sabato 31 dicembre 2011

Commento al Vangelo di Domenica 1 gennaio 2012.

CREDENTI  O  CREDULONI?
(Lc 2,16-21)

TESTO

 Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
 Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.

COMMENTO

Una volta un Vescovo italiano diceva che quando si smette di essere credenti, si diventa creduloni. La distinzione mi sembra molto pertinente e non è fondata sul disprezzo per tutto ciò che non rientra nel “credo” cristiano; piuttosto sulla concretezza e sulla ricchezza di segni che i testimoni di Cristo hanno sperimentato e vissuto. Nel Vangelo di oggi ne abbiamo qualche esempio: Maria precedentemente aveva ricevuto da Dio un messaggio sconvolgente,  invitata a credere che sarebbe diventata la Madre dell’Altissimo, la Madre del Figlio di Dio. La sua fede tuttavia non è cieca, ma pienamente umana cioè ragionevole, perché il Signore che ci ha dato l’intelligenza non può chiederci di oscurarla, ma solo di orientarla alla ricerca della Verità. L’angelo offre un segno per farle comprendere che tutto è possibile a Dio. “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile” Lc 1,36. E Maria crede, ma giustamente parte in viaggio, va’ da Elisabetta, constata la verità delle parole dell’angelo, e continua il suo cammino di fede. E poi la nascita del bambino Gesù, senza essersi unita a Giuseppe .
 Alla grotta di Betlemme, Maria riceve poi un altro annuncio, quello dei pastori che “… dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Ancora una volta Maria usa il suo discernimento per tessere insieme tutti questi avvenimenti e le parole udite, per scendere nella profondità di ciò che sta vivendo.
Anche i pastori ricevono un annuncio e un invito ad andare a verificare e a toccare di persona. Si fidano perché sono uomini semplici, puliti e senza pregiudizi, e anche perché sanno che possono verificare ciò che è stato detto loro: “troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”; i pastori vanno e vedono quello che era stato loro annunciato e “ poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.”
A volte mi stupisco di come la fede cristiana abbia potuto attecchire, tutto sommato, abbastanza profondamente in tanti contesti di povertà e di miseria, come qui Bénin ad esempio. Mi stupisco perché le sette sovente predicano il successo economico, l’emancipazione sociale; le religioni tradizionali garantiscono l’immunità da tutti i mali terreni e celesti; i musulmani propongono cinque precetti di base per la pace eterna. Noi cristiani invece predichiamo la Croce! E ciò nonostante c’è qualcuno disposto ad abbracciarla, forse con motivazioni da purificare, ma con un SI a un Dio crocifisso. Chi glielo fa’ fare? Credo che colui che è puro e onesto non può non accorgersi che la Parola del Signore è luce, che scalda il cuore, che mantiene quello che dice, perché non propone facili successi  ma la concretezza di un Salvatore, uomo come noi, sofferente come noi, e glorioso come lo saremo noi un giorno. Tempo fa’ una signora di qui mi ha detto che prima frequentava una chiesa protestante ma poi si è accorta che le mancava quel pane spezzato sull’altare dei cattolici, quel Pane segno d’Amore perfetto e puro, quel Pane divino, segno e presenza di Dio. Fede o creduloneria? Anche lei un giorno è partita verso una chiesa e tornando, ha  glorificato e lodato Dio per tutto quello che aveva udito e visto, come gli era stato detto.
Maria ci insegna la vera fede: serbare tutte queste cose nel cuore, meditare, fare silenzio, ascoltare la Parola e guardare oltre le apparenze le cose che mi passano attorno.

sabato 24 dicembre 2011

Commento al Vangelo di Natale 2011.


IL PRESEPE DI OUIDAH

TESTO ( Lc 2,1-14 )
  In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».

COMMENTO

Nella nostra cappella di Ouidah fra Antonio e fra Alessandro hanno ambientato il presepe nel villaggio lacustre di Ganvié, un villaggio beninese non lontano da qui e situato in mezzo all’omonima laguna, fatto tutto di palafitte. Mi sembra simbolico: anticamente gli uomini andavano ad abitare nelle palafitte sia per proteggersi dagli animali terrestri e sia perché non trovavano un luogo ospitale nella terra ferma. Giuseppe e Maria non hanno trovato alloggio nella “sala comune” della famiglia di Giuseppe a Betlemme, e allora si sono dovuti accontentare di appoggiarsi “fuori”, in una piccola insenatura del muro esterno usata come stalla. Il Signore del mondo che ha creato tutto e ci ha dato ospitalità nel suo creato, non ha trovato accoglienza presso le sue creature; Lui che aveva il diritto di essere riconosciuto il Padre di tutto e di tutti non è stato accolto dai suoi figli; il Signore Gesù ha così pagato il conto dell’albergo per tutti. Da quando un uomo innocente come Gesù ha accettato di essere messo ai margini della storia, tutti gli emarginati della storia hanno diritto di essere reintegrati e perdonati: Gesù ha pagato il conto per tutti loro.
Si potrebbe fare un presepe un po’ meno poetico ma più provocante dove le statuette abbiano il volto di tutte le persone più indesiderate e scomode che conosciamo, cosicché l’incanto della stalla di Betlemme sia mitigato dalla consapevolezza che forse ci sono tante persone che volentieri manderemmo ad alloggiare in una stalla, tra la puzza degli animali.
Se Gesù non lo accogliamo così, insieme a tutti quelli che abbiamo escluso e mandato ad alloggiare “fuori di casa”, Lui resterà un estraneo, un personaggio della storia, da ammirare certo, ma che non entra nella mia storia, nella mia vita di tutti i giorni . Prima di stupirci di come sia stato possibile lasciare fuori di casa una ragazza incinta con il suo sposo, stupiamoci di come sia stato possibile serbare un qualche rancore per tanto tempo per certe offese ricevute, presunte o veramente tali.  
Per chi ha voglia di ri-nascere ecco la Bella Notizia di questa notte: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore".
La gioia! Viviamo anzitutto noi la gioia di essere stati gli esclusi reintegrati, i peccatori che sono stati accolti nel cuore misericordioso del Signore, le creature che sono state ricreate dal loro Creatore.

sabato 17 dicembre 2011

Commento al Vangelo IV Dom Avvento anno B, 18 dicembre 2011.

LASCIAMOLO PASSARE !

