mercoledì 24 aprile 2019

Commento al Vangelo della II Domenica di Pasqua, 28 aprile 2019




Tommaso, uno di noi


TESTO (Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


COMMENTO

E fu così che il discepolo incredulo divenne il discepolo credente, capostipite di tutti coloro che avrebbero bisogno solo di toccare e vedere per compiere il salto della fede. In realtà l’apostolo etichettato come l’incredulo è un uomo perfettamente ragionevole, come lo dovremmo essere tutti noi, pienamente ancorati a quel dono dell’intelligenza che non può essere sacrificata e offesa neppure in nome della fede. 

In fondo cosa ha chiesto Tommaso se non constatare la verità dell’identità di Gesù di Nazaret, che gli altri dicevano di aver visto vivo?” E quali erano i segni più distintivi di quell’uomo se non le ferite del costato e delle mani?
Non ha egli comunque compiuto il salto della fede nell’affermare “mio Signore e mio Dio?” Tommaso ha visto un uomo ritornato in vita dopo averlo visto umiliato e violato, ma non ha potuto dire di aver visto Dio se non a partire da un atto di fede. Gli altri discepoli si limitano a dire “abbiamo visto il Signore”, ma lui, Tommaso, si spinge oltre e non senza, appunto, un atto di fede, dichiara: “Mio Signore, mio Dio”.

Un atto di fede grande, semplice, essenziale, che sorpassa la ragione senza offenderla; che si appoggia sull’esperienza umana ma che la supera a partire da un giudizio della coscienza, certamente illuminato dalla grazia divina. 
La beatitudine di chi, pur non vedendo, avrà creduto alla testimonianza degli apostoli non diminuisce la grandezza e la bellezza del percorso di fede che Tommaso compie nel giro di pochi istanti. Veramente beati noi se poggiando sull’esperienza di coloro che hanno visto e udito sapremo credere, e beato anche Tommaso che a partire dalla sua esperienza umana da incredulo diventa credente.