venerdì 29 marzo 2019

Commento al Vangelo della IV Domenica di Quaresima anno C; 31 marzo 2019




FRATELLI SPRECONI


TESTO (Lc 15,1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».


COMMENTO

I pubblicani e i peccatori percepivano simpatia da parte di Gesù, intuivano che in lui c’era un uomo che li aspettava a braccia aperte, non per giudicarli ma per provare a ridar loro dignità, e il senso del calore di un padre e della tenerezza di una madre. Notate: in questa parabola non compare nessuna figura femminile. Forse perché questo padre è talmente padre da essere anche madre. Se è vero che la paternità rappresenta la norma e la maternità la tenerezza dell’accoglienza, possiamo dire che la figura di Dio Padre che ci viene dipinta in questo racconto è così oltre lo schema umano da contenere in se allo stesso tempo l’ideale della paternità e della maternità.

I farisei e gli scribi, invece, che confidavano nella purezza del cuore derivante dall’osservanza della legge, sono chiusi nella mormorazione. Il loro cuore è ben rappresentato dall’atteggiamento del figlio maggiore della parabola, quel figlio che reclama la ricompensa mai ricevuta, nonostante il servizio ininterrotto di tanti anni. Non viene condannata la sua fedeltà, ovviamente, ma il senso della parabola va nella direzione di un qualcosa di più: l’essere contenti di vivere con un padre, di sentirsi pienamente figli. Invece questo fratello maggiore, che è rimasto sempre in casa, ha condiviso si un tetto, ma ha sprecato l’amore del padre, non ne ha goduto. Il fratello minore ha sprecato il patrimonio. Il fratello maggiore ha sprecato l’amore! Chi sta bene con una persona non cerca una ricompensa oltre la gioia di stare insieme, e se quel bene percepito non è vissuto in modo egoistico, si gioisce anche nel condividerlo con altri. 

Chi fosse cristiano, ripensi al suo modo di vivere la sua fede. Forse essa troppo spesso è pensata solo come l’osservanza dei comandamenti, senza dar attenzione alla bellezza di vivere le relazioni umane come un riflesso dell’amore divino, senza la gioia di respirare la dolcezza che Dio Padre ha messo nel nostro cuore, per accogliere il fratello, anche quello che ha sbagliato.  

giovedì 21 marzo 2019

Commento al Vangelo di Domenica 24 marzo 2019, III di Quaresima anno C






 Un tempo per ogni cosa



TESTO (Lc 13,1-9)                    

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».


COMMENTO

Gesù si trova ad essere interrogato su due eventi tremendi che hanno sconvolto rispettivamente la Galilea e la Giudea (Gerusalemme in particolare), due eventi con cause diverse: nel primo caso si tratta della pura cattiveria umana, nel secondo di quella che noi normalmente chiamiamo fatalità, anche se non dovremmo credere al fato cosi come lo intendevano gli antichi greci, cioè di una sorte già decisa a priori.

Gesù esclude drasticamente ogni legame tra tali eventi e la responsabilità morale delle vittime ma non esclude il legame tra una possibile fine disastrosa della nostra esistenza e le nostre personali scelte di vita. Il punto è che il giudizio non è di questo tempo e di questo mondo. Non sono da ricercare negli accadimenti di questo tempo il premio e la pena per la nostra scelta a favore o di chiusura nei confronti della salvezza di Cristo. Ovviamente la nostra libertà ha delle conseguenze sul piano personale ma non negli esiti di quaggiù. E’ così che spesso assistiamo alla buona sorte (almeno apparente) di chi ci sembra malvagio, e alla disgrazia (sempre secondo le apparenze) di chi ci sembra meritevole di tutto il bene possibile. Il punto è che il giudizio non è di questo mondo, ma di quell’ultimo giorno quando, come diciamo nel Credo, “il Signore Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti”.

