SOTTOMESSO A DIO E AGLI UOMINI
TESTO (Lc 2,41-52)
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
COMMENTO
Nel brano di quest’oggi è evidente il connubio tra due parole: Gesù e Gerusalemme; è una profezia sul destino di questo fanciullo, qui appena dodicenne, che nella città santa di Davide dovrà portare a termine la sua missione di salvezza. L’incomprensione degli uomini che lo porterà alla morte di croce viene in qualche modo pre-annunziata dallo stupore dei maestri del tempio e dallo stupore dei suoi stessi familiari che lo ritrovano dopo tre giorni di cammino a ritroso, alla sua ricerca. Proprio in Gerusalemme Gesù si consegnerà nelle mani del Padre, e il sigillo del compimento della sua missione saranno proprio le sue stesse ultime parole: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”.
L’affidamento totale dell’uomo Gesù alla volontà di Dio, si realizza tuttavia a partire dalla sua quotidianità spesa nel quadro della famiglia con sua madre Maria e suo padre Giuseppe. Il contrasto del racconto è solo apparente. Prima Gesù dice che deve occuparsi delle cose del padre suo e poi l’evangelista dice che “scese con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso”. La sua sottomissione umile nella famiglia di Nazareth, di cui oggi facciamo memoria, è il luogo in cui Gesù avvia e inaugura la sua esperienza di consegna nelle mani del Padre celeste. La sua crescita in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini è resa possibile perché, comunque, pur essendo Gesù figlio di Dio e quindi Dio, umanamente non gli fu risparmiato quel faticoso cammino di apprendimento delle virtù umane, prima fra tutte l’umiltà.
Anche Gesù ha vissuto il 4° comandamento “Onora il padre e la madre” e come per ciascuno di noi, la comunità naturale di un padre e di una madre è stata la prima mediazione di una relazione con la paternità di Dio.
Ringraziamo anche noi Dio Padre per averci dato dei genitori che ci hanno trasmesso l’esperienza della paternità e della maternità e attraverso la quale, pur in mezzo a tante debolezze umane, abbiamo intuito la dolcezza e la tenerezza della paternità di Dio.
Maternità del cuore
TESTO (Lc 1,39-45)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
COMMENTO
Grande il merito della Vergine Maria per aver dato carne al Figlio di Dio, ancor più grande il suo merito per aver creduto alla sua Parola. Questo è quello che dice anche Gesù nel vangelo quando all’esclamazione di stupore di una donna di mezzo la folla “«Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Egli stesso rispose: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». (Lc 11,27-28)
Anche Elisabetta dovette intuire la grandezza della fede di Maria e infatti la proclama beata perché ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto. La grandezza di Maria non è nella carne, ma anzitutto nel suo cuore … che sa affidarsi.
Anche noi siamo chiamati alla maternità della fede, anche noi siamo chiamati a generare la fede nei cuori dei contemporanei. Ovviamente il privilegio della maternità di Gesù appartiene solamente alla Vergine Maria, la cui purezza della fede sorpassa quella di ogni altra creatura, ma tutti i credenti in Cristo, membri della Chiesa che è madre, sono chiamati a custodirlo nel cuore per trasmetterne la presenza ai fratelli.
San Francesco d’Assisi, entusiasta poeta del mistero dell’Incarnazione di Dio, non poté non cogliere la ricchezza delle relazioni spirituali, e quindi reali, che si generano tra un credente e il Signore Gesù.
Egli scrive nella lettera ai Fedeli:
Siamo sposi, quando l'anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l'azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è in cielo. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l'amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri. (Lettera ai fedeli ff 200).
Le “agenda” della conversione
TESTO (Lc 3,10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo
COMMENTO
Nel Vangelo di oggi risuona di fatto come un ritornello: “cosa dobbiamo fare”. Tutti se lo chiedono, tutte le categorie più implicate nelle ingiustizie diffuse del tempo. Tale ritornello, come tutte le parole della Sacra Scrittura deve uscire dalla pagina del testo ed entrare nelle pagine della nostra coscienza.
