venerdì 27 febbraio 2015

Alcune riflessioni sui recenti fatti di Parigi



"Je ne suis pas du tout Charlie!" 

Non è più il tempo della laicità qualunquista


Dopo i fatti di Parigi e della strage dei sette giornalisti di Charlie hebdo, non possiamo più nasconderci il problema inderogabile di un serio dialogo sugli elementi oggettivi che fondano la convivenza delle nostre società e più ancora su dei criteri condivisibili dell'idea di bene e di verità. La mentalità comune è molto sensibile alla tolleranza, alla necessità di rispettare tutte le opinioni politiche, le convinzioni religiose ed etiche di ognuno, le diverse idee di verità di ciascun gruppo culturale.
Il problema che sta emergendo tuttavia è la difficoltà di conciliare verità troppo diverse tra loro. Per venire ai fatti di Parigi ci si trova di fronte a chi da una parte reclama un diritto di opinione e di critica assoluto, senza di fatto affermare alcun limite oggettivo alla libertà di espressione, e a chi dall'altra ritiene doveroso eliminare fisicamente chi uccide, offendendolo, il proprio dio. 
Se non si deciderà di abbandonare un'idea così ingenua e slegata dalla verità di tolleranza e rispetto, dovremo attenderci altri fenomeni di reciproca violenza e sopruso, sempre in nome della propria "sacrosanta libertà". D'altronde non possiamo escludere che per alcuni il diritto alla vita non sia poi così centrale e sacro come per noi occidentali che lo deriviamo, anche senza ammetterlo, dalla concezione cristiana della sacralità della vita umana. Se il criterio assoluto è la tolleranza e la libertà, non dovremmo perciò tollerare anche l'opinione di chi pensa che sia giusto uccidere chi offende il proprio dio?
Urge una revisione della nostra idea di società laica. L'attuale idea di laicità in realtà evita di porsi il problema di Dio, di ciò che è Bene, di ricercare pur su basi squisitamente razionali la Verità oggettiva. Si ha troppo paura dell'intolleranza, ma in realtà proprio l'idea attuale di laicità porta al sopruso e all'indifferenza perché ognuno deve avere il diritto di affermare le proprie idee, senza l'obbligo di confrontarle con i suoi concittadini.
Non possiamo più rimandare un dialogo aperto, fondato su un'idea positiva e aperta di ragione concepita come capace , non solo di calcolare e dedurre da elementi visibili e constatabili , ma anche capace di andare oltre il dato visibile, una ragione capace di intuire qualche traccia di un fondamento oggettivo di ciò che l'uomo è e di ciò per cui è fatto.

Commento al Vangelo della II Domenica di Quaresima, anno B; 1 marzo 2015



MOMENTI  DI GLORIA


TESTO ( Mc 9,2-10 )

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. 
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.


COMMENTO

Nel Vangelo di Domenica scorsa abbiamo ascoltato la narrazione della lotta di Gesù nel deserto contro Satana e le sue tentazioni, solo un anticipo della lotta frontale che avverrà quando egli suderà sangue nell’orto del Getsemani e poi sulla cima del Calvario, pur nella tentazione di sentirsi abbandonato, dirà “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. 

Nel Vangelo di questa II Domenica di Quaresima Gesù vive invece e manifesta a tre dei suoi l’anticipo della gloria che seguirà la vittoria della risurrezione. Quel bianco splendente delle sue vesti che l’evangelista tiene così tanto a sottolineare e che nessun lavandaio avrebbe potuto realizzare ci dice la soprannaturalità di quell’esperienza. Dio Padre, proprio subito dopo il primo annuncio della sua morte fatto da Gesù, ha voluto così mostrare a Pietro, Giacomo e Giovanni il destino di gloria verso il quale era incamminato Gesù, l’orizzonte di vittoria finale e definitiva che seguirà la sua vergognosa morte di croce, apparente sconfitta di fronte al male. 

