giovedì 31 dicembre 2015

Commento al Vangelo della II Domenica dopo Natale; 3 gennaio 2016



Intessuti  della Sapienza di Dio


TESTO  ( Gv 1,1-18 )

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.


COMMENTO

Appena all’inizio del nuovo anno non giova troppo perdersi in ragionamenti troppo difficili ma la sobrietà e la profondità di questo Vangelo ci possono aiutare a meglio contemplare l’universale sapienza da cui siamo circondati , quella sapienza divina, il Verbo, la Parola di Dio, che ha assunto un volto e un corpo umano nella persona di Gesù di Nazaret. 

Questo ci dice che la saggezza del Signore, i suoi pensieri, i suoi modi di agire, per quanto infinitamente più alti di quelli degli uomini , non sono mai in contrasto con quella intelligenza che Dio ha  posto nel mondo e nella razionalità umana. Quanto sarebbe bello tornare a dare più grande fiducia all’intelligenza umana, ormai confinata solo ad essere una intelligenza calcolante e che elabora leggi scientifiche; una intelligenza invece che è stata creata capace di intuire anche le cose di Dio, dal momento che quel verbo, quella ragione divina ha preso  una forma umana e abita la nostra umanità. La sapienza di Dio non potrà mai chiedere all’uomo cose contrarie alla ragione umana, come ad esempio uccidere o far violenza in nome di Dio, perché di questa sapienza è impastato il mondo e la nostra natura umana, e ultimamente questa sapienza  si è collocata in mezzo noi per ispirare le nostre azioni e i nostri pensieri, ormai smarriti e avvelenati nelle logiche dell’auto possesso e dell’auto salvezza.

Dio ha in se un altro lievito, un altro criterio ispirativo, un’altra “ragione”: quella del dono, dell’offerta, del ritrovare se stessi facendosi prossimo, del Padre che si dona nel Figlio per ritrovarsi in una eterna comunione di amore . L’incarnazione di questa ragione d’essere in Gesù di Nazareth è una luce che ri-orienta l’umanità verso il suo fine, che le ridà la pienezza smarrita col peccato. 

giovedì 24 dicembre 2015

Commento al Vangelo della Domenica della Santa Famiglia; 27 dicembre 2015



Nel nome del Figlio Gesù


TESTO   ( Lc 2,41-52 )

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.


COMMENNTO

C’è anzitutto un bellissima inclusione da un capo all’altro del Vangelo di Luca. Da un capo all’altro dell’esperienza umana di Gesù sulle sue labbra c’è la parola “Padre”. La prima frase  pronunciata da Gesù nella sua vita è proprio questa, quando aveva dodici anni: “ Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del padre mio? ” In fondo al vangelo l’ultima parola di Gesù in croce appena prima di morire è “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” ( Lc 23,46 ). Questo ci dice che nel Vangelo di Luca sembra che tutta la missione di salvezza di Gesù abbia questo quadro di contesto: vivere pienamente la sua relazione con il Padre e riportare l’umanità nella paternità di Dio, fare si che l’uomo in Lui possa recuperare la piena figliolanza divina perduta col peccato, tramite proprio il suo sacrificio di obbedienza al Padre. Dal suo corpo risorto Gesù ci donerà il sui spirito ( lo Spirito Santo ) che ci permetterà di dire “Abba Padre” ( cfr Rm 8,15 ) con uno spirito di figli adottivi.

Certamente però il nostro essere figli è sostanzialmente diverso dal suo. Gesù è Figlio per natura, noi per Grazia sua. Gesù infatti dice: devo occuparmi delle cose del padre “mio” , e non “nostro”. Quando insegna il Padre nostro Gesù dice ; “Quando pregate dite Padre nostro”…. Non dice quando preghiamo diciamo “Padre nostro”. Sono sfumature ma ci fanno capire che la relazione di Gesù col Padre è di una figliolanza ad un livello diverso dal nostro, che lui però ci condivide gratuitamente.
“ Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. ( Mt 11,27 ). Quindi noi conosciamo e godiamo gli immensi tesori della misericordia di Dio Padre perché Gesù ce li ha messi a disposizione effondendoli dal suo cuore trafitto. Gesù è come un figlio erede unico che condivide la sua enorme eredità con altri amici; questi godono a tutti gli effetti della stessa ricchezza del figlio-erede-unico ma tuttavia restano beneficiari per grazia ricevuta; in sé e per sé non la meriterebbero. La chiave della loro ricchezza sarà sempre e solo l’amicizia con questo figlio-erede-unico … Gesù Cristo.

 Gesù interroga e ascolta i dottori della legge nel tempio di Gerusalemme. Gesù suscita stupore per la sua intelligenza. Gesù cresce in età sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini. In Gesù c’è anche tutta l’umanità che, ricucendo la relazione col Padre, si mette in cerca della sapienza, dell’intelligenza, della comprensione delle cose di Dio e degli uomini. E’ lo spirito di Gesù che ci permette di ascoltare correttamente la parola di Dio. 
E’ lo spirito di Gesù che ci permette di penetrare la realtà, di cogliere con intelligenza  e profondità il senso vero di tutto quello che ci circonda e che ci accade. E’ lo spirito di Gesù che ci rende umili di fronte agli uomini, cioè sottomessi ai fratelli , nel senso di saper rispettare le autorità costituite, ma anche di saper cogliere il Bello il Vero e il Bene in ogni fratello che mi sfiora, perché questo è icona e presenza dell’uomo Gesù … è mio fratello. Gesù è venuto a rimetterci dentro la relazione col Padre, ma può far questo perché ci ha lasciato il suo stesso spirito, lo Spirito Santo, che è spirito di intelligenza, di umiltà, di sapienza, di scienza …

