lunedì 30 giugno 2014

Commento al Vangelo della Domenica XIV TO anno A. 6 luglio 2014



TU SEI UMILTA’
( Mt 11,25-30)


TESTO 

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».


COMMENTO 

Gesù prega ad alta voce e rivolgendosi al Padre lo benedice per la sua gratuita predilezione per i piccoli della terra a discapito dei sapienti e degli intelligenti ai quali i misteri di Dio resteranno nascosti. Sembrerebbe quasi che i discepoli di Cristo dovranno essere necessariamente una massa di testoni, di poco o nullo spessore intellettuale, insomma gente sempliciotta. 

Per capire chi sono gli intelligenti e i sapienti a cui Gesù si riferisce basterebbe invece andare al capitolo 9 del Vangelo di Giovanni dove Egli, dopo aver guarito il cieco nato, dice di essere venuto per ridare la vista ai ciechi e per rendere ciechi quelli che vedono, cioè quelli che credono di vedere. Ma le parole di Gesù sono ancora più chiare all’ultimo versetto del capitolo: “Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane»” (Gv 9,40-41).

Proprio questi sono  gli intelligenti e i sapienti a cui è preclusa la conoscenza dei pensieri di Dio, o quanto meno dei suoi piani che si rivelano nella storia umana, ciò che più propriamente chiamiamo i “misteri di Dio”: si tratta quindi dei sapienti secondo la logica mondana auto centrata, di quelli che pensano di non avere bisogno del medico, di quelli che come Adamo ed Eva dicono ”… ma chi l’ha detto che questo è male e questo è bene! Mi piace e quindi lo mangio (lo faccio)”. In definitiva sono quelli che non sentono il bisogno di essere salvati perché la salvezza se la danno da soli, quelli pieni di sé a tal punto da mettere se stessi al posto di Dio

La mamma di un Vescovo, subito dopo aver appreso la notizia della nomina, disse al figlio: “ Ricordati figliolo che Gesù è entrato a Gerusalemme cavalcando un asino. Finché ti sentirai un asino, Gesù continuerà a cavalcarti; ma se cominci a sentirti un cavallo, Gesù scende.”

Per capire le cose del Signore e farsi capire dal Signore, bisogna di farsi piccoli come Gesù. Egli è la rivelazione dell’identità profonda di Dio, del suo essere infinitamente grande ma anche infinitamente umile. Nelle Lodi di Dio Altissimo San Francesco addirittura dice rivolgendosi a Dio: “Tu sei umiltà!” 

Il giogo che Gesù ci chiede di prendere su di sé è lo spirito delle beatitudini: tutti i comandamenti che Dio ci ha dato e che Gesù riassume nel comandamento della carità sono il frutto di un cuore mite, umile e puro, un cuore come quello di Gesù che in ogni istante si abbandona al Padre. Bambino dodicenne, rispondendo ai suoi genitori:  “non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio!?” E adulto, morente sulla croce: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito.”

martedì 24 giugno 2014

Commento al Vangelo della Solennità dei SS. Pietro e Paolo. 29 giugno 2014



Servitori non monopolisti


TESTO  ( Mt 16, 13 – 19 )

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». 
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».


COMMENTO

“Ma voi, chi dite che io sia?”.  Sempre la narrazione evangelica esce dalla pagina per prendere vita in colui che si pone in ascolto, perché la dinamica della Parola è in direzione della carne, di un corpo, di un’esistenza da modellare. Se il Verbo di Dio si è fatto carne nell’uomo Gesù di Nazareth, ogni parola di Dio, in Gesù risorto e vivo, chiede lo stesso spazio, lo stesso destino di una vita spesa e donata. 

In modo particolare questo testo, tuttavia, chiede una presa di posizione, una scelta, e una conseguente presa di responsabilità. I regali di Dio, sotto forma di speciali rivelazioni, come in questo caso a Pietro («Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli …”) non vanno a rispondere a semplici curiosità, ma invitano ad una missione. Chi più ha ricevuto, più è chiamato a vivere e a trasmettere. La conoscenza rivelata ispirata da Dio è sempre in funzione di un ministero da assolvere, di una missione da compiere, perché conoscere è sinonimo di amare; cosicché una conoscenza che non si trasforma in servizio è un intellettualismo tronfio, sterile e mortale. “ Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla.” ( 1 Cor 13,2 ).