TESTO ( Lc 1,26-38) 
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

COMMENTO


Il Signore non vuole fare con noi più di quello che noi siamo disposti a lasciargli fare. Potrà fare miracoli, prodigi inaspettati ma sempre a condizione che l’uomo riconosca la sua Potenza illimitata e accetti almeno l’idea che nulla a Lui è impossibile. Il Signore sorpassa sempre e va ben al di là dei progetti dell’uomo, ma di un uomo appunto che cammina alla ricerca del Bene e del compimento della volontà di Dio. Nella prima lettura Davide elabora l’idea di costruire una dimora maestosa per il Signore ma il Signore, tramite il profeta Natan, lo “sorpassa” e gli dice: no! Sono io che costruirò per te una dimora e farò di te una grande famiglia (cf 2Sam 7,5-15).
La Vergine Maria, come molte pie israelite, stava camminando verso una dignitosa e benedetta vita coniugale con Giuseppe, al quale era stata già promessa. Ma il Signore anche in questo caso la “sorpassa” e le propone delle Nozze divine. Lo Spirito Santo scenderà su di lei e colui che nascerà sarà il Figlio di Dio.
Facciamo bene quando ci occupiamo del nostro futuro e di quello dei nostri figli, quando elaboriamo progetti per realizzarci come uomini e cristiani, quando nel rispetto di quei comandamenti di Dio insegnatici da bambini, coltiviamo aspettative e sogni. Il Signore in fondo ci chiede anche in questo di preparargli la strada; e tuttavia nelle strade che gli prepariamo dovremmo fare anche la corsia di sorpasso, perché Lui possa sorprenderci come e quando sa fare solo Lui.
Cosa si può annunciare, qui in Bénin, a certi uomini che umanamente parlando non vedono prospettive davanti a loro, e non le vedono perché effettivamente non ne hanno? Si può solo ed unicamente annunciare le imprevedibili meraviglie di Dio. Questo il grande miracolo del Natale, ridestare il senso della Speranza cristiana, l’attesa di qualcosa che supera ogni aspettativa e prospettiva umana.  È questa la grande Speranza che vorrei potesse nascere la notte di Natale nel cuore di Rosa. Rosa è una giovane signora di Cotonou sposata e con due bambini piccoli. Ha fatto una cosa che non doveva fare e adesso è in carcere a Cotonou per scontare una pena di due anni. Le mancano un anno e mezzo, ma suo marito l’ha lasciata, i suoi colleghi di lavoro non vanno più a trovarla e per la sofferenza di vedere i suoi bambini piangere non vorrebbe neppure ricevere la loro visita. Neppure a dirlo, perderà anche il lavoro. Sono andato a trovarla in carcere, ma la sola cosa che le ho potuto dire è che a Dio tutto è possibile, e che non possiamo immaginare il bene che Lui può ricavare dalle situazioni più disastrose. Anche un carcere del terzo mondo può divenire un luogo di speranza.
In vista del prossimo Santo Natale, vorrei suggerire a tutti gli adulti che leggeranno queste righe di ritornare un po’ bambini: riprendete carta e penna e scrivete una lettera a Gesù bambino con tutti i “doni” che vorreste ricevere la mattina del 25, e poi chiudetela e aspettate.
Il Signore vi sorpasserà. Presto o tardi spunterà un giorno, siatene sicuri, in cui vi accorgerete letterina alla mano  che il Signore vi ha sorpassato. Lode e Gloria a Cristo Signore.
“A colui che in tutto ha potere di fare MOLTO PIÚ di quanto possiamo domandare o PENSARE, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.” ( Ef 3, 20-21 ).

sabato 10 dicembre 2011

Commento al Vangelo III Dom Avvento anno B, 11 dicembre 2011.

“CHI SEI TU, E CHI SONO IO?”

TESTO ( Gv 1,6-8. 19-28 )
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
 Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
 E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia».
 Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

COMMENTO
Un giorno San Francesco d’Assisi rivolse al Signore questa preghiera: “O mio Dio, chi sei Tu, e chi sono io?” La risposta alla prima domanda determina la risposta alla seconda. Se non conosciamo il vero volto di Dio, anche noi diventiamo degli sconosciuti a noi stessi e perdiamo il senso della nostra origine e quindi del nostro destino e della nostra missione.
Giovanni Battista aveva una chiarissima consapevolezza del suo essere solo la “voce” di Colui che era la Parola, la coscienza di avere la missione di preparare la strada. Giovanni il battezzatore è un grande perché sa di essere piccolo rispetto a Colui per il quale sta spendendo la sua vita. L’umiltà la conosce e la può spiegare solo chi coglie la grandezza di Dio. L’umiltà è si il risultato di un cammino di ascesi e di mortificazione, a condizione però che a monte vi sia un’esperienza di Dio che tocchi il cuore e che faccia decidere per Lui.
Il Papa Benedetto XVI, quando è venuto qui a Ouidah due settimane or sono, all’occasione dell’incontro per noi religiosi e sacerdoti ci ha detto che la più bella virtù che dobbiamo vivere è la trasparenza, la pulizia; ci ha portato l’esempio del cristallo che nella sua limpidezza lascia vedere e lascia passare la luce. L’umiltà non è silenzio (o comunque non sempre), ma annuncio della verità a partire dal riconoscimento del proprio posto nel mondo, nella società e nella Chiesa.

sabato 3 dicembre 2011

Commento al Vangelo II Dom Avvento anno B, 4 dicembre 2011.

BUCA … CON ACQUA

TESTO ( Mc 1,1-7 )
 Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
 Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada.
 Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri,
 si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».

COMMENTO


Confessore ordinario di un Monastero di clausura, ogni tanto devo fare un piccolo viaggio di qualche km per arrivare nei pressi di un ameno villaggio beninese al termine di una tipica pista di terra rossa. Per percorrere questo tratto di strada sterrata ci si impiega normalmente 20 minuti, ma durante e dopo la stagione delle piogge ci si può impiegare anche il doppio o il triplo: buche e piccoli crepacci obbligano a rallentare il cammino. Il risultato è che pur partendo alla stessa ora, arrivo tre quarti d’ora più tardi.
Giovanni il battezzatore non faceva di mestiere il cantoniere, ma ricevette il compito di preparare la strada al Messia. La prima cosa che fece fu di fare strada al Signore nella sua stessa vita: per questo andò nel deserto a spogliarsi e a far penitenza, per rinunciare al di più, per gettare la zavorra, per appianare le buche di quell’umanità ferita dal peccato che inevitabilmente rallentano l’arrivo del Signore. Egli annunciava la necessità della conversione, preparando anzitutto in se stesso la via della conversione. Quell’acqua in cui battezzava i suoi penitenti era un’acqua efficace per tappare le buche, per raddrizzare i sentieri e preparare la strada a Colui che veniva a battezzare nello Spirito donando la Salvezza.
Per comprendere il messaggio del Signore ci sono delle condizioni preliminari. Anzitutto la ricerca e l’amore della Verità; la sincerità con se stessi e con la propria coscienza; l’accettazione dei propri limiti umani e della propria fragilità. Ecco perché Gesù se la prendeva un po’ con i farisei: perché erano falsi, e quindi come potavano accogliere Chi veniva dalla verità? Erano orgogliosi, perché cercavano gloria l’uno dall’altro, e come potavano riconoscere la Gloria di chi cercava solo la Gloria di Dio? Erano orgogliosamente convinti di conoscere Dio, e come potevano vedere Colui che invece era venuto per guarire i ciechi?
Forse che anche noi non abbiamo bisogno di un “bagno” di umiltà per rivedere la nostra idea di Dio, per riconciliarci con noi stessi e per accettare che anche noi abbiamo delle buche da tappare?

sabato 26 novembre 2011

Commento al Vangelo I Dom Avvento anno B, 27 novembre 2011.