A noi però è chiesto di fare lo stesso itinerario di Maria e Giuseppe: metterci alla ricerca di Gesù. Questa relazione trinitaria, cioè poter dire a Dio: “papà mio, paparino mio … “  nella verità di un Spirito di figli, che lo Spirito del figlio unigenito Gesù (che “trapianta” nella nostra anima il suo Spirito di Figlio ) è possibile se noi ci mettiamo alla ricerca di Gesù. Dopo tre giorni i genitori ritrovano Gesù: è profezia della risurrezione, della nostra umanità che tre giorni dopo la morte di croce ritrova Gesù vivo. Lo trovano a Gerusalemme, nel tempio, perché a Gerusalemme Gesù sarà visto risorto nella pienezza della sua gloria divina, annunciato da angeli in vesti sfolgoranti ( Lc 24,4 ) segno e presenza della gloria del Paradiso … la vera e definitiva Gerusalemme celeste.

Questo brano di Vangelo in definitiva ci pone davanti gli occhi la santa famiglia di Nazareth; questa apre lo sguardo sulla santa famiglia trinitaria di cui è immagine e icona. In ogni famiglia umana ci deve essere la ricerca di Gesù; in ogni famiglia umana ci deve essere, in forza dello Spirito Santo, l’ascolto e la ricerca della Verità. In ogni famiglia umana si deve imparare, attraverso i genitori e in umile sottomissione a loro, a dire con gioia “Padre nostro che sei … nei cieli “ come disse San Francesco ridando le vesti al Padre.

mercoledì 23 dicembre 2015

Commento al Vangelo della notte di Natale 2015



Il Divinamente Piccolo 


TESTO ( Lc 2,1-14 ) 

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 

Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».


COMMENTO

Lo sfondo storico è quello di un censimento voluto da Cesare Augusto. La più grande dimostrazione di potere del dominio imperiale di Roma ( il censimento serviva per reclutare soldati e organizzare tributi ) si incrocia con la più grande dimostrazione dell’umiltà di Dio: Dio stesso è umiltà e il suo verbo, il Figlio, Cristo Gesù “ … pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini … ( cfr Fil 2,6-11 ). 
Ecco un primo messaggio: abbiamo l’impressione di essere impotenti di fronte al potere dei colossi della finanza, alle trame di ideologie false, ma sappiamo che anche oggi, proprio qui, si rivelerà la semplicità e la piccolezza con cui Dio sa entrare nella storia. Non dobbiamo temere la prepotenza  e l’arroganza dei forti perché il regno di Dio è come un granello di senape, dice Gesù: è piccolissimo ma cresce in modo sorprendente.

 La nascita del Messia sembra essere in balia delle decisioni politiche di un imperatore, sembra essere condizionata dalla storia dell’uomo e dalle sue decisioni più soggettive e discutibili. In realtà è sempre la storia di Dio che avanza, si incarna e prende in mano le redini della storia del mondo, perché a Betlemme di fatto il Messia atteso da Israele doveva nascere 4 Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, [Erode] s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: ( Mt 2,4-6)
Secondo messaggio: la salvezza di Cristo approda nel tuo cuore nonostante qualsiasi situazione avversa e apparentemente non favorevole. In ogni “oggi” della nostra vita il Signore ci può rivolgere una parola di salvezza, e noi a nostra volta possiamo essere strumento dell’incontro di un fratello con la salvezza di Cristo. Quante volte il Signore ci rivolge richiami per la nostra salvezza che noi lasciamo cadere senza attenzione! 

Nelle fonti francescane si dice che San Francesco “Meditava continuamente le sue parole [di Gesù] e con acutissima attenzione non ne perdeva mai di vista le opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente voleva pensare ad altro. (FF 466). 
L’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione sono come i due pilastri dell’esperienza del Cristo. Certamente è la croce che ci salva. Nella vita di Gesù di Nazareth è il mistero pasquale che ci salva (la sua passione morte e risurrezione) e al centro di questo la sua morte in croce come sacrificio di espiazione. Tuttavia la “carità della passione” è preparata “dall’umiltà dell’incarnazione”. Dio prende un corpo umano per donarlo in sacrificio per noi. Il suo abbassamento nella grotta di Betlemme prepara l’innalzamento della croce. 
Terzo messaggio; Anche per noi si pone lo stesso itinerario: senza la pratica dell’umiltà del cuore, senza la capacità di abbassarci alle cose semplici e piccole di ogni giorno, non vivremo mai la carità di Dio. Non sono stati forse i pastori i primi a muoversi verso Betlemme? Non come Erode che ha mandato altri ad informarsi. Se il cuore non è umile e penitente come potrà riempirsi e scaldarsi d’amor di Dio?