Anche noi che ascoltiamo siamo interpellati da questa domanda: “Cosa dobbiamo fare?” Io religioso, e noi operai, impiegati, liberi professionisti, dipendenti pubblici…cosa dobbiamo fare per evitare di essere ritenuti alberi senza frutto da tagliare e gettare nel fuoco? (cfr Lc 3,9).
Ristabilire un minimo di giustizia: ecco quello che chiede Giovanni Battista per l’imminente arrivo del Cristo. Per quanto sembrino radicali ed esigenti le richieste di Giovanni, esse in realtà non chiedono un mutamento delle condizioni di vita: il militare continuerà a fare il militare, l’esattore continuerà a fare l’esattore. Solo il Figlio di Dio, Gesù potrà eventualmente chiedere di lasciare tutto il resto per andare dietro lui.
Siamo certi che solo il Signore Gesù potrà dare a ciascuno un cuore nuovo, un cuore da figli, e questo lo farà immergendo la nostra vita nello Spirito Santo, nell’esperienza della Pentecoste, nella presenza concreta dell’amore comunionale di Dio. Fino a quel momento qualsiasi uomo è comunque nella condizione di dare un giudizio di verità sulle tante situazioni di sopruso e squilibrio sociale; quel lume di naturale ragionevolezza che lo abita non potrà lasciarlo chiuso al grido degli oppressi e degli ultimi della società.
Senza un minimo desiderio di verità e di bene, senza questa minima presa di coscienza, ed una concreta risposta, il Signore passerà invano davanti la porta dei nostri cuori, perché troverà, irrimediabilmente, solo una porta chiusa.
LE SOLITE BUCHE DA TAPPARE
TESTO (Lc 3,1-6)
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!»
COMMENTO
In quel lontano anno così dettagliatamente indicato dall’evangelista Luca la parola di Dio venne su un uomo che, buon per lui e per noi, non era sordo. Giovanni, figlio di Zaccaria, “visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Lc 1,80) e in quello spazio libero dai frastuoni e dalle luci del mondo la parola di Dio trovò accoglienza nella sua vita.
E Giovanni non può che riproporre agli uomini la sua stessa esperienza di Grazia, di incontro positivo e benefico con la parola di Dio. Il suo battesimo di conversione avverrà laddove egli ha fatto l’incontro che attendeva e il deserto sarà il luogo spirituale che proporrà agli uomini di Israele: un luogo senza cime e senza dirupi, senza asperità, perché i piedi del messaggero arrivino a destinazione e perché ogni uomo veda senza ingombro alcuno la salvezza di Dio.
Nella profezia di Isaia, a cui allude il testo evangelico, si annuncia il cammino di ritorno in Giudea degli ebrei esuli a Babilonia guidato dalla presenza del Signore. Nel contesto della predicazione del Battista viene invece annunciato un cammino di ritorno più interiore e meno geografico. Sono i cuori che dovranno tornare ad accorgersi della presenza misericordiosa di Dio Padre. Spianare le vie impervie e raddrizzare le vie tortuose significherà dunque permettere al Signore di toccare la propria vita
In un testo liturgico dell’Avvento diciamo infatti: “Ora egli (il Signore) viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno.” (Prefazio Avvento I/A).
Questo breve testo ci dice che tra la prima venuta del Signore nella carne di 2 mila anni fa e quella definitiva di cui non conosciamo il momento, ogni circostanza ed ogni incontro segnano per noi un avvento, una venuta della presenza del Dio fatto uomo tra noi
In ogni frangente il Signore ci associa alla sua umanità sofferente e allo stesso tempo già gloriosa. Avremo però gli stessi sentimenti di curiosità e di attesa che furono nel cuore di Giovanni Battista? Dovremo sempre essere consapevoli che non ci saranno mai risposte sufficienti per i cuori tortuosi, impervi, cioè chiusi e senza domande.
Una salvezza “nuvolosa”
TESTO (Lc 21,25-28.34-36)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
COMMENTO
Per gli ebrei la salvezza passò dal mare, tramite il mar Rosso per la precisione; per i discepoli del Messia Cristo Gesù la salvezza passerà tramite il cielo, perché è scritto che sulle nubi verrà il Figlio dell’uomo, personaggio annunciato dal profeta Daniele per la venuta definitiva del Regno di Dio, di cui abbiamo parlato proprio domenica scorsa. Quel figlio dell’uomo è però il Dio fatto uomo, è proprio il figlio di Dio che si è reso figlio di un uomo per riportare tutti i figli di questa umanità nella figliolanza divina.