BEATI GLI INSONNI

TESTO (Mc 13, 33-37)
State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».

COMMENTO
Non si sa più se la percepiamo o no come una bella notizia, ma in ogni caso il Signore un giorno tornerà. Non si può fare il conto alla rovescia, come per la venuta del Papa qui in Bénin, ma l’oggetto dell’attesa è certo, più certo di ogni altro avvenimento della storia. Non ci resta che vegliare.
Ciascuno ha  “il suo posto” e ciascuno deve perseverare nel servizio affidatogli, e noi sappiamo che questa casa che il Padrone affida temporaneamente ai suoi servitori è la casa del Regno di Dio, la casa dove deve regnare l’amore e la pace. Ognuno di noi ha l’incarico di vivere e lavorare per il bene di tutti, perché questo ci chiede il Signore: edificare il Regno dell’amore nell’attesa del suo ritorno. Non si può pensare di essere a servizio di questo Regno pensando solamente al proprio portafoglio e vivendo solo per il lavoro e per la sicurezza economica della propria famiglia.  Bisogna uscire dallo schema “lavoro-guadagno-pago-pretendo” per essere discepoli di Cristo, e mettere la nostra vita a servizio degli altri, in modo gratuito.
La vigilanza è un atteggiamento di discernimento continuo tra il bene e il male, perché se c’è il male che fa’ rumore e notizia, c’è anche il male strisciante che si insinua silenziosamente nelle coscienze e che a piccoli passi allontana dall’Amore. A furia di dire “Che male c’è?” si va lontano, ci si chiude in se stessi, ci si addormenta e non ci si indigna più di niente. Il Signore lo dice anche a noi: “vegliate!”

venerdì 18 novembre 2011

Il PAPA E' QUI IN BENIN

Che la visita di Papa Benedetto XVI inziata oggi (18 novembre 2011) sia un evento per tutto il Bénin, cattolici e non, è un fatto incontestabile. Tutti sanno che gli occhi di una buona parte del mondo saranno puntati su questo piccolo paese dell’Africa dell’Ovest, appena una lingua di terra che corre da sud a nord per circa 1000 km e che è grande quanto un terzo del territorio italiano. Ci sono tanti elementi che concorrono a rendere questa visita carica di significati e di risonanze. Anzitutto il Santo Padre viene a chiudere le celebrazioni per il Giubileo dei 150 anni di evangelizzazione del Bénin.
Nel 1861 alcuni sacerdoti missionari della SMA (Società per le Missioni Africane) impiantarono la prima parrocchia sulla costa atlantica dell’attuale Bénin. Era il 18 aprile 1861. Una data simbolica evidentemente, perché anche in epoche precedenti i tentativi di evangelizzazione non erano mancati, senza alcun esito tuttavia, almeno da un punto di vista visibile. Vale la pena di ricordare che secondo la storia ufficiale del paese i primissimi evangelizzatori del Bénin furono una dozzina di frati cappuccini portoghesi che presero terra in queste coste nel 1600. La spedizione fu un fiasco totale, vale la pena ripetere, da un punto di vista umano: la metà di questi confratelli morì dopo appena una settimana di permanenza, stremata dalle varie febbri locali e dalla fatica del viaggio in nave che in quei tempi doveva essere già in se stessa un’impresa. La restante parte del gruppo rientrò dopo poco tempo. Non potremo mai conoscere il frutto che il sacrificio silenzioso e nascosto di tanti missionari ha prodotto per il progresso del Regno di Dio in queste terre africane, al di là dei risultati visibili.
Dal 1861 ad oggi la fede cristiana ha messo le radici in questo angolo del Golfo di Guinea, rallentata da enormi pregiudizi nei confronti dei missionari bianchi che portavano il Vangelo.
Non si deve dimenticare che fino a quel momento i bianchi che venivano su queste coste venivano con la divisa militare di questo o quell’altro esercito europeo, e che gli altri bianchi venivano per commerciare schiavi. Dal 1780 al 1848 (anno di abolizione dello schiavismo in queste zone) furono deportati da queste coste verso il Brasile qualcosa come 3 milioni e mezzo di schiavi, la metà dei quali morti in viaggio e gettati in mezzo all’Atlantico. Quando si va a visitare il museo nazionale di Ouidah, presso l’ex forte portoghese, la guida del Museo non manca di ricordare che i bianchi erano qualificati con tre “m”: militaires, marchands et missionaires: cioè militari, commercianti e missionari. Si capisce bene che uomo bianco non era affatto percepito come portatore di una “buona novella”, tutt’altro. Piuttosto portatore di morte.
Nonostante tutto il Vangelo ha portato i suoi frutti e ora la fede cristiana è ben radicata in tutto il paese, soprattutto qui al sud. Per dare qualche numero la sola Diocesi di Cotonou ha più di 300 preti diocesani , senza contare tutti i sacerdoti religiosi e i vari istituti di vita consacrata.
Al nord la situazione è differente: si è ancora alla prima evangelizzazione, con Diocesi di recentissima fondazione costituite da un esiguo numero di battezzati e con pochissimi pastori. Tanto per dare un altro esempio, la Diocesi di N’Dali, dove noi cappuccini abbiamo una comunità, ha appena una ventina di sacerdoti, di cui solo due autoctoni.


La visita del Papa è altresì l’occasione di consegnare ufficialmente a tutta la Chiesa l’esortazione apostolica post sinodale che fa seguito al Sinodo dei Vescovi del 2009 dal titolo: “ La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Il Santo Padre firmerà ufficialmente questo documento proprio nella Basilica di Ouidah, a pochi km da qui. La consegna di questo documento forse non suscita altrettante emozioni; la gran parte del popolo cristiano sembra estraneo a tutto ciò che si è discusso 2 anni fa’ a 4 mila km da qui, e forse si potrebbe anche cominciare a pensare al prossimo Sinodo per l’Africa, fosse anche tra 20 anni, fuori dalle mura vaticane e in terra africana. Tuttavia riconciliazione, giustizia e pace sono i perni della vera emancipazione africana e se i cristiani non sapranno esserne i primi e più credibili profeti e martiri, la Chiesa tradirà la sua identità di presenza del corpo crocifisso ma glorioso di Cristo, e l’Africa resterà sbriciolata nelle sue guerre, nelle sue povertà di fatto, malgrado le sue enormi ricchezze naturali.
In questo campo la Chiesa beninese , come tutta la chiesa Africana, deve lavorare più a livello particolare che globale, a iniziare dalla famiglia. Sebbene la grande famiglia allargata africana è una struttura portante della società, è altresì vero che rare sono le famiglie veramente unite e in armonia. Mi sembra che le guerre africane inter-etniche siano piuttosto radicate nelle ferite sanguinanti di famiglie, non solo di fatto, ma a volte puramente teoriche, con dei nuclei umani fondati si su vincoli di sangue ma a cui non corrispondono vincoli stabili di affetti e di accoglienza reciproca. Se il linguaggio del perdono, della riconciliazione e della pace non è un alfabeto che è appreso fin dall’infanzia, la società non potrà che parlare il linguaggio dell’affermazione di sé, dell’emancipazione personale, costi quel che costi. La pace è la grande chimera del continente africano: tutti l’invocano ma pochi protagonisti della vita sociale e politica sono disposti a riconoscere la carica velenosa e violenta di affermazioni e prese di posizione, tutte ispirate nelle intenzioni al benessere e alla ricerca della democrazia.


