domenica 24 luglio 2016

Commento al Vangelo della XVIII Domenica del TO; 31 luglio 2016



Scelte di cuore 


TESTO  ( Lc 12,13-21 ) 

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 

E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 

Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».


COMMENTO

Cose di sempre: anche tra fratelli le questioni economiche rischiano di mettere in crisi i rapporti umani più consolidati; d’altronde anche San Paolo ci avverte dicendo che …  : “ L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali “ ( 1 Tm 6,10 ).

Gesù pone subito uno dei due fratelli contendenti l’eredità, dinanzi ad una domanda fondamentale: “Chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? “ Se quei fratelli avessero saputo rispondere fin da subito a quella domanda, e se anche noi sapessimo che sopra di noi c’è un giudice di misericordia che guarda il cuore e non l’apparenza, sul nascere tutte le dispute sul denaro, ma anche sulle questioni politiche e di potere in generale, troverebbero soluzione.

Ovviamente quando viene messo in ombra il principio e bene supremo, l’autorità e la giustizia di Dio, tutti gli altri attaccamenti del mondo diventano dominanti e prendono il primo posto nel cuore dell’uomo.
Chi non arricchisce davanti a Dio, chi non cerca di crescere nell’amicizia con lui , facilmente cerca di arricchire sulle cose che passano , ma , ci dice Gesù, “poi tutte queste cose terrene a chi apparterranno, ma soprattutto la nostra vita a chi apparterrà”?  A quel mondo che passa oppure al Dio della vita che abbiamo accolto e ricercato durante la nostra esistenza terrena?

Altrove nel Vangelo Gesù dice: “ Laddove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.  Chiediamoci quali sono le cose a cui diamo importanza, le cose per cui spendiamo maggior parte del tempo della nostra giornata, o comunque il fine che cerchiamo di raggiungere nelle attività che svolgiamo. Perché i nostri affetti si orienteranno necessariamente verso le cose che riteniamo più importanti.   

giovedì 21 luglio 2016

Commento al Vangelo della XVII Domenica del TO; 24 luglio 2016




Soddisfatti … sempre


TESTO  ( Lc 11,1-13 )

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».

Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 

Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


COMMENTO

Partendo dal fondo di questo brano capiamo anzi tutto direttamente dalla bocca di Gesù che  il dono più bello da parte di Dio Padre è lo Spirito Santo. A noi potrebbe sembrare molto vago e astratto, in ogni caso non risolutivo fronte a tanti problemi quotidiani urgenti e molto pratici: in ordine alla salute, alla rottura dolorosa di alcune relazioni affettive, ai problemi economici di reale o presunta gravità.

Il Signore, Gesù, Lui che appunto è il Signore del mondo, del creato, della natura e della storia, che ordina facendosi obbedire ai venti e ai mari di tacere, invita i suoi discepoli alla fiducia filiale. “  Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono. “.

Che tipo di dono è lo Spirito Santo. Cosa è? O meglio, chi è? E’ esattamente la forza necessaria per abbandonarsi nella mani del Padre nostro che abita i Cieli. E’ proprio la presenza divina in noi che anima la nostra fede che da sola non potrebbe reggersi. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza perché è la presenza dell’amore del Padre in noi e nello stesso tempo la presenza del Figlio Gesù che grida in noi “Padre, mi affido a te”.

Gesù ci esorta alla preghiera, costante, perseverante, perché il fatto stesso di pregare  terrà viva questa fiamma d’amore nel nostro cuore, e quando gli occhi del cuore si aprono all’amore di Dio, si ha l’impressione di essere stati sempre esauditi, qualunque cosa si sia chiesto. Lui ci stupisce sempre, supera sempre ogni nostro desiderio e aspettativa. 

Per questo, qualunque cosa avremo chiesto, ci sentiremo esauditi, comunque.

venerdì 15 luglio 2016

Il laicismo bigotto che è nemico della pace.



Pubblico questo editoriale di Ernesto Galli della Loggia perché ne condivido 
la finezza critica e la crudezza dell'esposizione. Che sia forse l'inizio di un modo più onesto e intelligente di valutare i rapporti con il mondo orientale e con il fenomeno del terrorismo islamico? - fra Damiano Angelucci

Le troppe parole
che l’Islam non dice
 di Ernesto Galli della Loggia

Verso la memoria delle vittime di Dacca dovremmo prendere un impegno di serietà e di verità. Parlando di ciò che li ha condotti alla morte, sarebbe giusto rinunciare al buonismo di principio, ai giudizi programmaticamente tranquillizzanti, agli equilibrismi.
  

