venerdì 24 dicembre 2021

La verità dentro la storia

 Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe – I Domenica dopo Natale – 26 dicembre 2021

 

Dal Vangelo di Luca (2,41-52)
 
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.


TESTO

 I Domenica dopo Natale, celebriamo la Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, anche se Santo Stefano, per quest’anno rimarrà, un po’ nell’ombra. La liturgia, nel giro di 24 ore, ci fa fare un salto di dodici anni. Dalla capanna di Betlemme siamo già al tempio di Gerusalemme dove, come tutti i bambini ebrei dodicenni, Gesù avrà vissuto il rito del Bar-Mitzvah, cioè il passaggio all’età adulta che avveniva nella comunità ebraica proprio a quella età. E qual è il primo segno di adultità compiuto da Gesù? Proprio il fatto di affermare di fronte ai suoi genitori naturali la sua figliolanza rispetto ad un altro Padre, che egli definisce “il Padre mio”. Noi sappiamo che il Padre di Gesù è lo stesso Padre di ciascuno di noi, ma qui Gesù afferma il suo rapporto esclusivo, unico con Dio, lui che è figlio per natura; rispetto al nostro essere figli di Dio, che è, invece, per Grazia ricevuta. 

Nelle parole e nei gesti di Gesù troviamo un insegnamento straordinario: il fatto di occuparsi delle cose di Dio non gli impedisce, anzi lo obbliga a custodire i rapporti familiari, e a rispettare l’autorità paterna- materna di Maria e Giuseppe.

L’incarnazione del Figlio di Dio non è un atto estemporaneo, esterno alla condizione umana; al contrario Gesù cresce in sapienza, età, e grazia nel rispetto di una dinamica umana-familiare. Se è vero per lui, quanto non dovrebbe esserlo per ciascuno di noi! Il riferimento a Dio, tristemente, viene a volte usato per sganciarsi da ogni responsabilità umana e familiare, o sociale. Gesù ci fa capire invece che il rispetto della volontà di Dio si vive dentro la storia, non al di fuori; non estraniandosi, ma inserendosi nella vita. La luce della Grazia del Signore rischiari le nebbie dei nostri cuori, e ci renda capaci di essere costruttori di Comunione e di Pace, familiare e sociale.

giovedì 16 dicembre 2021

Non vi accorgete delle cose nuove che il Signore sta facendo?

IV Domenica di Avvento/C – 19 dicembre 2021


Dal Vangelo di Luca (1,39-45) 

 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

 

Commento

 Visita di Maria alla parente Elisabetta, meglio conosciuta come “Visitazione”. Siamo agli inizi della redenzione, quella che può essere chiamata la seconda creazione. Nella prima Dio parlava e contemplava la bellezza dei frutti della sua Parola. “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,12. 18. 21). Nella rigenerazione del mondo è la Parola stessa, il Verbo di Dio a farsi creatura, ma questa volta sarà causa di gioia solo per chi come Maria crederà a questa possibilità. Anzi, Gesù, la Parola vivente di Dio fatta carne, se non riconosciuto, sarà motivo di inciampo e di rovina. Il vecchio Simeone, quando vide arrivare al tempio di Gerusalemme Giuseppe, Maria e Gesù, “li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele»” (Lc 2,34).
La beatitudine di tutti coloro che credono, come Maria, nell’adempimento della parola del Signore, ha un tremendo rovescio della medaglia: il mutismo, l’insignificanza e la disperazione. Basti ricordare la condanna al silenzio dell’angelo Gabriele all’incredulo Zaccaria riguardo la tarda gravidanza della moglie, o il pianto di Gesù su Gerusalemme che non ha riconosciuto il tempo in cui è stata visitata.

L’episodio della visitazione di Maria a Elisabetta, indubbiamente gioioso e pieno di esultanza, offre al contempo un monito forte e severo alla nostra mancanza di fede che ci rende menomati, ciechi e – ultimamente - morti.

A pochi giorni dal Natale contempliamo con Maria, e come Maria, la vita che germoglia nelle cose meno appariscenti e più umili. La gioia vera e che non passerà in eterno, appartiene a chi, come lei, saprà vedere con gli occhi della fede la Parola di Dio portare frutti di bene pur nell’aridità di un mondo stanco, sfiduciato, e troppo spesso – giova dirlo – convinto che ovunque e sempre ci siano solo odio e complotti.  
 

domenica 12 dicembre 2021

…E io, cosa devo fare?

 III Domenica di Avvento/C – 12 dicembre 2021


Dal Vangelo di Luca (3,10-18)

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

 

Commento

La domanda esce fuori dalle righe del testo evangelico di questa Domenica: Cosa dobbiamo fare noi, cosa devo fare io, quali sono le opere degne della conversione?
Anzitutto ristabilire una giustizia umana, cioè operare perché ognuno abbia il necessario per la propria dignità, partendo dalla propria abbondanza. Gesù, all’inizio della sua vita pubblica, proclamerà beati gli affamati di giustizia perché saranno saziati. Ma appunto, in me, c’è sete di giustizia? Gesù proclamerà anche la beatitudine degli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Ma, c’è in me il desiderio, almeno il desiderio, della pace? Forse alla nostra sete mancherà sempre qualcosa, e i nostri desideri saranno sempre troppo tiepidi. Ecco allora l’opera delle opere: lasciarsi battezzare, leggi immergere, nel fuoco dello Spirito di Dio.

Lo Spirito di Dio, che al principio aleggiava sulle acque, ora entra nelle acque della nostra storia, le rende capaci di Dio, capaci di salvezza, in una parola le trasfigura. Se durante la vita terrena di Gesù, il battesimo in acqua (di Giovanni) e il Battesimo nello Spirito e fuoco avvengono in successione temporale, nel tempo della Chiesa, questi due battesimi vivono uno inserito nell’altro. Nel battesimo dell’acqua che Gesù comanda ai discepoli di amministrare ci sarà la partecipazione al suo Battesimo di fuoco, cioè alla sua Pasqua, l’inserimento nel fuoco dell’amore divino che egli condivide con il Padre. 

In quanto battezzati entriamo a far parte della stessa comunione divina: rimaniamo certo creature, ma creature che accettando, per usare un termine informatico, di essere riformattate dall’amore del Figlio Gesù, tornano al loro destino originario, di vivere da figli, in comunione con Dio Padre e i fratelli. Allora la sete sarà vera, le opere di pace saranno frutto di una conoscenza interiore del Dio della pace.

venerdì 3 dicembre 2021

Silenzio, parla il Signore

 II Domenica di Avvento, anno C– 5 dicembre 2021
 

Dal Vangelo di Luca (3,1-6)

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». 

 

Commento

 In principio, leggiamo nella Genesi, lo Spirito aleggiava sulle acque e Dio parlò: “sia la luce e la luce fu”.

Qui, nel racconto evangelico odierno, ci troviamo ad un nuovo inizio, una nuova creazione, in una descrizione ben circostanziata da tutti i riferimenti della storia civile e religiosa del tempo. “La Parola di Dio scese su Giovanni Battista, nel deserto”.
Se per quella parola (il Verbo stesso) Dio creò senza concorso d’uomo (sia la luce, e la luce fu), nella rigenerazione di tutto, Dio passa attraverso il si dell’uomo, il si di Maria e il si, in questo caso, di Giovanni: un uomo che visse a lungo nel deserto, perché nel deserto può essere accolto il richiamo interiore, lontano dalla tempesta delle sensazioni, delle emozioni, delle suggestioni del mondo. 

Se per Giovanni poteva essere una distrazione il rumore del mondo di allora, non so cosa potrebbe cogliere nel chiasso di questo nostro mondo una persona che non sia capace di fare un po' di deserto intorno a sé. Se il profeta Elia percepì la presenza di Dio nella brezza di un vento leggero, come potremmo noi cogliere i richiami dello Spirito di Dio, se non fossimo severi nel custodire uno spazio di silenzio nel cuore?

