giovedì 25 aprile 2024

La vita vera dell’amicizia di Gesù

 

 Commento al vangelo della V domenica di Pasqua, anno B – 28 aprile 2024



+ Dal Vangelo secondo Giovanni (15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

Commento

Ripartiamo da una parola di Gesù che citavo domenica scorsa, e cioè quando in quella bellissima catechesi sul pane di vita alla sinagoga di Cafarnao Gesù dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. (Gv 6,56) Allusione all’Eucaristia, ovviamente.
Di questa affermazione così forte oggi ci viene data un’esemplificazione tratta dal mondo agricolo: il rapporto tra la vite e i tralci, dove Dio Padre ha il ruolo di vignaiolo. Gesù dice che ci sono dei tralci che in lui non portano frutto, e che per questo vengono tagliati e gettati. Può sembrare una contraddizione ma il punto è che ogni tralcio, contrariamente a quanto avviene nella vite non vera – quella che cresce per terra – può decidere se rimanere o no unito a Cristo Signore. Ricordiamo quanto detto da Gesù all’inizio di questo discorso. “Io sono la vite vera…”.
Ci può venire in aiuto quanto afferma Nicola Cabasilas, autore spirituale orientale del XIV secolo, il quale dice che con l’incarnazione Dio si è unito al genere umano, ma è con i divini misteri – i sacramenti – che egli si unisce ad ogni uomo; e qui entra in gioco la nostra libertà di rimanere o non rimanere in questa relazione intima d’amore che il Signore ha voluto unilateralmente stabilire con noi.
Ogni uomo può decidere di lasciarsi mondare, purificare, potare dalla parola del maestro e così portare abbondante frutto di gioia, di pace, di compimento di sé, rispetto al nulla prodotto dalle sole forze umane; oppure può decidere di non rimanere in Lui, di non accogliere la parola di vita del Maestro; così facendo si staccherebbe dalla sua corrente di vita e diverrebbe causa della sua morte eterna, o seconda morte come si dice nell’Apocalisse. Ricordiamo quel che Gesù dice ai 12 durante la lavanda dei piedi: “Non tutti siete puri” (Gv 13,11) alludendo a Giuda che ormai aveva chiuso il cuore alla parola di vita del Signore.
Che questo non ci accada mai; ma che sappiamo piuttosto sempre accogliere la parola del Signore che viene a noi anche attraverso eventi imprevedibili, o dolorosi della vita, ma che sempre sono occasioni in cui, e attraverso cui, il Signore si fa compagno del nostro cammino per orientarlo ad una gioia senza fine.

giovedì 18 aprile 2024

Con-vocati e con-corporati in Cristo buon pastore

 

Commento al vangelo della IV domenica di Pasqua, anno B – 21 aprile 2024


Dal vangelo di Giovanni (10,11-18)

 In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Commento

 Gesù è un buon pastore, o meglio il buon pastore, per almeno due motivi.

 1 Non solo non è mercenario, cioè un operaio salariato che si interessa solo di prendere la paga e fare le sue ore di lavoro, al di là della resa del gregge, ma addirittura sacrifica la sua vita per il bene del gregge. E se ci pensiamo questa è una cosa assurda. Normalmente un pastore deve vivere tosando le pecore, mungendo il loro latte, e nutrendosi e vendendo la loro carne. Gesù fa il contrario mette a disposizione la sua vita per il bene del gregge.

2  Ma ancora ben oltre questo Gesù ci parla di una riunificazione di tutte le pecore in un solo gregge e in un solo pastore, con una sorta di immedesimazione delle pecore nella persona stessa del pastore. Capiamo anche da qui che siamo su un piano totalmente altro da quello naturale. Tutti noi, o quasi, abbiamo mangiato carne di agnello nei giorni scorsi, così la carne delle pecore diventa la carne nostra. 

Ma Gesù fa esattamente il contrario, perché ci riunisce in unità, ci fa diventare in lui una cosa sola facendosi lui cibo da mangiare per noi; è un pastore così buono che è piuttosto lui che si farà dono e carne da mangiare e saremo noi sue pecore a nutrirci di lui e diventare, tramite il misterioso segno dell’Eucaristia, un solo corpo in lui, proprio come lui stesso afferma nello stesso vangelo di Giovanni “…chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 5,56).

Come non ricordare a questo punto le parole di San Francesco che nella Lettera a tutto l’Ordine così scrive: “O umiltà sublime, o sublimità umile […] Guardate fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori, umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati” (FF221)

mercoledì 10 aprile 2024

Per la salvezza di tutti gli uomini e di tutto l'uomo

 

Commento al vangelo della III domenica di Pasqua – 14 aprile 2024
 

Dal Vangelo secondo Luca (24,35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».



