mercoledì 29 luglio 2015

Commento al Vangelo XVIII Domenica TO anno B; 2 agosto 2015



L’alimento della nostra esistenza


TESTO  ( Gv 6,24-35 )

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».


COMMENTO

Nell’incontro con la donna samaritana, raccontato da Giovanni appena due capitoli prima, Gesù aveva detto: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” ( Gv 4,34 ). In effetti veramente Gesù vive della volontà del Padre che lo ha mandato, e inviato nel mondo a compiere la grande opera della salvezza umana. Proprio questo è il suo “cibo” quotidiano: vivere totalmente rivolto verso il Padre , poiché è “uscito” dal Padre e al Padre “va”, sapendo che il Padre “gli ha dato in mano ogni cosa”, nello specifico il destino dell’umanità. 

A partire da questo precedente, le parole di Gesù sulla necessità di procurarsi non il cibo che perisce ma quello che rimane per la vita eterna provocano la domanda: “cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” 
Sarebbe a dire: “quale deve essere il nostro atteggiamento quotidiano, quale deve essere lo stile di fondo della nostra vita spirituale per poter essere graditi a Dio, per accedere alla vita eterna di cui tu ci stai parlando?”
Gesù risponde che l’opera di Dio è credere in colui che egli ha mandato, cioè in lui che sta parlando dinanzi a loro, perché lui è il pane disceso dal cielo, il nutrimento per la fame di vita che abbiamo nei nostri cuori. 

In una spiritualità ebraica a volte molto sbilanciata sulla precettistica, cioè sull’osservanza di molteplici norme di purità rituale e religiosa, Gesù introduce il criterio fondante del nuovo modo di fare veramente e opere di Dio: credere, abbandonarsi in Lui, credere al suo figlio Gesù, volto della sua divina misericordia, lui che solo può saziare le nostre domande di senso, di libertà, e orientare le nostre ricerche di felicità e di giustizia laddove lo sguardo umano e le prospettive umane da sole non potrebbero mai arrivare. Per questo San Francesco d’Assisi un giorno disse 
” mio Dio, mio tutto”. 

Non si tratta di disprezzare la vita del mondo, ma di orientarla nella direzione che l’amore di Dio Padre ci indica, di condurla in quei verdi pascoli ,  dove Gesù nostro pane di vita, via verità e vita potrà sempre prenderci per mano e saziare e sfamare in eterno il nostro innato bisogno di felicità. Pace e Bene


giovedì 23 luglio 2015

Commento al Vangelo della XVII Domenica TO anno B; 26 luglio 2015




NON SEMPRE TUTTO VIENE SOLO DAL CIELO


TESTO ( Gv 6, 1- 15 )

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. 
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.


COMMENTO

Era ai tempi del grande esodo, l’Esodo con la maiuscola, che come pane dal cielo la manna veniva donata agli israeliti durante il cammino  in fuga dall’Egitto, direzione Palestina - terra promessa. Il loro mormorio lamentoso e nostalgico del pane mangiato pur nella schiavitù trovò una risposta immediata e sorprendente perché potessero vedere “… la Gloria del Signore “. 

Nell’episodio della  moltiplicazione dei pani e dei pesci ci sono richiami molto palesi all’antefatto di mille anni prima: la grande folla in cammino ad esempio, al seguito di Gesù nuovo Mosè, nuovo traghettatore verso la terra promessa, richiamata da quel dettaglio apparentemente inutile … “c’era molta erba in quel luogo”; e poi la vicinanza temporale della Pasqua che appunto celebrava il passaggio nel mar Rosso dalla schiavitù alla libertà. Il dettaglio nuovo è che qui il pane che sfama la folla NON scende dal cielo ma dalle mani di un generoso, forse ingenuo ragazzo:  «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Proprio quello che ci vuole per vedere le meraviglie del Signore: un po’ di santa ingenuità. Proviamo ad immaginare i rimproveri che avrà ricevuto dai suoi familiari per aver messo a disposizione di circa ventimila persone (5 mila uomini poteva voler dire in media una donna e due bambini appresso per ognuno ) quei cinque pani e due pesci. Cosa ne sarebbe rimasto per lui e per la sua famiglia? La carità deve essere così: non troppo  calcolante né troppo programmatrice, perché ognuno è chiamato a dare quello che ha in quel momento.

Solo in questa carità così libera e fresca può intervenire la potenza di Gesù. Gesù moltiplica perché ringrazia a nome di tutti per quel poco cibo ricevuto in dono di condivisione. Dire Grazie, sempre e comunque, è la parola che moltiplica la Provvidenza di Dio, perché non ci sarà mai scarsezza troppo grande per chi è capace di dividere insieme ( = con dividere ) e di ringraziare, perché la condivisione  scioglie i cuori aprendo le mani e facendo diventare sovrabbondante per tutti il poco di ognuno. 

