Commento al Vangelo della XVI domenica del Tempo Ordinario – 18 luglio 2021
Dal Vangelo di Marco (6,30-34)
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Commento
“Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo” (Ger 23,1). Il rimprovero di Dio che ci giunge tramite il profeta Geremia sei secoli prima di Cristo, attraversa quasi tutte le epoche della storia di Israele. Per questo, per evitare di continuare a predicare invano tramite profeti inascoltati, nella pienezza dei tempi, è Dio stesso che viene a predicare al suo popolo; è lui stesso che si fa uomo e viene tra noi per trasmetterci con gesti e parole di uomo la sua infinita tenerezza. Il figlio di Dio, in Gesù, non ha assunto un’apparenza umana, ma al contrario ha assunto interamente la nostra natura, fragile, mortale, passibile, pur rimanendo Dio.
La compassione di Dio Padre che Gesù rivela e incarna, così come raccontano gli evangelisti (Marco in questo caso), parte da lontano, dal cuore infinitamente compassionevole di Dio Padre.
Ma, giustamente, si dice che è più facile regalare una camicia al povero, piuttosto che indossare la stessa camicia del povero! E allora il Signore non si accontenta più di una compassione da remoto, se così si può dire, e inviando il suo Figlio unigenito, condivide “in presenza” lo stesso smarrimento degli uomini di questo mondo.
Non sono solo gli uomini di Galilea di due mila anni fa, ma tutti gli uomini di tutte le epoche e le etnie, che possono ritrovare in Gesù, la giusta direzione della vita. Forse ancor più sgradevole del dolore, fisico o spirituale, è la mancanza del senso di ciò che si deve subire, e ancor più la solitudine.
In Gesù, nella sua presenza viva di risorto, attualizzata dai segni sacramentali della Comunità cristiana, ma anche dall’umanità stessa dei suoi membri, l’uomo di ogni tempo ritrova conforto e una compagnia per il suo viaggio. E quando la fatica ci dovesse pesare oltremodo, proviamo a pregare come santa Teresa di Calcutta: “
Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo, quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; … quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi”.