Commento

 «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme». Abbiamo letto così.
Un versetto così non si trova nell’Antico testamento. Gesù interpreta la scrittura, fa una sintesi, dal suo punto di osservazione, abbastanza autorevole, quello di Dio: un’interpretazione sicuramente autentica.
Come si apriva ad esempio la legge di Mosé? “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile” (Dt 5,6).
Ebbene Gesù è esattamente quel Dio che prima di darci delle indicazioni di cammino – le 10 parole o comandamenti – ci dice quello che egli ha fatto per noi.
Noi sempre andiamo subito al “cosa devo fare per ingraziarmi Dio, per tenermelo buono, per conquistare la sua benevolenza”, quando invece Gesù – il figlio di Dio -  si presenta dicendo: “Pace a voi!” e poi spiega tutto ciò che lo riguarda, cioè come Dio ha compiuto, in lui e tramite lui, le promesse fatte ad Abramo e ai padri di Israele. Lui è l’eletto, il messia, il prescelto, il Cristo; in lui si compiono tutte le promesse del popolo ebreo. Ma – qui nascono i problemi per Gesù – addirittura le oltrepassa di molto. Perché neppure gli ebrei si attendevano un Messia che fosse lui stesso Dio in persona, e tanto meno che dovesse soffrire, morire e addirittura risorgere. Quest’ultima cosa in realtà era nel panorama mentale degli ebrei degli ultimi secoli prima di Cristo, ma era assurda per coloro che provenivano dalla cultura greca, per quali il nostro evangelista Luca sta scrivendo il vangelo. Tanto che indugia nel raccontare in dettaglio le parole di Gesù: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». […] Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Concludiamo con un pensiero alla bellezza della nostra resurrezione della carne, sulla quale forse non ci soffermiamo mai abbastanza. Forse in un certo linguaggio si è sempre sottolineato la necessità di “salvarsi l’anima”, ma il figlio di Dio è venuto in un corpo e un’anima umana per salvare tutti gli uomini e tutto l’uomo, anima e corpo. Gregorio Nazianzeno († 390 ca.) diceva: «Ciò che non è stato assunto non è stato salvato (… ma ciò che è congiunto con Dio, ciò è anche redento» - Epistola 101[12]). Che bello pensare l’eternità in un abbraccio concretissimo e reale con le tante persone che via via, nel tempo, ci hanno lasciato! 


mercoledì 3 aprile 2024

Assetati di vita vera

 

Commento al vangelo della II domenica di Pasqua – 7 aprile 2024

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-31).

 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Commento

 Gesù risorto annuncia ai suoi discepoli la cosa di cui maggiormente oggi l’umanità sente il bisogno: la pace.
Proprio lui che aveva detto di essere venuto piuttosto a portare la divisione e non la pace (cf Mt 10,34 “sono venuto a portare non pace, ma spada”). Ma lui è l’uomo che non ha fatto compromessi con il male: in questo senso, non è venuto portare pace. La sua parola invece è come una spada che segna con chiarezza il bene dal male, ma dall’altra parte si è fatto morte per noi, ha subito in nostro favore tutto il male dell’uomo, portandone misteriosamente tutte le conseguenze sul legno della croce, perdonando i suoi uccisori.
Grazie alla sua infinita capacità di perdono noi possiamo essere nella storia di oggi quello stesso volto segnato dal dolore ma – allo stesso tempo “guarito”, glorioso, risorto  -  che si presentò in mezzo alla sala del cenacolo la sera di quel giorno che d’ora in poi sarà detto “Domenica” (giorno del Signore).
In fondo nel discepolo Tommaso è rappresentata tutta l’umanità che vorrebbe credere nella vita, nella vittoria della vita sulla morte, ma che ha bisogno di vedere un segno tangibile. Proprio questo dovremmo essere noi cristiani: la presenza di Cristo risorto vivo, cioè Chiesa, corpo di Cristo risorto, una comunità di uomini che portano – certo – le piaghe, le conseguenze di una vita di peccato, ma che hanno fatto esperienza della redenzione, della sua guarigione. Ciò che potrà convincere il mondo della vittoria di Cristo sul male, sulla morte, non sarà un gruppo di discepoli quasi perfetti e performanti, ma una fraternità di uomini che hanno fatto esperienza della sua misericordia, che nei segni della propria fragilità lasciano risplendere anche i segni della più sovrabbondante grazia di Cristo risorto. Papa Francesco ha ragione di sentirsi un peccatore misericordiato. Così dovremmo sentirci ognuno di noi, se cristiani. Questo il segno che il mondo chiede ai discepoli di Cristo di tutti i tempi.


mercoledì 27 marzo 2024

Alla sorgente della fede cristiana

 

 Vangelo della Veglia pasquale – sabato notte 30 marzo 2024

Dal Vangelo secondo Marco (16,1-7)
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.
Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. è risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».

