giovedì 27 giugno 2019

Commento al Vangelo di Domenica 30 giugno 2019, XIII del TO

  

La santa fretta 


TESTO (Lc 9,51-62)  

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. 
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».


COMMENTO

Oggi comincio da un proverbio popolare secondo il quale “la gatta frettolosa fa i figli ciechi”; proverbio che vuole mettere in guardia dalla frenesia che molto spesso porta a realizzare in modo incompleto ciò che si deve fare.
Mi sembra opportuno citarlo perché in effetti la fretta è una temibile e pericolosa nemica della vita spirituale, tentazione dei discepoli del Signore, di tutti i tempi, di oggi e di ieri. Giacomo e Giovanni, lo abbiamo appena sentito, pensano bene di risolvere il problema della cattiva accoglienza dei Samaritani invocando dal cielo un fuoco che li bruci, perché se la cosa era riuscita al profeta Elia contro gli emissari del re Acazia, (cfr 2 Re 1,10) tanto più doveva riuscire a loro, discepoli di colui che era stato riconosciuto come il “Cristo di Dio” (Lc 9,20), profeta al di sopra di ogni altro profeta.

Gesù rimprovera i due fratelli per tale proposta, perché il suo modo di essere Messia si rivela, e si rivelerà ancor di più in seguito, fondato sulla misericordia, sulla pazienza, sulla compassione verso chi è lontano o comunque ha sbagliato. Gesù dirà in altra occasione: non sono venuto per condannare il mondo ma per salvare il mondo (Gv 12,47). 
Gesù vuole far scendere sulla terra un altro fuoco, non quello della punizione, ma il fuoco dell’amore di Dio, e consumarsi lui per primo in quell’incendio di Passione per la salvezza dell’uomo. Ricordate quel passo del Vangelo in cui Gesù afferma: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50).

Se la maggioranza degli ebrei di quel tempo aspettava il Messia-salvatore perché ristabilisse l’ordine religioso, condannando i peccatori e salvando i giusti, Gesù si presenta con un atteggiamento sorprendente, che da una parte non smentisce la sua identità e la sua missione, ma dall’altra si rivela come colui che anzi si fa carico delle miserie umane, vivendo, rivelando e quindi trasmettendo l’infinita tenerezza paterna (e materna) di Dio. Una tenerezza che si dona fino alla morte, che tutto avvolge, tutto risana e rispetto alla quale tutto passa in secondo piano. 

Questa è la vera e benevola fretta che invece scalda il cuore di Gesù, la fretta di accendere il fuoco della misericordia di Dio nel cuore degli uomini. Egli non chiede di disprezzare gli affetti familiari, di togliere il saluto ai propri cari, ma di vivere tutto nel primato dell’amore di Dio a cui nulla deve essere anteposto.  Che questo santo ardore scaldi le nostre coscienze!