sabato 12 agosto 2017

Commento al Vangelo di Domenica 20 agosto 2017, XX del Tempo Ordinario anno A

  

LA PROVA DELLA FEDE


TESTO (Mt 15,21-28) 

21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24 Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». 26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». 27 «È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.


              COMMENTO

Mai nulla è scontato nella relazione con il Signore. Il Signore entra nella e tocca la vita di ogni singolo uomo, di ogni tempo e luogo. Abbiamo sentito di una donna cananea, che quindi non apparteneva al popolo di Israele, quel popolo prescelto per essere il primo destinatario del messaggio del Vangelo. 
L’atteggiamento di Gesù lascia perplessi forse, perché sembra essere indifferente al dolore di questa donna. Occorre anzitutto dire che gli apostoli, solleciti nell’intercedere presso il Maestro per esaudirla, sono più preoccupati in realtà della loro tranquillità che del problema della donna: “Esaudiscila, vedi come ci grida dietro!”

Il Signore inizia un dialogo con la cananea a partire dalla verità delle sue promesse al popolo di Israele: di una salvezza cioè che dovrà scaturire da questo popolo scelto per poi toccare tutti i popoli, secondo anche la profezia di Isaia: 

Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». (Is 56,6-7).

Allo stesso tempo la cananea diviene il modello di una vita spirituale che non si arrende, che è consapevole della potenza del Signore, che nella prova e apparente silenzio di Dio, continua a sperare perché certa di trovare accoglienza. Da parte sua Gesù non solo esaudisce la fede di questa straniera, accompagnandola ad esprimere una fede sempre più totale e abbandonata, ma in modo non troppo velato dà un insegnamento anche ai suoi apostoli.

 Dopo aver affermato, infatti, di non esser stato inviato “che alle pecore perdute della casa di Israele”, di fatto va incontro alla preghiera di questa straniera. Si delinea in fondo una nuova identità di Israele, che non è più un popolo etnicamente identificabile, ma il popolo dei credenti in Cristo. Ecco il Nuovo Israele, a cui anche la cananea appartiene. Ora, per ciascuno di noi è la fede assoluta nella presenza e provvidenza di Cristo che diventa il metro unico di appartenenza all’assemblea di coloro (la Chiesa) che riceveranno la salvezza definitiva, di cui anche una guarigione è segno e profezia.

Anche san Pietro parla della Chiesa come del nuovo Israele, quando attribuisce ai fedeli in Cristo le 4 prerogative del popolo d’Israele nell’Antico Testamento: “Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia” (1 Pt 2,9-10).