martedì 27 maggio 2014

Commento al Vangelo dell'Ascensione. Domenica 1 giugno 2014



Il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa.
 

TESTO ( Mt 28, 12-16 )


In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».


 


COMMENTO

Volendo restare ancorati al testo del Vangelo leggiamo in esso quella necessaria premessa e promessa che rende l’Ascensione un evento bello, pieno di gioia e denso di speranza. Matteo nella sua narrazione infatti si ferma qualche istante prima della “dissolvenza” o Ascensione di Gesù dopo che “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio”(Atti 1,3).
 

Gesù ha mantenuto la parola: prima della sua passione aveva promesso che dopo poco lo avrebbero rivisto, che distrutto il tempio del suo corpo in tre giorni lo avrebbe riedificato, e ancora appena risorto aveva dato appuntamento ai suoi discepoli in Galilea, tramite le donne accorse al sepolcro. Ecco perché le parole di Gesù dovettero sembrare salde come roccia, fondamento e certezza di una nuova fase della sua presenza in mezzo a noi. 
“A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra [...] Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Addirittura l’evangelista Luca che menziona esplicitamente l’Ascensione di Gesù ci testimonia che “essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia (Lc 24,52).
 

Il brano di Matteo certo ci lascia un po’ sospesi, ma d’altra parte è la giusta conclusione della testimonianza  di un uomo che mentre scrive sta già assistendo al realizzarsi di quanto Gesù disse in quegli ultimi frangenti: “ … sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
 

Matteo stava già assistendo al propagarsi in mezzo a tutti i popoli della Buona Notizia di Gesù morto e risorto per la nostra liberazione dal peccato, il diffondersi di una Chiesa spesso perseguitata, con dei contrasti di vedute anche al suo interno, ma proiettata verso il mondo in obbedienza al comando di Gesù. “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,”.

 In quella chiesa così fortemente “in uscita”, così convinta di custodire un potenziale infinito di gioia da condividere, non doveva esserci tempo per angustiarsi più di tanto sul modo di celebrare i riti liturgici, sul modo di concepire la presenza di Gesù nelle specie eucaristiche, o sulle forme giuridiche con cui esprimere le relazioni intra-ecclesiali. Se anche oggi noi cristiani assumessimo un più deciso slancio missionario, certo perderemmo molto meno tempo e pazienza dietro a tante piccinerie da retro-sacrestia e i nostri consigli pastorali diveterebbero laboratori di idee per inedite imprese pastorali.   

I discepoli dovettero tornare nella Galilea delle genti per vedere Gesù risorto. Anche noi dovremmo recuperare la voglia di andare presso le “genti lontane” per poter godere appieno della promessa di Gesù: “ … sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Ce lo ha promesso!

martedì 20 maggio 2014

Commento al Vangelo della VI Domenica di Pasqua. 25 maggio 2014



L’abito dei figli


 

Testo (cf Gv 14, 15-21)
 

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

 

Commento

La paternità di Dio che si manifesta nella creazione e ancor più nella seconda creazione, cioè la redenzione, è un atto d’amore senza fine, un respiro che non si esaurirà più; neppure alla fine del mondo. Noi tutti resteremo sempre figli suoi. La promessa di Gesù è degna di fede: ”Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi”. Proprio Gesù è colui che ristabilisce i “collegamenti” interrotti, colui che dal Padre è venuto per amore e al Padre ritorna per ristabilire da parte dell’uomo l’accoglienza a questo paterno amore, un’accoglienza perduta col peccato di Adamo e i peccati a seguire; una paternità quindi che non ci è stata mai tolta, ma che l’uomo da un certo momento in poi ha escluso dal panorama delle sue scelte. Gesù è venuto per mostrarci il volto misericordioso del Padre e ritorna al Padre per mostrare a Lui il volto accogliente e pentito di una umanità rinnovata, purificata e riconciliata.
 

