giovedì 25 gennaio 2018

Commento al vangelo di Domenica 28 gennaio 2018, IV del TO anno B.




Comunione è Liberazione


TESTO (Mc 1,21-28)

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.


COMMENTO

Nella sinagoga avveniva una parte importante della festa del sabato, il giorno di riposo degli ebrei, perché Dio il settimo giorno si fermò per contemplare la bellezza della creazione. Gesù spiega la Parola, e da qui comprendiamo che Egli era accreditato come un Maestro della Legge. Ma quando parlava la sua spiegazione della Parola e il suo insegnamento avevano un altro sapore, non era come quello degli altri Rabbini. Certo, noi sappiamo che era il Figlio di Dio e la sua sapienza era divina, ma dobbiamo dire anche che il suo insegnamento dettato con autorità gli veniva anche dalla sua umanità che aveva affrontato Satana e le sue seduzioni nei quaranta giorni di deserto.

Gli scribi erano accusati da Gesù di non vivere quello che insegnavano agli altri, come abbiamo ascoltato nel Vangelo di Matteo Domenica 5 novembre. Gesù invece viveva il nocciolo della Legge e predicava quello che viveva. Ecco perché le sue parole entravano nel cuore; erano parole che profumavano di vita vissuta. Noi dobbiamo sempre annunciare la nostra speranza in Cristo Signore, ma dobbiamo essere consapevoli che accogliere sulle nostre spalle la croce della coerenza al Vangelo sarà la più forte e misteriosa conferma di ciò che annunciamo. Non necessariamente chi ci ascolta avrà l’occasione di conoscere la nostra vita privata, non è questo il punto; la coerenza e la passione per il Regno di Dio saranno come una intima e nascosta forza che accompagneranno e illumineranno ogni nostro gesto. A volte anche un semplice sorriso può evangelizzare, se nasce da un cuore puro e ricco di tenerezza.

Lo spirito impuro, cioè il demonio, Satana, è disturbato dalla presenza di questo uomo. Egli urla “sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio” Gesù è il santo di Dio. Noi parliamo di santità e di un santo in riferimento a Dio, ma cosa può voler dire “il santo di Dio”? In senso positivo, potremmo dire che la santità è tutto ciò che costituisce l’esclusività assoluta di un essere, di ciò che lo rende unico, irripetibile e ineguagliabile. Il demonio riconosce di trovarsi di fronte all’ineguagliabile presenza di Dio, Dio stesso, il suo Cristo (“unto”) in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Se prima, nell’AT, la santità era costituita dalla separazione da ciò che era impuro e peccaminoso (pensate alle innumerevoli prescrizioni del libro del Levìtico), nella logica del NT, la santità è la presenza di Cristo, accogliere la sua presenza. Per essere santi il cuore del problema non è separarsi dall’impuro, ma fare comunione con Cristo, accogliere la sua presenza. Solo con la Grazia di Cristo si può sconfiggere il male. 

Santa Teresina di Lisieux diceva che non vale la pena discorrere col demonio, bisogna solo girargli le spalle. La nostra santità si basa sulla presenza di Cristo nella nostra vita, nella nostra giornata, nella nostra preghiera. Se non c’è la Parola di Cristo nella giornata, con quale forza pensiamo di vincere le seduzioni del male? E la potenza di Cristo si sprigiona per la prima durante la liturgia sinagogale; coltiviamo la coscienza della potenza della divina liturgia nella quale la salvezza di Cristo semplicemente “accade”.

mercoledì 17 gennaio 2018

Commento al Vangelo di Domenica 21 gennaio 2018, III anno B



L’approdo del Regno


TESTO (Mc 1,14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

COMMENTO

L’esperienza della fede infatti è sempre un’esperienza storica, incarnata in circostanze precise. Giovanni Battista proponeva un Battesimo di conversione per purificarsi dai peccati in attesa di Uno più forte di lui. La fede nasce sempre da un’esperienza, da un incontro, da un evento particolare che mi tocca, mi colpisce. La fede non è un fatto intellettuale anzitutto, ma un fatto esperienziale. Conversione e fede, cioè lasciarsi toccare da un’esperienza che attiva un desiderio, che mi porta a scoprire la vanità di ciò che prima mi sembrava tanto importante. In questo processo posso trovare una luce nuova, la luce della fede.

La chiamata dei 4 pescatori è emblematica. Nel racconto molto breve e sicuramente sintetizzato dall’evangelista, cogliamo proprio questa dinamica. 

Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, cosa hanno seguito? Hanno seguito una persona. Cosa era per loro il Vangelo di Dio? In quel momento per loro il Vangelo di Dio (la buona notizia di Dio) era una persona concreta. Si sono lasciati toccare dall’incontro con una persona che li ha affascinati, che ha toccato il loro cuore. Si sono fidati di quell’uomo. Da lì è nato il loro cammino di fede, molto faticoso e travagliato, fatto di dubbi e cadute. Prima c’è stato un incontro. Così fu nell’incontro con il lebbroso di San Francesco d’Assisi. La sua fede è cominciata quando ha accettato la sfida di quella situazione che lo ha provocato. La malattia dei lebbrosi lo ha chiamato ad una conversione di atteggiamento e lì Francesco ha intuito la presenza del Signore e ritrovato la fede.

sabato 6 gennaio 2018

Commento al Vangelo di Domenica 14 gennaio 2018, II del Tempo Ordinario anno B



Di persona in persona, di volta in volta


TESTO (Gv 1,35-42)

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 

Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.