Il Signore che, proprio nel deserto, moltiplicò il pane perché ebbe compassione della fame di chi lo ascoltava, trovi anche in noi la fame della sua sapienza, la disponibilità a lasciarci incontrare anche nel deserto delle nostre solitudini e delle nostre delusioni, e a sentire il grido dei tanti richiami della vita che, come Giovanni Battista, spesso gridano in modo chiaro: “Preparate la via del Signore!”. Anche per noi avverrà la moltiplicazione del pane, perché ciò che sembrava non saziarci mai, ci diventerà abbondante, e motivo di gratitudine e di lode al Signore. Così anche per noi i burroni saranno riempiti, i monti e i colli abbassati, e anche noi vedremo la salvezza di Dio.

giovedì 25 novembre 2021

La vigilanza degli amici di Dio

 

I Domenica di Avvento anno C – 28 novembre 2021


Dal Vangelo di Luca (21,25-28.34-36)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». 

 

COMMENTO

 L’angoscia di popoli, uomini che moriranno per la paura: ma quando “vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria” allora in quel momento gli uomini potranno risollevare la testa e alzare il capo.

C’è solo una cosa, o meglio solo una presenza che può cambiare il lutto in gioia, e la paura in sollievo: l’arrivo del figlio dell’uomo, cioè del Cristo. Ma queste parole profetiche di Gesù sono state già innescate dalla sua morte-resurrezione. Il giudizio sta procedendo lungo la storia del mondo che inevitabilmente va verso la fine, ma soprattutto verso il Fine, che è il trionfo dell’Amore di Dio, o meglio dell’Amore che è Dio, attraverso il giudizio affidato a Cristo figlio di Dio e figlio dell’uomo.

L’anno scorso, all’inizio della pandemia abbiamo ripetuto uno slogan: “Andrà tutto bene”. Provate ad andare a chiederlo a Bergamo o nelle case di famiglie che hanno visto uscire un loro congiunto malato e non l’hanno più visto tornare, spesso privi anche della consolazione delle esequie. Provate ad andarlo a chiedere a tutte le persone che hanno dovuto chiudere la loro attività economica.

Andrà tutto bene, sempre e comunque? Dipende. Dipende da chi avremo scelto come destinatario delle nostre speranze. Se avremo vegliato nel cuore attraverso la forza della preghiera, non avremo nulla da temere, perché il Signore non è venuto a condannare ma a salvare, e a ognuno renderà centuplicato anche quello che credeva di aver perso. Ma chi si sarà affidato alle apparenti sicurezze di questo mondo, non potrà che temere anche il minimo incidente della vita, perché questo basterebbe a mettere a nudo l’inconsistenza delle sue speranze.
 

sabato 20 novembre 2021

Re di misericordia

 
XXXIV Domenica TO/B, Solennità di Cristo Re – 21novembre 2021 –


Dal Vangelo di Giovanni (18,33-37)

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

 

Commento

Il regno di Cristo non è di quaggiù. Cosa vuol dire regnare nella mentalità di Gesù? Vuol dire esercitare un dominio non tanto sulle persone ma sul male, l’ipocrisia, lo spirito di falsità che le opprime e che separa il loro cuore dalla paternità di Dio. Interessante la contro-domanda di Gesù a Pilato che lo interroga se fosse lui il re dei Giudei: “Dici questo da te, o altri ti hanno parlato di me?” Vorrebbe aiutare Pilato ad avviare una ricerca sincera della verità, per il proprio bene, e non per il mantenimento della propria autorità appoggiandosi alle opinioni più dominanti, e quindi più convenienti.

Chi invece è dalla verità, chi cioè ha un desiderio sincero di capire cosa sia il Bene e cosa dia senso alla nostra esistenza, troverà sintonia con le parole di Gesù, troverà affinità col suo cuore, ascolterà la sua voce; comprenderà che egli è venuto a primeggiare nell’amore e non nella coercizione, a ristabilire ciò di cui l’uomo si era privato: la fiducia in un Signore che non è dèspota ma padre ricco di misericordia.
 


giovedì 11 novembre 2021

Cambiamento d’epoca

 

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, anno B – 14 novembre 2021


 Dal Vangelo secondo Marco (13,24-32)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

 

Commento

Il Vangelo di questa Domenica ha una difficoltà oggettiva: c’è il ricorso ad un modo di parlare in uso ai tempi di Gesù - quello che si dice un genere letterario - in cui immagini di sconvolgimenti naturali e cosmici servono ad annunciare i tempi messianici, i tempi dell’arrivo del Messia, del Cristo, cioè del Salvatore di Israele. Per noi, uomini del XXI secolo, sembra quasi di ascoltare farneticazioni, ma ci occorre la fatica non solo di una traduzione linguistica, ma anche – in questo caso – di una traduzione culturale.

 Le parole di Gesù annunciano il sovvertimento degli equilibri correnti: se il nostro Pontefice Francesco rimarca che assistiamo non tanto ad un’epoca di cambiamenti, ma ad un cambiamento d’epoca, questo è tanto più vero per la Pasqua di Gesù, il suo passaggio-ritorno alla gloria del Padre, passando per la croce. La sua passione-resurrezione, ma anche la effettiva distruzione storica di Gerusalemme nell’anno 70 d.C., hanno segnato il passaggio ad una nuova era e la fine di quella vecchia. 

Noi osserviamo, di questi tempi, tante foglie cadere dagli alberi, ma sappiamo che in tale caduta si prepara la nuova fioritura di primavera. Il giudice di questo mondo, il Cristo, è stato condannato, e continua ad essere condannato in tante morti ingiuste e dimenticate, ma in tutte queste morti si prepara il suo giudizio secondo carità sul mondo e l’umanità; di questo parleremo Domenica prossima nella festa di Cristo Re.

Se tutto è destinato a passare, quale certezza ci resta a cui ancorare la nostra esistenza? La Parola di Gesù. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Solo chi resta in ascolto della Parola di Dio resta in piedi di fronte agli sconvolgimenti della vita. Notare: nel Getsemani, non appena Gesù, confermando la sua identità, disse: “Sono io” i farisei e le guardie dei sommi sacerdoti “indietreggiarono e caddero a terra” (Gv 18,6). Maria, al contrario, “beata, perché obbediente alla Parola del Signore” resta in piedi, ai piedi della croce”. Questo nostro mondo, per nostra fortuna, va verso una meta e un giudizio. A quali parole, o a quale parola vogliamo dare credito? Non è questione da poco.


venerdì 5 novembre 2021

Si ama anche usando il denaro

 

 Commento al Vangelo della XXXII Domenica del Tempo Ordinario, anno B – 7 novembre 2021


Dal Vangelo di Marco (12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».


Commento

Da quando mi occupo dell’economia del convento mi occorre, fra le altre cose, di svuotare periodicamente le cassette delle offerte e i cestini delle messe domenicali. Il primo pensiero, questa è quasi una confessione pubblica, è che le tante monetine di rame (quelle da uno, da due e da cinque centesimi, tanto per intenderci), più che un contributo alla vita della comunità, siano il frutto delle periodiche pulizie dei portamonete.
Fortunatamente questo brano del Vangelo e tanti altri gesti e parole di Gesù vengono ad ispirare pensieri diversi ed una più sana lettura in generale del rapporto che noi cristiani dovremmo avere col denaro. 

Questione di giustizia è che ogni membro di una comunità, come quella cristiana, ma potrebbe trattarsi anche di un’associazione sportiva o di un partito politico, dia il proprio contributo al funzionamento della stessa. Tuttavia, la misura e il valore di tale contributo potrà essere conosciuto solo dalla propria coscienza e dallo sguardo misericordioso di Dio che in essa ci parla.

