martedì 16 settembre 2014

XXV Domenica del Tempo Ordinario anno A; 21 settembre 2014



Padrone assoluto
(Cf Mt 20, 1-16)


TESTO

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».


COMMENTO

Incredibile a dirsi e ad ammettersi: nella parabola di Gesù gli operai impiegati dalle prime luci dell’alba ricevono la stessa paga di quelli assunti alle cinque del pomeriggio e che quindi faranno appena in tempo a versare poche gocce di sudore. 

Due cose tuttavia sfuggono agli operai dell’alba nella stranezza, voluta, di questo racconto: la prima è che la generosità del loro datore di lavoro non toglie niente alla loro paga, che corrisponde a quanto era stato pattuito. La seconda è che il padrone della vigna è appunto il padrone assoluto e non deve chiedere il permesso di ciò che fa.
Il ragionamento degli operai dell’alba è il ragionamento dell’uomo del mondo che dista dal pensare di Dio come la terra dal cielo (ci dice Isaia nella prima lettura). 
Nella ristrettezza delle cose umane è ragionevole temere che l’abbondanza data all'altro tolga qualcosa a me; avrei tutto il diritto di lamentarmi se il mio datore di lavoro largheggiasse troppo con i miei colleghi, perché nel lungo termine questa eccessiva generosità impoverirà l’azienda e potrà compromettere i miei futuri stipendi. 

Inoltre l’azienda del mio padrone, benché giuridicamente resti del mio padrone, è anche mia in quanto io vi lavoro e il suo prosperare e produrre reddito dipende anche da me. Il comportamento di questo padrone insomma, non solo è anti-sindacale ma è anche palesemente anti-economico. 
Nelle dinamiche umane di questo mondo, non a caso viene definito “economico” qualsiasi bene che in natura è scarso. 
Ma nella grandezza delle cose di Dio alla Grazia non esiste limite né restrizione: la sovrabbondanza elargita al fratello non toglie niente a me. Se il mio fratello è stato ricolmato di doni dall'alto o se riceve molto di più rispetto a quanto si merita, questo non impedisce che anche io possa ricevere abbondantemente dalle mani del Signore. 

Secondariamente la Grazia di Dio è tutta di Dio. L’uomo non vi entra in nessuno modo. La Grazia che ci salva  viene tutta dal Signore Dio; l’uomo non ne è com-proprietario nemmeno in minima parte: può solo accoglierla o rifiutarla.
Ecco perché la gelosia non ha ragione di essere. Dobbiamo solo rallegrarci della generosità smisurata di Dio perché, detto per inciso, non si sa mai: noi, operai dell’alba, potremmo ritrovarci ad essere operai del crepuscolo.