 

Commento

 La tomba vuota, primo segno a parlarci di risurrezione in questo lungo giorno pasquale che nella nostra tradizione cristiana chiamiamo ottavario pasquale e che ci permetterà di ascoltare tutte le testimonianze evangeliche su questo fatto straordinario. Potremmo chiamarlo anche un “non segno”, perché di fatto le donne non trovano il corpo del maestro che, anzi, si disponevano ad ungere, essendosi portate gli oli aromatici, e avendo come unica preoccupazione la rimozione della pesante pietra di chiusura del sepolcro.

Viene loro detto da un giovane in bianche vesti (probabilmente un angelo) che il loro maestro, Gesù di Nazaret, è risorto, non è più lì. Da qui prende vita la nostra fede, da qui prende senso il fare memoria annuale della Pasqua di Cristo.
Gesù non è semplicemente vivo nella nostra memoria, come diciamo spesso dei nostri cari defunti, ma al contrario siamo noi ad essere vivi nella sua memoria di uomo-Dio: lui che ora, in eterno, intercede a nostro favore presso il Padre, che - come ci ricorda la Lettera agli Ebrei “… può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio” – Eb 7,25). Il celebrare nell’Eucaristia la vittoria di Cristo sulla morte, in modo più solenne la domenica – e in modo ancor più solenne la domenica di Pasqua – non aggiunge nulla alla grandezza dell’evento storico, ma piuttosto fa entrare noi che vi partecipiamo nella grazia, nell’amicizia ritrovata di Dio, dopo che l’avevamo rigettata. Anche per chi partecipa alla celebrazione della Pasqua si compie la promessa di Gesù in croce rivolto a quel ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso!”. Si, il paradiso comincia quando si accetta di vivere con Cristo, ogni esperienza, bella o brutta che sia. Il beato Carlo Acutis diceva che l’Eucaristia è “autostrada per il Paradiso”, ma in parte è paradiso essa stessa.

Permettiamo al Signore risorto di rimuovere la pietra della nostra incredulità: questa sì, l’incredulità, è la pietra tombale che impedisce la rinascita della nostra vita in Cristo. “Signore, aumenta la nostra fede”.
Buona Pasqua !


venerdì 22 marzo 2024

L'inizio del compimento

 Commento al vangelo della domenica delle Palme – 24 marzo 2024
 

Dal vangelo di Marco (Data la lunghezza del testo 14,1-15,47, si è scelto di limitare il commento ai versetti 15,33-39)

 […]  Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
 
Commento

 Il racconto della passione e morte di Gesù di questa domenica (delle Palme) si completerà con l’annuncio della risurrezione di domenica prossima. Gli ultimi capitoli della narrazione di Marco, primo a scrivere tra i quattro evangelisti, costituiscono in realtà il cuore e il fine di tutta l’opera: fine che era stato già sinteticamente annunciato fin dal primo versetto: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.” (Mc 1,1).

Saranno le parole del centurione sotto la croce a confermare questo lieto annuncio: le parole di un uomo pagano trovatosi lì per adempiere le sue mansioni di carnefice e del quale si dice che “avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»” (Mc 15,39). Doveva esserci qualcosa di straordinariamente convincente nel modo di spirare di Gesù che in un ultimo grido così si rivolse al Padre: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”

Sono le ultime parole che secondo San Marco Gesù ha proferito prima di morire, esprimendo in esse la domanda di senso di tutta l’umanità, ma anche prendendo a prestito i versetti del salmo 22 (21) che egli ovviamente, comi ogni ebreo praticante, doveva conoscere quasi a memoria e che continuano con delle parole di fiducia (“in te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti” (Sal 22,5) ma che le morte gli impedì di proferire. Sono le parole di chi umanamente fatica ad accettare la sua sorte, che non vede la pienezza di una vicenda dolorosa, come non doveva vederla, in quegli istanti, neppure Gesù.

Dunque, Gesù è morto rivolgendosi al Padre, reclamando da lui il senso e il fine di quell’immenso dolore. Un Gesù tremendamente umano, così umano perché dall’inizio alla fine del cammino della sua vita non ha mai interrotto la sua relazione filiale con il Padre. Ecco il modo che affascinò il soldato romano: la relazione mai interrotta con Colui che lo aveva inviato nel mondo a radunare i figli dispersi, cioè tutti gli uomini orfani, a causa del peccato, della paternità di Dio. Il modo della fiducia, della comunione con Dio, sempre e comunque.