Quella donna doveva essere conosciuta da Gesù – come poteva sapere altrimenti che era vedova? – e il gesto da lei compiuto è un atto di abbandono totale a Dio, e alla sua provvidenza di Padre, ma forse ancor di più un gesto nuziale, di consegna totale nel suo amore fedele e concreto. Sebbene vedova, appunto, e di conseguenza al di fuori di ogni sicurezza o protezione economica, la povera donna non si barcamena nella gestione del suo poco, ma preferisce amare il suo Signore – che per un ebreo era intensivamente presente nel tempio di Gerusalemme - fino alla fine, con tutta se stessa, con tutto ciò che aveva, e investire le due monetine nella banca delle infinite possibilità della misericordia di Dio.

sabato 30 ottobre 2021

L'amore conta

 

 XXXI Domenica del Tempo Ordinario – anno B – 31 ottobre 2021


Dal Vangelo secondo Marco (12,28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.



Commento

 Lo scriba non è lontano dal regno di Dio. Cosa gli manca ancora per arrivarci? Perché l’aver capito che il primo di tutti i comandamenti è l’amore non è ancora sufficiente per entrare nel regno di Dio? Perché per mettere piede, ed essere con tutta la propria vita dentro il regno di Dio, occorre entrare per la porta stretta dell’amore, e questa porta, stretta, lo sottolineiamo, è Gesù di Nazaret.

Lui ne è la sorgente inesauribile, sempre viva nei Sacramenti e nella vita della Chiesa; Lui ne è la misura e il termine di riferimento, attualmente presente nelle membra più sofferenti e marginali della nostra umanità.
Non è sufficiente capire, comprendere intellettualmente, ma occorre comprendere anche esistenzialmente, amando Dio con tutta la forza, e amando il prossimo come se stesso. 

La porta dell’Amore, del regno di Dio, non è stretta perché è per pochi, per una élite, ma è stretta perché è un ingresso al quale si accede per scelta; non la si trova per caso. L’amore è una scelta della nostra volontà. Il Signore ci dà mille e mille occasioni di incontrarlo, di ascoltarlo, ma poi, di fatto abbiamo la volontà di accoglierlo, di ascoltarlo, di cogliere i tanti segni che lui ci offre ogni giorno?
Forse per questo il famoso comandamento del Deuteronomio, ripreso da Gesù, inizia proprio così: “Ascolta, Israele!...”.

L’amore è alla portata di tutti, perché il Signore vuole che tutti gli uomini siano salvi (cfr. 1 Tim 2,4 ). L’amore è fatto di piccoli gesti, di un atto di responsabilità e di fiducia verso il prossimo, come quello semplicissimo di farsi vaccinare in un tempo di emergenza come questo. L’amore, dice San Paolo, è la cosa più grande, l’unica che resta. Le uniche cose che porteremo via da questo mondo - vale la pena ricordarlo dato che siamo in prossimità della Commemorazione di tutti i fedeli defunti -  è esattamente ciò che avremo donato agli altri in questa vita.

sabato 23 ottobre 2021

Credere per vedere

 XXX Domenica del Tempo Ordinario – anno B -  24 ottobre 2021


Dal Vangelo di Marco (10,46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.



Commento

 “Vedere per credere!”. Lo si dice per invitare qualcuno a constatare di persona quanto viene affermato; un modo per invitare ad un’esperienza diretta. Nell’episodio di Bartimèo Gesù ci esorta a fare il contrario: a credere per vedere. Quel povero cieco era convinto che Gesù poteva fare qualcosa per lui: per questo non si scoraggia neppure di fronte ai rimproveri della gente, ma anzi grida più forte, con quell’appellativo “figlio di Davide” che esprimeva la sua convinzione che Gesù fosse il Messia atteso dal popolo di Israele.
La sua invocazione è anzitutto “misericordia”. Invocare pietà da un altro significa anzitutto chiedere di essere accolto nel cuore con le proprie miserie e, di conseguenza, essere accompagnato nel proprio dolore.

Il cieco chiede a Gesù l’essenziale, ciò che Gesù è venuto esattamente a portare: pietà, misericordia. Non chiede come Giacomo e Giovanni, di cui abbiamo ascoltato Domenica scorsa, di sedere alla destra o alla sinistra nella gloria. No. Chiede l’essenziale: misericordia. Non era vedente, ma il suo intuito non lo aveva ingannato, lo sguardo del cuore non era venuto meno, ma anzi tenuto desto dalla speranza.

Non a caso è la stessa invocazione (eleison) che siamo chiamati a fare all’inizio di ogni celebrazione eucaristica (la Messa: Kyrie eleison); così importante che è l’unica parte della liturgia che mantiene la parola greca originale riportata dai vangeli.
A quel povero mendicante la misericordia di Dio permise di tornare a vedere, e di seguire il messia per la strada.
A noi che siamo troppo spesso, poveri mendicanti di speranza, la misericordia di Dio permetterà di tornare a vedere la presenza di Gesù nei nostri calvari personali, e di seguirne il cammino verso una vita trasfigurata, cioè rigenerata dall’Alto, dalla tenerezza del Padre.

giovedì 14 ottobre 2021

Gesù, avanti… il prossimo!

 

 XXIX Domenica del Tempo Ordinario – anno B – 17 ottobre 2021


Dal Vangelo secondo Marco (Forma breve10, 42-45):

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e disse loro:
«Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.
Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».


COMMENTO

 Il servizio, come concetto non è mai andato di moda. Oltre al termine, c’è nella mentalità corrente un certo prurito verso tutto ciò che significhi un lavoro umile, non dirigenziale, a basso contenuto intellettuale. Pensate agli spazzini che nel tempo sono diventati netturbini e poi operatori ecologici. E poi i bidelli che sono diventati anch’essi “personale ATA” (Amministrativi, Tecnici e Ausiliari). E poi chi si permetterebbe di definire la Vergine Maria “donna di servizio”, magari facendo rientrare tale titolo tra quelli delle litanie lauretane, come proponeva don Tonino Bello? Ma anche le donne di servizio sono diventate Colf. Insomma, si capisce, che la parola “servire”, per giunta obbedendo a qualcun altro, proprio non è accattivante. Eppure Gesù parla del figlio dell’uomo, cioè di sé stesso, come di colui che è venuto non per farsi servire, ma per servire, cioè dare la vita in riscatto per molti.

Interessante. Noi facciamo concorsi e cerchiamo raccomandazioni per fare carriera e salire in alto e Gesù, che avrebbe avuto abbastanza diritto di dire: “voi non sapete chi sono io”, sceglie la via dell’abbassamento; non fine a se stesso, ma per amore. La croce esisteva già prima di Gesù. Lui, però, ne ha fatto un luogo di amore, di incontro con l’amore del Padre e quello per gli uomini. La via di Dio e quella dell’uomo si sono, letteralmente “incrociate” nell’umanità divina di Gesù. 

Gesù è la traduzione umana dell’amore che è Dio: Gesù, colui che salva, che si rende presente negli uomini che tutti scarterebbero e in quelli più tecnicamente inutili, ma più densi della sua presenza; Gesù attende lì, proprio in quella umanità, un gesto di affetto, di accoglienza, di tenerezza, perché lui, il Cristo Signore, entra nella nostra vita sempre per la porta … di servizio. E noi che, come Giacomo e Giovanni, chiediamo male, senza sapere quello che chiediamo, aspettiamo di incontrare Dio come e dove vorremmo noi, negli angusti spazi della nostra religiosità impacchettata, comoda, possibilmente su appuntamento. 

Auguriamoci che - come a Francesco d’Assisi -, un giorno capiti anche a noi di incontrare un lebbroso dei nostri tempi, e di sentirci bussare alla porta della coscienza. L’accoglienza di quel fratello, potrebbe essere la svolta della vita, e la sua la raccomandazione più decisiva per i posti che veramente contano.

sabato 9 ottobre 2021

Guai ai ricchi!

 

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, anno B - 10 ottobre 2021

 

 Dal Vangelo di Marco (Forma breve: 10, 17-27)

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».


COMMENTO

Gesù non stabilisce una fascia di reddito per definire chi sono i ricchi; afferma semplicemente, rivolgendosi ai discepoli, “…quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio!”.