La parabola che Gesù racconta tende a chiarire tutto questo, e anzi i tre anni dopo i quali il padrone viene a cercare i frutti del fico possono richiamare i tre anni della predicazione di Gesù, predicazione in larga parte inascoltata e che anzi culmina con la sua passione e morte ( …  e resurrezione). Ma c’è un altro anno di pazienza, ed esso potrebbe ben rappresentare il tempo presente, questo tempo che dura da 2 mila anni e  che stiamo vivendo tra la prima e la seconda, definitiva, venuta del Cristo. L’anno di Grazia che Egli inaugurò nella sinagoga di Nazaret e che durerà fin quando il Signore ci darà giorni da vivere. Saremo capaci di cogliere questo tempo come occasione di ritorno al cuore misericordioso di Dio, come risposta positiva al suo appello per la vita eterna?  A ciascuno la risposta e le conseguenze che ne deriveranno, alla fine di tutto. 

giovedì 14 marzo 2019

Commento al Vangelo di Domenica 17 marzo 2019, II di Quaresima anno C




Un cuore … e tre capanne 


TESTO (Lc 9,28-36)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. 
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto


COMMENTO

Il Vangelo di Domenica scorsa ci ha raccontato le tentazioni di Gesù nel deserto, anteprima di tutte le incomprensioni degli uomini verso la sua missione di salvezza che passa attraverso un totale e fiducioso abbandono al Padre.
Il Vangelo di questa II Domenica di Quaresima ci racconta, invece, una piccola anteprima della vittoria finale di Gesù, quando ritornerà nella gloria di Dio Padre, quel Padre che addirittura interviene con la sua voce per invitare i suoi tre discepoli ad ascoltare la sua parola. Si tratta della Trasfigurazione, tradizionalmente collocata sul monte Tabor, monte che però non compare mai nella geografia del Vangelo.

San Luca tiene a sottolineare, cosa che non fanno gli altri due evangelisti nel raccontare lo stesso episodio, che Gesù salì sul monte per pregare, alla ricerca quindi di una più profonda intimità col Padre. Proprio mentre è in preghiera avviene un evento inaspettato, una vera e propria trasfigurazione del suo volto. La sua figura cambia di aspetto e assume i tratti della gloria divina, indescrivibili per lo stesso narratore che si limita a dire che Pietro, Giovanni e Giacomo “videro la sua gloria”.

La voce della nube in cui tutti vengono avvolti invita i tre discepoli all’ascolto della parola di Gesù. Essa ci richiama la nube dell’esodo d’Israele e infatti l’apparizione di Mosé ed Elia stanno a rappresentare un ponte con tutta la tradizione dell’Antico Testamento. 

Gesù ci viene ulteriormente rivelato, dopo la manifestazione del Battesimo al Giordano, come l’unico figlio di Dio che sempre è in ascolto della volontà di Dio Padre, entrambi avvolti nella comunione del Santo Spirito. 

Egli ci trasmette umanamente, cioè con linguaggio e gesti umani, tutto l’amore e la misericordia del Padre. A lui faremo bene a rivolgere costantemente l’attenzione delle nostre coscienze perché la gloria divina che egli ha abbandonato per venire a noi, possa essere anche la nostra definitiva eredità di figli adottivi.

venerdì 8 marzo 2019

Commento al Vangelo della I Domenica di Quaresima, 10 marzo 2019



 Il percorso della figliolanza



TESTO (Lc 4,1-13)

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». 
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.



COMMENTO

Quante e quali devono essere state le sollecitazioni del diavolo nei confronti di Gesù nel deserto! Noi conosciamo solo quelle … “quando furono terminati [i quaranta giorni]” e che probabilmente Gesù stesso ha raccontato ai suoi discepoli, altrimenti San Luca non avrebbe potuto riferircele.

L’idolatria del consumo, del potere, della religione usa e getta. Sono tre forme di cosificazione del rapporto figlio-Padre. Gesù è spinto infatti nel deserto dallo Spirito Santo, da Colui che lo lega connaturalmente a Dio Padre, e questo dettaglio ci viene ripetuto ben due volte all’inizio del racconto. Il legame d’amore col Padre lo conduce, lo guida a dire un “No” esplicito a tutte le forme di auto-conservazione, di auto-salvezza, che sono insite nella natura umana dopo la ferita dal peccato.

All’inizio della sua missione, appena dopo l’investitura dall’Alto nel fiume Giordano, Gesù si dispone ad assumere gli atteggiamenti di un vero Figlio, di colui che si abbandona sempre e comunque alla volontà di Dio Padre, e che non si serve di questa relazione per un uso strumentale e personale, benché impellente, come quello di soddisfare l’istinto della fame. Il pane, il cibo, sono necessari, ma l’uomo ha bisogno anche di altro: ha bisogno di ritrovare la via del Padre, del tornare a sentirsi figlio di Dio! .