giovedì 25 aprile 2024

La vita vera dell’amicizia di Gesù

 

 Commento al vangelo della V domenica di Pasqua, anno B – 28 aprile 2024



+ Dal Vangelo secondo Giovanni (15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

Commento

Ripartiamo da una parola di Gesù che citavo domenica scorsa, e cioè quando in quella bellissima catechesi sul pane di vita alla sinagoga di Cafarnao Gesù dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. (Gv 6,56) Allusione all’Eucaristia, ovviamente.
Di questa affermazione così forte oggi ci viene data un’esemplificazione tratta dal mondo agricolo: il rapporto tra la vite e i tralci, dove Dio Padre ha il ruolo di vignaiolo. Gesù dice che ci sono dei tralci che in lui non portano frutto, e che per questo vengono tagliati e gettati. Può sembrare una contraddizione ma il punto è che ogni tralcio, contrariamente a quanto avviene nella vite non vera – quella che cresce per terra – può decidere se rimanere o no unito a Cristo Signore. Ricordiamo quanto detto da Gesù all’inizio di questo discorso. “Io sono la vite vera…”.
Ci può venire in aiuto quanto afferma Nicola Cabasilas, autore spirituale orientale del XIV secolo, il quale dice che con l’incarnazione Dio si è unito al genere umano, ma è con i divini misteri – i sacramenti – che egli si unisce ad ogni uomo; e qui entra in gioco la nostra libertà di rimanere o non rimanere in questa relazione intima d’amore che il Signore ha voluto unilateralmente stabilire con noi.
Ogni uomo può decidere di lasciarsi mondare, purificare, potare dalla parola del maestro e così portare abbondante frutto di gioia, di pace, di compimento di sé, rispetto al nulla prodotto dalle sole forze umane; oppure può decidere di non rimanere in Lui, di non accogliere la parola di vita del Maestro; così facendo si staccherebbe dalla sua corrente di vita e diverrebbe causa della sua morte eterna, o seconda morte come si dice nell’Apocalisse. Ricordiamo quel che Gesù dice ai 12 durante la lavanda dei piedi: “Non tutti siete puri” (Gv 13,11) alludendo a Giuda che ormai aveva chiuso il cuore alla parola di vita del Signore.
Che questo non ci accada mai; ma che sappiamo piuttosto sempre accogliere la parola del Signore che viene a noi anche attraverso eventi imprevedibili, o dolorosi della vita, ma che sempre sono occasioni in cui, e attraverso cui, il Signore si fa compagno del nostro cammino per orientarlo ad una gioia senza fine.

giovedì 18 aprile 2024

Con-vocati e con-corporati in Cristo buon pastore

 

Commento al vangelo della IV domenica di Pasqua, anno B – 21 aprile 2024


Dal vangelo di Giovanni (10,11-18)

 In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Commento

 Gesù è un buon pastore, o meglio il buon pastore, per almeno due motivi.

 1 Non solo non è mercenario, cioè un operaio salariato che si interessa solo di prendere la paga e fare le sue ore di lavoro, al di là della resa del gregge, ma addirittura sacrifica la sua vita per il bene del gregge. E se ci pensiamo questa è una cosa assurda. Normalmente un pastore deve vivere tosando le pecore, mungendo il loro latte, e nutrendosi e vendendo la loro carne. Gesù fa il contrario mette a disposizione la sua vita per il bene del gregge.

2  Ma ancora ben oltre questo Gesù ci parla di una riunificazione di tutte le pecore in un solo gregge e in un solo pastore, con una sorta di immedesimazione delle pecore nella persona stessa del pastore. Capiamo anche da qui che siamo su un piano totalmente altro da quello naturale. Tutti noi, o quasi, abbiamo mangiato carne di agnello nei giorni scorsi, così la carne delle pecore diventa la carne nostra. 

Ma Gesù fa esattamente il contrario, perché ci riunisce in unità, ci fa diventare in lui una cosa sola facendosi lui cibo da mangiare per noi; è un pastore così buono che è piuttosto lui che si farà dono e carne da mangiare e saremo noi sue pecore a nutrirci di lui e diventare, tramite il misterioso segno dell’Eucaristia, un solo corpo in lui, proprio come lui stesso afferma nello stesso vangelo di Giovanni “…chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 5,56).

Come non ricordare a questo punto le parole di San Francesco che nella Lettera a tutto l’Ordine così scrive: “O umiltà sublime, o sublimità umile […] Guardate fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori, umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati” (FF221)

mercoledì 10 aprile 2024

Per la salvezza di tutti gli uomini e di tutto l'uomo

 

Commento al vangelo della III domenica di Pasqua – 14 aprile 2024
 

Dal Vangelo secondo Luca (24,35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».



