domenica 21 giugno 2015

Commento al Vangelo della XIII Domenica del TO anno B; 28 giugno 2015



In piedi per guardare più lontano


 
TESTO  (Mc  5,21-43) 

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

(Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».)

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.


COMMENTO

Fino a che limite può giungere la speranza offerta da Cristo? Quali sono invece le soglie dei vari messianismi umani, dove per messianismi si intendono dottrine e formule sociali o politiche che propongono soluzioni agli eterni dilemmi dell’umanità, primo tra tutti quello della morte?

La speranza cristiana oltrepassa i limiti della stessa natura creata e apre alle prospettive della vita eterna; Gesù nei circa tre anni della sua vita pubblica ha aperto lo sguardo dell’uomo ben al di là di formule sociali o economiche per la risoluzione di conflitti o tensioni politiche; Gesù invita a guardare al di là della morte, ci chiede di continuare ad avere fede, a guardare avanti anche quando la morte sembra mettere il sigillo della fine totale su ogni speranza. Gesù rilancia sempre più avanti, meglio sempre più in Alto. Nel Vangelo di Domenica scorsa salva il gruppo dei suoi discepoli da quella che sembrava essere una morte imminente, nel mezzo di un’improvvisa tempesta. 

Nel Vangelo di oggi va ancora più in là, invita a continuare ad avere fede anche a morte sopravvenuta, e vuole che gli stessi genitori della bambina e i suoi tre compagni della sua Trasfigurazione siano con Lui, perché anche questa sarà un’esperienza trasfigurante, un’esperienza attraverso la quale la fragilità della natura umana mortale si riveste di una possibilità nuova di vita e di gloria, la vita appunto dopo la morte. Chi potrebbe aspirare a qualcosa di più grande? La vita dopo la morte: prospettiva tanto meravigliosa quanto difficile già solo a sperarla. Ci vorrà per Gesù il travaglio della passione e morte per giungere alla gloria della risurrezione e allora questi segni da lui compiuti non devono essere annunciati con il gusto dell’ultima notizia, del sensazionale, ma accompagnati dall'annuncio della passione e morte e risurrezione di Cristo salvatore. 

Gesù chiede ai suoi pochi testimoni della rianimazione della piccola bambina dodicenne la consegna del silenzio perché la speranza cristiana della vita eterna passa necessariamente per la comprensione della intera vicenda di Gesù, della sua morte passione morte risurrezione. Alla luce di questo itinerario di gloria i discepoli, e noi con loro, potranno comprendere per dove passa il compimento del più grande sogno dell’uomo: quello della vita senza fine dopo la morte. Anche a noi come alla bambina dice “Alzati!”… “non rimanere schiacciato dalle tue paure e dalle tue angosce, atterrito dal tuo dolore. Alzati, anche oggi Gesù sta passando e ti prende per mano!”

lunedì 15 giugno 2015

Commento al Vangelo della XII Domenica del TO anno B, 21 giugno 2015

    


 … E la nave va !      

             

TESTO ( Mc 4,35-41 )          

   In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».


COMMENTO

Il potere di comandare al mare doveva colpire fortemente la sensibilità dei discepoli di Cristo e di chi udii il fatto, perché nell'immaginario spirituale ebraico il mare era perlopiù simbolo del male. Per questo il grande sconvolgimento cosmico a seguito della invincibile corruzione dell’uomo è rappresentato nel libro della Genesi come un diluvio universale con il conseguente innalzamento delle acque fino a coprire la terra intera, tranne la “mitica” arca di legno di cipresso del patriarca Noè (Gn 6,13-14). 

Anche l’evento centrale della salvezza del popolo di Israele in fuga dalla schiavitù d’Egitto è costituito dal passaggio sull'asciutto in mezzo al mar Rosso che invece si richiude sommergendo al suo passaggio l’esercito egiziano. 
In questo episodio è il piccolo nucleo dei discepoli di Cristo a trovarsi in mezzo alla tempesta e ormai tutto sembra perduto; la piccola barca si riempie di acqua  Gesù dorme. 