La pace è condizione essenziale per lo sviluppo e il progresso economico e umano. Se il Bénin, nonostante la quasi totale assenza di risorse naturali, vive un lento (molto lento) e progressivo sviluppo, lo si deve soprattutto alla mancanza da un secolo a questa parte di conflitti interni e con l’esterno. Forse la fortuna di questo paese è anche la sua povertà naturale che non ha mai attirato grandi appetiti internazionali e che non ha innescato pericolosi conflitti per l’accaparramento delle risorse economiche.


Il popolo beninese è in attesa, e non solo quello cattolico. I Vescovi hanno chiesto a tutti i fedeli e simpatizzanti della Chiesa di versare 500 franchi a testa acquistando un biglietto-ricevuta che resterà un ricordo della venuta del Papa. 500 franchi corrispondono a 75 centesimi di euro ma qui, se ci si accontenta, con 500 franchi si può fare pranzo.
Fervono i lavori per rattoppare le buche delle strade asfaltate che saranno percorse dal corteo papale. Il Seminario nazionale di Ouidah (St Gall), dove il Papa verrà sabato 19 per incontrare tutti noi religiosi e sacerdoti, sta ricostruendo la facciata del suo edificio e cercando di pavimentare alla meno peggio la strada di sabbia che lo separa dalla strada principale. L’economo del Seminario è venuto a chiedere a noi cappuccini di prestargli la macchina taglia erba per preparare il cortile dove il Papa ci riceverà; una settimana prima del grande evento tutti i 120 seminaristi interromperanno le lezioni per spazzolare a nuovo la loro casa, per accogliere al meglio il loro, il nostro, Pastore.
Una radio cattolica locale ha stampato e diffuso un CD con la Messa cantata in latino perché sembra che il Papa, Domenica 20, celebrerà la messa in latino. Pensare che qui neppure il francese, lingua ufficiale, è conosciuto da tutti! Ma pazienza: quel giorno la gente beninese vedrà che il secondo uomo vivente più importante della Chiesa è a casa loro, e ha percorso migliaia di km per venire ad incontrarli. Che parli latino o cinese poco importa. I gesti come sempre dicono più di tante parole.
Come il gesto che il Papa farà andando a visitare la tomba del suo amico Cardinal Bernardin Gantin, primo vescovo beninese di Cotonou e primo africano ad essere nominato prefetto di una Congregazione Pontificia. Un gesto di tenera amicizia, di affetto, come quello che in questo mese di novembre tanti di noi stanno facendo, andando a visitare le tombe dei propri cari. Anche un Papa vive di rapporti fraterni, amichevoli e informali. E qui in Bénin il Papa ha tanti amici che lo accoglieranno a cuore aperto.

giovedì 17 novembre 2011

Commento al Vangelo XXXIV Dom TO anno A, 20 novembre 2011.

MOMENTI DI GLORIA

TESTO (Mt 25,31-46) 
31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria.32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri,33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere;43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me.46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

COMMENTO
“E saranno riunite davanti a lui tutte le genti”. Alla vigilia della venuta del Papa qui in Bénin, non posso fare a meno di raffigurarmi la folla che accoglierà il Santo Padre, soprattutto Domenica all’occasione della Santa Messa allo stadio di Cotonou. Certo, non sarà il momento del Giudizio, ma un incontro con una personalità così rappresentativa della comunità cristiana mondiale obbliga a riflettere e a fare un bilancio della propria vita di cristiano, a valutare le ricadute pratiche che il Vangelo di Cristo sta avendo nell’esistenza quotidiana.
Di fronte a questa parola di Gesù così chiara sui criteri del Giudizio ultimo sulla nostra storia, che senso ha (mi sto domandando) stare davanti alla tastiera di questo computer portatile mentre centinaia di persone appena fuori del muro di cinta del nostro convento, qui nella campagna di Ouidah, vanno avanti vivendo alla giornata, nel senso più letterale del termine?
La Santa Madre Teresa di Calcutta diceva che ogni sera dovremmo farci un esame di coscienza guardandoci il palmo delle mani. Cosa hanno fatto queste mani? Chi hanno servito, a cosa sono servite? Per chi hanno lavorato? Cosa hanno toccato? Come hanno toccato?  Mi auguro che la meravigliosa semplicità di questo brano di Vangelo possa essere colta da gesti e momenti altrettanto semplici come quello suggerito da Madre Teresa. Per riflettere e per poi agire.


Domani, 18 novembre 2011, il Papa arriva qui in Bénin. Sembra che questa cosa, a Dio, piaccia.

sabato 12 novembre 2011

Commento al Vangelo XXXIII Dom TO anno A, 13 novembre 2011.

LASCIA O RADDOPPIA

TESTO (Mt 25, 14-30)
14 Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.16 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.20 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.21 Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.22 Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.23 Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.24 Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;25 per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.29 Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.


COMMENTO
Certi treni passano una sola volta nella vita … La parabola di oggi ci permette di fare un’aggiunta: questi treni sono diretti verso l’altro, verso il cuore dei nostri compagni di cammino. La vigilanza a cui invitava Gesù con la parabola delle dieci vergini assume cioè una specificazione. Essere vigilanti significa donare, impiegare i doni di Grazia che il Signore ci ha dato. Noi non abbiamo meritato niente, ma tutto abbiamo ricevuto. Se non vogliamo che questa dote deperisca tra le nostre mani, dobbiamo dunque impiegarla, trafficarla, spenderla. Gesù ci chiede di impiegare i doni che ci ha fatto, e cosa significhi impiegare i talenti lo capiremo ancora meglio Domenica prossima quando il Signore ci parlerà del giudizio universale. “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.” Potrà sembrare un po’ cinico l’atteggiamento di Gesù, ma cinico non è: nella vigna del Signore o si da tutto e si raddoppia oppure non si raccoglie niente e si perde tutto. Istintivamente avessi ricevuto io i 5 talenti, avrei diversificato il rischio: avrei messo due o tre talenti in Banca e gli altri me li sarei imboscati da qualche parte. Le parabole di Gesù hanno sempre qualcosa di paradossale perché Gesù vuole scardinare i luoghi comuni, i pregiudizi, e soprattutto delle mentalità religiose meschine, come quella di una ricerca egoistica della propria salvezza, indipendentemente dalla relazione con l’altro.
I talenti sono tutti i pezzi che il Signore ci affida per il nuovo mondo da costruire, tutti i doni di Grazia che dobbiamo impiegare per edificare il Regno di Dio. Ma la Grazia non può essere conservata, la si può solo ricevere e donare . I doni del Signore sono fatti per restare tali: un dono. Annunciare la beatitudine del dono di sé mi sembra veramente un’opera missionaria basilare, perché sto constatando che fino a quando si lavora sulla promozione sociale, culturale o sanitaria, si trovano facilmente finanziatori e orecchie ben disposte ad ascoltarti. Quando incominci a parlare della logica del dono e della gratuità e a dire che Gesù si è rivelato pienamente sulla croce e che i suoi discepoli devono seguire i suoi passi, allora gli entusiasmi si calmano. Chi ti vorrebbe dare una mano pensa che l’annuncio esplicito del vangelo delle beatitudini non sia poi così centrale, e chi ti ascolta sarà tentato di “cambiare parrocchia”.