E all’evangelista Marco piace sottolineare che le ricchezze di quell’uomo che se ne va triste sono comunque molte, perché gli impediscono di fare il passo decisivo: mettere Gesù al primo posto.
Non tutti siamo chiamati a fare voto di povertà, come i religiosi, - non è questo il punto – ma tutti coloro che desiderano seguire Colui che solo è buono, Cristo Signore, non possono farsi idoli, cioè non possono divinizzare cose di questo mondo o anche (cosa molto frequente) assolutizzare delle forme di culto, delle forme esteriori – solamente esteriori – di religiosità.

Non vorrei essere pessimista ma quest’ultima forma di ricchezza è ben pericolosa e diffusa: si tratta della peggiore forma di attaccamento al proprio “Io”, e con essa si vorrebbe insegnare anche al Signore il corretto modo di salvarci.

Penso alle tante persone che rifiutano l’assoluzione sacramentale perché non accettano la mediazione umana della Chiesa (e quindi di Cristo); penso a quante persone in questo tempo di pandemia rifiutano l’Eucaristia perché non vogliono riceverla sulle mani; penso infine a tante persone molto più legate alle loro devozioni che ai sani insegnamenti dei loro pastori; insomma, un “Io” ingombrante è la ricchezza radicale che si manifesta in tante forme, compresa quella economica – certamente - , e che ci impedisce di fare spazio alla salvezza di Cristo Signore.

venerdì 1 ottobre 2021

Per la durezza del vostro cuore

 XXVII Domenica del Tempo Ordinario – anno B – 3 ottobre 2021


Dal Vangelo di Marco (10,2-16)

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

 

Commento

Il Signore si adegua anche alla durezza dei nostri cuori, accetta di dialogare con uomini che non potrebbero, al punto in cui sono giunti, comprendere i suoi insegnamenti basati e fondati sull’amore, sul dono della propria vita.
Ecco, allora che Mosè, certamente ispirato da Dio, permise agli antichi ebrei di ripudiare la propria moglie. Più in là di quello, in quel momento non potevano proprio arrivare.
Ma ora Gesù è consapevole che sta facendo qualcosa di veramente nuovo, sta finalmente operando quel trapianto di cuore di cui aveva profetizzato Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26).

Solo lo spirito donato da Gesù, da parte di Dio Padre può realizzare una comunione che non soffre la fatica del tempo, e che anzi si proietta oltre il tempo. Chi potrà mai dare ad un uomo e ad una donna la capacità di vivere donandosi l’un l’altro per tutta la vita? Tale cosa è veramente un’opera divina, un’opera dello Spirito di Dio.
Eppure, penseranno molti, quanti matrimoni-sacramento falliti? Dunque, a cosa è servito il dono sacramentale dell’amore di Cristo a quegli sposi che poi si sono lasciati? 

In realtà non possiamo mai scommettere sulla libertà dell’uomo che rimane sempre tale anche di fronte alla Grazia divina. Un ritorno alla durezza del cuore vecchio è sempre possibile, e soprattutto molto doloroso, specialmente per la parte che ne subisce le conseguenze. Ma il Signore, anche in questi casi, non ha mai “piani B”, ma sempre un desiderio di guarigione e di accoglienza, pur attraverso dure prove. Forse per questo, subito dopo le parole sull’indissolubilità del matrimonio, Gesù invita ad accogliere il Regno di Dio con la semplicità con cui lo farebbe un bambino. Perché sarà sempre l’umiltà e la semplicità del cuore a realizzare la guarigione definitiva, e le nozze ultime con il corpo misericordioso di Cristo crocifisso e glorioso.

lunedì 27 settembre 2021

Cristo: misericordia senza diritti d’autore

 XXVI Domenica del Tempo Ordinario, anno B, 26 settembre 2021
 

 

Dal Vangelo di Marco ( 9,38-43.45.47-48)      

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».


COMMENTO 

Gesù presenta due situazioni diametralmente opposte, ma quanto mai verificabili e frequenti nella pratica.
Dapprima, ci sono tanti che non seguono i discepoli di Cristo, e che non seguono le loro tracce; oggi diremmo “i tanti che non si sentono parte della Chiesa”. Eppure, in qualche modo hanno sentito dire della sua immensa bontà, hanno intuito che la sua persona è accoglienza verso tutti, e confidando nel suo nome, possono operare segni grandiosi. Il Signore, nella sua misericordia, in effetti, agisce come e dove vuole, ben al di fuori dei confini visibili del suo corpo spirituale, che è la Chiesa; e aggiungiamo, anche tramite uomini di buona volontà che neppure potrebbero aver mai sentito parlare di Cristo.

D’altra parte si può verificare il caso contrario: ci sono uomini da cui ci si aspetta una testimonianza di vita palesemente evangelica, nelle scelte e nei comportamenti; ma essi invece scandalizzano “i piccoli”, cioè tutte quelle persone che avrebbero bisogno di essere sostenute nella fede e nelle loro fragilità.

Il messaggio che possiamo ricavare dalla presentazione di queste opposte situazioni è che l’appartenenza istituzionale e ideale ai seguaci di Cristo, da sola, non è una scelta formale, fatta una volta per sempre. Saranno le situazioni concrete a richiedere una continua e rinnovata scelta di fede, di fiducia nel suo messaggio di misericordia e di giustizia; in estrema sintesi: di adesione alla sua persona.

giovedì 16 settembre 2021

La via della segreta grandezza

 

XXV Domenica del Tempo Ordinario, anno B– 19 settembre 2021



Dal Vangelo di Marco (9,30-37)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».



Commento

 I discepoli avevano paura di interrogarlo su quel difficile argomento: Gesù sarebbe dovuto morire; e la parola resurrezione doveva sembrare ancora oscura. Ma qualcosa sicuramente hanno capito, dato che in segreto iniziano a discutere su chi tra loro fosse il più grande. Come a dire. “se veramente il maestro se ne va, chi prende il suo posto?” 

Problemi frequentissimi in tutte le istituzioni umane, comprese quelle ecclesiali, per quanto, queste ultime, abitate dalla presenza dello Spirito di Dio. Una questione difficile da capire, che resterà ostica fino alla fine della storia, perché il primato del servizio, e la grandezza dell’essere ultimo non è problema intellettuale, ma primariamente esperienziale.
Per essere primi, occorre farsi ultimi. Ma per farsi ultimi non serve studiare il Vangelo a memoria, occorre partecipare alla vita di chi è ultimo, donandogli il proprio tempo, condividendogli le proprie risorse.

Come ha fatto Gesù a donarci il suo essere “figlio di Dio”?: offrendo la sua vita per noi. Come possiamo fare noi per imitare la grandezza di Gesù, e vivere in Lui, e sederci un giorno con lui e in lui nel trono del Figlio di Dio? Facendo più o meno la stessa cosa: servendo gli ultimi, immedesimandoci nella vita e nelle sofferenze degli ultimi, con il suo amore e per il suo amore gratuito (leggi: la grazia divina)
Per fare un esempio pratico, tempo addietro dicevo a due giovani che preparavano la loro festa di nozze: “Come fate a celebrare un matrimonio cristiano (cioè in Cristo) se non vi ricordate di chi non ha nessun motivo per festeggiare? Come fate a inaugurare una vita cristiana a due se non vi ricordate minimamente di chi è solo, di chi è nelle lacrime, di chi è dimenticato da tutti?” … Anche questo è accogliere Cristo nella propria vita.
 

 

venerdì 10 settembre 2021

Mysterium crucis

 

 XXIV Domenica del Tempo Ordinario/B – 12 settembre 2021

 

Dal Vangelo di Marco (8,27-35)

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».


Commento

 Nella XXI Ammonizione San Francesco esorta i frati a fare molta attenzione a non manifestare le cose di Dio per ottenerne un vantaggio, o addirittura un merito personale: “Guai a quel religioso – dice Francesco – che non custodisce nel suo cuore i beni che il Signore gli mostra e non li manifesta agli altri nelle opere, ma piuttosto con la speranza di un contraccambio, brama manifestarli agli uomini a parole”.