In quel grido ci siamo tutti. O forse è più significativo sottolineare che in ogni nostro grido c’è anche il suo: un grido che reclama la conoscenza del fine di bene di tante esperienze crocifisse, che reclama di sapere, di capire, di comprendere. A queste grida che salgono a Dio continuamente in tutti i tempi e da tutta la terra, come in questi giorni dall’Ucraina o dalla striscia di Gaza, o da tanti ospedali e da tante case di reclusione, Gesù risponde: “abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

giovedì 14 marzo 2024

Benedetti in Cristo innalzato

 

 Commento al Vangelo della V domenica di Quaresima, anno B – 17 marzo 2024


Dal Vangelo secondo Giovanni (12,20-33)


In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Commento 

Oggi partiamo dalla testimonianza di Elie Wiesel, scampato ai lager nazisti della Seconda guerra mondiale. Nel suo libro La notte, (1958), racconta dell’impiccagione di un ragazzo di tredici anni. L’autore ricorda che nel momento in cui quel tredicenne ancora agonizzava...
"Dietro di me udii il solito uomo domandare:
– Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…" (Elie Wiesel, La notte)
Da notare che chi scrive è un ebreo rimasto ebreo, eppure la sua riflessione tocca il senso profondo del mistero della croce di cui ci ha parlato Gesù in questo brano di vangelo.
Gesù, soprattutto nella memoria dell’evangelista Giovanni, parla della sua morte come di un innalzamento, di una glorificazione, cioè della manifestazione della sua potenza. Qual è l’onnipotenza del figlio di Dio in tutto questo? La libertà di amare fino alla fine, di non essere costretto dalla sua natura divina a mostrare la sua forza, la libertà di offrire la sua vita.

Si, L’onnipotenza di Dio, la gloria di Dio si rende manifesta in questa umanità caduta in terra, come un chicco di grano che muore, ma che diventa generativa e feconda per una nuova umanità.
Ecco la vera risposta a chi domandava: “Vogliamo vedere Gesù”. Non poteva ridursi all’incontro con un volto fisicamente presente. Per incontrare e far esperienza di Gesù occorreva a quei greci, e occorre anche a noi oggi, riconoscerlo nelle centinaia, migliaia di uomini crocifissi della storia, a partire da quelli delle nostre storie quotidiane.

Alla frequente domanda che nei momenti di prova, più o meno tutti ci poniamo: “Mio Dio, ma dove sei finito?” anche noi dovremmo sentire risuonare la stessa risposta dal fondo della coscienza: “Sono nel tuo genitore malato, sono in questo tuo figlio sulla sedia a rotelle, sono nella tua solitudine, abito lì dove tu stai maledicendo la vita, perché io mi sono fatto maledizione per te (cf. Gal 3,13), per benedirti in eterno!”

giovedì 7 marzo 2024

Un morto che cammina?

  

Commento al vangelo della IV domenica di Quaresima, anno B – 10 marzo 2024
 

Il morto che cammina? (dead man walking)
 

Dal Vangelo secondo Giovanni (3,14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

 Commento

 Sembra che in alcuni penitenziari americani il passaggio del condannato a morte fosse accompagnato dal proclama “l’uomo morto che cammina”. La cosa è abbastanza macabra, e ancor più macabra è che tutt’ora esista la pena capitale in qualche angolo del mondo. Nel brano di vangelo di oggi Gesù spinge il nostro sguardo oltre la soglia della vita terrena, e ci invita piuttosto a prendere in seria considerazione il nostro destino finale.
Chi non vorrebbe vivere, felice, in eterno! Gesù ci offre una ricetta talmente semplice da essere trascurata, anche perché assolutamente a costo zero, e noi sappiamo che le cose “a costo zero” destano il sospetto di una fregatura. La ricetta, invece, è credere n lui, credere che lui, Gesù di Nazaret, è il volto di un Dio misericordioso, è il figlio di Dio mandato nel mondo per prendere su di sé le conseguenze nefaste di tutti i nostri peccati, quelle conseguenze che, se non fosse per la misericordia di Dio, noi stessi avremmo prodotto su di noi portandocele nei secoli dei secoli, e non certo provenienti da un Dio che castiga come talvolta ci hanno insegnato a dire in quell’orrendo atto di dolore. (…peccando ho meritato i tuoi castighi).
Gesù dice: “…bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.” E ancora aggiunge: “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

Allora deduciamo da questo brano, come da tanti altri passaggi della sacra Scrittura, che il Signore è signore della vita. La vita eterna è sì un premio, ma non da comprare o da meritare in senso proprio, ma da accogliere dalle mani di colui che è via, la verità e la vita, e che la dona a chi confida nel suo nome. 

Se ad una persona avvelenata venisse offerto un antidoto e se questi lo rifiutasse, di chi sarebbe la colpa? Se presumiamo di entrare nella vita eterna per meriti nostri, senza la grazia di Cristo, allora sì che saremmo veramente un morto che cammina! Propongo allora di acclamare spesso il nome di Gesù invocando la sua misericordia, soprattutto per non aver creduto al suo amore. 