Nella seconda preghiera eucaristica che il sacerdote proclama prima della consacrazione del pane e del vino si dice “Egli (il Cristo) è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose, e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria”.
Tuttavia, proprio perché la salvezza passa per il Cielo, essa è già alla nostra portata in ogni momento, giacché Gesù non sta parlando di una nube e del cielo in senso astronomico ma del Cielo-luogo spirituale che si rende presente laddove c’è un cuore in cerca di Dio. Il Signore ci esorta a vegliare in ogni momento “pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere”.
Significa che ogni momento è un attimo opportuno di Grazia che ci viene dato; ogni momento è accompagnato dalla presenza del Signore che certo si manifesterà in modo potente e definitivo solo alla fine di questo tempo storico, ma che qui e adesso ci offre comunque la capacità di sfuggire ai pesi di un mondo che offrendoci soluzioni parziali e individualiste, rende la vita insopportabile e triste.
UN AMORE CHE VINCE
TESTO ( Gv 18,33-37 )
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
COMMENTO
Gesù ha appena concluso la più lunga e più importante preghiera che i 4 vangeli ci riportano (cfr Giovanni 17) nella quale prega il Padre perché gli uomini siano salvi dallo spirito del mondo e possano contemplare la sua Gloria infinita.
Ora Gesù si trova proprio dinanzi a un re di questo mondo, Pilato. Gesù però non si mette in competizione ma indica un Regno diverso, che appunto non è di questo mondo ma che tuttavia non ne è estraneo.
Gesù si proclama re, l’unico versetto dei Vangeli in cui lo dice apertamente, ma un Re che viene non per distruggere altri regni, ma per manifestare il potere unico e indistruttibile del Regno di Dio, in cui Giustizia e Pace si baceranno (secondo la profezia di Isaia ) e non saranno mai sopraffatte da alcun potere umano.
La relazione tra il Regno di Dio e le realtà di quaggiù deriva dal fatto che Gesù è venuto per manifestare a noi la potenza invincibile della misericordia divina e della giustizia divina; per questo egli accetta di farsi uccidere ingiustamente, per manifestare che la sua autorità è l’unica che può sopravanzare qualsiasi altra autorità e potere umano. Gesù è re dell’universo perché anche nel tempo, oltreché nello spazio, il suo amore abbraccerà tutti i cuori che vengono dalla verità, che cioè sono sinceramente animati dal desiderio di ciò che veramente dura in eterno, anche oltre la morte.
Si racconta che al termine del breve incontro di San Francesco col Sultano di Damietta in Egitto, Malek al- Kamel, questi abbia detto al Santo di Assisi: “prega per me che Dio mi riveli come meglio io lo debba servire”. Capiamo che coloro che vengono e che nascono col desiderio della verità, di ciò che è buono e giusto veramente, non disprezzeranno mai la voce di chi, vivendo del suo stesso spirito, parleranno in nome di Cristo.
Chi guida la nave?
TESTO (Mc 13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
COMMENTO
Scriveva un filosofo dell’800: “«La nave è in mano al cuoco di bordo. E ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani». Chissà cosa direbbe oggi questo pensatore! Senza andare tanto lontano ma fermandoci ad ascoltare i nostri vicini, parenti e amici, capiamo che non interessa andare a fondo nella comprensione di ciò che stiamo vivendo, della direzione che stiamo dando alla nostra vita, alla nostra società, e soprattutto della direzione che altri stanno dando al nostro tempo.
Proprio perché siamo interessati soprattutto a quello che si mangerà, non siamo attenti ai segni dei tempi, a quella pianta di fico il cui ramo tenero annuncia imminente l’estate. Ci è risparmiato indovinare quale sarà il giorno ultimo del giudizio finale in cui Cristo tornerà a giudicare i vivi e i morti, tanto più che neppure Gesù ha detto di conoscerlo; ma quanto meno in tanti eventi e situazioni riceviamo segni ben più eloquenti di un ramo di fico che preannuncia cambio di stagione; dovremmo avvertire la temporaneità e l’instabilità delle tradizionali certezze. Il grande gestore di fondi di investimento Soros diceva che per l’uomo ci sono solo due investimenti sicuri: il mattone e i figli, intendendo per mattone gli investimenti immobiliari. Ora neanche più la case sono sicure e provocano più tasse che profitti e neanche sui figli si investe. Su cosa stiamo investendo? In quale direzione conviene orientare la navigazione?
