mercoledì 14 agosto 2024

Due vite in una

 

 Commento al vangelo della XX domenica del Tempo Ordinario, anno B - 18 agosto 2024
 

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».


Commento

 Nutrirsi del pane del cielo non significa solo ascoltare la parola del Signore, l’insegnamento di Gesù, ma addirittura mangiare la sua stessa carne e bere il suo stesso sangue. Queste parole suonarono durissime agli ascoltatori di Gesù, soprattutto a coloro che non conoscevano in profondità le Scritture; ma suonano dure anche a tanti cristiani, o se dicenti tali, di oggi, che non capiscono cosa voglia dire mangiare la carne di Gesù.

Dovremmo sfogliare alcune pagine dell’Antico testamento e andare a ritrovare quel passo in cui il profeta Isaia (cf. Is 6,1 ss) viene inviato a proclamare la parola di Dio dopo che un angelo ha sigillato con un carbone ardente le sue labbra, o il passo in cui il Signore dice al profeta Geremia “ecco io metto le mie parole sulla tua bocca” (Ger 1,9) o il passo di Ezechiele dove si dice che il Signore lo invitò a mangiare la sua pergamena prima di andare a profetizzare alla casa di Israele (cf. Ez 3,1-4).

Ebbene, ora Gesù, il verbo fatto carne, la parola di Dio, la sapienza di Dio fatta carne, va ancora più in là. Invita gli uomini, coloro che credono in lui, a cibarsi della sua carne, cioè ad entrare in un rapporto ancora più profondo con lui, con la parola di Dio: in un processo di assimilazione vitale. Dicevo domenica scorsa una “simbiosi” cioè una sorta di unione delle vite come esprime il significato di questa parola. 

Ecco che chi mangia la parola di Dio divenuta carne in Gesù non mangia un cibo materiale, non pone un atto di cannibalismo, ma nel segno concreto del pane (consacrato) approfondisce l’unione della propria vita con quella di Gesù, con la sua vita umana e divina; vivrà di una vita nuova, umano-divina appunto, che si innesterà senza snaturarla nella sua vita biologica.
Per questo chi ha vissuto di Cristo ha compiuto gesti come quelli di Gesù, e soprattutto ha condiviso i suoi stessi atteggiamenti del cuore. In fondo proprio questo è l’obiettivo del discepolo di Cristo: riprodurre nella propria umanità gli stessi sentimenti che furono nel cuore del proprio maestro.