E vi propongo di farlo con la più breve tra tutte le nove formule di “Atto di dolore” proposte nel Rito della Penitenza della Chiesa cattolica italiana: “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.

giovedì 29 febbraio 2024

Senza un cuore di tutto si può fare mercato!

 
Commento al vangelo della III domenica di Quaresima, anno B – 3 marzo 2024
 

Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25)

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

 

Commento

 Anche questa settimana parto dal fondo del brano. Alcuni testi del vangelo sembrano proprio costruiti come le versioni di latino che ci davano al liceo: finché non arrivi alla fine della frase e non vedi il verbo, non capisci il senso.
“Egli, infatti conosceva quello che c’è nell’uomo”. Perché è importante? Perché dà ragione del gesto di Gesù (…fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori… gettò a terra il denaro… ne rovesciò i banchi… «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».). Quei venditori facevano cose lecite e ammesse dalla legge. Era quello che c’era nel loro cuore a non essere secondo la legge… dell’amore, del dono di sé. Il vero culto di Dio in Israele era stata da tempo soppiantata dalla legge del prestigio personale. Come è facile passare dal culto di Dio al culto dell’”io”. In italiano è questione di una letterina. Ma nell’esperienza spirituale è questione di una vera conversione di marcia.
Ecco perché al terzo tornante domenicale di questo cammino quaresimale troviamo questo brano, molto forte. Gesù è il vero tempio, non quello di Gerusalemme. Il vero tempio è il suo corpo che ora, dal giorno dell’Ascensione ha assunto una dimensione spirituale e con la Pentecoste ha preso dimora nell’umanità della sua Chiesa, cioè noi battezzati. Ecco perché la Chiesa viene detta “corpo spirituale” di Cristo. Un corpo, quello di Gesù, che ha ingoiato e digerito tutto il male dell’umanità e che, purificato nella Pasqua, ora risplende della luce di Dio. (pensiamo al vangelo della Trasfigurazione di domenica scorsa).
Ma, attenzione! In questo tempio, la Chiesa di Gesù, qualcuno continua a fare mercato!... anche oggi i vari servizi ecclesiali, più o meno necessari, possono essere svolti per accrescere il proprio potere. Nella nostra società, ancora, nonostante il sempre minore potere che la Chiesa grazie a Dio ha, una tonaca, una mitria, ma anche dei semplici incarichi di lettore o catechista, possono divenire esercizio di supremazia e di dominio sugli altri.
Sono certo che di esempi ne abbiamo tutti un certo numero davanti agli occhi. E allora come fa Gesù a non sdegnarsi! Tuttavia, partiamo da noi stessi, purifichiamo nella grazia sacramentale l’intimo del nostro cuore, e sapremo meglio notare la luce di Cristo che sicuramente, nonostante tutto, risplende nella Chiesa-suo corpo.


domenica 18 febbraio 2024

Luce divina e non varichina!

 

Commento al vangelo della II domenica di Quaresima, anno B – 25 febbraio 2024


 

Dal vangelo di Marco (9,2-10)

 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.
E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

 

Commento

 Vorrei partire proprio dall’ultima parte di questo brano: la premura di Gesù perché i tre fortunati testimoni dell’evento non raccontino nulla se non “dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti”. Piccolo particolare: i nostri amici non capivano neppure cosa volesse dire risorgere dai morti. E già questo dà ragione della preoccupazione di Gesù di evitare di sciupare la bellezza dell’esperienza cominciando a divulgare la notizia in modo sensazionalistico.
Ci capita che nell’entusiasmo di raccontare perdiamo di vista il senso, la profondità di ciò che abbiamo vissuto. I tre discepoli avrebbero invece dovuto tenere bene a memoria quella luce che usciva dal corpo di Gesù, soprattutto nella tenebra della passione e della morte di Gesù.
Tuttavia, se ci è giunta la testimonianza di questo episodio significa che, oltre agli altri due, certamente Pietro, all’origine del vangelo di Marco, è stato comunque capace di riportare alla memoria il fatto, dopo la Pasqua del Maestro, nonostante lo sbandamento a cui si accennava.
Un’altra particolarità del nostro evangelista è la sottolineatura della lucentezza delle vesti di Gesù, “nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche” chiosa Marco. Sembrerebbe lo slogan di un detersivo ma è il desiderio di farci arrivare chiaro e diretto che in quella luce si è resa manifesta la presenza divina nella persona e nel corpo di Gesù. Appunto perché quel candore non è cosa umana, irriproducibile qui sulla terra, esso testimonia ai tre amici che in Cristo “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). E lo dovremmo tener ben presente anche noi, sempre soggetti ai richiami delle mille luci di questo mondo, fuochi fatui che illudono e quindi immancabilmente deludono, perché la presenza di Cristo, e del suo messaggio possano illuminare le tante tenebre che disseminano il nostro pellegrinaggio.