 Nell’attesa del suo ritorno Gesù implora per noi dal Padre la più bella consolazione, il dono dell’amore stesso. Nel Vangelo di Domenica scorsa Gesù si è definito la via, la verità, la vita: dunque lo spirito di verità è il suo stesso spirito, il suo stesso soffio d’amore, un soffio che lo ha sospinto verso di noi e che nel momento della sua morte rimetterà nelle mani del Padre. (“Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” - Lc 23,45 -). Il grande Consolatore è un amore inossidabile, è l’amore divino, è la terza persona della Trinità, è l’amore “andata e ritorno”; il mondo non lo conosce perché non ha riconosciuto in Gesù l’inviato del Padre; il mondo che cerca se stesso non può comprendere il linguaggio del dono e della gratuità usato da Gesù.

E noi sotto quale paternità ci vogliamo mettere? Vogliamo vivere di questo amore o di qualcosa d’altro? Se fossimo coscienti che siamo stati fatti per saziarci dell’amore di Dio, come potremmo pensare di trovare dei sostitutivi a un amore così immenso? Quale altra consolazione il nostro cuore potrà trovare per rimpiazzare ciò che viene da Dio, che è immenso, infinito, sublime e che è Dio stesso? San Francesco inizia proprio così il Cantico di Frate Sole: “Altissimo, Onnipotente, Bon Signore, tue so’le laude , la Gloria l’Onore et omne benedictione. A te solo se konfanno o Altissimo, et nullo homo è digno te mentovare”.
 

Sotto quale paternità ci vogliamo mettere? In Benin quando c’è la morte di un papà tutti i vari figli provvedono a rintracciarsi e preparano per il giorno del funerale un abito dello stesso colore e tipo, in maniera tale da identificarsi chiaramente. 
 

Questo mi fa riflettere sul fatto che anche noi dobbiamo scegliere un “habitus”, un comportamento che identifichi la nostra figliolanza. Per noi obbedire ai comandamenti di Gesù significa infatti scegliere di rientrare nel solco della sua figliolanza divina, scegliere il suo stesso itinerario, vivere la sua Grazia e della sua Grazia, cioè del suo amore. “Cristo Gesù patì per voi, lasciandovi un esempio, affinché ne seguiate le orme” – 1 Pt 2,21.

lunedì 12 maggio 2014

Commento al Vangelo della V Domenica di Pasqua anno A. 18 maggio 2014



Una strada sicura


TESTO   ( Gv 14, 1-12 )

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».



 

COMMENTO
 

Leggendo il brano di questa Domenica  ci si accorge che la  fede non è semplicemente un’ attesa ma piuttosto un cammino, spesso tortuoso e impervio, dove ad ogni svolta si apre un’ulteriore parziale visione del luminoso destino finale, dove il Signore Gesù è già arrivato per riservarci un posto. Lungo questo cammino quindi non si può stare fermi, occorre mettere un passo dopo l’altro, ci sono cioè delle cose da fare, delle opere da compiere, le stesse che Gesù ci ha preparato e ci ha affidato, addirittura più grandi di quelle fatte da lui stesso.
 

Per arrivare alla casa del Padre, alla gioia finale del Paradiso bisogna infatti passare tramite Gesù, ma appunto il suo essere “via” significa che il suo modo di essere uomo è quello vero, quello che corrisponde al nostro innato desiderio di verità , di bontà, di felicità, di senso dell’esistere.  Il tutto potrebbe essere riassunto dicendo che mentre Gesù ci viene incontro, noi dobbiamo andare incontro a Lui. 

Tutto quello che era necessario per salvarci, lo ha già fatto Gesù; nel tempo presente il nostro compito è di accogliere e assumere su di noi questo destino di salvezza camminando verso Lui e vivendo nell’osservanza dei suoi comandamenti, potremmo dire della sua segnaletica stradale. Gesù è il nostro cammino ma nello stesso tempo è anche il nostro punto d’arrivo, la nostra destinazione, il “luogo” e la persona dove possiamo trovare la casa del Padre, cioè casa nostra. La fede è un cammino lungo il quale la vita di Cristo deve divenire pian piano anche la nostra, un cammino lungo il quale apprendere tutta la verità di ciò che sono.
 