Siamo sempre molto connessi, molto informati su tutto, ma pochissimi e pochissimo si occupano di cogliere il senso degli eventi, e in quale direzione sta girando il vento. Papa Francesco ci ha detto che viviamo non un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento di epoca. Quale epoca ci lasciamo alle spalle, e verso quale epoca ci stiamo incamminando?
Ulisse era un navigatore che viaggiava su e giù per i mari ma aveva un’isola, Itaca, da cui era partito e alla quale voleva ritornare. Qual è la nostra origine , e dove vogliamo approdare. Gesù figlio di Dio ci rivela una paternità e a quella paternità ci vuole orientare perché in quel cuore troveremo finalmente pace, conforto e consolazione. Non sarà forse il caso di spegnere i megafoni di bordo e in un sobrio digiuno dal superfluo del mondo ritrovare la voce di quel Padre dei cieli che ci dice: “io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo!”. (Mt 28,20)
La vedova anti-borghese
TESTO ( Mc 12, 41-44)
In quel tempo, Gesù, seduto di fronte al tesoro [nel tempio], osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
COMMENTO
Soren Kierkegaard definiva borghese colui per il quale “il troppo e il troppo poco rovinano tutto”. Nell’accezione deteriore che ormai ha assunto, l’atteggiamento borghese è quello di chi non dice di “no” a niente ma neppure si coinvolge in niente, in una sorta di equilibrio che non è frutto di sapienza, ma del desiderio di non rischiare in nulla e in nessun modo.
Proprio il contrario di questa vedova, non anziana necessariamente e quindi poteva anche avere tanti anni ancora da vivere, la quale getta tutto ciò che aveva per vivere.
Forse sarà un caso ma l’evangelista ci specifica che aveva due spiccioli, e quindi poteva teoricamente fare “metà e metà”. La donna offre tutto a Dio, tutto quanto aveva per vivere. L'atto di offerta diventa ben più di un dare qualcosa, diviene l’offerta della propria vita, di tutta la sua esistenza.
Se si potesse tradurre in parole il pensiero della vedova e mettere una nuvoletta sopra la sua testa, come nei fumetti, potremmo leggervi: “Dio mio, non ho più niente, quel poco che ho è troppo poco per poter contare su di esso; prendi tutto, perché la mia vita è solo nelle tue mani”.
La tentazione dell’uomo ricco invece, che in questo caso sembra un atteggiamento compiuto, è quello di contare sulle proprie sostanze. In fondo quando si pensa di avere le proprie sicurezze, l’offrire qualcosa di proprio a Dio diventa più un atto devozionale e molto meno un atto esistenziale di affidamento.
Amar come Gesù amò
TESTO (Mc 12,28-34)
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
COMMENTO
“Amor, ch'a nullo amato amar perdona” (Divina Commedia, Inferno, V,103) diceva Dante Alighieri nella sua Divina Commedia tramite uno dei suoi più noti personaggi. L’amore non accetta di non essere ricambiato, l’amore spinge quasi inevitabilmente la persona oggetto di questo sentimento a ricambiarlo a sua volta.
L’evidenza mostra che si può ben rimanere freddi e insensibili ad un intenso affetto, per quanto grande esso possa essere.
Nella Bibbia tuttavia cogliamo il fondamento del culto a Dio, dell’onore e del rispetto a Lui dovuto, proprio nel suo essere un Dio misericordioso e buono, “Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore” (salmo 102,8).
E all’inizio delle 10 parole, cioè dei comandamenti che il Signore trasmette a Mosè, il Signore dice: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra di Egitto, dalla condizione servile” (Es 20,2).
Nell’invito ad amare con tutto noi stessi il Dio della vita c’è necessariamente un “prima”, un antefatto, un atto di amore infinito ineguagliabile che dovrebbe suscitare stupore, meraviglia, e il desiderio di una risposta generosa e totale.