Commento

 «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme». Abbiamo letto così.
Un versetto così non si trova nell’Antico testamento. Gesù interpreta la scrittura, fa una sintesi, dal suo punto di osservazione, abbastanza autorevole, quello di Dio: un’interpretazione sicuramente autentica.
Come si apriva ad esempio la legge di Mosé? “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile” (Dt 5,6).
Ebbene Gesù è esattamente quel Dio che prima di darci delle indicazioni di cammino – le 10 parole o comandamenti – ci dice quello che egli ha fatto per noi.
Noi sempre andiamo subito al “cosa devo fare per ingraziarmi Dio, per tenermelo buono, per conquistare la sua benevolenza”, quando invece Gesù – il figlio di Dio -  si presenta dicendo: “Pace a voi!” e poi spiega tutto ciò che lo riguarda, cioè come Dio ha compiuto, in lui e tramite lui, le promesse fatte ad Abramo e ai padri di Israele. Lui è l’eletto, il messia, il prescelto, il Cristo; in lui si compiono tutte le promesse del popolo ebreo. Ma – qui nascono i problemi per Gesù – addirittura le oltrepassa di molto. Perché neppure gli ebrei si attendevano un Messia che fosse lui stesso Dio in persona, e tanto meno che dovesse soffrire, morire e addirittura risorgere. Quest’ultima cosa in realtà era nel panorama mentale degli ebrei degli ultimi secoli prima di Cristo, ma era assurda per coloro che provenivano dalla cultura greca, per quali il nostro evangelista Luca sta scrivendo il vangelo. Tanto che indugia nel raccontare in dettaglio le parole di Gesù: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». […] Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Concludiamo con un pensiero alla bellezza della nostra resurrezione della carne, sulla quale forse non ci soffermiamo mai abbastanza. Forse in un certo linguaggio si è sempre sottolineato la necessità di “salvarsi l’anima”, ma il figlio di Dio è venuto in un corpo e un’anima umana per salvare tutti gli uomini e tutto l’uomo, anima e corpo. Gregorio Nazianzeno († 390 ca.) diceva: «Ciò che non è stato assunto non è stato salvato (… ma ciò che è congiunto con Dio, ciò è anche redento» - Epistola 101[12]). Che bello pensare l’eternità in un abbraccio concretissimo e reale con le tante persone che via via, nel tempo, ci hanno lasciato! 


mercoledì 3 aprile 2024

Assetati di vita vera

 

Commento al vangelo della II domenica di Pasqua – 7 aprile 2024

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-31).

 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Commento

 Gesù risorto annuncia ai suoi discepoli la cosa di cui maggiormente oggi l’umanità sente il bisogno: la pace.
Proprio lui che aveva detto di essere venuto piuttosto a portare la divisione e non la pace (cf Mt 10,34 “sono venuto a portare non pace, ma spada”). Ma lui è l’uomo che non ha fatto compromessi con il male: in questo senso, non è venuto portare pace. La sua parola invece è come una spada che segna con chiarezza il bene dal male, ma dall’altra parte si è fatto morte per noi, ha subito in nostro favore tutto il male dell’uomo, portandone misteriosamente tutte le conseguenze sul legno della croce, perdonando i suoi uccisori.
Grazie alla sua infinita capacità di perdono noi possiamo essere nella storia di oggi quello stesso volto segnato dal dolore ma – allo stesso tempo “guarito”, glorioso, risorto  -  che si presentò in mezzo alla sala del cenacolo la sera di quel giorno che d’ora in poi sarà detto “Domenica” (giorno del Signore).
In fondo nel discepolo Tommaso è rappresentata tutta l’umanità che vorrebbe credere nella vita, nella vittoria della vita sulla morte, ma che ha bisogno di vedere un segno tangibile. Proprio questo dovremmo essere noi cristiani: la presenza di Cristo risorto vivo, cioè Chiesa, corpo di Cristo risorto, una comunità di uomini che portano – certo – le piaghe, le conseguenze di una vita di peccato, ma che hanno fatto esperienza della redenzione, della sua guarigione. Ciò che potrà convincere il mondo della vittoria di Cristo sul male, sulla morte, non sarà un gruppo di discepoli quasi perfetti e performanti, ma una fraternità di uomini che hanno fatto esperienza della sua misericordia, che nei segni della propria fragilità lasciano risplendere anche i segni della più sovrabbondante grazia di Cristo risorto. Papa Francesco ha ragione di sentirsi un peccatore misericordiato. Così dovremmo sentirci ognuno di noi, se cristiani. Questo il segno che il mondo chiede ai discepoli di Cristo di tutti i tempi.