Sarà bene ricordare che se Gesù è la via per tornare “a casa”, si tratta sempre e comunque di una “via crucis”. Come San Paolo dobbiamo dire (cf Col 1,24) “completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo”. L’esperienza di Gesù deve diventare anche mia esperienza personale e la sola cosa che “manca” alla realizzazione della mia salvezza è il mio “si” incondizionato alla sua volontà, un “si” detto con tutta la mia vita, anche nel dolore e nello sconforto, sapendo che dove c’è la croce sovrabbondano le consolazioni del Signore: la croce accolta per amore di Dio è l'unico luogo dove si può pregustare qui in terra la gioia del Paradiso.
 

San Pio da Pietrelcina è stato un uomo che ha sofferto moltissimo, eppure lui stesso diceva che sperimentava tali e tante consolazioni da parte del Signore che a volte si sentiva quasi sulla soglia del Paradiso. Per dare un nuovo “via” alla nostra esistenza faremmo bene ad accogliere la verità della vita che Cristo ci svela, e parte di tale verità è che la sofferenza esiste per tutti, è ineliminabile, ma se vissuta in unione al Signore Gesù crocifisso può diventare luogo di profonda intimità divina e inimmaginabili consolazioni.

venerdì 9 maggio 2014

Commento al Vangelo della IV Domenica di Pasqua, anno A. 11 maggio 2014



La porta della gioia 



TESTO (Gv 10,1-10)

1 «In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. 3 A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. 4 Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5 Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei».
6 Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono quali fossero le cose che diceva loro. 7 Perciò Gesù di nuovo disse loro: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura. 10 Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.


COMMENTO
  
Noi conosciamo bene la forma che deve avere quell’unica porta che accede al recinto del gregge, la porta con la quale Gesù stesso si identifica: quella della croce. I farisei cercavano gloria l’uno dall’altro, cercavano di fare a tutti i costi proseliti (e Gesù dice che poi trovatone uno, erano capaci di renderlo pure peggio di loro) ma lo facevano più per affermare il loro prestigio che per la gloria di Dio. Chi è venuto dopo Gesù e in suo nome non è venuto per “rubare” ma per donare, meglio ancora, per donarsi e dare la propria vita per il gregge scegliendo di passare per la porta della croce. 

Il segno più sicuro di credibilità di colui che pretende essere pastore o semplicemente educatore degli altri è il sacrificio di sé, sull’esempio di Gesù. Chi non accetta di perdere qualcosa, chi non accetta di rischiare un po’ della sua vita perdendosi per gli altri, rende palese la ricerca di fini personali ed egoistici, la ricerca dell’auto-affermazione attraverso una mera apparenza di dedizione al prossimo, la meschina ambizione di poter dire a se stesso: “… ma guardate quante pecore nel mio recinto! Sono o non sono un bravo pastore!?”

Un pastore che non sa soffrire per i propri fedeli, che non sa sopportare in silenzio l’incomprensione o l’ingratitudine del suo gregge, o anche un genitore che non accetta l’umiliazione dell’ironia nel proporre un’educazione contro-corrente, costui è un falso pastore come quelli di cui parlava il profeta Ezechiele: “Dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono se stessi! […] Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge” (Ez 34,2-3).

Colui che si dona invece vuole solo che gli altri abbiano la vita, e la vita in abbondanza, cosicché ognuno “… entrerà, uscirà e troverà pascolo”. San Paolo direbbe: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Cor 1,24). 

Che ognuno scelga la sua porta, ma quella che permette di accedere al cuore degli uomini è solo una: Cristo Gesù con il suo stile di vita, quello di chi non è venuto per essere servito e fare la propria volontà, ma per fare la volontà di Dio Padre, servire e dare la vita per gli altri.