Chissà se in quella tragica sera di Dacca qualcuno dei nove italiani, mentre veniva torturato e si preparava ad essere sgozzato per non aver saputo rispondere a dovere alle domande di catechismo islamico, avrà pensato che i suoi compatrioti avrebbero preso l’impegno di vendicarlo. Penso proprio di no, dal momento che quegli italiani erano certamente esperti del mondo e della vita. Non sta bene covare sentimenti di vendetta, e tantomeno dirlo: loro sapevano che noi la pensiamo così, e dunque non potevano certo farsi illusioni.

Verso la memoria di quelle vittime però, dovremmo tutti prendere almeno un impegno di serietà e di verità. Dunque, parlando di ciò che li ha condotti alla morte, rinunciare al buonismo di principio, ai giudizi programmaticamente tranquillizzanti, agli equilibrismi. Che ad esempio i maggiori quotidiani del loro Paese, quasi per farsi perdonare l’audacia di aver avanzato in un primo momento il sospetto che nella macelleria bengalese, vedi mai, la religione islamica c’entrasse qualcosa, che quei giornali, dicevo, immediatamente dopo si sarebbero sentiti in dovere, in omaggio a una presunta obiettività, di pubblicare articoli volti a rigettare il sospetto di cui sopra giudicandolo calunnioso e frutto di ignoranza, ebbene che una cosa simile sarebbe accaduta questo forse nessuna di quelle vittime è arrivata certamente a pensarlo.

Invece è andata proprio così. Anche questa volta è andata così. Per la strage di Dacca, come in tante altre occasioni da anni. E non certo solo da noi. Da anni infatti terroristi islamici seminano dovunque la morte ma l’opinione pubblica occidentale si sente puntualmente ripetere che la loro religione non c’entra nulla. Il più delle volte con l’argomento (evidentemente reputato in grado di chiudere la bocca a chiunque) che, a tal punto il terrorismo islamico non c’entrerebbe nulla con la religione islamica che spesso le sue vittime sono proprio gli stessi islamici. Come chi dicesse che poiché le guerre di religione nell’Europa del Cinque-Seicento vedevano dei cristiani ammazzare altri cristiani, proprio per questo la religione con quella violenza non avesse nulla a che dividere.

Le cose stanno ben altrimenti. «I jihadisti — ha scritto Tahar Ben Jelloun, conosciutissimo teorizzatore dell’Islam tollerante all’interno di un’auspicata tolleranza universale — prendono a riferimento dei versetti che erano validi all’epoca della loro rivelazione ma oggi non hanno più senso». Già. Ma mi chiedo: e chi è che lo decide quali versetti del Corano continuano ad «avere senso» e quali invece sono per così dire passati di moda? Chi? E in ogni caso non vuol forse dire quanto scrive Ben Jelloun che comunque in quel testo ci sono parole e precetti che si prestano e magari incitano ad un certo uso della violenza?

Certo, tutti sappiamo che il monoteismo in quanto tale intrattiene un oscuro rapporto con la violenza. Ma fa qualche differenza o no — mi chiedo ancora sperando di non incorrere per questo nell’accusa di islamofobia — fa qualche differenza o no se nel testo fondativo di un monoteismo i riferimenti alla violenza ci sono, espliciti e ripetuti, e in un altro invece sono del tutto assenti? Fa una differenza o no, ad esempio, se i Vangeli non registrano nella predicazione di Gesù di Nazareth alcuna azione o proposito violento contro coloro che non credono? Non ha significato forse proprio questo la possibilità nell’ambito del monoteismo cristiano di mantenere aperto costantemente uno spazio di contraddizione, di obiezione nei confronti della violenza pur commessa in suo nome che altrove invece non ha mai potuto vedere la luce? Mi pare assai dubbio insomma che tutte le cosiddette religioni del Libro adorino davvero lo stesso Dio come sostengono gli instancabili promotori delle tante occasioni di «dialogo interreligioso» che si organizzano dovunque tranne però, chissà perché, nei Paesi musulmani. Per la semplice ragione che in realtà quel Libro è per ognuna di esse un Libro dal contenuto e dal significato ben diversi.