COMMENTO

La conoscenza di Cristo non è mai anzitutto teorica, ma parte sempre da un’esperienza umana, da un incontro con qualcuno o qualcosa che a Quello rimanda. I due discepoli di Giovanni, nel breve racconto dell’evangelista, compiono un approfondimento della loro conoscenza di Cristo, proprio a partire dalla loro esperienza di amicizia-discepolato con il Battista che lo indica come l’agnello di Dio. I due accettano l’invito e si rivolgono a Gesù chiamandolo maestro e cercando di sapere il luogo della sua dimora. Ma dalla sua stessa risposta comprendiamo che la conoscenza della persona di Cristo non può che essere dinamica, esperienziale. “Venite e vedrete”. La semplice indicazione di un luogo non varrebbe a nulla, sarebbe un dato geografico vuoto senza alcun valore aggiunto, l’assolvimento di una nuda curiosità. La conoscenza deve sempre partire da un’esperienza diretta in cui sentirsi coinvolti in prima persona.

I due discepoli che hanno il coraggio di coinvolgersi in questo invito fanno un passo ancora più avanti nella comprensione della persona di Cristo, tanto che Andrea lo indicherà a suo fratello Simon Pietro come il Cristo.
E se è vera la tradizione secondo la quale l’altro dei due discepoli di Giovanni che seguono il Cristo è lo stesso evangelista che sta narrando il racconto, è significativo come egli annoti addirittura l’ora precisa di quell’incontro: erano circa le quattro del pomeriggio. Come a dire che non ci si poteva scordare di un’esperienza così bella, così coinvolgente. Sempre a partire da un’esperienza si può conoscere veramente. Questo è vero soprattutto per noi che viviamo a distanza di secoli dalla esistenza umana di Gesù di Nazareth. Sono anche per noi degli incontri con persone particolari a trasmetterci la fede nella persona di Gesù di Nazareth.

L’annuncio del Vangelo passa inseparabilmente con il fascino che esso esercita in chi lo annuncia. Al termine di questa catena di incontri forse ci siamo anche noi, con le nostre domande e il nostro desiderio di conoscere Dio, di conoscere il suo figlio Gesù. Possiamo esserne certi: se questo desiderio è vero, non mancheranno volti e persone che ci porteranno ad una vera esperienza personale di fede nel Signore Gesù.

mercoledì 3 gennaio 2018

Commento al Vangelo di Domenica 7 gennaio 2018, Battesimo del Signore



Gesù, l’interprete dell’Amore che è Dio


TESTO (Mc 1,7-11)

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».


COMMENTO

Anzitutto Giovanni Battista dichiara la sua assoluta distanza rispetto a Gesù, che non solo è più forte di lui ma addirittura è totalmente su un altro livello. È Gesù il detentore delle sorti dell’umanità, è lui il divino sposo venuto a ricucire un legame coniugale Dio-uomo ormai corrotto dall’infedeltà dell’uomo. Il fatto che Giovanni dichiara di non essere neppure degno di sciogliere a Gesù il legaccio del sandalo (gesto pubblico con cui si cedeva ad un fratello minore il proprio diritto di sposare una donna) attesta la consapevolezza del Battista che non è lui a cedergli un diritto sull’uomo, perché Gesù uomo-Dio tale diritto lo ha già per natura. Solo lui, il Signore Dio fatto uomo in Gesù, può vantare diritti sull’uomo. Lui solo è lo sposo dell’umanità chiesa-sposa. 

L’ulteriore dichiarazione di Giovanni “Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo” (Mc1,8) afferma la conseguente totale diversità dei due battesimi. Se così diversa è l’identità dei due personaggi, altrettanto diversa sarà il valore dell’azione che porranno in essere. 
Giovanni battezza con acqua per il perdono dei peccati, ma Gesù farà qualcosa di più: battezzerà in Spirito Santo, cioè “immergerà” l’uomo nella sua stessa esperienza divina. Tramite il Battesimo che noi riceviamo in Gesù, non in acqua soltanto, noi nella verità possiamo gridare “Abbà (parola ebraica che significa: Padre)”. Noi resteremo figli per  Grazia ricevuta, e Gesù resterà Figlio per natura, ma saremo pur sempre figli. In fondo cosa cambia ricevere un’eredità in denaro per diritto di figliolanza o perché qualcuno ti cede la sua? La ricchezza ricevuta è la stessa. 

 Infine al v. 1,11 la voce dal cielo che dice “Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Il Cielo, cioè il Padre si compiace in Cristo. È come se Dio dicesse: “finalmente l’uomo immagine e somiglianza mia che avevo pensato all’inizio! Questo è l’umanità che avevo pensato!” Gesù è la miglior traduzione possibile nella lingua umana dell’amore di Dio. Nel cuore della Trinità si parla l’amore con lingua divina. In Cristo Dio dice l’amore con lingua umana. Nei sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, abbiamo la traduzione simultanea.