La mangiatoia su cui è adagiato Gesù annuncia che lui si farà cibo per la nostra vita. L’umiliazione di Gesù non terminerà sulla croce ma prosegue ogni volta che l’Eucaristia viene consacrata sull’altare, da mani sicuramente indegne. Il Signore Gesù continua il suo percorso di incarnazione ogni giorno, perché ogni giorno si rende cibo per nutrire la pochezza della nostra fede.
Quarto messaggio. La nascita di Betlemme è un evento irreversibile. Cristo è sempre presente nella sua Chiesa che è il suo corpo, da lui inseparabile e agisce tramite il suo corpo; e in modo particolare ogni giorno lui soffre in chi soffre, piange in chi piange.
La sua presenza che in noi si rinnova di giorno in giorno ci aiuti a crescere nel prenderci cura della altre membra più malate e sofferenti. Più ci addentriamo in questo corpo mistico (cioè spirituale) , che è un vero corpo, più non potremo fare a meno di scorgere le necessità delle membra doloranti.  

giovedì 17 dicembre 2015

Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento anno C; 20 dicembre 2015



Beati perché benedetti


TESTO ( Lc 1, 39 – 45 )

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».


COMMENTO

La fretta con cui Maria raggiunge Elisabetta ( forse Ain Karim, ad appena 6 km da Gerusalemme ) non è la nostra ansia, ma la sollecitudine di una missione di gioia da compiere. Come l’angelo Gabriele invita Maria a rallegrarsi (Lc 1,26) così ora lei porta il saluto ad Elisabetta e fa sussultare il bimbo nel suo grembo. La gioia è diffusiva e non sopporta lentezze, la gioia si comunica dalle viscere, dal grembo di Maria a quello di Elisabetta. 

Dice Papa Francesco nella Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono libera¬ti dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG 1)

Le parole di Elisabetta saranno fissate per sempre nella seconda frase della prima parte dell’Ave Maria: “Benedetto tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno”. Benedetta perché? Perché su di lei è scesa la scelta gratuita del Signore. Ma Maria è beata, cioè felice, perché ha creduto “nell’adempimento delle parole del Signore”. La chiamata di Dio cerca sempre una risposta, la benevolenza divina attende sempre l’accoglienza della fede. Maria è beata perché ha creduto che Dio salva proprio facendosi carne nel suo figlio Gesù. Noi siamo beati, cioè felici se almeno accettiamo come possibilità la presenza di Dio nel mondo attraverso la venuta di Gesù nel mondo. 

Nell’esclamazione di Elisabetta “ a che debbo che la madre del Signore venga a me” c’è tutto lo stupore per il dono immeritato. Come dire: A che debbo tutto questo? “non so cosa ho fatto per meritarmi tutto questo”. La salvezza di Cristo è gratis. Dio ci salva gratis in Cristo Gesù (cfr CCC 2008) e il nostro merito è accogliere la sua chiamata alla salvezza. Dio ci salva gratis ma, attenzione, non per forza!

giovedì 10 dicembre 2015

Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento; 13 dicembre 2015




La Buona Notizia che comincia da me



TESTO  ( Lc 3, 10-18 )

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo:
 «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi
non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero:
«Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete
nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo
fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a
nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si
domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a
tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte
di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la
sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la
paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

COMMENTO

Giovanni Battista è un profeta perché ha accolto con animo limpido e onesto la Parola di Dio che è scesa su di lui e per questo è in grado di riconoscere i segni dei tempi; ricordiamo invece l’ammonimento severo che Gesù farà alle folle che vivono nell’ipocrisia. 
“56 Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?
57 E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? ( Lc 12, 56 - 57)

Giovanni percepisce imminente l’arrivo di colui che porterà la giustizia finale e allora chiede a tutti di raccordarsi già da subito ad essa, di eliminare tutto quello che impedirebbe di gioire, di godere, di beneficiare di questa nuova realtà. Allora chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha neppure una. Chi ha da mangiare in abbondanza si faccia carico di chi ha fame. Il pubblico funzionario e il militare si accontentino della loro paga e non estorcano il di più. Giovanni non esige di lasciare quelle professioni che spesso inducevano alla disonestà e al crimine, ma chiede di trovare in esse una via di giustizia. 

Questo ci deve far capire, primo, che in qualsiasi situazione della vita si può vivere il Vangelo; non ci sono dei contesti sociali e di lavoro che a priori mi impediranno di vivere il Vangelo. Non dobbiamo dire che siccome faccio un certo lavoro allora non posso essere cristiano. 

Secondariamente dobbiamo capire che la preparazione delle vie del Signore, il riempire i burroni e lo spianare i colli e i monti delle ingiustizie deve iniziare da me, dalla mia vita; quanto è facile scagliarsi contro gli scandali degli altri, contro le incoerenze di alcuni uomini di chiesa, senza però preoccuparsi minimamente della sobrietà della propria vita, della capacità di condividere il proprio di più di risorse materiali e di tempo con chi non ne ha. San Francesco ha chiesto anzitutto per sé la povertà di Cristo prima di proporla al mondo! La prima denuncia è l’annuncio della vita. 

Un desiderio sincerità di verità allora spianerà la via alla venuta di Cristo,  il vero e unico sposo dell’umanità che ci permette fin dal giorno del Battesimo di gridare in verità “Abbà Padre!”. Cristo ci dona lo Spirito, quel fuoco vivo che purifica i nostri cuori

La fede cristiana è anzitutto esperienza di un Amore divino che irrompe nella vita e al cui calore tutto diviene vile e inconsistente; è esperienza di Cristo, un incontro possibile in ogni istante della nostra vita. Senza questo stupore la fede rischia il moralismo e ricerca di una salvezza “fai-da-te”.

giovedì 3 dicembre 2015

Commento al Vangelo della II Domenica di Avvento anno C; 6 dicembre 2015





Gli eventi che incalzano



TESTO  ( Lc 3,1-6 )

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. 
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».