In realtà è assai difficile pensare che l’Islam non abbia un problema specifico tutto suo con la violenza. Ne è prova non piccola, a me pare, come esso continui a praticarla nei suoi riti i quali sembrano non aver conosciuto in misura decisiva il processo di trasfigurazione simbolica avutosi in altri monoteismi. Chiunque ad esempio si è trovato in una località islamica il giorno della Festa del Sacrificio (che ricorda il sacrificio del primogenito richiesto da Dio ad Abramo) ha potuto assistere allo spettacolo di ogni capofamiglia che, armato di coltello, sgozza sulla pubblica via un agnello procuratosi in precedenza. Certo, la pratica non è più universale ma è ancora abbastanza diffusa da impedire di credere che essa non costituisca tutt’oggi un paradigma dal potentissimo richiamo emotivo per l’insieme dei credenti. Così come ancora oggi — per menzionare un altro ambito fondamentale — l’ambiente familiare islamico appare dominato da un tratto gerarchico-comunitario e da un’arcaica fissità di ruoli maschile e femminile, l’uno e l’altro ispirati dai precetti religiosi.

Ora, sarà pure tutto ciò fonte preziosa di protezione e solidarietà per l’individuo, sarà pure benefico elemento di coesione del gruppo, ma di certo una tale struttura familiare sembra fatta apposta per essere una continua palestra di costrizione, di repressione e alla fine di violenza. Non è davvero singolare — almeno all’apparenza e a quel che è dato di sapere: ma in caso contrario perché non ci è dato di sapere? — che le banali osservazioni appena fatte non siano oggetto di alcuna discussione nelle società islamiche, che di fronte a ciò che sta accadendo non ci si chieda se per caso la tradizione religiosa, sia pure al di là di ogni sua intenzione, non sia implicata per qualche verso nei comportamenti di non pochi dei suoi adepti? Come mai i processi di analisi storico-culturale che si sono così largamente sviluppati nei Paesi cristiani e altrove, nel mondo islamico invece sembrano non avere alcun corso, almeno pubblico? Che cos’è che lo impedisce? Perché ancora oggi nei Paesi islamici non si traduce quasi nulla della letteratura scientifica mondiale riguardante la società, la religione, la psiche, il sesso, la storia? Perché questa ferrea cortina d’ignoranza calata sul futuro di quei popoli?
Con queste e analoghe domande, se volessimo realmente onorare i morti di Dacca, non dovremmo stancarci di incalzare il mondo islamico. Ripetutamente, insistentemente, ogni volta che chiunque prenda la parola in qualche modo a suo nome.
Così come, per parlare infine di politica, dovremmo una buona volta porre anche il problema dell’Arabia Saudita, l’Arabia Saudita è il vero cuore della violenza terroristica islamista perché ne è di gran lunga il maggiore finanziatore. Da anni tutti gli osservatori lo dicono e lo scrivono, sicché la cosa è in pratica di dominio pubblico. I soldi per le armi e le bombe destinati a seminare strage da Bombay a Parigi vengono quasi sempre da Riad. Ma egualmente da Riad proviene il fiume di soldi con cui negli ultimi decenni l’élite saudita ha acquistato in mezzo mondo (ma di preferenza in Occidente, naturalmente) partecipazioni azionarie, interi quartieri residenziali, proprietà e attività di ogni tipo. Trascurando nel modo più assoluto qualunque solidarietà islamica — ai disperati, spessissimo musulmani, che ogni giorno tentano la traversata del Mediterraneo, da loro non è mai arrivato un centesimo — ma curandosi solo di arricchirsi sempre di più e di mutare a proprio favore la bilancia del potere economico mondiale.

Ma perché, mi chiedo, non si possono immaginare nei confronti dell’Arabia Saudita e dei suoi dirigenti misure di sanzione, diciamo pure di rappresaglia, volte a colpire gli interessi di cui sopra? Proprio l’idea che agli occidentali interessi più il denaro di qualsiasi altra cosa è tra le cause di quel disprezzo culturale che ha non poco a che fare con lo scatenamento della violenza specialmente contro di essi. Quale migliore occasione, allora, per dimostrare che le cose non stanno proprio così, che ci sono anche per noi cose più importanti del denaro?

giovedì 14 luglio 2016

Commento al Vangelo della XVI Domenica del TO; 17 luglio 2016



Il cuore di ogni esperienza


TESTO Lc 10,38-42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. 

Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».


COMMENTO

La contemplazione e l’azione, l’ascolto della Parola e la carità in atto. Non sembrano antinomie, e non dovrebbero mai esserlo perché invece nell’esperienza cristiana sono complementari. Marta e Maria, le due sorelle di Lazzaro, quello che Gesù risuscitò , sono due donne in cui sono personalizzate le due anime di ogni spiritualità che voglia dirsi cristiana, due poli e due tensioni entro i quali tutte le sfumature devono trovare posto e collocazione.

