commercianti stranieri ed i marinai avevano introdotto nell’arcipelago numerose nuove malattie che la popolazione locale non era in grado di affrontare. Migliaia di persone morirono a causa di mali come l’influenza e la sifilide, ma anche a causa di una grave epidemia di lebbra. Re Kamehameha IV relegò i lebbrosi del regno in alcune colonie situate nel nord dell’isola di Molokai. 
Padre Damiano nel 1865 fu assegnato alla Missione cattolica del nord Kohala, ma chiese al vicario apostolico, monsignor Luigi Maigret, il permesso per andare a Molokai. 

Nel 1870 padre Damiano assunse il suo ruolo di prete e medico dei lebbrosi nelle colonie: il 10 maggio 1873 arrivò presso la colonia di Kalaupapa. 
Il primo impatto con la realtà di Molokai fu terrificante: non esisteva nessuna legge, donne e bambini erano costretti alla prostituzione, i malati venivano abbandonati senza cure in una specie di ospedale dove i medici erano lebbrosi a loro volta, i morti erano lasciati insepolti. 
Il vescovo Maigret presentò Damiano ai coloni come un padre, e aggiunse, che li avrebbe amati a tal punto che non avrebbe esitato a divenire uno di loro: «vivere e morire con loro». I lebbrosi che vivevano nella colonia di Kalaupapa erano oltre 600. La prima cosa che fece Damiano fu di costruire una chiesa e di stabilire la parrocchia di Santa Filomena. Passava per i villaggi battezzando e promuovendo il culto al SS.mo Sacramento, del quale diceva: «Senza la presenza costante del nostro Divino Maestro nella mia povera cappella, io non avrei mai potuto perseverare, condividendo la mia sorte con quella dei lebbrosi di Molokai». 

Non fu solo un sacerdote; svolse bene anche il ruolo di dottore: curò ulcere, costruì case e letti, costruì bare e scavò tombe. Quella di Kalaupapa è stata definita una «colonia di morte», dove molte persone furono costrette a lottare per sopravvivere, dimenticate dal governo: l’arrivo di Damiano fu considerato una svolta per la comunità. 
Sotto la sua direzione, la comunità si dotò di leggi che regolassero la vita comune, costruì capanne e case decorose anche esteticamente, eresse scuole e creò fattorie, costruì cappelle, un orfanotrofio, refettori e dormitori..

Morte

Nel dicembre del 1884 Damiano, mettendo a bagno i suoi piedi nell’acqua calda, non poté sentirne il calore: si accorse così di aver contratto la lebbra. Nonostante la scoperta continuò a lavorare attivamente per portare a fine i suoi progetti fino alla morte: fu raggiunto comunque da quattro collaboratori: il sacerdote Luigi Lambert Conrardy, madre Marianna Cope, superiora delle suore francescane di Syracuse, Giuseppe Dutton, soldato americano in congedo, ritiratosi a causa di un matrimonio fallito per alcolismo e James Sinnett, infermiera di Chicago. 
Padre Damiano morì di lebbra nel 1889, all’età di 48 anni: fu prima seppellito a Molokai. Nel 1936 il suo corpo fu trasferito a Lovanio (Belgio) vicino al villaggio in cui nacque

giovedì 7 aprile 2016

Commento al Vangelo della III Domenica di Pasqua; 10 aprile 2016




Ma la rete non si spezzò



TESTO  ( Gv 21,1-19 )

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». 
La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di cento cinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

COMMENTO

La notte era normalmente nel lago di Galilea  il momento più propizio per riuscire a pescare, “ ma quella notte non presero nulla” racconta l’evangelista. Dice il testo di un canto assai noto: “ e mentre il cielo s’imbianca già, tu guardi le tue reti vuote”. 

Proprio all’alba di un nuovo giorno, tuttavia Gesù indica dove gettare la rete, perché i sette facciano esperienza dell’autorevolezza di quella parola e capiscano che quella parola dice e realizza. I sette discepoli fanno il pieno: 153 grossi pesci. Sant’Agostino sostiene che al tempo di Gesù era il numero delle specie di pesci conosciute cosicché il numero richiama alla universalità della futura missione degli apostoli. 

La cosa più evidente è che l’evangelista vuole sottolineare la verità storica dell’episodio spingendosi a specificare anche il numero dei pesci;  inoltre se può sembrare strano la scelta della parte destra da parte di Gesù, dall’altra essa richiama la “destra dell’Altissimo” dove Gesù siede nella sua Gloria (“Oracolo del Signore al mio Signore: siedi alla mia destra” – sal 110 - ). 

Allora gettare le reti a destra non ha alcuna simbologia politica, evidentemente, ma significa gettare le reti nel nome del Signore Gesù, obbedendo alla sua parola e scegliendo di immergersi nella sua persona, lui che siede alla destra del Padre. E la rete non si spezzò, perché il nome, la persona che ha chiamato a gettarla è forte, autorevole, più resistente della forza delle acque e dei pesci. Nulla sarà più impossibile a quella parola nella fede di chi saprà accoglierla. 

Il successo della missione dei discepoli di Cristo non dipenderà tanto dalle condizioni ambientali ed esterne in generale, ma soprattutto dalla fede di questi, da quanto peso sapranno dare alla parola del Maestro. Fare l’esperienza di questo cammino, come quello dei due in cammino verso Emmaus, permette di intuire il volto del Signore, di decifrare la sua presenza nella storia delle nostre relazioni umane. Infatti dopo la pesca straordinaria … “Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!»

sabato 2 aprile 2016

Commento al Vangelo della II Domenica di Pasqua; Festa della divina Misericordia. 3 aprile 2016



La Pace di Cristo e la pace del mondo


TESTO  ( Gv 20,19-31 )

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


COMMENTO

“Pace a voi”: Ecco il saluto di Cristo risorto ai suoi discepoli. Le prime parole dopo essere sfuggito alla forza della morte sono giustamente parole di pace, perché sappiamo che solo perdonando come lui ha fatto sulla croce si può sfuggire al veleno del peccato e alle sue conseguenze inevitabili : la morte del cuore, la morte totale.

Gesù ci invita a saper perseverare nel cammino dell’amore, della fiducia in Lui, che con la sua Grazia vince le forze delle tenebre, del male, del rancore. Con la preghiera e per la forza del suo Spirito questa vittoria è sempre possibile, è sempre alla nostra portata, è sempre portatrice di gioia.
Ecco perché in questa Domenica celebriamo anche la festa della Divina misericordia: perché la misericordia di Dio manifestata a noi dal Signore Gesù vince tutto, anche la morte, l’unico nemico che sembra imbattibile anche dalla tecnica e dalla scienza più avanzata. 

A noi è chiesto però di saper sostare e pazientare con Cristo, con la sua stessa passione e fiducia in Dio Padre, di saper pazientare in quel lasso di tempo che intercorre tra il calvario e la luce della Risurrezione, tra il venerdì santo e la vita nuova della Domenica. Se noi perseveriamo nella fede per noi potrà essere sempre Domenica.
Ci aiutino le bellissime parole di Papa Francesco pronunciate una settimana fa nell’omelia della Veglia Pasquale.

Il Consolatore non fa apparire tutto bello, non elimina il male con la bacchetta magica, ma infonde la vera forza della vita, che non è l’assenza di problemi, ma la certezza di essere amati e perdonati sempre da Cristo, che per noi ha vinto il peccato, ha vinto la morte, ha vinto la paura”.