La preoccupazione di Gesù nei confronti dei suoi discepoli non era molto lontana da quella del santo di Assisi. Anche nelle cose più nobili e sublimi, anche nelle cose di Dio c’è il rischio dell’appropriazione, dell’uso per l’innalzamento di sé stessi. La rivelazione che Gesù è il Cristo, cioè il prescelto, l’unto di Dio, sicuramente è un dono specialissimo concesso dallo Spirito a Pietro, ma questi non sarà assicurato in automatico dalle malevole istigazioni del nemico; Pietro dovrà combattere la battaglia che sarà poi di ogni uomo, contro la costruzione di una religione artificiale, costruita su sé stessi. “Satana” dice Gesù, senza mezzi termini. O si offre la vita per amore, cioè per rispondere ad un amore che ci precede e che ci chiama, oppure, dietro un’apparenza, si cerca di impossessarsi di gloria umana e potere.
 Pietro rimprovera Gesù, perché pensa di dover essere lui a insegnargli come dovrebbe salvare il mondo, come dovrebbe svolgere il “mestiere” di Salvatore. 

Quanto è frequente anche ai nostri giorni, vedere cristiani (meglio: … che dicono di essere cristiani) avere la pretesa di sapere come Dio dovrebbe intervenire nelle crisi familiari, nelle pandemie, o nelle questioni ecclesiali. Che difficoltà ad accettare l’umanità in cui Dio si rivela: per Pietro e i discepoli lo scandalo era l’umanità di Cristo; per noi che viviamo oggi, lo scandalo è l’umanità della Chiesa e dei suoi pastori.
Per tutti c’è una sola parola d’accesso (dicesi anche password): il mistero della croce vissuta per amore di Cristo.


sabato 4 settembre 2021

Apriti Cielo!

 

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario/B – 5 settembre 2021

 

Dal Vangelo di Marco (7,31-37)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».


Commento

Nel Vangelo di Giovanni, capitolo 1 (cf Gv 1,49-51) si racconta che quando Natanaèle riconobbe l’autorità di Gesù, dicendogli: “tu sei il figlio di Dio, tu sei il re d’Israele”, Gesù rispose: “Vedrai cose maggiori di queste…vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.

E proprio nel Vangelo di oggi ci troviamo difronte, sì a una delle tante guarigioni operate dal Messia, ma anche alla particolarità di questa invocazione che addirittura l’evangelista ha voluto riportarci nella lingua originale parlata da Gesù – l’aramaico -, e così abbiamo il suono esatto della parola di Gesù: “Effatà”. Una parola che è stata pronunciata anche su chi tra di noi ha ricevuto il Battesimo nel nome di Cristo Signore; e il ministro aggiunge, seguendo il Rito del Battesimo: “Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre”.

La cosa interessante è che il comando così perentorio rivolto dal nazareno, non sembra rivolto all’orecchio o alla bocca, ma proprio al Cielo. “Apriti!”. Il Signore, per questo sordo muto, compie un gesto profetico straordinario, perché anticipa per lui e su di lui la riapertura della comunione piena tra Dio e l’Uomo. I cieli si chiusero al peccato della prima coppia di uomini. I cieli si riaprirono alla resurrezione-ascensione di Cristo, e qui Gesù chiede e ottiene che su questo malato si realizzi un’anteprima, un segno di questa piena riammissione dell’umanità nella gloria della divina comunione che avverrà nella sua Pasqua.

Ed ora che la relazione tra Dio e l’uomo è stata pienamente ristabilita, si tratterà di viverci all’interno, di abitarla, di non trascurare quel dono immenso del nostro Battesimo che ha riaperto la presenza di Dio su tutte le nostre chiusure e ristrettezze di cuore, e che ristabilirà anche la pienezza della nostra corporeità. Buon cammino!

giovedì 26 agosto 2021

Signore, tu mi scruti e mi conosci

 XXII Domenica del TO anno B – 29 agosto 2021 - 

 

Dal Vangelo di Marco ( 7,1-8.14-15.21-23)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
 

 COMMENTO

Come non notare nelle parole di Gesù la sottolineatura del valore primario dell’interiorità: ciò che esce dall’uomo, dal di dentro, dal cuore, dall’interno; questo rende impuro l’uomo! Più che una contrapposizione rispetto alla legge ebraica è il tentativo di dargli completezza. Ricordiamo infatti quanto detto dallo stesso Gesù: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17).
Il compimento consiste proprio nel guardare il cuore, o meglio nel lasciarsi guardare nel cuore dal Signore, dalla sua Parola che – come ci dice la lettera agli Ebrei – «è viva, efficace… e scruta i pensieri e i sentimenti del cuore» (Eb. 4,12).

San Francesco d’Assisi raccomandava ai suoi fratelli di amare e adorare il Signore con cuore puro e anzi aggiungeva: “E sempre costruiamo in noi una casa e una dimora a Lui, che è il Signore Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo” (Regola non bollata, n. 22).
Per concludere gioverà ascoltare il CCC al n. 2563 riguardo alla realtà di ciò che abbiamo definito finora “cuore”, “interiorità”: “Il cuore – sto citando – è il nostro centro nascosto, irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo. È il luogo della decisione...il luogo della verità… il luogo dell’incontro, poiché ad immagine di Dio, viviamo in relazione.” (CCC 2563).

Forse è vero che al cuor non si comanda, ma è certamente vero che possiamo decidere a chi permettere di accedervi e di prenderne il comando.

sabato 21 agosto 2021

Allenarsi con... Spirito

 Commento al Vangelo della XXI domenica del TO/B – 22 agosto 2021


Dal Vangelo di Giovanni (6,60-69)

 In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù, infatti, sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».


Commento

Si sono da poco concluse le olimpiadi di Tokyo.
Ascoltando il racconto dei nostri numerosi connazionali che hanno riportato vittorie e medaglie d’oro, si intuisce che ancora prima dei fuoriclasse, essi sono degli uomini che esprimono amore per quello che fanno, impegno, e soprattutto capacità di rinunciare a tanto altro, a tutto quello che non è direttamente finalizzato al loro obiettivo.
Una passione smisurata guida un campione dello sport alla realizzazione del suo desiderio profondo. Una passione smisurata può guidare un qualsiasi uomo a giocare tutta la vita quando intuisce che nel raggiungimento di quel risultato potrebbe risiedere la sua più grande realizzazione umana. Forse si potrebbe sbagliare. Ma forse no.  
In questo capitolo 6 del vangelo di Giovanni Gesù conclude un lungo discorso sulla necessità del pane di vita, della sua stessa vita per avere la vita eterna.

La carne non giova a nulla, è lo Spirito che dà la vita. Solo l’amore, in questo caso il fuoco dell’amore divino, lo Spirito Santo, può permettere di superare barriere apparentemente insuperabili, prima fra tutte la morte, la fine di questa vita terrena.
Gesù è l’unico che è disceso dal Cielo, e resta l’unico che per il Cielo può riaprire la via. Ma per percorrere questo itinerario “la carne non giova a nulla”, nessuna realtà di questo mondo può condurre a fare il grande salto. Solo le parole di Cristo sono Spirito, sono vita … “eterna”. 

Ecco allora il nostro grande allenamento: vivere tutte le realtà di questo mondo come secondarie, o se vogliamo come occasione di incontro con il volto di Cristo, con il suo cuore, con la sua stessa Passione, con la sua parola creatrice, che fa ogni cosa dal nulla, e che rigenera ogni cosa dal nulla.

Il cibo del suo corpo, la Santa Eucaristia non è anzitutto carne, ma è Spirito, è passione divina che supera, attraversandoli, qualsiasi sacrificio e prova, necessari per restare ancorati ad un progetto d’amore che non finisca nel breve respiro di un’illusione.

giovedì 5 agosto 2021

Il Cielo sulla terra.

 Commento al Vangelo della XIX Domenica del Tempo Ordinario/B – 8 agosto 2021 -


Dal Vangelo di Giovanni (6,41-51)

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».