La parte migliore comunque è quella di Maria, quella dell’ascolto, laddove i molti servizi di Marta sono causa di distrazione. Di qui il giudizio di Gesù , non tanto sulle intenzioni delle due sorelle, entrambe buone ed entrambe votate all’accoglienza, ma su una realtà di fatto che si è creata in questa casa, in particolare nel cuore di Marta.
Maria parte dalla Parola, dall’ascolto del Maestro, dalla ricerca della sintonia con la sua presenza. Marta, che pure ha il merito di avere preso la decisione di ospitare Gesù in casa, parte dalla periferia, cioè da tutte le circostanze necessarie per favorire e rendere gradevole la permanenza dell’ospite. Di fatto Marta si stava perdendo l’essenziale: la predisposizione di tutte le condizioni pur necessarie per accogliere il Maestro la stavano distraendo dalla persona di Gesù. 

Ecco perché il giudizio di Gesù non è condanna della persona ma di una deriva che stava prendendo quel modo concreto di lasciarsi sfuggire la Grazia del momento.
Penso a tante situazioni del cammino di fede personale e della vita ecclesiale, con tante somiglianze e paralleli. L’intenzione buona di creare condizioni per un’esperienza di fede spesso naufragano perché manca l’incontro decisivo ed essenziale con la parola del Signore. Si progetta , si lavora, si organizza in ambito parrocchiale o associazionistico ma poi non c’è l’esperienza dell’incontro , o meglio non si ha la capacità di “salire” dal semplice evento al suo significato più profondo e spirituale che esso ci porta. Ci si ferma agli aspetti organizzativi.

Tutto ci può parlare del Signore, e ogni esperienza di vita è di fatto abitata dal suo spirito, ma come è facile che il nostro cuore sia totalmente preso dai dettagli pratici. Troviamo il tempo di stare, di sostare nell’ascolto della Parola di Dio! In quella Parola ascoltata e meditata c’è come l’alfabeto per leggere la presenza del Signore nel libro della vita corrente e apparentemente abitudinaria. Dunque buon ascolto e buona ripartenza!

giovedì 7 luglio 2016

Commento al Vangelo della XV Domenica del TO; 10 luglio 2016



OGNI INCONTRO UN MOMENTO DI  SALVEZZA


TESTO  (Lc 10,25-37) 

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

 Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 

Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».


COMMENTO

Quel passare oltre lascia l’amaro in bocca, perché ha il sapore molto più di una trascuratezza del cuore che di un cambio di strada di fronte ad un impaccio. Il passare oltre l’uomo che ci interpella è sempre pieno di rischi, perché significa passare oltre l’umano che chiede di essere esaudito nelle più elementari domande di soccorso fisico, ma anche di aiuto e sostegno morale, di supporto affettivo, di vicinanza nei mille e mille dolori della vita. Il passare oltre significa perdere l’occasione di incontrare nell’uomo che tende la mano la presenza del Signore che si è fatto mendicante del nostro cuore, delle nostre cure.

Questo veramente ci dovrebbe interpellare: il Signore Gesù, pur di non venire con violenza nella nostra vita, pur di non imporre il suo essere Dio e Signore della storia, si fa mendicante, e dal trono della povertà del più ultimo tra gli ultimi implora di aprire il cuore alla compassione, alla misericordia. Tutto ciò dovrebbe sconvolgerci e ribaltare le nostre aspettative riguardo alla possibilità di far esperienza di Dio. Lui si fa uomo, e non uomo qualunque, ma ultimo degli ultimi, perché la nostra risposta alla sua salvezza sia totalmente libera e gratuita.

Gli specialisti del sacro, i sacerdoti del tempio di Gerusalemme, i leviti, e quindi anche  il dottore della legge che vorrebbero mettere alla prova Gesù, sono invitati ad abbassarsi alla nuova strategia di Dio, a non cadere nel tranello dell’apparente insignificanza della marginalità sociale dei poveri.

San Francesco intuì il segreto della scelta presenza di Cristo negli ultimi; lo intuì , lo abbracciò in quei lebbrosi, ultimissimi tra i più poveri, ma trovò la “dolcezza per l’anima e per il corpo” che tutte le altre cose del mondo non gli avevano dato. Ecco la saggezza dei piccoli. Facciamo attenzione a non passare mai oltre i meravigliosi segni che il Signore ci lascia in tante scintille di umanità dimenticata e trascurata.