Tra una settimana arriva il Papa!

sabato 5 novembre 2011

Commento al Vangelo XXXII Dom TO anno A, 6 novembre 2011.

VEDERE, PREVEDERE, PROVVEDERE

TESTO (Mt 25,1-13)

1 Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo.2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge;3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio;4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi.5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono.6 A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade.8 E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono.9 Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.10 Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici!12 Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco.13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

COMMENTO

Mi sono interrogato sul punto di distinzione tra la saggezza delle une e la stoltezza delle altre. Il Signore , in fine di parabola, lancia un’esortazione molto netta: “Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora” ,  tuttavia le sagge non hanno vegliato più delle altre, infatti “poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono”. La saggezza dunque non è stata nel non dormire, ma nel saper cogliere le opportunità durante il tempo di veglia. Fintanto che potevano le sagge hanno fatto scorta, sapendo che sarebbe potuta sopraggiungere il buio della notte, che l’attesa si poteva prolungare, e in funzione di questa lungimiranza hanno provveduto e hanno fatto scorta dell’olio che hanno potuto trovare. Hanno colto la grazia del momento presente e si sono preparate per le eventuali difficoltà dell’attesa. Ecco la saggezza: cogliere le grazie quando il Signore ce le dona, non quando ne avvertiamo il bisogno. Dice la Bibbia: “Cercate il Signore mentre si lascia trovare!”
La vita spirituale è fatta di lungimiranza, è un cantiere che costruisce le mura della casa mattone dopo mattone, secondo il materiale che il Signore ogni giorno ci da’. Certo, tutto viene dalla Grazia di Dio, tutto è  Grazia. Ma le grazie vanno accolte quando il Signore ce le dona. Quando ci accorgeremo di aver costruito la nostra vita sul nulla, sulla sabbia di cose che non valgono un bel nulla e che non reggono “la botta”, sarà troppo tardi per andare a rifondare la casa. Il Signore ci mette in guardia. Non sprechiamo le  opportunità che la Provvidenza ci dona. Certi treni passano una volta sola nella vita.


Oggi è il 5 novembre 2011. Tra 13 giorni arriva il Papa qui in Bénin. Sempre a Dio piacendo.

sabato 29 ottobre 2011

Commento al Vangelo XXXI Dom TO anno A, 30 ottobre 2011.

Verso il basso
per testimoniare il Cielo

TESTO ( Mt 23, 1-12)

 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbì" dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

COMMENTO

Devo essere sincero: la delicatezza dei fedeli verso noi sacerdoti e il sincero rispetto con cui ti rivolgono la parola dicendoti “mon père” ( padre mio ) non lascia indifferenti. Addirittura nelle parrocchie spesso i bambini, quando ti passano accanto, ti fanno pure un accenno di riverenza o di inchino. Insomma voglio dire che qui il prete è qualcuno, almeno tra i cattolici. Più volte mi sono chiesto in questi tre ultimi anni passati qui in Bénin: come posso io, frate minore cappuccino sacerdote, testimoniare che sono qua per servire e non per primeggiare, per donare e non per cercare gloria, per abbassarmi e non per essere innalzato?   
Penso che il modo migliore per additare agli altri l’unico Padre del cielo,  sia quello di essere figlio, di vivere come qualcuno che non guarda se stesso, che non si contempla e non si compiace , ma che guarda altrove e che con tutta la sua vita cammina verso l’unico Maestro.
Essere figlio con Cristo, seguendo e vivendo i suoi insegnamenti, per aprire un cammino verso Colui che è la Paternità globale. Gli antichi dicevano “verba movent, exempla trahunt” (le parole colpiscono, gli esempi trascinano). Un figlio che comprende e vive l’amore ricevuto da suo padre, e che quindi ama come veri fratelli gli altri figli di questo, annuncia con tutto se stesso la bellezza di chi lo ha generato.


Oggi, sabato 29 ottobre 2011, mancano 20 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.

sabato 22 ottobre 2011

Commento al Vangelo XXX Dom TO anno A, 23 ottobre 2011.

 Prendi due, Uno paga.

TESTO (Mt 22, 34-40)

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme35 e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:36 «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?».37 Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.38 Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.39 E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


COMMENTO

Il dottore della legge domanda un comandamento, il comandamento più importante, quello che veramente fonda tutti gli altri. Gesù ne da due, e non può fare a meno di rispondere così, proponendo due comandamenti che si rassomigliano a tal punto da essere una cosa sola.
San Giovanni nella sua prima lettera ce lo fa capire altrettanto chiaramente:
 "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore ….  Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi". (1Gv 4, 7- 12) 
La croce di Gesù è la spiegazione e l’esegesi più completa dell’amore che è Dio. Lui ci ha amato da morire. Se noi diciamo di amare Dio dobbiamo ri-trasmettere quello che abbiamo ricevuto, altrimenti  diciamo frottole, a noi stessi anzitutto.
"Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede". (1 Gv 4, 19 ).
Chi ha l’amore di Dio nel cuore fa tutto per amore. Chi non vive nell’amore di Dio, farà tutto per un tornaconto personale, anche si trattasse del gesto, in se stesso, più generoso e altruistico.
Questo mi sta insegnando la mia esperienza qui in Benin, a contatto con fratelli di diverse nazionalità: quello che vivi con i tuoi fratelli dice la verità di ciò che stai vivendo con Dio. Se non sei radicato nella croce di Cristo, il fratello non è più il termine della tua donazione, di una carità totale, ma diventa piuttosto strumento per andare oltre, per passare oltre, diventa una stazione di transito. Il fratello che ti vive accanto è un esame di coscienza permanente. 


Oggi, sabato 22 ottobre 2011, mancano 27 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin, a Dio piacendo.

sabato 15 ottobre 2011

Commento al Vangelo XXIX Dom TO anno A, 16 ottobre 2011.