COMMENTO

L’evangelista Luca non risparmia particolari storici, consapevole com’è di non raccontare fatti mitologici , aneddoti o favole a scopo didattico: si tratta di fatti accaduti, storia vera, di un qualcosa che accade in un luogo preciso, in un tempo preciso e in un contesto politico, fra l’altro piuttosto turbolento, tanto che in Giudea uno dei quattro tetrarchi era stato sostituito da Ponzio Pilato, inviato dall’Italia dal potere imperiale romano. ( Come se adesso un’amministrazione locale venisse commissariata per motivi di ordine pubblico ).

“ La parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto “.
Nessuna epoca è stata o sarà mai priva della parola di Dio. In quel tempo la parola di Dio viene su Giovanni nel deserto. Certamente la Parola di Dio era scesa prima tante altre volte su altri uomini, ma aveva trovato la porta chiusa. Giovanni risponde, forse perché lui vive nel deserto, lontano dai richiami e dal frastuono dei grandi giochi politici, degli affari economici, delle elites religiose. Lui è uomo da deserto dove i richiami del cuore non subiscono interferenze o interruzioni di linea. 

Come tutti gli uomini che sanno fare silenzio ha un pre-sentimento: lui sente prima, intuisce che i tempi sono maturi per la venuta del Messia, il salvatore che Israele attende sempre più impazientemente ormai da secoli. E siccome nel deserto la voce di Dio si sente forte e chiara, altrettanto forte e chiaro è l’annuncio: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Questo annuncio dal deserto della Giudea ha percorso milioni di Km di strade e millenni di storia e ora raggiunge anche noi. Lo ripetiamo “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.

Gesù di Nazareth che di lì a poco entrerà in scena in Giudea verrà a certificare con i suoi gesti e le sue parole e alla fine con la sua morte e risurrezione che proprio lui è il Salvatore atteso, per spianare le asperità della nostra vita, riscaldare la freddezza delle nostre relazioni, per colmare le lacune delle nostre vite, e perdonare ogni nostro ritardo agli appuntamenti della sua misericordia.  

venerdì 27 novembre 2015

Commento al Vangelo della I Domenica di Avvento; 29 novembre 2015



ALLA FINE 
OGNI COSA A SUO POSTO


TESTO ( Lc 21,25-28.34-36 )

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».


COMMENTO

Il linguaggio usato a Gesù è tipico di quegli ambienti spirituali del suo tempo in cui ormai non si attendeva più un Messia-Re restauratore dell’antico regno giudaico, ma piuttosto un Messia giudice degli ultimi tempi, simile a Figlio d’uomo, secondo la profezia di Daniele ( “ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno simile ad un figlio di uomo …” Dan 7,13 ).

 Non vale la pena tentare accostamenti e riferimenti storici ai singoli segni annunciati da Gesù.
Il senso del messaggio è tuttavia chiaro e degno di fede, come ogni parola del Signore: questo mondo è destinato ad essere sconvolto e ricomposto in un nuovo ordine, stavolta definitivo, eterno e perfettamente corrispondente alla giustizia divina che nel frattempo è stata violata dalle scelte degli uomini. Immaginate una stanza dove il disordine è arrivato ad un livello tale che l’unica cosa possibile sembra proprio svuotarla completamente e pian piano rimettere ogni cosa al proprio posto dopo averla  pulita. 

A voler vedere in effetti, in ogni epoca della storia ci sono stati segni molto impressionanti che sebbene non sono stati seguiti dalla fine del mondo dicono che questo mondo è fragile, passeggero, temporaneo. 
Dobbiamo rammentare l’immagine della casa costruita sulla roccia. Chi ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica ha costruito la sua vita su stabili fondamenta, e anche se ci saranno sconvolgimenti, la sua casa non crollerà: il travaglio del passaggio da questo mondo al nuovo non sarà distruttivo ma anzi metterà ancora più in luce il peso e la consistenza di una vita solida, impostata sulla verità della Parola del Signore. Non così per coloro che non avranno edificato la propria esistenza sul messaggio di amore e misericordia portato da Gesù di Nazareth.

Nell’attesa la nostra vita dovrà essere, ci dice il Vangelo, sobria e semplice, cioè non appesantita da preoccupazioni inutili, o addormentata da false e temporanee consolazioni.
Santa Chiara d’Assisi, in una sua lettera alla Beata Agnese di Praga, scrive che “l’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con uno ignudo, perché è più presto gettato a terra chi offre una presa all’avversario”.
È una bella immagine della sobrietà. 

Nell’attesa del ritorno del Signore la nostra vita è una lotta tra il bene e il male dove essere nudi significa spogliarsi di tutto quello che non serve ed è superfluo, per non offrire alcuna pretesto al nemico.