La beatitudine di Pietro si trasforma nella custodia di un popolo che il Signore gli affida. Chi non coglie a fondo il dinamismo dell’incarnazione del Figlio di Dio nell’uomo di Nazareth, non potrà cogliere neppure il prolungamento del suo incarnarsi nei misteri della Chiesa, primo fra tutti la carne stessa del popolo dei battezzati in tutte le sue articolazioni e ministeri tra cui quello petrino che sovrintende alla comunione e alla carità. Chi non coglie il gesto di accondiscendenza  e il meraviglioso affidarsi di Cristo a Pietro e tramite lui a tutta la comunità credente ( “E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa ” ) non ha colto neppure il segno ancor più grande dell’incarnazione. Ecco perché “extra ecclesiam nulla salus” (fuori della Chiesa non c’è salvezza): perché chi  ha ricevuto in dono l’abbraccio del corpo ecclesiale di Cristo come potrà essere salvato staccandosi da esso? 

Preme da ultimo una riflessione sulle parole molto categoriche del Signore: “A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Se è vero che il Signore si impegna a seguire le sue membra nella missione salvifica affidata, il Signore può certo continuare ad agire in modo invisibile, legando e sciogliendo, al di fuori dei confini visibili della comunità credente. Questo non deve far affievolire la nostra passione missionaria ma semplicemente farci ricordare che non siamo noi i padroni del Regno di Dio, ma semplicemente ne siamo servitori, che non aggiungono nulla a quanto è donato, e quindi inutili.

lunedì 16 giugno 2014

Commento al Vangelo di Domenica 22 giugno 2014, Festa del Corpus Domini.




CIÒ CHE SAZIA LA FAME PIÙ VERA



TESTO ( cf  Gv 6, 51-58 )

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo ». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».


COMMENTO

“Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. L’uomo che più di ogni altro ha fatto qualcosa per l’umanità resta di gran lunga Gesù di Nazareth. L’affermazione potrà sembrare perentoria e fideistica, forse perché non fondata su dati oggettivi e inequivocabili. Qualcuno infatti potrebbe non credere che Cristo è risorto, che la sua morte di croce ha ridato la Speranza vera al mondo: la vita dopo la morte. Tuttavia, già solo osservando “la città dell’uomo” si nota che laddove è arrivato il nome di Cristo ci sono e ci sono stati segni permanenti di emancipazione e di promozione sociale, certamente insieme a tanti fatti contradditori e equivoci, ma che non hanno impedito nel lungo termine oggettivi e benefici effetti.

Gesù ci ha dato un pane da mangiare, un pane per nutrire i nostri sogni di giustizia, di pace, di felicità: ci ha dato la sua stessa vita. Ha cercato fino alla fine di difendere i veri tratti del volto di Dio che ama tutti senza distinzioni di sesso, di età, di razza e di religione. Chi si nutre di questo pane mette i piedi in un nuovo mondo ma allo stesso tempo getta il seme di una nuova umanità in questa realtà. 
  
 L’ultimo versetto del Vangelo di Domenica scorsa diceva. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. (Gv 3,16). A partire dal Vangelo di questa Domenica possiamo aggiungere che l’Eucaristia è il modo concreto con cui Dio ogni giorno continua a dare il suo Figlio unigenito al mondo, perché chiunque crede e vive in lui non muoia ma abbia la vita eterna: una vita cioè sovrabbondante, potremmo dire una “Super-vita”, una vita che non è più descrivibile nei confini delle leggi biologiche o naturali. I santi oltre ad essersi ritrovati in Paradiso, hanno avuto un’esistenza spesse volte inspiegabile secondo i canoni umani, una vita quasi divina.

A partire dall’Eucaristia ognuno di noi ha la possibilità di partecipare alla vita divina di Gesù, di vivere lui stesso qualcosa di veramente nuovo, di saziare la fame e la sete più tipiche e proprie dello spirito umano da sempre alla ricerca di senso e della Verità. Ecco perché la carne di Gesù è vero cibo, e il suo sangue vera bevanda.

lunedì 9 giugno 2014

Commento al Vangelo di Domenica 15 giugno 2014. Santissima Trinità






Amare da morire.




TESTO ( Gv 3,16-18)

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.


COMMENTO

Se qualcuno  chiedesse quale mondo Dio ha amato, dovremmo risponderere senza esitazione: questo, il nostro, proprio quello che stiamo calpestando e dove stiamo respirando. Fino a che punto lo ha amato? Fino a dare la vita del suo unico Figlio. Dio ha amato questo mondo, l’opera delle sue stesse mani, quella creazione e quella natura umana così perfette appena uscite dalle sue mani, e così deturpate dopo che l’uomo ha girato le spalle al suo Creatore, pensando di potersi appropriare della conoscenza del bene e del male.