Come non capire i tre apostoli che avrebbero voluto fare delle tende, fissare e rendere infinito quell’istante di divina e purissima bellezza? Anche agli apostoli sarà concesso lo stesso destino, anche a noi che ascoltiamo e riceviamo la narrazione della trasfigurazione di Gesù sarà permesso di gioire delle gioie del Cielo ma nello stesso tempo ci viene affidata una responsabilità: : «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!»… L’iniziativa di questo momento di gloria è tutto dall’alto, ma per poter accedere alla pienezza eterna del paradiso ci viene chiesto l’impegno dell’obbedienza alla parola di Gesù, l’unico possibile traghettatore in mezzo alla tempesta del male e del dolore che scuote da sempre la barca dell’umanità. 

Non ci dovranno essere compromessi, non ci dovranno essere altri maestri, perché l’unico salvatore che viene proposto a tutti gli uomini tramite gli apostoli resta solo Lui: Gesù di Nazaret, il figlio prediletto che dal cielo saprà sempre guidare gli incerti passi del suo popolo. … In tanti frangenti del nostro pellegrinaggio verso il Paradiso potrà capitare di sentirci soli e smarriti ma la sua presenza non verrà mai meno, egli lo ha promesso: “Ecco io sarò con voi, tutti i giorni fino alla fine del mondo“(Mt 28,20). 

venerdì 20 febbraio 2015

Coomento al Vangelo della I Domenica di Quaresima, anno B, 22 febbraio 2015



FUGA PER LA VITTORIA


TESTO (Mc 1,12-15)

12 Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto 13 e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano.
14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: 15 «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».


COMMENTO

La lotta è una dimensione permanente del vivere umano, non necessariamente  sinonimo di violenza; anzi per coloro come Gesù di Nazareth che hanno la missione di annunciare la presenza ormai imminente di una nuova stagione dell’umanità in cui l’amore potrà e dovrà regnare, la lotta diviene violenza contro se stessi, contro il proprio istinto di rivalsa, di violenza, di vendetta. 
Non sarà proprio Gesù a dire che “dai giorni di Giovanni il Battista fino ad oggi il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono?” (Mt 11,12 ). Per impossessarsi del regno dei cieli, nel senso di riuscire a far entrare la propria vita in un nuovo sistema di valori centrati sul primato della gratuità, del servizio, del dono di se stessi, sul primato di Dio –amore, occorre far violenza … su se stessi.

 Ecco la lotta di Gesù nel deserto: lo spirito lo sospinge a far lui per primo un’esperienza di vittoria su Satana, per poter a sua volta accompagnare gli uomini sullo stesso percorso di vittoria. Le bestie selvatiche sono con lui ma non lo ostacolano perché gli angeli sono al suo servizio e Gesù sta entrando in un nuovo mondo, riconciliato con Dio Padre e al suo interno,  dove chi regna è colui che serve ed è capace di donare la vita per gli altri. 

Uscendo da questa lotta Gesù annuncia non solo a parole ma con tutta la sua umanità vittoriosa che il regno di Dio è vicino, perché è nel cuore di chiunque non si sottomette alla logica del male, di chiunque crede che il regno del male e del peccato ha i giorni contati. Perché il regno di Dio è da subito anche qui, nella mia persona, a condizione di accogliere lo spirito di Gesù, l’unico capace di vincere contro tutte le forze dell’odio.  

giovedì 12 febbraio 2015

Commento al Vangelo della VI Domenica del TO anno B; 15 febbraio 2015



A TESTIMONIANZA PER LORO 


TESTO (Mc 1, 40 – 45) 

40 Venne a lui un lebbroso e, buttandosi in ginocchio, lo pregò dicendo: «Se vuoi, tu puoi purificarmi!» 41 Gesù, impietositosi, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio; sii purificato!» 42 E subito la lebbra sparì da lui, e fu purificato. 43 Gesù lo congedò subito, dopo averlo ammonito severamente, 44 e gli disse: «Guarda di non dire nulla a nessuno, ma va', mostrati al sacerdote, offri per la tua purificazione quel che Mosè ha prescritto; questo serva loro di testimonianza». 45 Ma quello, appena partito, si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare apertamente in città; ma se ne stava fuori in luoghi deserti, e da ogni parte la gente accorreva a lui.