Affrontiamo il cammino dell’Avvento e del nuovo anno liturgico custodendo nel cuore questa prospettiva di eternità, per avere il cuore più leggero e rimettere ogni problema nella giusta prospettiva. 

mercoledì 18 novembre 2015

Stupende parole tratte da un discorso di Papa Francesco al Sinodo della Famiglia


...
"Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticate che la tua vita è la più grande azienda al mondo.
Solo tu puoi impedirle che vada in declino.
In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano.

Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.

Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.

Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza.
Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti.
Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell'anonimato.

Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide,  incomprensioni e periodi di crisi.
Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.

Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia.

È attraversare deserti  fuori di sé, ma essere in grado di trovare un'oasi nei recessi della nostra anima.

È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita.

Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti.

È saper parlare di sé.

È aver coraggio per ascoltare un "No".

È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta.

È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.

Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.

È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.

È avere il coraggio di dire: “Perdonami”.

È  avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”.

È avere la capacità di dire: “Ti amo”.

Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice ...

Che nelle tue primavere sii amante della gioia.

Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.

E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.
Poiché così  sarai più appassionato per la vita.

E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta.
Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza.
Utilizzare le perdite per affinare la pazienza.
Utilizzare gli errori per scolpire la serenità.
Utilizzare il dolore per lapidare il piacere.
Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell'intelligenza.

Non mollare mai ....
Non rinunciare mai alle persone che ami.
Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!"

Commento al Vangelo della Solennità di Cristo re; 22 novembre 2015




Re … sponsabili


TESTO ( Gv 18,33b-37 ) 

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 

Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 

Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».


COMMENTO

Gesù vorrebbe che Pilato si ponesse nella stessa ottica di Pietro, nella presa di coscienza di cosa gli altri dicono di lui, ma poi finalmente anche nella decisione di quale opinione personale assumere nell'enigma di quest’uomo venuto dalla Galilea. 

Pietro fu onesto: “Tu sei il Cristo” anche se poi la paura non resse l’urto della passione e dell’apparente sconfitta. Pilato invece evita, “non sono un Giudeo”, non si sente interpellato a dare risposte, ad assumere una posizione. Giustamente spesso si usa l’aggettivo “pilatesco” in riferimento a scelte che non sono scelte, a decisioni che evitano assunzioni di responsabilità. Pilato opera una scelta, certo, ma in lui c’è tutta quella umanità complice che non si occupa , né si preoccupa della verità e di ciò che è bene, e di fatto collabora al dilagare del male. 

Difficilmente i cultori del potere terreno, del potere di quaggiù si pongono il problema della verità, perché per mantenere il potere si deve esercitare il compromesso, il non schierarsi mai nettamente da una delle parti. Chi vuole affermarsi sugli altri ha bisogno di mistificare la realtà, di riportarla sempre a modo suo, di sacrificare le persone sull’altare del consenso popolare, per appoggiarsi sulle mutevoli correnti delle maggioranze.

Gesù invece che viene dalla verità entra con potenza nella sua gloria e afferma la sua regalità subendo l’umiliazione da parte del popolo e dei sommi sacerdoti perché nel suo regno il primo posto appartiene a chi pur di annunziare il vero bene che è l’amore di Dio accetta l’incredulità, la derisione e la violenza. Lui non finge, non si nasconde, Lui regna perché accettando la violazione degli uomini, sa che la verità dell’amore che è venuto ad annunciare è più forte della morte dell’odio menzognero. 

Il popolo di Dio certamente è un popolo strutturato gerarchicamente ma la punta della piramide è sotto a tutti perché deve portare il peso di tutti. Sembrano parole teoriche e di circostanza ma non lo sono state per il nostro re, Gesù il Cristo, che per guidarci nella verità dell’amore di Dio, sfonda con la croce le tenebre della morte e dell’odio a beneficio di tutti noi. Non lo sono per i tanti pastori che nella chiesa lungo questi 20 secoli hanno dato la vita pur di mantenere integro il patrimonio della fede trasmesso dagli apostoli, spesso fino al prezzo del proprio sangue.

Quanto numerosi invece i tanti re o reucci di questo mondo che cercano di mettersi la corona di re sulla testa, cercano posizioni di prestigio, ma senza la volontà di assumere le connesse responsabilità legate all’autorità!  

giovedì 12 novembre 2015

Commento al Vangelo della XXXIII Dom TO, anno B; 15 nov 2015



LA FINE DEL MONDO … FINALMENTE!


TESTO  (Mc 13,24-32)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. 
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».


COMMENTO

Gesù prende le future disastrose vicende della città di Gerusalemme come segno dell’imminente giudizio da parte del figlio dell’uomo, che è lui stesso. Gesù sovente usa questa espressione per indicare la sua persona, proprio per affermare , da una parte che lui è un figlio di uomo, un uomo in tutto e per tutto come noi, ma per affermare  dall’altra che lui corrisponde alla profezia dell’AT  in cui si dice che il giudizio della storia sarà affidato “a uno simile ad un figlio d’uomo” ( Dn 7,13 ).

Quindi gli sconvolgimenti politici e sociali che Gesù preannuncia imminenti ( e infatti nel 70 d.C. Gerusalemme fu saccheggiata e il tempio distrutto ) sono solo l’inizio della fine di un mondo, questo in cui viviamo, segnato dal dolore , dalla precarietà e dalla sofferenza e che apre a quello nuovo, definitivo, non a caso denominato nel libro dell’Apocalisse con il nome di Gerusalemme celeste, in cui Dio 
“ … tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate». ( Ap 21 )

La generazione di Gesù non finirà prima che avvenga la sua morte in croce, prima che avvenga la distruzione di Gerusalemme, prima che si realizzino tutti quegli eventi, quali essi siano, storici, politici o metereologici, che dovrebbero far capire ai suoi uditori e a noi che leggiamo, che questo mondo non ha certezze, che non c’è nulla nel contesto in cui viviamo che possa dirsi veramente stabile, duraturo, permanente, tranne appunto la parola del Signore.