COMMENTO

 Gesù, pur conosciutissimo, era ai più del tutto sconosciuto. Era effettivamente il figlio del notissimo Giuseppe, e altrettanto nota era sua madre. In un paesello di 100 persone, o poco più, non erano da temere scambi di persone; eppure ecco la domanda: “come può dirci costui: ‘sono disceso dal cielo’?”. Nello stesso senso è da leggere l’accusa che lo portò alla condanna: “«…tu, che sei uomo, ti fai Dio». (Gv 10,33).

Gli uomini faranno sempre un’enorme fatica ad accettare che Dio possa assumere la fragile condizione dell’uomo, e ancor più ad accettare di essere da lui salvati in un modo così umile, doloroso, e lontano dalle caratteristiche di un leader politico, militare o comunque vincente.

Dio non viene con potenza, ma viene, pur rimanendo Dio, nella condizione umana ferita dal peccato; si impasta della nostra pochezza perché anche noi possiamo diventare una sola pasta, un solo pane, un solo corpo con Lui. Mai il divino, dai tempi della creazione, si era fatto così vicino all’uomo. Gesù è pane del cielo, pane per il cielo, perché la sua presenza è l’ultimo accesso messo a nostra disposizione per ritrovare la via perduta della comunione con il Padre che lo ha mandato.

Ma l’ultima affermazione di Gesù aggiunge un dettaglio ancora più sconvolgente: “il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Il cerchio si stringe ancora di più. L’adesione a Gesù non è solo un’adesione intellettuale, o morale – nel senso di adesione ad un codice etico - , ma addirittura adesione vitale, carnale. Cristo si offre come nutrimento per la vita (eterna).

La sua vita donata, il suo corpo offerto sulla croce non costituiscono solo un estremo gesto di amore eroico, ma ancore più un nutrimento delle nostre estreme speranze. Quel corpo, dall’Ascensione in poi, diventerà anche il nostro; la sua vita nuova, da risorto, diventerà anche la nostra; per mezzo del Battesimo anche per noi ci sarà la possibilità di una vita nuova in Lui, che germoglierà qui e fiorirà definitivamente nei cieli e nella terra nuovi.

venerdì 30 luglio 2021

La cena è servita

  

Commento al Vangelo della XVIII Domenica del TO anno B – 1 agosto 2021

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,24-35)

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».

Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».



Commento

Dato che Gesù aveva detto (cfr. Gv 4,34): «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.”, qualcuno della folla sentendolo parlare del cibo che non perisce, pone la domanda su quale sia la volontà di Colui che manda, e quali siano le opere da compiere.
 La risposta di Gesù non si concentra sul fare, ma su una scelta di relazione, e cioè a chi aderire, a chi affidare la nostra vita: perché evidentemente in quell’uomo che moltiplica il cibo c’è ben altro che un semplice uomo.

Gesù non propone un atteggiamento esteriore, un galateo particolarmente raffinato, ma una scelta di coscienza. Credere in Gesù significa proprio aderire alla sua presenza in modo globale, fino quasi a far divenire questa relazione essenziale, appunto, come il pane quotidiano.

E poi Gesù, aggiunge che chi verrà a lui sarà saziato e dissetato, per sempre. Come è possibile? Aderire a Gesù significa introdurre la vita in un altro contesto esistenziale.  Le varie dimensioni della vita non possono essere trascurate: custoditi i legami familiari, accolta la necessità del lavoro per il cibo di ogni giorno, accettata la sfida dell’incertezza della vita; ma quando si vive in Cristo Gesù, nella comunione spirituale con lui e in lui, la nostra umanità è totalmente trasformata, o meglio ancora “trasfigurata”; avviene una sorta di “trapianto della volontà di Cristo nella nostra, o della nostra nella sua”, a tal punto che vivremo come se ci appartenessero in pieno, i suoi stessi atteggiamenti di dono, di condivisione, di solidarietà, e soprattutto di affidamento all’amore di Dio Padre; e questa sarà una vita vera, degna di questo nome, in cui anche i beni materiali, nel condividerli, si moltiplicheranno, e in cui potremo pregustare la comunione di Dio: il cibo di cui ci nutriremo in eterno.

venerdì 23 luglio 2021

Finalmente sazi

 

Commento al Vangelo della XVII Domenica del TO/B – 25 luglio 2021
 

Dal Vangelo di Giovanni (6,1-15)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
 

 

Commento

L’erba era abbondante ma scarso era il pane, come abbondanti sono le nostre aspettative, i nostri più intimi e inespressi desideri, ma scarsa è la realizzazione. Quell’erba abbondante, di cui solo l’evangelista Giovanni  parla, ci appare una provocazione rispetto alla necessità del momento. La parola greca che significa “erba” è la stessa usata dai vangeli per indicare gli steli di grano: come a dire che quel luogo non era per nulla arido, anzi vi si poteva attendere un grande e abbondante raccolto, ma ancora quegli steli erano ben lontani dall’essere spighe di grano, e tanto meno grano maturo, e quindi neppure farina per fare il pane. In quella scarsezza di cibo c’è la fotografia della nostra vicenda umana: tante aspettative ma fame di tutto.

Il contesto sembra simile al discorso della montagna: tanta folla, Gesù sale sul monte e siede con davanti i discepoli: Qui però non proclama la beatitudine dei poveri e degli affamati, ma pone invece una domanda esplicita: “dove potremo comprare il pane?”. Detto in altra maniera potrebbe intendersi: “con i nostri mezzi ordinari, naturali, con il nostro denaro, come risolviamo questa fame?” Ma ecco che piano piano inizia il miracolo. Qualcuno tira fuori 200 denari, un altro 5 pani e due pesci, e Gesù rende grazie al Padre per quel poco. Il senso di questo grande segno sarà Gesù stesso a spiegarlo nella sinagoga di Cafarnao e lo ascolteremo nei vangeli delle quattro prossime domeniche, ma intanto abbiamo intuito che in Gesù c’è l’inizio di una realtà nuova, di un mondo nuovo: l’inizio del compimento dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni di eternità.

Ecco che l’erba verde, abbondantissima, è segno e anticipo non solo del pane che verrà, ma anche di quel giardino perduto a causa del peccato, e recuperato per sempre, grazie a Cristo Gesù, nella Gerusalemme del cielo. La sazietà di migliaia di persone è preludio e anticipo di quella immensa gioia che vivremo quando un giorno arrivando a destinazione – nella casa del Padre - potremo dire: finalmente, tutto questo è ciò che più mi aspettavo dalla vita!

venerdì 16 luglio 2021

Signore, mandaci qualcuno da amare!

 

 Commento al Vangelo della XVI domenica del Tempo Ordinario – 18 luglio 2021

 

Dal Vangelo di Marco (6,30-34)

 In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

Commento

 “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo” (Ger 23,1). Il rimprovero di Dio che ci giunge tramite il profeta Geremia sei secoli prima di Cristo, attraversa quasi tutte le epoche della storia di Israele. Per questo, per evitare di continuare a predicare invano tramite profeti inascoltati, nella pienezza dei tempi, è Dio stesso che viene a predicare al suo popolo; è lui stesso che si fa uomo e viene tra noi per trasmetterci con gesti e parole di uomo la sua infinita tenerezza. Il figlio di Dio, in Gesù, non ha assunto un’apparenza umana, ma al contrario ha assunto interamente la nostra natura, fragile, mortale, passibile, pur rimanendo Dio.

La compassione di Dio Padre che Gesù rivela e incarna, così come raccontano gli evangelisti (Marco in questo caso), parte da lontano, dal cuore infinitamente compassionevole di Dio Padre.

Ma, giustamente, si dice che è più facile regalare una camicia al povero, piuttosto che indossare la stessa camicia del povero! E allora il Signore non si accontenta più di una compassione da remoto, se così si può dire, e inviando il suo Figlio unigenito, condivide “in presenza” lo stesso smarrimento degli uomini di questo mondo.
Non sono solo gli uomini di Galilea di due mila anni fa, ma tutti gli uomini di tutte le epoche e le etnie, che possono ritrovare in Gesù, la giusta direzione della vita. Forse ancor più sgradevole del dolore, fisico o spirituale, è la mancanza del senso di ciò che si deve subire, e ancor più la solitudine.