OGNI COSA AL SUO POSTO

TESTO
(cf Mt 22, 15 – 22)

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.

COMMENTO
Gesù è veramente qualcuno che “non ha soggezione di nessuno” e il fatto che “non guardi in faccia a nessuno” non è segno di disprezzo degli uomini ma sintomo del suo essere totalmente  rivolto al volto del Padre, per fare la sua volontà. Come è diverso dall’atteggiamento di quegli scribi che, interrogati sulla loro opinione riguardo l’autorità di Giovanni Battista, cominciarono a fare i conti con le possibili reazioni della folla e di Gesù: talmente preoccupati delle critiche degli altri che preferirono tacere. Gesù può parlare liberamente, Egli è l’uomo perfetto, venuto per ristabilire la piena comunione degli uomini con Dio Padre e degli uomini tra loro; per questo non può disprezzare la concreta espressione dell’autorità politica, in quanto essa è la logica conseguenza del naturale tentativo dell’uomo di associarsi, di collaborare e di vivere insieme.
Dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare significa però tenere le cose al loro posto e secondo il loro ordine. Sganciare una qualsiasi autorità umana dal riferimento divino può portare all’idolatria o all’odio. Nell’antico impero romano non a caso l’imperatore era una quasi-divinità e così pure nell’antico Egitto. Nell’antico Regno di Daomey, attuale Benin, il re aveva potere di vita e di morte su tutti i suoi sudditi.
La risposta di Gesù fa' capire che la convivenza umana esige l'esercizio da parte di qualcuno dell’autorità ma anche che questa deve restare sempre una luogo-tenenza: prima l’autorità e il rispetto della legge di Dio e poi quella degli uomini. Quando lungo la storia le parti si sono invertite, sono successi disastri.


Oggi, sabato 15 ottobre 2011, mancano 34 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin, a Dio piacendo.

sabato 8 ottobre 2011

Commento al Vangelo XXVIII Dom TO anno A, 9 ottobre 2011.

L’ABITO DELLE BUONE AZIONI

TESTO ( Mt 22, 1-14 )

 Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


COMMENTO

Ci sono due tipi di avvenimenti qui in Bénin che non si possono mai mancare, a tal punto che la non partecipazione potrebbe essere ritenuta un segno di rottura delle relazioni: i funerali e le nozze. Quest’ultime  devono essere preparate così solennemente che l’obbligazione morale a fare le cose in grande è una delle cause, tra i cattolici, della diffusa irregolarità delle coppie, cioè del fatto che si mette su famiglia senza celebrazione del Sacramento del Matrimonio.
L’ambientazione della parabola di Gesù è molto simile: Gesù vive in una società tradizionale dove certi passaggi della vita dell’uomo sono così sacri che il non accettare di prendervi parte significa il disprezzo della persona stessa. E’ molto smisurata la reazione degli invitati a nozze: è mai possibile arrivare a uccidere per dire che non si vuole partecipare alla festa di nozze? Altrettanto smisurata la reazione del re che invita alle nozze del figlio: si può capire il disappunto, ma arrivare a uccidere perché si è rifiutato l’invito! Qui è il punto: l’invito a quelle nozze del Figlio non è  solo l’invito a un banchetto , ma ben di più è l’invito alla festa della vita senza fine, a una festa che appunto è eterna. Dunque rifiutare la festa significa rifiutare la vita stessa e scegliere la morte.
E l’abito nuziale? Sono le buone azioni dei santi. Chi opera il bene, scegliendo Cristo e la logica del suo stile di vita, si rivestirà dell’abito di nozze e sarà ritenuto degno di dimorare nella sala nuziale.


Oggi, 8 ottobre 2011, mancano 41 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin. A Dio piacendo.

sabato 1 ottobre 2011

Commento al Vangelo XXVII Dom TO anno A, 2 ottobre 2011.

I NEMICI DELLA CROCE
(cf Mt 21,33-45)

TESTO

Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?
 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà». Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.


COMMENTO

Finora ho constatato due modi possibili per uccidere il Figlio del Padrone della vigna-Regno di Dio e per appropriarsi del potere di quest’ultimo.
Il primo modo è quello operato dalla cultura occidentale: è bastato cominciare a dire che Dio è un’affermazione della nostra mente, che tutta la realtà e quindi anche Dio non esistono in se stessi ma esistono solo se c’è qualcuno come l’uomo che li pensa. Per poi arrivare a decretare, come qualcuno ha fatto, che Dio è morto. Qualcuno ha veramente pensato di uccidere il Figlio del Padrone, e non solo il Figlio ma anche il Padrone stesso. Disgraziatamente l’onda lunga di questo folle pensiero gioca ancora i suoi effetti in un contesto dove veramente in tantissimi ambiti Dio sembra proprio scomparso.
L’altro modo che ho conosciuto, è quello operato dalla cultura tradizionale di questa regione d’Africa. Almeno qui in Bénin nessuno osa mettere in dubbio l’esistenza di Dio, tutt’altro, ma il punto è che lo si stiracchia, lo si adatta, lo si adegua a mille esigenze: conoscere il futuro, proteggersi dal malocchio, conquistare l’amore di qualcuno, provocare il male in qualcun altro, facilitare il proprio successo economico e così via. Ci si vuole appropriare della potenza di Dio, della sua “vigna” eliminando il Figlio, proprio come i vignaioli omicidi. In questo caso l’uccisione del Figlio avviene attraverso la negazione del Cristo, e del Cristo obbediente fino alla morte di croce. La sofferenza deve scomparire a tutti i costi; la sofferenza non è più luogo di incontro del mistero della redenzione e occasione di co-redenzione,  ma solamente una maledizione, una condanna, un segno della presenza di qualche spirito maligno.
Su tutti questi due tentativi regna la croce di Cristo. Gli umili credenti di questo e quell’altro mondo, i piccoli che sanno farsi carico delle proprie e altrui avversità con lo stesso ardente amore di Cristo sono i nuovi vignaioli ai quali è affidato il regno di Dio e che lo stanno facendo fiorire con frutti di pace , di giustizia e di comunione.
All’uscita della Messa, Domenica scorsa qui a Ouidah, una signora con un sorriso solare mi ha chiesto di pregare per lei. Da 14 anni suo marito è paralizzato in casa , e da 14 anni lei continua a restargli accanto per assisterlo. Ecco i nuovi vignaioli che nel silenzio stanno facendo fruttificare la Vigna e che saranno sasso di inciampo per i mille adulteri della leggerezza, della banalità e del nulla.

Oggi, 1 ottobre 2011, mancano 48 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin. A Dio piacendo.

sabato 24 settembre 2011

Commento al Vangelo XXVI Dom TO anno A, 25 settembre 2011.

 C’È PROSTITUTA E PROSTITUTA
(cf Mt 21, 28-32)


TESTO

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.