Perché il miracolo di Gesù non potrebbe essere stato a partire da quel grazie detto con il cuore per i pochi pani e pesci ricevuti, suscitare uno scatto di generosità in tutta quella folla? Perché non pensare che come un effetto domino anche altri abbiano tirato fuori dalle loro bisacce quel cibo , forse appena sufficiente per sé e per altre due – tre persone al massimo ma che nell’insieme divenne addirittura troppo. 

Da questo gesto di Gesù abbiamo molto da imparare anche per questi tempi di cosiddetta crisi economica. Non aspettiamoci soluzioni dal Cielo, quanto meno non solo. Diciamo grazie al Padre per quello che abbiamo e condividiamo con coraggio, perché da Gesù in poi la manna del cielo passa per le mani generose, coraggiose e sognatrici di chi sa aprire il cuore.

domenica 12 luglio 2015

Commento al Vangelo della XVI Domenica del TO anno B; 19 luglio 2015



Il respiro della missione


TESTO  ( Mc 6,30-34 )

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. 
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.


COMMENTO

Gli apostoli inviati da Gesù, lo abbiamo ascoltato nel Vangelo di Domenica scorsa, “scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano” e il successo di questo primo invio missionario dovette essere così grande che al loro ritorno il Maestro li invita a andare con lui in disparte per riposarsi un po’. La missione in nome e per conto di Gesù anche nei tempi successivi e in tutta la vita della chiesa non potrà sussistere senza il tempo del riposo e dell’intimità divina. 

Anche Madre Teresa di Calcutta molto più recentemente, incontrando un cardinale ebbe a dire: “ senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! “. Colui che ha desiderio di trasmettere la Buona Notizia del Regno di Dio, di trasmettere l’amore di Gesù è obbligato a ritornare quanto più spesso alla sua stessa persona, al contatto con la fonte, “ … Venite in disparte, voi soli.”
C’è come un respiro nella vita del discepolo-missionario, andare e poi ritornare, andare incontro alle sofferenze della gente e poi tornare in disparte con il Maestro, donare la propria vita, il proprio tempo  e poi ritrovare il tempo del silenzio e del deserto per attingere alla fonte della misericordia, della compassione.

Nonostante il pressante invito rivolto ai discepoli, Gesù però sembra essere il primo a cedere alla richiesta della folla, mosso a compassione da quegli uomini smarriti come pecore senza pastore, che forse avevano finalmente trovato in lui un giusto orientamento di vita e delle loro scelte.
Gesù si lascia muovere a compassione, perché egli non smette mai di amare, per lui il riposo è vivere continuamente nell’amore di Dio che vuole incontrare la nostra umanità sofferente e disorientata. 

Papa Francesco ha ricordato recentemente che “Solo l’amore dà riposo. Ciò che non si ama, stanca male, e alla lunga stanca peggio.”
In questo tempo di ferie le parole di Gesù sono da accogliere in un ambito ben più ampio di quello strettamente missionario dei dodici apostoli: la fatica che facciamo è spesso più la conseguenza della pesantezza del cuore con cui viviamo i nostri impegni, lavorativi o familiari. 

Il riposo che ci fa bene è certamente il riposo fisico, mentale ma anche è soprattutto il ritorno alla ragione profonda, al perché del nostro impegno educativo, sociale,  professionale, quel ritorno alla voce della nostra coscienza dove il Signore ci parla chiedendoci di vivere e fare ogni cosa per amor suo come fosse per lui. San Paolo così ci esorta: “E' Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni: fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici … ” (Fil 2,13-14) 

giovedì 9 luglio 2015

Commento al vangelo della XV Domenica del Tempo Ordinario; 12 luglio 2015



Un’autorità senza compromessi


TESTO ( Mc 6,7-13 )

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.


COMMENTO

L’evangelista Marco è particolarmente affascinato dalla potenza di Gesù sul male e sugli spiriti impuri e non manca di raccontare dettagli e particolari di come Egli interviene potentemente anche su tutti gli elementi del creato: Gesù seda le tempeste, placa i venti, guarisce i malati, risuscita una ragazzina morta (come abbiamo ascoltato due domeniche or sono).