Lo scriba che interroga Gesù intuisce nella risposta di Gesù la radice più sensata e logica di ogni comandamento, il riconoscere che egli è semplicemente Signore della nostra vita, proprio come diceva San Francesco d’Assisi: “Mio Dio mio tutto!”.
Proprio San Francesco amava ripetere una preghiera non scritta da lui, ma a lui tanto cara: Rapisca, ti prego, o Signore, l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell'amor tuo,
come tu ti sei degnato morire per amore dell'amore mio.
Chi coglie questa essenzialità, la superiorità cioè di una risposta così totale rispetto a qualsiasi altro sacrificio non è lontano dal Regno di Dio, sta avvicinandosi. Ciò che resta da compiere è entrare nel mistero dell’amore crocifisso di Cristo Gesù, perché in quel gesto di amore c’è la pienezza dell’Amore di Dio, dell’amore che è Dio. Lì finalmente l’amore si fa misericordia, accoglienza, tenerezza, e regna indiscusso su ogni forma di odio e di cattiveria umana.
CREDERE PER VEDERE
TESTO (Mc 10,46-52)
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
COMMENTO
Ormai abbiamo capito che i miracoli di Gesù, specialmente le guarigioni, hanno sempre un significato fortemente simbolico, oltre l’indubbio beneficio per chi lo riceve.
La cecità è una disabilità altamente invalidante ma c’è una cecità ancor peggiore sulla quale il Vangelo ci vuole far riflettere: la cecità del cuore!
Notiamo che la prima espressione sulla bocca di questo cieco mendicante, prostrato a terra è: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” Egli domanda un cuore pio e misericordioso nei suoi confronti da parte di colui che egli riconosce “Figlio di Davide”, e quindi forse già come Messia.
I suoi occhi sono incapaci di vedere ma Gesù donandogli la vista degli occhi gli dona anche la vista del cuore perché, ci dice il racconto, dopo aver riacquistato la vista Bartimeo prese a seguirlo per la strada. Quella strada a bordo della quale era passivamente seduto, diventa ora il luogo in cui segue il suo maestro verso Gerusalemme, la città santa, il luogo in cui Gesù realizzerà e rivelerà al mondo la sua salvezza.
La salvezza passa per la strettoia della fede. Gerico si trovava in una strettoia, passaggio obbligato per tutti i pellegrini in cammino verso Gerusalemme. La fede in Cristo salvatore è passaggio obbligato, strettoia necessaria per tutti quelli che cercano la compassione di Dio, la salvezza dal male, la Gerusalemme non terrena ma celeste, il paradiso.
In questa sovrapposizione di piani, storico da una parte e simbolico-spirituale dall’altra, l’evangelista ci annuncia anche che per capire gli avvenimenti di Gerusalemme, il mistero della passione-morte e risurrezione di Cristo, occorre saper vedere con gli occhi della fede ciò che umanamente sarebbe solo scandalo.
L’ultima guarigione compiuta da Gesù prima di arrivare a Gerusalemme è propria quella di ridonare la vista. Anche noi possiamo leggere correttamente la storia della sofferenza-morte di Cristo e di ogni uomo, oltreché quella personale, solo partendo da uno sguardo guarito dalla fede e dalla misericordia di Cristo. Ecco che così può cominciare un cammino di salita verso le altezze dei misteri di Dio.
L’AMORE PERFETTO
TESTO (Mc 10,35-45)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
COMMENTO
Giacomo e Giovanni rappresentano bene la difficoltà penosa dei discepoli a comprendere i caratteri della missione del maestro Gesù di Nazaret. Nonostante che questi per la terza volta avesse loro spiegato il suo destino di sofferenza, Giacomo e Giovanni chiedono un posto alla destra e alla sinistra nella sua gloria e si mettono piuttosto nella scia di Pietro che aveva proclamato di fronte al primo annuncio della passione e morte di Gesù: “questo non ti accadrà mai”.
Il vero discepolo del Cristo dovrà seguire invece lo stesso itinerario del maestro, bere il suo calice, bere e cioè assumere il carico di sofferenze di un’umanità dispersa e smarrita; battezzarsi, letteralmente immergersi, nel dolore del mondo, e solo allora condividere la gloria eterna dell’amore comunionale del Regno di Dio.