In Gesù, nella sua presenza viva di risorto, attualizzata dai segni sacramentali della Comunità cristiana, ma anche dall’umanità stessa dei suoi membri, l’uomo di ogni tempo ritrova conforto e una compagnia per il suo viaggio. E quando la fatica ci dovesse pesare oltremodo, proviamo a pregare come santa Teresa di Calcutta: “
Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo, quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; … quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi”.


giovedì 8 luglio 2021

Stili di vita

  

Commento al Vangelo della XV Domenica del TO – anno B – 11 luglio 2021


Dal Vangelo di Marco (6,7-13)

 In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Commento

 Nel racconto di Marco le istruzioni date da Gesù assomigliano a quelle che Dio diede agli ebrei nella notte di Pasqua (cf Es 12,12): “i sandali ai piedi, il bastone in mano”. L’evangelista intuisce che l’invio degli apostoli da parte del Signore è già una liberazione dalla schiavitù del male e l’annuncio verbale deve essere, non solo accompagnato da uno stile di sobrietà ed essenzialità, ma anche di richiamo a quella cena pasquale che gli ebrei consumarono in fretta prima di attraversare il mar Rosso; e quella cena gli ebrei la consumarono appunto con i fianchi cinti, il bastone in mano e i sandali ai piedi, perché era il passaggio (la Pasqua, appunto) dalla schiavitù di Egitto alla libertà verso la terra promessa.

Gli uomini di quel tempo, che avrebbero visto passare gli apostoli, dovevano quindi capire, già dal loro stile missionario, almeno due cose: che chi si fida della Parola di Gesù di Nazaret non mancherà mai dell’essenziale, perché “non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (cf. Mt 4,4  ); secondariamente, che gli apostoli (letteralmente: gli inviati) annunciando con la vita e la parola che il regno di Dio è vicino, hanno già vinto in sé stessi l’impero del male, l’egoismo, l’idolatria del proprio benessere e delle proprie sicurezze materiali; che gli apostoli, cioè, sono uomini veramente liberi, redenti, uomini che sperimentano, loro per primi, quanto quella parola accolta gli ha dato potere sulla sopradetta schiavitù, ben peggiore di quella egiziana.

Ecco perché i dodici riescono a fare le stesse cose compiute dal loro maestro-Gesù il figlio di Dio, cioè scacciare i demoni e guarire gli infermi: perché da lui hanno ricevuto autorità e da lui hanno ricevuto in anticipo la forza per sconfiggere in sé stessi il regno del male. Esattamente quella autorità e quella forza che dalla Pentecoste in poi sarà di tutti i battezzati in Cristo.

 Ma i battezzati in Cristo cosa sceglieranno: di vivere secondo il mondo o secondo la sobrietà evangelica proposta da Cristo Signore. A ognuno la sua scelta.

giovedì 1 luglio 2021

Il Vangelo delle meraviglie

 

Commento del Vangelo della XIV Domenica del TO, anno B – 4 luglio 2021


 

Dal Vangelo secondo Marco (6,1-6)

 In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. 

 

Commento 

Lo stupore dei compaesani, e la meraviglia di Gesù: sono questi i termini del brano di oggi. La gente della Galilea non riesce ad arrivare abbastanza in alto nell’immaginare la fonte della sapienza del falegname, “figlio di Maria”, e questi non riesce ad andare abbastanza in basso – per ora - per comprendere dal fondo e fino in fondo la durezza del cuore umano. Si direbbe che sono due stupori, due meraviglie che si incontrano; ma in un rapporto che non è simmetrico. Sappiamo infatti che Gesù continuerà la sua discesa nell’abisso dell’incredulità dell’uomo, percorrendo l’unica strada possibile: non quella del ragionamento per convincere, ma quella della condivisione della stessa nostra mala-sorte.

Gesù assume su di sé l’incredulità, non solo dei suoi dei suoi parenti ma anche di tutti gli uomini, quando anche lui soffre fino a sudare sangue per arrivare ad accettare la sapienza del disegno del Padre, per un attimo, nel Getsemani, oscura anche per lui.

Neanche per Gesù fu tutto chiaro, neanche per lui fu immediato intuire completamente il modo con cui la misericordia del Padre avrebbe riportato vittoria sulla cattiveria del mondo, ma tuttavia ha saputo rimanere ancorato alla relazione con il Padre. Nella fede vittoriosa di Gesù è anche la nostra umanità che ha riportato vittoria. 

Gesù constatò quanto un profeta può essere disprezzato in casa sua, ma lui per primo ha saputo cambiare, convertire questa sordità, perché fino alla fine è rimasto nella “casa” del padre e non solo non ha disprezzato, ma ha accolto e incarnato la profezia e la sapienza del Padre. Accettando la sorte crocifissa dell’amore del Signore Gesù, accettiamo anche noi di abbracciare un itinerario d’amore, misterioso si, doloroso anche, ma luminoso e glorioso nel suo esito finale. Si tratta però, rimanendo nella parola di Cristo Gesù, di non abbandonare la casa di Dio Padre. Buon soggiorno a tutti!


domenica 27 giugno 2021

Lasciarsi prendere per mano

 

 Commento al Vangelo della  XIII Domenica del TO/B – 27 giugno 2021



 Dal Vangelo secondo Marco (Forma breve: 5, 21-24.35b-43)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.



COMMENTO

I quattro vangeli riportano tre episodi di rianimazione: oltra a questo appena ascoltato, quello di un figlio unico di una donna vedova a Nain, e naturalmente Lazzaro.

Questo episodio giunge al culmine di un crescendo di segni cosiddetti “taumaturgici”, cioè che destano stupore. L’evangelista Marco ha appena raccontato, nell’ordine: l’esercizio dell’autorità da parte di Gesù sulla natura (la tempesta sedata), sui demoni (l’esorcismo nella regione dei geraséni), sulla malattia (la guarigione dell’emorroissa) e ora, addirittura sulla morte.

Gesù è costituito a capo di tutto, ma il suo dominio si estende anche sulla morte, come la sua stessa resurrezione ci attesterà in modo definitivo.

Le parole e i gesti che contornano questo episodio aggiungono dettagli molto illuminanti. Anzitutto vediamo il contrasto tra la mentalità del mondo che vive nell’odore della morte e che è incline a vederla ovunque, e a lasciarsi affascinare da essa; e la mentalità della vita portata dal figlio di Dio. I primi dicono: “E’ morta”. Gesù, invece: “Non è morta, ma dorme.”

Ma poi anche la fede minuscola espressa dagli amici di Giario – ricordiamolo: era uno dei capi della sinagoga, si trattava quindi di ebrei praticanti, “gente di chiesa” diremmo noi – che si esprime in queste parole: “Perché disturbi ancora il maestro?” come a dire: “non perdere tempo con chi non può più fare nulla; e la fede maiuscola additata da Gesù: “Non temere, soltanto abbi fede!”.

Infine, l’intimità con cui Gesù opera, ben lontano da ogni clamore, diremmo noi mediatico. Oltre all’insistenza nel chiedere di non divulgare il fatto, Gesù non permise a tutti di essere seguito nella dimora della bambina, ma solo ai tre più intimi: Pietro, Giacomo e Giovanni. Da notare: gli stessi che assisteranno alla sua trasfigurazione. E poi ai due genitori.
Gesù afferra la mano e parla direttamente alla dodicenne. Notiamo una somiglianza con il secondo racconto della creazione, quando Dio plasmò l’uomo, soffiando nelle sue narici un alito di vita” (cf.  Gen 2,7),

Capiamo che il mistero della vita si comunica per contatto personale -non per sentito dire-, per esperienza diretta, e non mediatica. Inoltre, Gesù non crea cose nuove, ma con la sua parola, il suo spirito, fa nuove e ridà vita alle cose che già sono, e che vissute senza di lui, odorano di morte. È dal cuore che si rigenera la vita, perché solo nel cuore, cioè nella coscienza, può essere accolto lo Spirito di Dio, Signore della comunione e della vita. E allora: Buon risveglio a tutti!


venerdì 18 giugno 2021

Comunque presente

 XII Domenica del TO, anno B – 20 giugno 2021

 

Dal Vangelo di Marco (4,35-41)

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».