Il brano di oggi offre due ulteriori particolari del potere di Gesù. Il primo è che esso è trasmissibile e non una prerogativa che si arresta a Lui; può essere esercitato da chiunque venga da lui incaricato, attraverso un mandato personale ad annunciare il Regno, una investitura a compiere gli stessi gesti straordinari compiuti dal Maestro, e anzi anche di più grandi, come Egli aveva già anticipato ai discepoli. La Chiesa, nella trasmissione di tale mandato di annunciare la parola e amministrare la Grazia di Dio può sembrare cosa troppo umana, ma così ha voluto il Signore, affermando di fatto un’identità tra l’accoglienza dei suoi missionari e l’accoglienza della sua stessa persona.

Oltre a questo vi è un secondo particolare forse più stringente: l’autorità di Gesù non ammette compartecipazione con altri poteri. Su questo Gesù è stato molto esigente “ … ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.” 

Gli apostoli e tutti coloro che sono chiamati ad agire in nome di Gesù son chiamati a ripercorrere la stessa esperienza del loro mandante che da ricco che era si è fatto povero per arricchire noi del suo amore, perché in definitiva non si può pensare di affermare la buona notizia del Regno appoggiandosi sulle stampelle di poteri finanziari o politici; il discepolo di Cristo, certo,  si confronta e si propone anche nel dibattito politico e civile per collaborare all’edificazione di una società più giusta e vivibile, ma non per questo pretende di imporsi ricorrendo a strumenti che non siano la forza insita nello stesso messaggio di misericordia del Vangelo.  

Il Signore ha ogni potere sul male e quindi perfino sulla morte, e questo ci basta, ma ci chiede di evitare qualsiasi compromesso o tentativo di diversificazione del rischio. Nella vigna del Signore o si punta tutto sulla sua parola o comunque si perde.

giovedì 2 luglio 2015

Commento al Vangelo della XIV Domenica Tempo Ordinario, anno B; 5 luglio 2015



IL MESSIA DELLA PORTA ACCANTO     


TESTO  ( Mc 6,1-6 )

 Poi partì di là e andò nel suo paese e i suoi discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga; molti, udendolo, si stupivano e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza è questa che gli è data? E che cosa sono queste opere potenti fatte per mano sua?  Non è questi il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e di Iose, di Giuda e di Simone? Le sue sorelle non stanno qui da noi?» E si scandalizzavano a causa di lui.
 Ma Gesù diceva loro: «Nessun profeta è disprezzato se non nella sua patria, fra i suoi parenti e in casa sua».  E non vi poté fare alcuna opera potente, ad eccezione di pochi malati a cui impose le mani e li guarì.  E si meravigliava della loro incredulità.


COMMENTO

Tutto bene fino all'ultima domanda. Era lecito per “i molti” chiedersi l’origine della sapienza di Gesù e del suo potere di operare miracoli. Giusto anche accertarsi della sua identità, se si trattasse proprio di quel Gesù che avevano conosciuto e visto crescere nel loro paesello di Nazareth. Ma perché scandalizzarsi di lui? Ecco, qui nasce e incomincia la rottura con la possibilità di incontrare il mistero del Dio fatto uomo, di Dio che sceglie di salvare l’uomo tramite l’uomo. 

Scandalizzarsi di Gesù significa escludere a priori la possibilità che in quell'uomo ci possa essere qualcosa di più, un di più che apre a qualcosa o a Qualcuno d’altro; significa che la mia idea iniziale, il mio pre-giudizio, prevale sulla realtà quale mi si presenta in tutte le sue possibilità, e finisce per essere un vero e proprio sasso di inciampo, uno scandalo, un impedimento alle imprevedibili strade con cui la misericordia di Dio ci può raggiungere. 
La realtà è sempre superiore all'idea; non dovremmo mai permettere che una ideologia o una convinzione ci impedisca di essere in ascolto profondo e contemplativo di quello che incontriamo. La realtà è sempre superiore all’idea, perché la realtà si pone in modo oggettivo, concreto, mentre le nostre idee possono essere fallibili, certamente soggettive e parziali. 

Come gli abitanti di Nazareth anche noi potremmo cadere nella trappola di ritenere impossibile che nelle nostre situazioni domestiche, le più ordinarie, i nostri familiari, o vicini di casa possano diventare vere e proprie rivelazioni dell’amore di Dio, della sua presenza, della sua mano che guarisce. 

Perché quel Dio misericordioso che ha assunto un volto umano nella persona di Gesù e che ci ha promesso di restare sempre con noi fino alla fine del mondo, non potrebbe rendersi presente nel tessuto più ordinario delle nostre relazioni familiari, in quei volti e in quei gesti di attenzione che diamo così tanto per scontati? Dato che è proprio così, che cioè ogni fratello ci trasmette qualcosa del suo volto, non perdiamo mai il senso dell’attenzione e dell’ascolto di ogni frammento di umanità che attraversa il nostro cammino!