Giacomo e Giovanni sembrano essere incapaci di comprendere il passaggio della croce, e con essi ci sono anche gli altri che si sdegnano della loro richiesta, ma solo perché temono di essere sorpassati nelle loro medesime pretese.
Ciò che più convince della pochezza della domanda dei due fratelli è il tentativo di monopolizzare la relazione con Gesù. Avessero chiesto semplicemente di partecipare alla gloria del Signore, si poteva ancora pensare alla buona fede della richiesta, ma il fatto che chiedano di sedere uno alla destra e uno alla sinistra dimostra il desiderio di monopolio, la ricerca dell’esclusiva, il tentativo di rendere la relazione con il maestro escludente rispetto agli altri apostoli. Ecco quindi l’intenzionalità esattamente contraria a quella di Gesù che è “essere per gli altri”, donarsi e svuotarsi delle proprie prerogative a beneficio dei fratelli, perché “il figlio dell’uomo (Gesù) è venuto per servire, cioè dare la vita, e non per essere servito, come fanno i dominatori di questo mondo che in una logica mondana, cercano il proprio vantaggio.
Gli amici di Cristo sono chiamati a seguirlo sulla sua stessa via, quella del dono di sé, non perché debbano essi stessi guadagnarsi la salvezza che deriva dalla sola opera di Cristo, me per essere capaci di collocarsi nel suo cuore, nei suoi stessi sentimenti, e quindi per poter ricevere il dono, di per sé immeritato. L’apostolo Giovanni dopo la morte e risurrezione di Gesù, all’approssimarsi della sua propria morte, illuminato dall’esperienza della Pentecoste capirà finalmente tutto questo. Per questo scriverà nella sua prima lettera: “Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2,3 ).
Inseguire La Vera Bontà
TESTO (Mc 10,17-30)
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
COMMENTO
Cambiando l’ordine delle parole potremmo dire anche che tutto è possibile alla bontà di Dio. Il regno di Dio che l’uomo da solo non può raggiungere, la capacità cioè di far regnare nella propria vita la vera ricchezza dell’amore di Dio, diviene possibile per la benevolenza gratuita di Dio manifestata in Gesù di Nazaret.
L’elemento che distingue è quello personale: accettare o meno di entrare in relazione con la presenza di Cristo. Per il tale di cui si narra nel vangelo si sarebbe trattato di lasciare dei beni materiali e forse anche delle sicurezze psicologiche per poter stabilire una vera relazione con l’unico volto umano della bontà di Dio, l’uomo Cristo Gesù; Lui e nessun altro ci può salvare, perché lui, come dice San Paolo, “è l’unico mediatore fra Dio e gli uomini” (cf. 1 Tim 2,5).
Dal momento in cui Dio si è fatto uomo la legge termina la sua funzione di accompagnamento, di preparazione all’incontro fondamentale con Colui che ristabilisce l’uomo nel vero paradiso terrestre, quello della comunione con Dio. Quando in tutte le difficoltà possibili di questo mondo si riscopre il gusto del sentirsi figli di un Padre divinamente misericordioso si trova il centuplo di tutto!
L’origine di ogni problema esistenziale dell’uomo è sempre stato l’autosufficienza, il pensare di poter essere qualcuno a prescindere dagli altri e anche da Dio; e anche in ambito religioso la presunzione di potersi salvare per propri meriti, per la propria capacità di essere buono.
Gesù chiarisce subito infatti alla domanda del viandante che Dio solo è buono. La bontà non può derivare quindi da una sterile osservanza della legge, ma può essere solo frutto di un incontro con Colui che è fonte e origine della bontà.
Per noi che ascoltiamo questo discorso a distanza di tempo, lasciare tutto e seguire Gesù significa lasciare in secondo piano ogni altra cosa rispetto alla relazione con il Signore, con il Cristo risorto e vivo, per cercare costantemente un rapporto personale, vero e sincero con la sua presenza, nella Parola di Dio ascoltata, nei sacramenti, nei fratelli, soprattutto i più sofferenti e crocifissi.