COMMENTO

Gesù non ha mai canonizzato nessun mestiere, nemmeno il suo, tanto meno quello della prostituta o dell’esattore di imposte (pubblicano). Se dice ai sommi sacerdoti e agli anziani che i pubblicani e le prostitute gli passeranno avanti è perché, mentre i sommi sacerdoti e gli anziani dicono e non fanno, gli altri invece hanno creduto, hanno riconosciuto il loro vuoto totale, il fatto cioè di essersi venduti totalmente, corpo e anima, al Dio denaro.
Non dimentichiamo 1 Tm 6,10: “L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali”. Gesù canonizza quindi non una categoria di persone ma quelli che hanno ammesso la vergognosa peccaminosità di ciò che stavano facendo, il vuoto e il nulla in cui stavano navigando.
Un giorno quando ero in Italia una prostituta mi ha detto: “Padre, ogni tanto mi viene a trovare un amico, facciamo qualcosa e poi mi lascia un po’ di soldi”.
Invece qualche tempo fa’ qui a Ouidah ho incontrato una prostituta che mi ha detto: “Padre, fino ad adesso ho fatto la prostituta!”. Una non ha il coraggio di dire pane al pane e vino al vino. L’altra guarda in faccia alla realtà e si lascia guardare da essa.
Chiamare le cose per quello che sono, l’umile ammissione delle proprie brutture ci farà intraprendere un cammino di conversione: solo l’umile riconoscimento del proprio nulla, della propria nudità è punto di partenza per accogliere la salvezza di Cristo.


Oggi, 24 settembre 2011, mancano 55 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin, a Dio piacendo.

sabato 17 settembre 2011

Commento al Vangelo XXV Dom TO anno A, 18 settembre 2011.

Padrone assoluto
(Cf Mt 20, 1-16)



 
TESTO

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».

 

COMMENTO

Due cose sfuggono agli operai dell’alba. La prima è che la generosità del loro datore di lavoro non toglie niente alla loro paga, che corrisponde a quanto era stato pattuito. La seconda è che il padrone della vigna è appunto il padrone assoluto e non deve chiedere il permesso di ciò che fa.
Il pensare degli operai dell’alba è il pensare dell’uomo che dista dal pensare di Dio come la terra dal cielo (ci dice Isaia nella prima lettura). Nelle ristrettezza delle cose umane è ragionevole temere che l’abbondanza data all’altro tolga qualcosa a me; avrei tutto il diritto di lamentarmi se il mio datore di lavoro largheggiasse troppo con i miei colleghi, perché nel lungo termine questa eccessiva generosità impoverirà l’azienda e potrà compromettere i miei futuri stipendi. Inoltre l’azienda del mio padrone, benché giuridicamente resti del mi padrone, è anche mia in quanto io vi lavoro e il suo prosperare e produrre reddito dipende anche da me. Nelle ristrettezza delle cose umane l’economia è la scienza di ciò che per definizione in natura è scarso. Nella grandezza delle cose di Dio alla Grazia non esiste limite né restrizione: la sovrabbondanza elargita al fratello non mi toglie niente. Se il mio fratello è stato ricolmato di doni dall’alto, questo non impedisce che anche io possa ricevere abbondantemente dalle mani del Signore.
Secondariamente la Grazia di Dio è tutta di Dio. L’uomo non vi entra in nessuno modo. La Grazia che ci salva  viene tutta dal Signore Dio; l’uomo non ne è com-propietario nemmeno in minima parte: può solo accoglierla o rifiutarla.
Ecco perché la gelosia non ha ragione di essere. Dobbiamo solo rallegrarci della generosità smisurata di Dio perché … hai visto mai che noi , operai dell’alba, ci ritroviamo ad essere invece operai del tramonto?






Oggi, sabato 17 settembre 2011, mancano 62 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin. A Dio piacendo.

sabato 10 settembre 2011

Commento al Vangelo XXIV Dom TO anno A, 10 settembre 2011.

Libertà vo’ cercando
(Cf Mt 18, 21-35)

TESTO

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

COMMENTO

Cosa significhi perdonare 70 volte 7 non è questione di matematica ; senza che nessuno si affatichi oltre modo, il risultato è  490. Ma il Signore non voleva dire che bisogna contare fino a 490 prima di dare sfogo alla vendetta. Il messaggio è che bisogna perdonare all’infinito, così come il Signore ci perdona all’infinito, e che l’unica chiave per uscire dalla prigione del rancore è il perdono. Anche in questo caso devo dichiarare la mia impressione dell’assoluta uguaglianza del cuore umano a tutte le latitudini: quaggiù in Bénin sento spesso le stesse tristi storie di persone che non riescono a perdonare che sentivo in Italia. Forse cambia la maniera di dare libero sfogo al rancore e all’odio: da noi quando si vuole rendere del male a qualcuno si va dall’avvocato per intentare una causa; quaggiù spesso si va dal fattucchiere per fare un maleficio ( qui si chiamano gri-gri). Chi non riesce a perdonare soffre molto, molto di più di colui che non viene perdonato e che potrebbe neppure sapere di essere oggetto di rancore.
L’elemento strano e innaturale della parabola è rivelativo: come può un creditore condonare e poi pentirsi di aver condonato e tornare a esigere il regolamento del suo debito? Proprio qui sta il punto: quel padrone che ci viene a riacchiappare per le orecchie quando non siamo capaci di condonare i nostri cento denari ai nostri debitori, è proprio la nostra coscienza. Se non siamo capaci di rimettere i debiti ai nostri debitori, non potremo mai sentirci perdonati da Dio; ci sentiremo sempre intrappolati nei nostri peccati. Se non crediamo alla bellezza e alla forza liberante della misericordia  resteremo sempre lì con le nostre catene, prigionieri di noi stessi. Quel 70 volte 7 può essere riferito anche ad un solo episodio, ad un solo evento terribile che è stato uno schiaffo insopportabile al solo ripensarci. Ogni volta che ci ripensiamo e che ripensiamo a chi ci ha offeso, il nostro cuore chiede di essere liberato e chiede alla nostra volontà di perdonare. E se 70 volte 7 ripenso alla stessa persona che mi ha umiliato, 70 volte 7 la mia coscienza chiede libertà, amnistia e implora alla nostra libera volontà di perdonare , almeno nel desiderio, cioè dal cuore.


Oggi, sabato 10 settembre 2011, mancano 69 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.

sabato 3 settembre 2011

Commento al Vangelo XXIII Dom TO anno A, 3 settembre 2011.