 Anche noi, al verificarsi di eventi disastrosi o di sciagure naturali, usiamo lo stesso linguaggio forte e iperbolico di Gesù e diciamo che è “proprio la fine del mondo”, oppure che “ci si è fatto il mondo nero”, o che si è spenta la stella di quel dato personaggio molto celebre. 

Anche noi facciamo l’esperienza del mondo che passa, di un mondo fragile, di una creazione in stato di via, la cui perfezione non è ancora compiuta, che geme nelle doglie del parto, direbbe San Paolo; facciamo l’esperienza di un’umanità che da sola non dà e non può dare certezze e riferimenti sicuri. 

Oggi generazione, anche la nostra, deve saper riconoscere che l’unica certezza è la parola di Gesù, il salvatore che ha già inaugurato e che verrà a completare la sua opera di misericordia, “a giudicare i vivi e i morti”,  per donare a chi gli ha creduto la sua stessa eredità della vita eterna.

venerdì 6 novembre 2015

Commento al Vangelo della XXXII Dom TO anno B; 8 novembre 2015




SERVIRE È AMARE SENZA MEZZE MISURE



TESTO ( Mc 12,38-44 )

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».



COMMENTO

A grandi poteri devono corrispondere grandi responsabilità. Chi erano questi scribi così duramente apostrofati da Gesù? Essi erano gli interpreti ufficiali della legge di Mosè, i conoscitori più accreditati delle sacre scritture, e i continuatori ideali della missione dei profeti dell’AT assenti dalla vita di Israele da circa tre secoli. 
A causa delle loro conoscenze e del loro prestigio erano molto onorati come ci fa capire Gesù ma spesso anche molto, troppo, attaccati al loro status, alla loro fama, fino al punto di perdere la dimensione del servizio; ecco che in luogo di vivere la loro missione per il bene spirituale e morale dei loro fratelli ebrei , l’attaccamento al ruolo li portava, ulteriore perversione, allo sfruttamento delle persone loro affidate per l’arricchimento personale. 

Tutto questo sembra essere ancora oggi, e in ogni campo, il triste epilogo di chi non concepisce la propria posizione come servizio all’altro ma come occasione di potere e guadagno personale. 
Non potrebbe essere diversamente, essendo il cuore dell’uomo orientato inevitabilmente o all’amore egoistico di sé stesso o all’amore di Dio e quindi del prossimo. 

Totale è anche il gesto della povera vedova che non sceglie di dimezzare la misura della propria generosità ma si affida totalmente a Dio e dona tutte e due le monetine.  Potrebbe essere una generosità eccessiva, ma Gesù non dice se ha fatto bene o ha fatto male; riconosce piuttosto il fatto che ha dato tutto quello che aveva, loda il suo cuore totalmente orientato a Dio, a dispetto dell’irrisorietà della cifra. 

Quanto spesso invece quello che noi diamo agli altri o anche nel nostro rapporto di fede al Signore, come tempo, risorse, affetto è semplicemente un avanzo, uno scarto, un qualcosa che tocca solo marginalmente il nostro cuore! Il Signore non si lascerà battere in generosità da chi come la vedova saprà percorrere la via della totalità e anzi la stessa l’esperienza di  fede ha senso solo se essa coinvolge tutta la vita, tutti gli ambiti della nostra esistenza, e tutte le corde della nostra affettività.

lunedì 2 novembre 2015

Bellissima testimonianza di un medico sul senso della morte

...
Qualche settimana fa appena entrata di turno per la guardia della notte vado a visitare un paziente che sapevo essere terminale, qualche parola, un po’ di conforto e un antidolorifico. Dopo pochi minuti gli infermieri mi chiamano perché il paziente sta morendo, i familiari si allontanano dal letto angosciati e spaventati, noi ci affaccendiamo nel nostro meccanico via vai di cateteri, tubi e ossigeno, ma lui stava veramente esalando gli ultimi respiri ormai incosciente.

Allora ho tolto tutto, flebo, ossigeno e l’ho solo semplicemente accarezzato fino all’ultimo.
Ho capito che il Signore mi ha permesso di rimanere vicino a quell’uomo in un momento unico della sua vita.
Ho capito che mi ha dato il privilegio di accarezzare con le mie mani Gesù morente sulla croce.

Ho capito che i familiari sono fuggiti proprio come gli amici di Gesù perché non è facile stare ai piedi della Croce.
Ho capito il turbamento che provò Gesù quando vide Lazzaro morto, perché dopo tanti anni la morte ha qualcosa che davvero ancora mi turba…Ho capito che il nostro corpo, senza vita, non è altro che un insieme di carne, ossa, secrezioni e piaghe e non avrebbe senso senza lo Spirito Santo.