giovedì 15 febbraio 2024

E Gesù puntò l’avversario

  

Commento al vangelo della I domenica di Quaresima, anno B – 18 febbraio 2024
 


 Dal Vangelo secondo Marco (1,12-15)

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
 

Commento 

 Gesù prende la mira sul vero nemico da abbattere e combattere: Satana, che nella sua etimologia dice già quasi tutto, cioè accusatore, divisore, il guastatore o “guasta feste”. Lo Spirito, il Signore della comunione, definibile anche come la comunione del Padre e del Figlio fatta persona, sospinge Gesù a far subito esperienza del vero nemico della sua impresa.
Mentre Gesù si prepara a proclamare la Buona notizia, che Dio Padre non si è mai stancato dell’uomo e che anzi lo ha mandato per ri-allacciare i rapporti interrotti dall’uomo, lo spirito del male invece cercherà di staccare Gesù dalla fiducia in Dio Padre.
Un re che si prepara ad una battaglia, occorre che faccia i calcoli se con 10 mila uomini può andare ad affrontare un re che ne ha 20 mila, o chi vuole costruire una torre occorre che faccia ben i calcoli per capire se potrà arrivare alla fine dell’impresa (Cf. Lc 14,28ss.). Così Gesù mette da subito alla prova la sua umanità, perché la sua volontà non potrà discostarsi neppure per un attimo da quella del Padre, e anzi chiamerà satana, divisore, non i suoi uccisori ma proprio il primo di tutti gli apostoli che lui stesso aveva scelto, l’apostolo Pietro. Drammatica quella situazione: perché mostra quanto è facile anche per i più intimi di Gesù, staccarsi dal cuore di Dio, dalle sue vie di salvezza che, differentemente dalle nostre, passano per il filtro della Pasqua.
Nel silenzio del deserto Gesù compie un itinerario spirituale che lo porta già alla intuizione di una lotta a cui dovrà prepararsi, di un percorso che anche nella durata assomiglia e richiama l’esodo dei 40 anni di Israele nel deserto. Ma nelle poche parole usate dal più sintetico dei 4 evangelisti in questo brano c’è anche il preludio della vittoria. Gesù vive insieme a bestie feroci, gli angeli si mettono al suo servizio. Questo è il preludio, profetizzato anche da Isaia 11,6ss (Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà […] Il leone si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso) , il preludio di una umanità finalmente riconciliata anche con il cosmo. Che l’inizio della Quaresima sia anche per noi un momento di serena presa di coscienza dei veri nemici da abbattere, delle cose che più ci separano dal fare la volontà di Dio Padre.


venerdì 9 febbraio 2024

...Tu sei tutta la nostra dolcezza

 

 Commento al vangelo della VI domenica del Tempo Ordinario, anno B – 11 febbraio 2024.


Dal Vangelo secondo Marco (1,40-45)

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Commento
Dove noi avremmo usato il “tu devi” quel lebbroso che ha incontrato Gesù ha usato piuttosto il “se vuoi”: “se vuoi, tu puoi purificarmi”. Con i nostri frequenti atteggiamenti di pretesa nei confronti di Dio, ci troviamo in compagnia – tutt’altro che buona – di quelli che sotto la croce urlavano a Gesù : “scendi dalla croce e noi ti crederemo”, detto in altro modo: “se vuoi essere creduto, tu DEVI scendere dalla croce”. No, questo lebbroso, così tanto umiliato dalla sua malattia, così tanto prostrato dalla emarginazione a cui gli altri lo avevano condannato, è arrivato ad un punto tale che non si sente più in diritto di esigere niente da nessuno; riconosce solo in Gesù un’umanità e una carità che probabilmente gli erano del tutto sconosciute.

Il Signore diventa credibile non perché scende dalla croce, ma al contrario, perché sulle nostre croci ci sale, e assume - facendola sua - quella stessa esperienza di dolore; a tal punto che chi si imbatte nell’esperienza della sofferenza umana, consapevolmente o inconsapevolmente tocca la carne di Cristo.

Come non ricordare l’episodio dell’incontro con il lebbroso di San Francesco d’Assisi! Le Fonti Francescane non ci raccontano la guarigione del lebbroso, che probabilmente sarà rimasto tale, ma ci raccontano per le parole dello stesso Francesco la conversione del suo cuore: dopo quell’incontro – dice Francesco - “Ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo.”
La compassione di Gesù, il suo stendere la mano e toccare il corpo di quel lebbroso è ben più di un atto puntuale, di un miracolo suscitato dalla momentanea urgenza; esso parte da lontano, inizia nel cuore stesso di Dio, nel suo essere amore in circolazione, amore che si dona, amore che privilegia l’umanità più dimenticata e trascurata e che farà esclamare allo stesso santo di Assisi, tra le altre espressioni: “…tu sei amore e carità,.. tu sei umiltà, tu sei la nostra speranza… tu sei tutta la nostra dolcezza”.

venerdì 2 febbraio 2024

Rinascere si può!

