mercoledì 27 marzo 2024

Alla sorgente della fede cristiana

 

 Vangelo della Veglia pasquale – sabato notte 30 marzo 2024

Dal Vangelo secondo Marco (16,1-7)
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.
Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. è risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».

 

Commento

 La tomba vuota, primo segno a parlarci di risurrezione in questo lungo giorno pasquale che nella nostra tradizione cristiana chiamiamo ottavario pasquale e che ci permetterà di ascoltare tutte le testimonianze evangeliche su questo fatto straordinario. Potremmo chiamarlo anche un “non segno”, perché di fatto le donne non trovano il corpo del maestro che, anzi, si disponevano ad ungere, essendosi portate gli oli aromatici, e avendo come unica preoccupazione la rimozione della pesante pietra di chiusura del sepolcro.

Viene loro detto da un giovane in bianche vesti (probabilmente un angelo) che il loro maestro, Gesù di Nazaret, è risorto, non è più lì. Da qui prende vita la nostra fede, da qui prende senso il fare memoria annuale della Pasqua di Cristo.
Gesù non è semplicemente vivo nella nostra memoria, come diciamo spesso dei nostri cari defunti, ma al contrario siamo noi ad essere vivi nella sua memoria di uomo-Dio: lui che ora, in eterno, intercede a nostro favore presso il Padre, che - come ci ricorda la Lettera agli Ebrei “… può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio” – Eb 7,25). Il celebrare nell’Eucaristia la vittoria di Cristo sulla morte, in modo più solenne la domenica – e in modo ancor più solenne la domenica di Pasqua – non aggiunge nulla alla grandezza dell’evento storico, ma piuttosto fa entrare noi che vi partecipiamo nella grazia, nell’amicizia ritrovata di Dio, dopo che l’avevamo rigettata. Anche per chi partecipa alla celebrazione della Pasqua si compie la promessa di Gesù in croce rivolto a quel ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso!”. Si, il paradiso comincia quando si accetta di vivere con Cristo, ogni esperienza, bella o brutta che sia. Il beato Carlo Acutis diceva che l’Eucaristia è “autostrada per il Paradiso”, ma in parte è paradiso essa stessa.

Permettiamo al Signore risorto di rimuovere la pietra della nostra incredulità: questa sì, l’incredulità, è la pietra tombale che impedisce la rinascita della nostra vita in Cristo. “Signore, aumenta la nostra fede”.
Buona Pasqua !


venerdì 22 marzo 2024

L'inizio del compimento

 Commento al vangelo della domenica delle Palme – 24 marzo 2024
 

Dal vangelo di Marco (Data la lunghezza del testo 14,1-15,47, si è scelto di limitare il commento ai versetti 15,33-39)

 […]  Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
 
Commento

 Il racconto della passione e morte di Gesù di questa domenica (delle Palme) si completerà con l’annuncio della risurrezione di domenica prossima. Gli ultimi capitoli della narrazione di Marco, primo a scrivere tra i quattro evangelisti, costituiscono in realtà il cuore e il fine di tutta l’opera: fine che era stato già sinteticamente annunciato fin dal primo versetto: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.” (Mc 1,1).

Saranno le parole del centurione sotto la croce a confermare questo lieto annuncio: le parole di un uomo pagano trovatosi lì per adempiere le sue mansioni di carnefice e del quale si dice che “avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»” (Mc 15,39). Doveva esserci qualcosa di straordinariamente convincente nel modo di spirare di Gesù che in un ultimo grido così si rivolse al Padre: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”

Sono le ultime parole che secondo San Marco Gesù ha proferito prima di morire, esprimendo in esse la domanda di senso di tutta l’umanità, ma anche prendendo a prestito i versetti del salmo 22 (21) che egli ovviamente, comi ogni ebreo praticante, doveva conoscere quasi a memoria e che continuano con delle parole di fiducia (“in te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti” (Sal 22,5) ma che le morte gli impedì di proferire. Sono le parole di chi umanamente fatica ad accettare la sua sorte, che non vede la pienezza di una vicenda dolorosa, come non doveva vederla, in quegli istanti, neppure Gesù.