COMMENTO

Dio manifesta al popolo dell’antico Israele la sua grandezza in due eventi: nella creazione, e ancor più nella liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Nella creazione, secondo il racconto della Genesi, Dio non solo crea dal nulla, ma ordina gli elementi, “separa la luce dalle tenebre (Gen 1,3), separa le acque che sono sopra il firmamento da quelle che sono sotto il firmamento (Gen 1,5). Dio parla alla creazione ed essa risponde e obbedisce. Così pure nella notte in cui iniziò l’Esodo, tramite Mosè Dio opera un’ulteriore separazione delle acque, quelle del mar Rosso.

Dunque, quei pescatori di Galilea, per quanto semplici pescatori, ebbero la chiara e luminosa coscienza di trovarsi di fronte ad una presenza non semplicemente umana. Non potevano formulare dogmaticamente ciò che noi asseriamo nel credo apostolico, che Gesù era della stessa sostanza divina del Padre; ma il loro cuore intuì veramente in Gesù la presenza di Dio. Il dominio sugli elementi della natura, soprattutto sul mare – simbolo delle forze del male – non lasciava dubbi.

Ben altra tempesta attenderà la barca degli apostoli, che è una sorta di immagine della Chiesa nascente, ma l’atteggiamento necessario per arrivare all’altra riva rimarrà lo stesso: la fiducia nella presenza del Figlio di Dio in ogni situazione.

Era giusta l’apprensione degli apostoli che si vedevano sommergere dalle onde, ma Gesù si meravigliò che essi dessero quasi per scontata la loro fine. “Non ti importa che siamo perduti?” Diversa fu la fede di Maria, che all’annuncio dell’angelo non si preoccupò delle catastrofiche conseguenze di una gravidanza fuori del matrimonio ma del “come”, della parte cioè che avrebbe dovuto competere a lei.

Ogni nostra situazione esistenziale potrebbe assomigliare, in fondo, ad una tempesta, più o meno grande. Ma, anziché dubitare della paterna premura del Signore verso di noi, perché non contemplare nella vittoria di Gesù-risorto sulla morte, il pegno, la caparra della nostra vittoria contro le forze del male? Perché non fare gioiosa memoria di tante meraviglie della bontà di Dio per noi, e continuare con fiducia la nostra navigazione, preoccupandoci piuttosto di non lasciare mai la barca della comunità apostolica, dove Gesù, corporalmente, è sempre presente.
 

sabato 12 giugno 2021

La fecondità del dono

 

 XI Domenica del TO/B – 13 giugno 2021
 

 

Dal Vangelo di Marco (4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
 

Commento

 Le parabole di Gesù sono espressione – fra le altre cose – di un genuino stupore difronte ai misteri della creazione, di quella creazione che, come aveva intuito anche Francesco d’Assisi, era stata già pensata per significare la bellezza di Dio. Cosa c’è di più essenziale del pane nell’alimentazione dell’uomo? E se non il pane, potrà essere il mais o il riso, ma la logica resta la stessa: il seme ha una forza intrinseca irresistibile, e nella interazione con la terra sviluppa in modo sorprendente tutte le sue potenzialità. Forse una parte del seme, come accenna Gesù in un’altra parabola, potrebbe non cadere in terreni ideali, ma quando questo avviene la resa è magnifica e abbondante e diviene il nutrimento fondamentale per la vita.

Quella terra siamo noi; siamo noi quel suolo che accogliendo la parola del Regno di Dio dà corpo e carne all’amore di Dio. Il Vangelo del Regno ci parla delle cose del Cielo, di vita eterna, di un amore senza fine, e noi uomini siamo pur fatti di carne, di debolezza, impastati di fragilità. Ma se permettiamo al Vangelo di trovare accoglienza nel cuore, ecco che cielo e terra si ricongiungono, e le cose della terra, i nostri stessi gesti, tornano a parlare e a riecheggiare delle cose di Dio. Tutta la creazione è stata pensata in Cristo (cf. Col 1,16-17) “e in vista di lui”. L’ascolto della sua Parola ci riporta a quell’unione divino-umana, a quella fecondità perduta del nostro essere figli di Dio.

Questa trasformazione del cuore che avviene a contatto con la grazia divina è mistero anche per chi lo vive, ma richiederà la pazienza, il silenzio, l’attesa. Se la prima immagine data da Gesù può indurre, forse, ad un facile automatismo della vita spirituale, la parabola del granello di senape richiama invece la necessità di proteggere gli inizi umili e nascosti della vita cristiana. La fede implica fiducia, vigilanza, lungimiranza, la capacità di restare uniti in una relazione personale senza illudersi di paradisi emotivi a breve termine. Questa è la via del Regno inaugurata e proposta da Gesù: una relazione personale che cresce nel tempo e nella gratuità.

giovedì 3 giugno 2021

La direzione dell’acqua

 Domenica del Corpus Domini, anno B - 6 giugno 2021


Dal Vangelo di Marco (14,12-16.22-26) 

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
 

COMMENTO  

Si fa buio nel cammino di Gesù: lui che è la luce sembra essere oscurato dal regno delle tenebre. Ce lo fa capire ancora meglio l’evangelista Giovanni quando ci racconta che in quella cena pasquale Giuda, “preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.” (13,30). Sappiamo che la notte non era solo questione un dato temporale, ma soprattutto esistenziale: il Messia Gesù accetta di essere gettato a terra per morire, e per portare molto frutto (cf.   ). Gesù berrà nuovo, abbiamo ascoltato, quel pane e quel vino nel regno di Dio, la cui venuta invochiamo ogni volta che in suo nome preghiamo il Padre nostro.

A noi che ancora camminiamo in questa storia, come a quei discepoli incaricati da Gesù di preparare la Pasqua, è rivolto l’invito di salire al “piano superiore” dove egli stesso offre il suo corpo e il suo sangue. Non possiamo rimanere legati alla terra e alle cose della terra, al solo significato materiale, ma in ogni cosa cogliere un significato “superiore” o, se vogliamo, più profondo, più vero.
Quel pane e quel vino che gli ebrei mangiavano nel banchetto pasquale diventano ora corpo e sangue di Cristo per tutti coloro che ‘salgono’ con lui, per coloro che cercano non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna (cf. Gv 6,27), per coloro che accettano, come Gesù, di servire, di amare fino a dare la vita, di perdersi, ma per poi ritrovarsi. 

Come poter salire al piano superiore? Occorre seguire l’itinerario e il senso di marcia del nostro battesimo. In quel rito divino-umano, che chiamiamo Sacramento, siamo stati immersi nella morte e nella vita di Cristo. Se l’uomo con la brocca di acqua sulla testa, in quella sera, segnalò ai discepoli il luogo della Pasqua di Gesù, a tutti noi segnala che occorre seguire il significato e il senso spirituale di quell’acqua battesimale che ci ha immersi nella passione morte resurrezione di Gesù. 

L’acqua, visibilmente, va sempre verso il basso, ovunque la troviamo; ed essa è molto utile come disse San Francesco nel Cantico delle Creature. Tuttavia, invisibilmente, sale sempre al cielo sotto forma di vapore o umidità, ed è l’unico elemento della terra che sale al cielo. Allo stesso modo opera l’acqua battesimale inserendoci nel corpo spirituale di Cristo: ci porta in basso, ma per farci salire al Cielo. 

La sala del piano superiore era arredata, con il pane e il vino già pronti. Anche per noi la Pasqua di Cristo sarà sempre pronta, ammesso che accettiamo di perderci con lui e in lui nel dono - per amore - della nostra vita.