 Commento al vangelo della V domenica del Tempo Ordinario, anno B – 4 febbraio 2024.

Dal vangelo di Marco (1,29-39)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Commento
Potrà sembrare un miracolo sprecato: per guarire una banale febbre poteva bastare anche una tachipirina o qualcosa di simile. Il fuoco del racconto però non è nella guarigione della malattia ma nelle conseguenze provocate nella vita della suocera di Simone-Pietro. “Ella li serviva”. L’evangelista ci fa capire nella scelta del tempo verbale che la donna fa una scelta continuata, non semplicemente puntuale tanto per sdebitarsi, del tipo “ti offro un caffè e così facciamo pari e patta”. Lo potremmo definire il miracolo del servizio, che costituisce in fondo la vera guarigione di una vita che, se è centrata su se stessa, è destinata ad ammalarsi e a perdere di bellezza. Solo quando ci si apre al dono nei confronti del prossimo si potrà fiorire e diventare soggetti adulti e compiuti, ma per fare questo occorre un incontro con la persona di Cristo: solo lui può farci rinascere dall’Alto e operare una vera e propria trasfigurazione della nostra natura umana. Un dettaglio non insignificante: a questa scena sono presenti Pietro, Giacomo e Giovanni, lo stesso terzetto presente sul monte della Trasfigurazione di Gesù. Anche qui essi sono testimoni di un’umanità che si illumina di divino, come accade ogni volta che una persona di questo mondo distoglie lo sguardo da sé e accoglie la presenza di Dio.
E Gesù cosa fa, dopo questo fatto e dopo le tante guarigioni operate? Di notte si ritira in preghiera. “Il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” dirà Gesù parlando di sé a chi chiedeva di seguirlo. Ma di sicuro Gesù, con i suoi gesti, ci dimostra di sapere bene dove posare e appoggiare il suo cuore: nell’abbraccio con Dio Padre. Ecco perché dopo i successi della giornata precedente Gesù sente il bisogno di ricentrarsi e recuperare il senso di quello che fa, non alla ricerca di una sua gloria, dato che tutti lo cercano, ma nel desiderio di manifestare la gloria di Dio annunciando anche in altri luoghi la buona notizia della sua misericordia.
E ora ci siamo noi. Da quali febbri siamo affetti? Cosa o chi ci impedisce di fare della nostra vita un dono perché essa maturi e diventi feconda?


domenica 28 gennaio 2024

Il vero bene

 Commento al vangelo della IV domenica del TO, anno B – 28 gennaio 2024

Dal Vangelo di Marco (1,21-28)

 In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Commento

 Gesù libera dalla potenza del male, perché la sua è la stessa parola di Dio; la parola dell’uomo che non cerca, invece, di far spazio alla Signoria di Dio, è una parola che cerca di attrarre a se, di convincere per conquistare, di sedurre per vendere, di affascinare per affermare se stessi. Lo spirito del mondo, (potremmo dire in sintesi dell’egocentrismo) agisce anche nelle persone apparentemente religiose e prende la forma di un atteggiamento che troppo spesso ha inquinato il cuore dei credenti: si chiama proselitismo: la ricerca del successo proprio e di quello del clan di appartenenza.
Ricordo ciò che mi disse a tal proposito, una decina di anni fa, un giovane della mia parrocchia. In poche parole la provocazione era questa: “Ma voi sacerdoti parlate a noi giovani della possibilità che il Signore ci chiami anche alla consacrazione religiosa/sacerdotale, perché credete che questo possa fare davvero la nostra felicità, o perché avete bisogno di preti per tappare i buchi?”
Ecco, certamente tramite quel giovane (ora felicemente sposo e padre di famiglia) il Signore stesso poneva a me e a tutti i credenti una riflessione e che ora rigiro a voi cristiani (ammesso che ci sia ancora qualche cristiano all’ascolto): siamo capaci di cercare Dio per ciò che lui è in se, per il fatto che lui, come diceva San Francesco d’Assisi, “è tutto il bene, ogni bene, e il sommo bene”, e che quindi è l’unico che ci libera dal male? Seconda questione, collegata alla prima. “Ma siamo convinti che il Signore Gesù non è venuto a rovinarci, come gridò quell’indemoniato ispirato dal maligno - quasi che sia invidioso della nostra felicità - ma che è venuto piuttosto per darci gioia, quella vera, quella che non passa?

mercoledì 17 gennaio 2024

Lì dove siamo

 

Commento al vangelo della III domenica del Tempo Ordinario, anno B – 21 gennaio 2024


+ Dal Vangelo secondo Marco (1,14-20)


Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

 

Commento 

Il tempo è compiuto, la persona di cui Giovanni Battista ha parlato è arrivata, forse superando le aspettative del Battista stesso. Questi predicava la conversione per preparare la venuta del salvatore, ma Gesù ci dice, invece, che la strada in realtà l’ha aperta e percorsa già lui, e che dobbiamo piuttosto accoglierlo.