Dunque, Gesù è morto rivolgendosi al Padre, reclamando da lui il senso e il fine di quell’immenso dolore. Un Gesù tremendamente umano, così umano perché dall’inizio alla fine del cammino della sua vita non ha mai interrotto la sua relazione filiale con il Padre. Ecco il modo che affascinò il soldato romano: la relazione mai interrotta con Colui che lo aveva inviato nel mondo a radunare i figli dispersi, cioè tutti gli uomini orfani, a causa del peccato, della paternità di Dio. Il modo della fiducia, della comunione con Dio, sempre e comunque.

In quel grido ci siamo tutti. O forse è più significativo sottolineare che in ogni nostro grido c’è anche il suo: un grido che reclama la conoscenza del fine di bene di tante esperienze crocifisse, che reclama di sapere, di capire, di comprendere. A queste grida che salgono a Dio continuamente in tutti i tempi e da tutta la terra, come in questi giorni dall’Ucraina o dalla striscia di Gaza, o da tanti ospedali e da tante case di reclusione, Gesù risponde: “abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

giovedì 14 marzo 2024

Benedetti in Cristo innalzato

 

 Commento al Vangelo della V domenica di Quaresima, anno B – 17 marzo 2024


Dal Vangelo secondo Giovanni (12,20-33)


In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Commento 

Oggi partiamo dalla testimonianza di Elie Wiesel, scampato ai lager nazisti della Seconda guerra mondiale. Nel suo libro La notte, (1958), racconta dell’impiccagione di un ragazzo di tredici anni. L’autore ricorda che nel momento in cui quel tredicenne ancora agonizzava...
"Dietro di me udii il solito uomo domandare:
– Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…" (Elie Wiesel, La notte)
Da notare che chi scrive è un ebreo rimasto ebreo, eppure la sua riflessione tocca il senso profondo del mistero della croce di cui ci ha parlato Gesù in questo brano di vangelo.
Gesù, soprattutto nella memoria dell’evangelista Giovanni, parla della sua morte come di un innalzamento, di una glorificazione, cioè della manifestazione della sua potenza. Qual è l’onnipotenza del figlio di Dio in tutto questo? La libertà di amare fino alla fine, di non essere costretto dalla sua natura divina a mostrare la sua forza, la libertà di offrire la sua vita.

Si, L’onnipotenza di Dio, la gloria di Dio si rende manifesta in questa umanità caduta in terra, come un chicco di grano che muore, ma che diventa generativa e feconda per una nuova umanità.
Ecco la vera risposta a chi domandava: “Vogliamo vedere Gesù”. Non poteva ridursi all’incontro con un volto fisicamente presente. Per incontrare e far esperienza di Gesù occorreva a quei greci, e occorre anche a noi oggi, riconoscerlo nelle centinaia, migliaia di uomini crocifissi della storia, a partire da quelli delle nostre storie quotidiane.

Alla frequente domanda che nei momenti di prova, più o meno tutti ci poniamo: “Mio Dio, ma dove sei finito?” anche noi dovremmo sentire risuonare la stessa risposta dal fondo della coscienza: “Sono nel tuo genitore malato, sono in questo tuo figlio sulla sedia a rotelle, sono nella tua solitudine, abito lì dove tu stai maledicendo la vita, perché io mi sono fatto maledizione per te (cf. Gal 3,13), per benedirti in eterno!”

giovedì 7 marzo 2024

Un morto che cammina?

  

Commento al vangelo della IV domenica di Quaresima, anno B – 10 marzo 2024
 

Il morto che cammina? (dead man walking)
 

Dal Vangelo secondo Giovanni (3,14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

 Commento

 Sembra che in alcuni penitenziari americani il passaggio del condannato a morte fosse accompagnato dal proclama “l’uomo morto che cammina”. La cosa è abbastanza macabra, e ancor più macabra è che tutt’ora esista la pena capitale in qualche angolo del mondo. Nel brano di vangelo di oggi Gesù spinge il nostro sguardo oltre la soglia della vita terrena, e ci invita piuttosto a prendere in seria considerazione il nostro destino finale.
Chi non vorrebbe vivere, felice, in eterno! Gesù ci offre una ricetta talmente semplice da essere trascurata, anche perché assolutamente a costo zero, e noi sappiamo che le cose “a costo zero” destano il sospetto di una fregatura. La ricetta, invece, è credere n lui, credere che lui, Gesù di Nazaret, è il volto di un Dio misericordioso, è il figlio di Dio mandato nel mondo per prendere su di sé le conseguenze nefaste di tutti i nostri peccati, quelle conseguenze che, se non fosse per la misericordia di Dio, noi stessi avremmo prodotto su di noi portandocele nei secoli dei secoli, e non certo provenienti da un Dio che castiga come talvolta ci hanno insegnato a dire in quell’orrendo atto di dolore. (…peccando ho meritato i tuoi castighi).
Gesù dice: “…bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.” E ancora aggiunge: “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