La forza della comunione
(cf Mt 18, 15 – 20)


TESTO 

Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

COMMENTO

 
Il Signore si fida enormemente dei suoi discepoli e si affida alla loro mediazione a tal punto da legare le cose del Cielo a quelle della terra. Mentre Gesù ci fa’ pregare dicendo  “sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra” ( … cioè che la storia umana possa coincidere con i progetti di Dio), Lui da parte sua ci assicura che le decisioni disciplinari della comunità dei suoi discepoli quaggiù, saranno sempre ratificate tali e quali nella Comunità divina di lassù.
Come possa fidarsi e affidarsi così tanto a una comunità di uomini è spiegabile solo a partire dalla presenza di Cristo risorto in mezzo a questa comunità. La Chiesa non verrà mai meno fino alla fine del mondo proprio perché essa è il corpo di Cristo (vivo) presente nella storia del mondo di ogni tempo.
Domenica scorsa nelle due messe che ho celebrato ho posto all’assemblea delle domande un po’ trabocchetto. Siccome si parlava del mandato di Cristo a Pietro ( “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” ) l’ho preso un po’ alla larga e ho chiesto se conoscevano il nome del capo del Benin; tutti hanno correttamente risposto che si chiama Thomas Yayi Boni. Ho chiesto se qualcuno conosceva il nome del capo della Francia; anche in questo caso molti hanno risposto che si chiama Nicolas Sarkozy. Perfino alla domanda sul nome del capo dell’Italia qualcuno ha detto che si chiama Monsieur Berlusconì ( ma chi l’ha detto che all’estero, dell’Italia, si conoscono solo le cose brutte!) .  Ma alla domanda sul capo della Chiesa Cattolica tutti hanno risposto a colpo sicuro che si chiama Benedetto XVI. A dire il vero tutti tranne una ragazzina di 12 anni che ha detto che il capo della Chiesa è Gesù. Per fortuna l’innocenza dei fanciulli! Infatti il nostro capo è Cristo, perché Cristo è vivo, dato che è risorto. Proprio Lui continua a essere presente nel fedele che con senso di responsabilità si prende la briga di correggere la colpa del fratello. Proprio Lui si rende presente quando due si mettono d’accordo per domandare qualcosa al Padre celeste e infatti l’unico a cui Dio non può rifiutare niente è proprio suo Figlio. Di fronte alla potenza della comunione dei discepoli di Cristo, un cristiano dovrebbe sentirsi sempre “il fiato” sul collo ed essere responsabile di tanti fratelli che si perdono. Siamone certi: quando nella Chiesa vengono alla luce gravi scandali, sicuramente c’è uno che ha sbagliato ma ce ne sono almeno dieci che hanno taciuto, e che invece di essere state pietre sono state solo fango.


Oggi, sabato 3 settembre 2011, mancano 76 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.

sabato 27 agosto 2011

Commento al Vangelo XXII Dom TO anno A, 28 agosto 2011.

SEGUIRE CRISTO, ... DOVE?


TESTO (cf Mt 16, 21-26)

21 Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno.22 Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai».23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
25 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.26 Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?

COMMENTO

Giorni fa’, ancora una volta, come spesso mi è capitato di vedere qui in Bénin, un cadavere sull’asfalto coperto da un panno e con tanta gente attorno in attesa del carro funebre. Quaggiù è facile partire, è questione di un attimo. Una settimana fa’ ho visto una bambina di appena due giorni in una casa di accoglienza per bambini abbandonati gestita dalle suore Missionarie della Carità: è stata portata da una signora che si è vista la figlia ritornare a casa con un fagottino con dentro la povera creatura. La figlia le ha raccontato che mentre giocava una signora le ha dato il fagottino in questione e poi se ne è andata. La sopravvivenza passa attraverso mille peripezie, fin dai primi attimi, di mano in mano. Ecco smascherato il mito dell’uomo che non ha bisogno di nessuno, che non ha bisogno di chiedere mai, che “si è fatto da solo”.
Ma in tutto questo dove è Colui che ha salvato il mondo? Dove è Colui che doveva soffrire per redimerci e che di fatto ha sopportato umiliazione e supplizio per toglierci dalla condanna della morte? Forse la croce, la sua, non è stata sufficiente? Perché ha ancora bisogno della nostra?
Il bisogno è piuttosto nostro. Chi non accoglie il Cristo della croce, non accoglie neppure il Cristo della gloria, dato che il Cristo della Gloria resta un Cristo in croce. La morte già vinta quanto alla sua potenza, resta  presente nei suoi effetti. Cristo ci chiede di seguirlo per andare a condividere con Lui la sua vittoria che resta ed è solo la sua.
Il Cristo è sempre e solo uno, a tal punto che chi non ha compassione dei tanti uomini crocifissi che gli passano attorno, chi non perde la propria vita per riconoscere e seguire Cristo, anche se guadagnasse il mondo intero perderà la propria anima e dunque la vita eterna.
In questo mare di dolore, dunque, dove è il Salvatore del mondo?
E’ in quell’uomo steso sull’asfalto in mezzo a una pozza di sangue.
E’ in quella bambina che passa di mano in mano come fosse un pacco.
Beato chi li com-patisce e li accoglie. Sarà grande nel Regno dei cieli.


Oggi, 27 agosto 2011, mancano 83 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin … A Dio piacendo.

sabato 20 agosto 2011

Commento al Vangelo XXI Dom TO anno A, 21 agosto 2011.

PER FORTUNA PIETRO!
(Cf Mt 16, 13-20)

TESTO
13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?».16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

COMMENTO
Se non capisci qui in Bénin la provvidenzialità di un unico vicario per tutta la Chiesa di Cristo, non lo capirai in nessun altro luogo della terra. Dico vicario perché, sia chiaro, la Chiesa ha un unico capo indiscusso: Cristo risorto il quale, essendo risorto, è vivo. Essendo vivo, parla. La sola differenza è che parla la lingua dello Spirito di Dio e che quindi c’è bisogno di qualcuno, la cui autorità risalga a Cristo stesso, che traduca autorevolmente questa “lingua” con cui il nostro unico Capo parla a tutti e in svariati modi. Questo qualcuno è indiscutibilmente per tutti i cristiani  Pietro e ( putroppo solo per noi cattolici) tutti i suoi successori, cioè tutti i vescovi di Roma che si sono succeduti nella storia, e che noi chiamiamo normalmente “Papa”.
L’assenza di un’unica autorità visibile nella Chiesa di Cristo provoca divisione, rottura, personalismi, settarismi. Sono ben lontano dal fare un elenco completo di tutte le chiese o sette di ispirazione cristiana presenti qui in Bénin. Oltre alla Chiesa cattolica vi si trova la Chiesa metodista, la Chiesa evangelica, l’Assemblea di Dio, l’Assemblea del 7° giorno, la Chiesa del monte degli olivi, la Chiesa del risveglio africano, la Chiesa del cristianesimo celeste, (ovviamente ) i Testimoni di Geova, la Chiesa del monte Sion, e ne dimentico tanti altri.
Senza il servizio di Pietro ognuno si inventa il suo Cristo e soprattutto fa dire a Cristo quello che vuole. Pietro ha riconosciuto in Gesù il Messia e Gesù ha dichiarato di fronte agli apostoli: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli». E dopo essere risorto gli dirà ancora “Pietro, pasci le mie pecorelle” (cf Gv 21,15-17). Per fortuna che c’è Pietro.


Oggi 20 agosto 2011, mancano 90 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.