Ho capito che per quanto possa avere studiato, essere un bravo medico, avere il potere di lenire il dolore fisico delle persone in quel momento Gesù mi diceva ” vedi che senza di me non puoi nulla, io sono il Signore della vita e della morte, il tuo compito finisce qui, devi stargli solo vicino, adesso a lui penso io”.
… è che quando mi libero un po’ della mia piccolezza umana capisco chiaramente quello che Lui vuole dirmi e finora non ho mai frainteso.

Come diceva Chiara Corbella Petrillo :”Dio mette la verità dentro di noi, non è possibile fraintendere”, adesso capisco perché. 

lettera firmata

giovedì 29 ottobre 2015

Commento al Vangelo della Festa di Tutti i Santi; 1 novembr 2015




FELICI COME I SANTI


TESTO  ( Mt 5,1-12 )

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».


COMMENTO

Potremmo partire da queste ultime parole di Gesù: per causa mia! Le parole appena ascoltate sono la sintesi del messaggio , della buona notizia del Messia Gesù, il compimento, non l’annullamento si badi bene, della legge antica; il programma di vita e della missione di Colui che per primo le proclama. La chiave di comprensione è esattamente la sua persona e quel “per causa mia” significa che i nove atteggiamenti elencati e ritenuti fonte di gioia lo sono se vissuti nella relazione viva con Lui: Cristo Gesù risorto e vivo.

D’altra parte la povertà da sola non salva, né le lacrime da sole danno gioia. Perché mai uno che piange dovrebbe essere felice al di fuori di una motivazione ben precisa e solida? Tantomeno la mitezza e l’essere vittima di ingiustizia sono da sole fattori di auto redenzione e di gaudio. E perché mai ancora il fatto di essere insultati dovrebbe essere fonte di beatitudine, cioè di felicità? Ci sono tanti motivi che possono spingere una persona a non vendicarsi, a non reagire contro una persona violenta, a dare il proprio perdono. 
Il punto è che questi atteggiamenti , interpretati nel miglior modo possibile dall’uomo storico Gesù di Nazareth, sono motivo di felicità vera, duratura e profonda, cioè eterna, se vissuti nell’accoglienza della sua presenza di uomo-Dio crocifisso e risorto.

Egli non è venuto a proclamare la bellezza della povertà, dell’ingiustizia, del dolore; Egli è venuto piuttosto a condividere le sorti degli uomini diseredati e abbandonati perché questi nella sua parola e nella comunione con Lui possano trovare la vera ricchezza che non passa. Egli è venuto a piangere con chi è nel dolore, perché chi piange possa, in Lui, dare un senso alle proprie lacrime. Egli è venuto a farsi compagno di cammino di tutti i poveri in spirito, consapevoli di non poter bastare a sé stessi, perché in Lui trovino salvezza; e più ancora Gesù è venuto a rivelare la misericordia di Dio Padre perché in Lui tutti gli offesi trovino la forza e la gioia del perdono e della riconciliazione; perché tutti gli uomini accogliendo il farsi prossimo di Gesù possano condividere anche il suo stesso destino di Gloria dopo la croce, di vita dopo la morte, di esaltazione dopo l’umiliazione.

mercoledì 21 ottobre 2015

Commento al Vangelo della XXX Domenica del TO; 25 ottobre 2015



Vedere  per credere !



TESTO (Mc 10,46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.



COMMENTO

C’è un cambiamento vertiginoso nell’esistenza di Bartimèo. La sua cecità lo paralizzava alla dipendenza da altri, al passaggio di Gesù egli era a terra mendicando lungo una strada che evidentemente non lo conduceva in alcuna direzione. 
Al contrario dopo l’incontro con Gesù tutto cambia e la sua vita si rimette in movimento: Bartimeo torna a vedere, ora può rialzarsi da terra, può autonomamente camminare, e così la sua strada acquista una direzione ben precisa che è quella di seguire Gesù. 

La sua vita cambia a partire dall’esperienza di una persona, Gesù di Nazareth, e in questo incontro il fatto cruciale è il tornare a vedere.
Tutto ovviamente ha un grande significato simbolico: se non diveniamo capaci di vedere la realtà del mondo e della vita nella sua verità, perdiamo tutte le coordinate, diveniamo schiavi o comunque dipendenti dalle masse, dalle mode, da quello che dicono gli altri; soprattutto rimaniamo a terra a mendicare qualche spicciolo di gratificazione che il mondo ci può dare.

L’incontro con Gesù cambia tutto. Non a caso il giorno del Battesimo viene consegnata una candela accesa al cero pasquale simbolo di Cristo risorto e viene detto al bambino tramite i suoi genitori: 
“ Ricevi la luce di Cristo “.
E’ proprio quella luce che ci permetterà di vedere bene, non fermandoci alle apparenze. Solo quella luce ci permetterà di ricevere la dignità di figli di Dio, di stare in piedi di fronte agli uomini, di poter fare un nostro percorso libero alla ricerca della verità e di chi veramente ci può salvare dal male.

Nulla è mai perduto del tutto. Come questo cieco si aggrappa a Gesù proprio mentre stava uscendo ormai da Gerico, anche noi non dobbiamo mai sentirci battuti né abbattuti, perché anche un istante, un’apparente ultima occasione può diventare l’incontro della vita.

Pace e Bene

venerdì 9 ottobre 2015

Commento al Vangelo della XXIX Dom del TO anno B; 18 ottobre 2015




SIATE EGOISTI, … FATEVI SERVI DI TUTTI!