 Quando leggiamo e  o sentiamo di atti di violenza o di guerre lo scoraggiamento ci potrebbe far dire: “...Ma questo mondo è tutto da rifare!” A volte in effetti varrebbe più la pena rifare da nuovo che restaurare. Dio non dice questo; Dio dice: “salviamo questo mondo qui. Voglio dare la vita per questo mondo qui, non ne voglio fare un altro. Voglio salvare e guarire questi uomini e il loro mondo”. Dio entra nell’umanità, ci dona suo Figlio e in Lui è rifatta una nuova umanità, sempre partendo dalla stessa stirpe di Adamo e Eva.

L’amore paziente di Dio non ha confini e Cristo è venuto a restaurare la figliolanza perduta realizzandola nella sua persona, ridandoci l’immagine della creatura perfetta che sa porsi nel giusto modo, quello dell’obbedienza filiale, di fronte alla paternità di Dio. Chi si è incarnato ed è venuto in mezzo a noi è proprio il Figlio di Dio, perché dovevamo imparare anzitutto non tanto ad essere padri, o ad essere spirito, ma ad essere figli,  imparando da lui la via dell’eternità, quella di chi riconosce che tutto viene da Dio e a Lui ritorna nella via dell’amore che è dono di sé.

Proibito scoraggiarsi, dunque, perché “Chi crede in lui non è condannato”; finché ci è dato tempo da vivere su questa terra l’offerta di salvezza resta valida; Lui continua ad amare tutti, continua ad amare le vittime della crudeltà umana, continua ad amare le vittime delle povertà morale; Lui non si stanca di sognare ed è questo sogno instancabile di Dio che spinge all’audacia missionaria, alla passione evangelizzatrice, alla virtù della speranza.
 “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” ( Rm 8,32 )

mercoledì 4 giugno 2014

Domenica di Pentecoste, anno A. 8 giugno 2014





        IL SIGNORE DELLA PACE


TESTO  (Gv 20,19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».



COMMENTO

 “Pace a voi”. Ecco la prima parola di Gesù risorto ai discepoli. In tutta la storia dell’umanità è stato da sempre la cosa più ricercata, più ambita ma anche la più assente: la Pace. Il nostro caro San Francesco d’Assisi voleva che i suoi frati salutassero tutti coloro che incontravano con queste parole: “Il Signore ti dia pace!”. Augurio che poi si è trasformato lungo i secoli nel classico saluto francescano di “Pace e Bene!” 

La pace è il dono per eccellenza di Cristo risorto, è l’eredità più importante che ci lascia perché è la comunione divina che Lui stesso vive con il Padre e lo Spirito Santo, il frutto maturo della lotta vittoriosa che ha intrapreso contro il Male e la morte, sua logica conseguenza. 

La pace vera, Cristo solo ce la può donare e nessun altro. La pace non è assenza di qualcosa ma presenza di Colui che dal di dentro ha sconfitto il peccato. Gesù è entrato completamente dentro l’abisso della cattiveria umana, subendola fino all’ultima goccia, per poi annullarla con la sua risurrezione.

Vivere e annunciare la pace, vivendo liberi dal peccato, è la prima e più vera carta d’identità di un cristiano. Ecco perché San Francesco scrive nella sua prima Regola che “coloro che vanno tra i Saraceni, anzi tutto non devono litigare, né contendere con parole, né giudicare gli altri, ma essere miti, pacifici e sottomessi ad ogni creatura” .

La pace è il frutto più bello della vittoria pasquale di Gesù, e lo Spirito che Gesù soffia sugli apostoli è il suo nuovo modo di essere presente, di operare in noi e attraverso noi. Gesù smette di rendersi visibile agli occhi dei suoi perché è attraverso i suoi che d’ora in poi vuole rendersi visibile al mondo; Gesù smette di presentarsi davanti ai suoi discepoli perché d’ora in poi vuole essere presente col suo Spirito nei suoi discepoli per animare dal di dentro le loro parole, i loro gesti e i loro sentimenti, perché essi stessi siano il suo volto vivente. Siamo noi cristiani, battezzati (cioè immersi) nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, a dover portare la pace di Cristo nel mondo. 

Papa Bendetto XVI ebbe a dire che i nemici della Chiesa non sono fuori, ma dentro. Aveva  ragione. Sono le nostre divisioni, i nostri protagonismi, in generale tutti i nostri peccati, a rendere debole il nostro messaggio e a deturpare il volto di Cristo. Succederà allora, e di fatto succede spesso, che chi ci vede avrà l’impressione di vedere non i servitori di Cristo, ma quelli che si servono di Cristo per le proprie ambizioni, i propri arrivismi, le proprie manie di protagonismo che giacciono sotto il più soave, falso manto dello zelo pastorale.  Invochiamo sempre e con forza lo Spirito Santo, egli che dona la pace annullando la forza del peccato, perché sgorga dal cuore di Cristo che ha sconfitto il peccato mettendoci una croce sopra.