La fede è messa alla prova: in ogni epoca della storia la più o mena piccola barca dei discepoli di Cristo è chiamata ad attraversare difficoltà e persecuzioni, come in questi ultimi tempi, ma ciò che la salva e la proteggerà sempre fino all'approdo finale è la presenza del Signore Gesù, sebbene possa sembrare addormentato. Il grido degli apostoli non ha nulla di diverso rispetto alle invocazioni di dolore e di sofferenza che in ogni momento si levano dal popolo di Dio, anche nei momenti più comuni, quando sembra che il Signore si sia scordato di noi o addirittura come in questo caso addormentato.

Il popolo di Dio, noi cristiani, siamo chiamati alla fiducia, a non perdere mai la consapevolezza che nella nostra barca c’è sempre il Signore risorto. Gli spazi centrali di tutti i nostri edifici di culto, chiese di mattoni, sono chiamate non a caso “navate” perché quando noi ci riuniamo in esse lo facciamo per fare memoria della sua salvezza, della sua presenza in mezzo a noi, perché la sua barca di cui l’arca di Noè era solo un immagine è costruita con il legno della croce del calvario ed essa non potrà che condurci al porto sospirato del Paradiso, la Gerusalemme celeste dove si dice “il mare non c’era più” ( cf Ap 21,1 ). 

lunedì 8 giugno 2015

Commento al Vangelo della XI Domenica TO anno B; 14 giugno 2015



L’infinitamente grande
 nell’infinitamente piccolo 


TESTO  ( Mc 4,26-34 )

26 Diceva ancora: «Il regno di Dio è come un uomo che getti il seme nel terreno, 27 e dorma e si alzi, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce senza che egli sappia come. 28 La terra da se stessa porta frutto: prima l'erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. 29 Quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l'ora della mietitura è venuta».
30 Diceva ancora: «A che paragoneremo il regno di Dio, o con quale parabola lo rappresenteremo? 31 Esso è simile a un granello di senape, il quale, quando lo si è seminato in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; 32 ma quando è seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi; e fa dei rami tanto grandi, che all'ombra loro possono ripararsi gli uccelli del cielo».
33 Con molte parabole di questo genere esponeva loro la parola, secondo quello che potevano intendere. 34 Non parlava loro senza parabola; ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.


COMMENTO

Due parabole molto simili con sfumature diverse. La prima evidenzia l’irreversibile potenza del Regno di Dio che una volta annunciato e accolto non può più essere arrestato e anzi si afferma indipendentemente da qualsiasi condizione favorevole o sfavorevole, seppure queste possono accelerare o ritardarne la rapidità. 

In fondo: è proprio vero che la terra da se stessa porta frutto? Senza che per giunta l’uomo che getta il seme sappia come? L’evidenza naturale sembra smentire questa affermazione così fiduciosa di Gesù, perché il germoglio avrebbe bisogno quanto meno di acqua; il punto è che il seme a cui allude la parabola non è un seme naturale ma un principio di vita nuova che custodisce in sé una potenza e una vitalità veramente inarrestabili. L’attenzione da porre non sarà tanto nelle “cose da fare” per custodire il messaggio della parola di Gesù ma anzitutto nel fatto stesso di accoglierlo nella sua integrità perché è nella sua integrità che si nasconde tutta la sua forza di espansione e di crescita. 

La seconda mette in luce invece la sproporzione tra i segni iniziali della presenza del Regno di Dio e i suoi successivi sviluppi. Questa ha veramente il sapore di una profezia: se pensiamo che Gesù agli inizi della sua predicazione ha costituito un gruppo di dodici uomini, semplici pescatori di medio - bassa cultura allora capiamo che non ci sono in gioco le abilità o dei talenti straordinari ma anzitutto l’affidamento alla persona e al messaggio di Gesù, e che questa presenza  ha prolungato i suoi rami nella storia in ogni ambito della cultura e della geografia umana, offrendo rifugio e conforto, sostegno e consolazione. Un gruppo di umili pescatori è realmente diventato un grandissimo popolo. La stessa dinamica si è riproposta nella storia di grandi santi dove è bastato un uomo o una donna che si sono lasciati toccare dalla Grazia per suscitare un movimento di uomini che hanno cercato nei secoli di seguirne l’ispirazione: pensiamo quanti uomini e donne hanno tentato di seguire le tracce di San Francesco e santa Chiara di Assisi, o della Beata Teresa di Calcutta più recentemente. 