Allora deduciamo da questo brano, come da tanti altri passaggi della sacra Scrittura, che il Signore è signore della vita. La vita eterna è sì un premio, ma non da comprare o da meritare in senso proprio, ma da accogliere dalle mani di colui che è via, la verità e la vita, e che la dona a chi confida nel suo nome. 

Se ad una persona avvelenata venisse offerto un antidoto e se questi lo rifiutasse, di chi sarebbe la colpa? Se presumiamo di entrare nella vita eterna per meriti nostri, senza la grazia di Cristo, allora sì che saremmo veramente un morto che cammina! Propongo allora di acclamare spesso il nome di Gesù invocando la sua misericordia, soprattutto per non aver creduto al suo amore. 

E vi propongo di farlo con la più breve tra tutte le nove formule di “Atto di dolore” proposte nel Rito della Penitenza della Chiesa cattolica italiana: “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.

giovedì 29 febbraio 2024

Senza un cuore di tutto si può fare mercato!

 
Commento al vangelo della III domenica di Quaresima, anno B – 3 marzo 2024
 

Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25)

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

 

Commento

 Anche questa settimana parto dal fondo del brano. Alcuni testi del vangelo sembrano proprio costruiti come le versioni di latino che ci davano al liceo: finché non arrivi alla fine della frase e non vedi il verbo, non capisci il senso.
“Egli, infatti conosceva quello che c’è nell’uomo”. Perché è importante? Perché dà ragione del gesto di Gesù (…fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori… gettò a terra il denaro… ne rovesciò i banchi… «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».). Quei venditori facevano cose lecite e ammesse dalla legge. Era quello che c’era nel loro cuore a non essere secondo la legge… dell’amore, del dono di sé. Il vero culto di Dio in Israele era stata da tempo soppiantata dalla legge del prestigio personale. Come è facile passare dal culto di Dio al culto dell’”io”. In italiano è questione di una letterina. Ma nell’esperienza spirituale è questione di una vera conversione di marcia.
Ecco perché al terzo tornante domenicale di questo cammino quaresimale troviamo questo brano, molto forte. Gesù è il vero tempio, non quello di Gerusalemme. Il vero tempio è il suo corpo che ora, dal giorno dell’Ascensione ha assunto una dimensione spirituale e con la Pentecoste ha preso dimora nell’umanità della sua Chiesa, cioè noi battezzati. Ecco perché la Chiesa viene detta “corpo spirituale” di Cristo. Un corpo, quello di Gesù, che ha ingoiato e digerito tutto il male dell’umanità e che, purificato nella Pasqua, ora risplende della luce di Dio. (pensiamo al vangelo della Trasfigurazione di domenica scorsa).
Ma, attenzione! In questo tempio, la Chiesa di Gesù, qualcuno continua a fare mercato!... anche oggi i vari servizi ecclesiali, più o meno necessari, possono essere svolti per accrescere il proprio potere. Nella nostra società, ancora, nonostante il sempre minore potere che la Chiesa grazie a Dio ha, una tonaca, una mitria, ma anche dei semplici incarichi di lettore o catechista, possono divenire esercizio di supremazia e di dominio sugli altri.
Sono certo che di esempi ne abbiamo tutti un certo numero davanti agli occhi. E allora come fa Gesù a non sdegnarsi! Tuttavia, partiamo da noi stessi, purifichiamo nella grazia sacramentale l’intimo del nostro cuore, e sapremo meglio notare la luce di Cristo che sicuramente, nonostante tutto, risplende nella Chiesa-suo corpo.


domenica 18 febbraio 2024

Luce divina e non varichina!