Questa, già, è la prima conversione da vivere: non pensare che dobbiamo fare qualcosa noi per averlo vicino, ma piuttosto prendere consapevolezza che lui per primo si è fatto vicino e che solo a partire da questa presenza, possiamo inaugurare un nuovo modo di vita: non più secondo l’ “io” ma secondo il “tu” e di conseguenza secondo il “noi”, avendo come modello il “noi” di Dio.

Seguire Gesù potrà significare a partire dalla consapevolezza di Gesù vivo in mezzo a noi che, come i pescatori di Galilea, potremo servire l’uomo là dove siamo. Loro sono stati pescatori di uomini, perché erano pescatori di professione; un impiegato potrà sentirsi anzitutto impiegato a mettersi al servizio della società nel modo che la sua professionalità gli consente.
Un operaio potrà mettersi a servizio dell’uomo mettendo a disposizione le sue manualità per testimoniare che in quelle cose che fa c’è uno spirito nuovo, la signoria di Dio, prima ancora della ricerca del proprio guadagno. Anche un pensionato potrà decidere di imitare, e seguire Gesù nel servizio dell’uomo facendo della sua vita la testimonianza serena e gioiosa della gratitudine per tanti benefici ricevuti.

Seguire Gesù è possibile anche oggi perché egli, vivo nello Spirito, continua a passare sulle sponde delle nostre esistenze per chiederci, non necessariamente di stravolgere le nostre agende e i nostri percorsi, ma di cambiare piuttosto le nostre strategie e le finalità del nostro operare nel mondo: sempre alla ricerca del bene dell’uomo.

mercoledì 10 gennaio 2024

Chi ama Chi chiama non sopporta perdite di tempo

  

Commento al vangelo della II domenica del Tempo Ordinario, anno B – 14 gennaio 2024

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (1,35-42)


In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.

 

Commento

 In ragione di tutto quello che abbiamo contemplato durante il tempo natalizio sull’evento mirabile di Dio che si fa uomo, la fede cristiana – se vuole essere veramente esperienza di Cristo - deve passare inevitabilmente per i sensi umani, certamente non fermandosi solo ad essi. Giovanni Battista, anziché dare indicazioni generiche su quell’uomo da lui battezzato il giorno prima, attende che gli passi vicino; probabilmente in quei giorni alloggiavano nello stesso villaggio nei pressi del Giordano, ma solo quando lo vede passare davanti lo fissa e proclama: “Ecco l’agnello di Dio!”
Similmente anche Gesù, alla domanda teorica dei due discepoli del Battista – “Maestro dove abiti?” - a cui avrebbe potuto rispondere anche google maps o viewranger, li invita ad un’esperienza diretta, personale. “Venite e vedrete!”. Il mistero di Cristo non si incontra su una app o sulle pagine gialle, non sarà mai percepibile da un’intelligenza artificiale. Riportiamo alla memoria anche quello che abbiamo sentito nel Vangelo del giorno dell’Epifania: le massime autorità della religione ebraica sapevano a memoria che a Betlemme doveva nascere il Messia, e così pure Erode proprio da loro ne riceve conferma, eppure nessuno di questi si muove di un palmo dal proprio seggio per andare a constatare di persona.
I nostri sensi, dunque, sono necessari all’atto di fede ma se trovano il cuore chiuso, cioè non sono accompagnati da una buona dose di libertà interiore, dall’accoglienza delle ragioni del cuore - “che la ragione non può comprendere” direbbe Blaise Pascal -  a nulla servono, se non per fagocitare affannosamente ciò che non può nutrire la vita.
In San Francesco troviamo esempio mirabile di un uomo che in tutto sapeva contemplare la presenza amorevole del Signore: nelle vicende della storia e di quella sua personale, come anche nelle cose create. A tal riguardo san Bonaventura in modo molto sintetico disse di lui che “contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto” (LM IX,1- FF 1162).
Ma a sua volta anch’egli divenne testimone, faro e luce davanti ai contemporanei, fra i quali alcuni più da vicino “venirono e videro”, sulla scia di quel primo compagno, Bernardo che “corse, e correndo, li parve d’essere tardo”.