Il granello di senape è sempre lo stesso, con la sua potenzialità di sviluppo migliaia di volte più grande rispetto all'apparenza iniziale. Questo di contro dovrebbe far guardare con sospetto tutte quelle opere umane molto vistose e anche potenti ma che non hanno in sé un fattore di sviluppo consistente e duraturo.

martedì 2 giugno 2015

Commento al Vangelo della Domenica del Corpus Domini; 7 giugno 2015




Pane nuovo e vino nuovo


   TESTO  ( Mc 14,12-16; 22-25)

12 Il primo giorno degli Azzimi, quando si sacrificava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» 13 Egli mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate in città, e vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d'acqua; seguitelo; 14 dove entrerà, dite al padrone di casa: "Il Maestro dice: 'Dov'è la stanza in cui mangerò la Pasqua con i miei discepoli?'". 15 Egli vi mostrerà di sopra una grande sala ammobiliata e pronta; lì apparecchiate per noi». 16 I discepoli andarono, giunsero nella città e trovarono come egli aveva detto loro; e prepararono per la Pasqua. […] 22 Mentre mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: «Prendete, questo è il mio corpo». 23 Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. 24 Poi Gesù disse: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti. 25 In verità vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo berrò nuovo nel regno di Dio».


Commento 

Il sangue del patto è sparso per molti, i tutti che sono veramente molti e sono chiamati ad entrarvi fino a quando Gesù non berrà nuovo il frutto della vigna. Dal momento dell’ultima cena veramente Gesù non berrà più vino, tranne forse quel goccio di aceto offertogli sulla croce. Il vino che Gesù ci dona è il vino nuovo, è il vino della gioia delle nozze: non a caso la sala del cenacolo è situata al primo piano perché è al primo piano dove normalmente si trovava la stanza matrimoniale.

 Il vino di Gesù, simbolo reale del suo sangue , quindi della sua vita, è anche simbolo della gioia; è un vino che sgorga sempre nuovo, anche dall’acqua   come alle nozze di Cana quando Gesù cambiò l’acqua in vino salvando la buona riuscita della festa. Il segno che Gesù offre ai due discepoli per scegliere la sala per la cena pasquale è di fatto un uomo che porta una brocca d’acqua, forse perché anche in questo caso Gesù deve trasformare un vecchio rito che ormai non poteva più dar sapore alla fede degli uomini in un rito nuovo, quello dell’offerta del suo vero corpo e del suo vero sangue. 

Questo rito troverà la sua conferma storica nell’evento della croce. Gesù ritualizza la sua morte apportatrice di salvezza perché la ripetizione di quel rito ci permetta di tornare ogni volta ai piedi della croce. Ogni volta egli ci da il suo corpo e il suo sangue, cioè la sua vita per la nostra salvezza, e nella sua morte c’è spazio anche per la nostra goccia d’aceto. Quell’aceto offerto a Gesù poco prima di morire è anche’esso  frutto della vigna ma è un vino deteriorato, un vino passato, un vino vecchio, un vino che doveva dar gioia ma che ormai è solo acido. Anche noi chiamati ad offrire le nostre amarezze, a porgere a Gesù tutte le nostre speranze, illusioni, sogni, aspettative di gioia sfumati e divenuti acidi. Lui berrà nuovo il frutto della vigna con tutti noi, quando il mondo sarà rinnovato, le nostre vite rinate, le nostre sofferenze trasformate in gioia perenne, i nostri sepolcri spalancati alla vita, e i nostri cuori rinati al sorriso della vita eterna.

 Gesù in un pezzo di pane e un calice di vino stabilisce un nuovo patto con l’umanità: il nostro aceto in cambio del suo vino nuovo, le nostre delusioni in cambio della sua speranza che non delude, la nostra vita vecchia in cambio della sua vita nuova, eterna .