TESTO  (  Mc 10,35-45 )

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 

Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».


COMMENTO

Recentemente la più grande mensa dei poveri della città di Milano gestita dai frati cappuccini, ha lanciato questo simpatico slogan: “siate egoisti, fate del bene!” . In questa frase è racchiusa effettivamente la paradossalità del messaggio evangelico, dello stile di vita che Cristo assume e che propone ai suoi discepoli.  

I due fratelli Giovanni e Giacomo dovevano essere due personaggi molto energici, erano detti non a caso Boanerghes, (figli del tuono) e sembrano sicuri di poter aspirare ai due seggi di onore, alla destra e alla sinistra del loro maestro quando regnerà definitivamente.
Gesù non assicura nulla se non la condivisione del suo calice amaro di passione e morte, perché chi lo vuole seguire dovrà anch’egli battezzarsi cioè immergersi nel suo stesso destino di dono totale di sé.

Il paradosso è proprio qui e Gesù lo sottolinea: se si vuole primeggiare e diventare grandi bisogna scendere in basso, al servizio degli altri, dedicarsi alla costruzione del bene degli altri uomini. Anche il fondatore dello scautismo Baden Powel diceva che il modo migliore per essere felici e far felici gli altri. Se si vuole condividere la gloria di Gesù quindi occorre condividere anche il suo destino di offerta totale, di donazione, di gratuità nel servizio di Dio e degli uomini. Con una notazione precisa, che nelle parole di Gesù servire ha proprio il senso di arrivare anche a dare la propria vita. 

Gesù non solo annuncia il paradosso ma lo vive concretamente nella sua vita. Gesù entra nel mondo, nella storia dell’umanità e di ogni uomo per la “porta di servizio”. In ogni grande residenza o albergo o palazzo di prestigio ci sono almeno due entrate: quella principale che è quella ufficiale dove entrano gli aventi diritto e gli ospiti  e poi c’è la porta di servizio, una porta secondaria, nascosta alla vista pubblica dove entra il personale appunto “di servizio”.

Il grande ed essenziale servizio che il Signore ci rende è quello di pagare il debito del nostro peccato, di assumersi le conseguenze e di riscattare tutto il male del mondo, e per un suo benevolo disegno ha permesso di associare la nostra vita alla sua, non semplicemente di dare un assenso intellettuale ma un assenso esistenziale facendo della nostra vita un’offerta per la gioia e il bene dei fratelli e per testimoniare la fedeltà alla misericordia di Dio. 
Pensiamo in questo momento ai tanti fratelli cristiani perseguitati a causa della fede in Siria e in tutto il medio oriente, a quelle comunità cristiane che dopo due mila anni di storia sono state spazzate via, e di cui nessuno parla. Il loro dolore, il loro lutto si cambierà in gioia, ma nel frattempo tutti noi siamo interpellati alla stessa fedeltà e allo stesso coraggio, e ad una testimonianza di fede un po’ più consistente .

martedì 6 ottobre 2015

Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del TO, anno B; 11 ottobre 2015



Ogni bene, tutto il bene, il sommo bene !



TESTO ( Mc 10,17-30 ) 

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». 

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».



COMMENTO

Questo tale pone il problema della vita eterna sul fare qualcosa di buono. La risposta di Gesù pone una premessa fondante: : «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo!” Prima di porre il problema del fare occorre risolvere il problema di “chi” o “cosa” è buono. Gesù è alquanto categorico: “perché mi chiami buono? Dio solo è buono”. A distanza di un millennio  gli fa eco il patrono della nostra Italia San Francesco d’Assisi che nelle lodi di Dio Altissimo dice “ Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene”.

 Ciò vuol dire che non sarà mai possibile fare realmente qualcosa di buono se non entriamo nella sfera d’azione di Dio. Dirà infatti San Paolo nella lettera ai Filippesi … “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 ). Ma un ateo allora potrà fare del bene? Potrà addirittura entrare nella vita eterna? Tutto questo sarà possibile ma sempre per un intervento misterioso e per la presenza di Dio, a volte ignota allo stesso uomo che compie ciò che è buono agli occhi di Dio, ciò che è scritto nei comandamenti ribaditi da Gesù e che sappiamo soprattutto essere incisi col fuoco dello Spirito Santo nel profondo delle nostre coscienze. 

E anche quando Gesù propone la via alta del discepolato , cioè la forma radicale della sequela che consiste nello spogliarsi di tutto per seguire Gesù povero casto e obbediente, anche qui la forza per fare a meno delle ricchezze del mondo e abbandonarsi totalmente alla radicalità del Vangelo sarà sempre Dio a poterla donare, perché “nulla è impossibile a Dio”. Lui che per i suoi apostoli e per tutti quelli che lo hanno seguito nella via stretta della speciale consacrazione saprà moltiplicare già qui in terra la gioia e le magre gratificazioni dei beni di questo mondo a cui hanno rinunciato.

Nel prossimo anno giubilare intitolato “Misericordiosi come il Padre” sentiremo molto parlare delle opere di misericordia corporale e spirituale, ma non dimentichiamoci che il termine di riferimento è sempre l’amore, la misericordia del Padre. Cosa mai potrà fare l’uomo da solo per entrare nella vita eterna, se non fosse che Dio per primo ci ha amato a dato il suo figlio per noi? Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. (1 Gv 4,19)