COMMENTO

Gesù impone ai demoni di tacere, ai malati di non divulgare le guarigioni da lui operate ma chiede a questo lebbroso di presentarsi ai sacerdoti, “come testimonianza per loro”.  Sappiamo che Gesù temeva il fraintendimento della sua identità di Messia-Salvatore, perché non pochi erano quelli che attendevano un Messia politico, nazionalista, un patriota che avesse liberato la nazione ebraica dal potere politico romano, o un profeta che avesse definitivamente chiuso la storia e instaurato il Regno eterno del Signore. 

Gesù non si vuole nascondere tuttavia di fronte ai sacerdoti, ai responsabili del culto-ebraico, perché anzi proprio loro avrebbero dovuto essere i primi a saper cogliere il senso della sua missione di salvezza: se guarire dalla lebbra significava far uscire un uomo da uno stato di emarginazione dovuto al pericolo del contagio e dalla condizione di impurità spirituale che si credeva ad esso associata,  così facendo Gesù di Nazaret annuncia che il suo perdono guarisce, e che perdonando non solo si ristabilisce una piena comunione con Dio ma si ricreano le condizioni per una libera e fraterna convivenza umana. La vera lebbra che sempre più Gesù individuerà come il vero nemico da combattere dunque è proprio il peccato, che separa l’uomo da Dio e dalla comunione degli uomini. 

Il lebbroso ha creduto nella potenza di Cristo. “Se vuoi puoi guarirmi” egli dice; proprio i sacerdoti invece, gli specialisti del sacro, si dimostreranno incapaci di capire il nuovo, di credere che per liberarsi dal male non sarà più necessario emarginare i malati e i peccatori, come insegnavano le leggi di purità rituale del libro del Levitico, ma fare comunione con il Santo, con colui che ha potere di ricreare e di rinnovare l’umano purificandolo con il sacrificio della sua croce.  

giovedì 5 febbraio 2015

Commento al Vangelo della V Domenica TO; 8 febbraio 2015



Verso l’Alto


TESTO (Mc 1, 29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.


COMMENTO

Gesù di Nazareth venuto nel mondo per salvare e donare la vita eterna a tutti gli uomini, sceglie la via della discrezione, quasi del nascondimento, tanto che impedisce ai demoni che lo conoscevano di parlare di lui, e si sottrae perfino alla richiesta della folla entusiasta per le sue guarigioni allo scopo di  predicare il Regno di Dio altrove. 

Non una scelta strategica o di marketing, piuttosto una scelta pedagogica dettata dall'esigenza di guidare l’uomo ad una conoscenza sempre più profonda e vera della sua persona e della sua missione. Certamente Gesù guarisce e scaccia demoni perché Lui è Signore del mondo e ha autorità su ogni cosa ma allo stesso tempo vuole evitare che la sua signoria e la sua salvezza siano percepite come delle realtà di questo mondo, che esauriscono il loro effetto dentro questa storia, con degli esiti sicuramente molto appariscenti e di successo, ma dal respiro corto. 

Egli invece, come con la suocera di Pietro,  prende l’uomo per mano e lo solleva per portarlo “in alto”, per accompagnarlo verso una nuova vita, cioè un nuovo modo di leggerla, di orientarla, di percorrerla, pur in mezzo alla sofferenza ed al dolore.

 Ecco perché le guarigioni e gli esorcismi di Gesù non sono sistematici e generalizzati ma eventi puntuali e precisi in cui ognuno è chiamato ad entrare e percorrere il mistero. Di fronte all'interrogativo del perché così poche guarigioni, e perché così tanta sofferenza intorno a noi la nostra fede ci porta a Gesù, al suo farsi accanto a noi per sollevarci e guardare verso l’Alto, dove Dio Padre tutto dispone per il nostro bene, per una guarigione definitiva e durevole, cioè eterna. Concludo con questo bel passo, il n 57, della Lumen Fidei , la prime e unica enciclica di Papa Francesco:
La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino. All'uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna (LF 57).