 

Commento al vangelo della II domenica di Quaresima, anno B – 25 febbraio 2024


 

Dal vangelo di Marco (9,2-10)

 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.
E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

 

Commento

 Vorrei partire proprio dall’ultima parte di questo brano: la premura di Gesù perché i tre fortunati testimoni dell’evento non raccontino nulla se non “dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti”. Piccolo particolare: i nostri amici non capivano neppure cosa volesse dire risorgere dai morti. E già questo dà ragione della preoccupazione di Gesù di evitare di sciupare la bellezza dell’esperienza cominciando a divulgare la notizia in modo sensazionalistico.
Ci capita che nell’entusiasmo di raccontare perdiamo di vista il senso, la profondità di ciò che abbiamo vissuto. I tre discepoli avrebbero invece dovuto tenere bene a memoria quella luce che usciva dal corpo di Gesù, soprattutto nella tenebra della passione e della morte di Gesù.
Tuttavia, se ci è giunta la testimonianza di questo episodio significa che, oltre agli altri due, certamente Pietro, all’origine del vangelo di Marco, è stato comunque capace di riportare alla memoria il fatto, dopo la Pasqua del Maestro, nonostante lo sbandamento a cui si accennava.
Un’altra particolarità del nostro evangelista è la sottolineatura della lucentezza delle vesti di Gesù, “nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche” chiosa Marco. Sembrerebbe lo slogan di un detersivo ma è il desiderio di farci arrivare chiaro e diretto che in quella luce si è resa manifesta la presenza divina nella persona e nel corpo di Gesù. Appunto perché quel candore non è cosa umana, irriproducibile qui sulla terra, esso testimonia ai tre amici che in Cristo “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). E lo dovremmo tener ben presente anche noi, sempre soggetti ai richiami delle mille luci di questo mondo, fuochi fatui che illudono e quindi immancabilmente deludono, perché la presenza di Cristo, e del suo messaggio possano illuminare le tante tenebre che disseminano il nostro pellegrinaggio.

giovedì 15 febbraio 2024

E Gesù puntò l’avversario

  

Commento al vangelo della I domenica di Quaresima, anno B – 18 febbraio 2024
 


 Dal Vangelo secondo Marco (1,12-15)

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
 

Commento 

 Gesù prende la mira sul vero nemico da abbattere e combattere: Satana, che nella sua etimologia dice già quasi tutto, cioè accusatore, divisore, il guastatore o “guasta feste”. Lo Spirito, il Signore della comunione, definibile anche come la comunione del Padre e del Figlio fatta persona, sospinge Gesù a far subito esperienza del vero nemico della sua impresa.
Mentre Gesù si prepara a proclamare la Buona notizia, che Dio Padre non si è mai stancato dell’uomo e che anzi lo ha mandato per ri-allacciare i rapporti interrotti dall’uomo, lo spirito del male invece cercherà di staccare Gesù dalla fiducia in Dio Padre.
Un re che si prepara ad una battaglia, occorre che faccia i calcoli se con 10 mila uomini può andare ad affrontare un re che ne ha 20 mila, o chi vuole costruire una torre occorre che faccia ben i calcoli per capire se potrà arrivare alla fine dell’impresa (Cf. Lc 14,28ss.). Così Gesù mette da subito alla prova la sua umanità, perché la sua volontà non potrà discostarsi neppure per un attimo da quella del Padre, e anzi chiamerà satana, divisore, non i suoi uccisori ma proprio il primo di tutti gli apostoli che lui stesso aveva scelto, l’apostolo Pietro. Drammatica quella situazione: perché mostra quanto è facile anche per i più intimi di Gesù, staccarsi dal cuore di Dio, dalle sue vie di salvezza che, differentemente dalle nostre, passano per il filtro della Pasqua.
Nel silenzio del deserto Gesù compie un itinerario spirituale che lo porta già alla intuizione di una lotta a cui dovrà prepararsi, di un percorso che anche nella durata assomiglia e richiama l’esodo dei 40 anni di Israele nel deserto. Ma nelle poche parole usate dal più sintetico dei 4 evangelisti in questo brano c’è anche il preludio della vittoria. Gesù vive insieme a bestie feroci, gli angeli si mettono al suo servizio. Questo è il preludio, profetizzato anche da Isaia 11,6ss (Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà […] Il leone si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso) , il preludio di una umanità finalmente riconciliata anche con il cosmo. Che l’inizio della Quaresima sia anche per noi un momento di serena presa di coscienza dei veri nemici da abbattere, delle cose che più ci separano dal fare la volontà di Dio Padre.