Qui ritroveremmo il paradiso perduto, il centuplo in questa vita e la vita eterna nel futuro; infatti è la relazione con la paternità di Dio che ci siamo persi per strada a ridare il senso della nostra esistenza, e questa paternità proprio Gesù è venuto a ristabilirla nelle nostre vite con la presenza del suo spirito di figlio nei nostri cuori.
Quindi nulla è impossibile a Dio, neppure farci diventare poveri, ammesso che si riconosca la ricchezza unica e insostituibile della relazione con Dio in Cristo vivo, il cui corpo storico è la chiesa, comunione dei battezzati.
Ad Immagine dell’amore Tri-Unitario che è Dio
TESTO (Mc 10,2-16)
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
COMMENTO
Quando ci chiediamo perché per un cristiano il matrimonio sia un Sacramento, un segno sacro, un segno della Grazia di Dio, ecco che questo brano ci offre una buona risposta. Certo occorrerebbe riferirsi anche a quel primo segno raccontato dall’evangelista Giovanni che Gesù compie a Cana, proprio durante una festa di nozze; e poi la descrizione del matrimonio come di un segno grande in riferimento al rapporto Cristo- Chiesa proposta da San Paolo.
Cosa dice in realtà Gesù in questa risposta ai farisei? In realtà non inventa nulla, ma ribadisce il principio, l’inizio della creazione (la Genesi appunto), il disegno originario di Dio di fare dell’uomo e della donna una coppia emblematica, intensamente simbolica di cosa sia la comunione divina, prima che il peccato rovinasse tale progetto e “obbligasse” Mosé a mettere qualche toppa.
Infatti non solo l’uomo è stato creato maschio e femmina da Dio ma ad un certo punto della sua vita, l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. La comunione dell’uomo e della donna è un fatto di libertà, di risposta ad una chiamata che è già scritta nella loro carne, nella loro umanità sessualmente caratterizzata. L’unione dei due non è qualcosa di automatico e predeterminato ma il frutto di un cammino.
Ci sarebbe da domandarsi perché non siamo stati creati già uniti fin dall’inizio, visto che la coppia nasce secondo la Genesi da una sorta di sdoppiamento dell’uno da una costola dell’altro. Perché sdoppiare l’uomo e poi chiedergli di tornare ad essere una carne sola?
Perché la comunione vera è questione di libertà, di libera adesione ad un sogno di amore, eternamente vissuto da Dio nel suo essere tri-unitario, e condiviso a noi suoi figli che proprio nell’essere creati a sua immagine, siamo invitati a imitare liberamente la scintilla e l’ebbrezza dell’amore divino, eternamente libero.
Davvero l’unione uomo-donna, l’unità dei due in una sola carne è Mistero grande, come dice San Paolo in Efesini 5; grande perché rende visibile come nessuna altra cosa al mondo l’intensità e l’energia di cosa sia l’Amore comunionale che è Dio, Padre- Figlio e Spirito Santo.
Angeli o demoni?
TESTO (Mc 9,38-43.45.47-48)
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».
COMMENTO
Gesù tocca due questioni importanti, quasi speculari. La prima, quella della liceità del ricorso al suo nome, quindi alla sua autorità da parte di chi, apparentemente, non è del gruppo di quelli che lo seguivano. Capiamo dalla risposta di Gesù che la sequela, la vicinanza al Signore, non è esclusivamente un fatto fisico, ma anzitutto una scelta di collocazione della propria esistenza. Se qualcuno si affida e invoca il nome di Dio e scaccia demoni, come potrà essere un nemico! Perché, oltre all’ispirazione divina e a quella del male, non ci sono altri fonti. Dunque anche ai nostri giorni chi lotta per il bene secondo lo spirito delle beatitudini, così come Gesù lo annuncia e lo incarna, è sicuramente qualcuno che lo segue, magari non necessariamente nelle vie istituzionali della Chiesa visibile.
La seconda questione sembra invece speculare, cioè il caso di chi pur appartenendo visibilmente alla cerchia del Maestro, potrebbe contraddire con i suoi comportamenti la scelta di vita professata a parole. Gesù sembra dire ai suoi discepoli: “voi che vi preoccupate tanto di quelli che nel mio nome fanno del bene, senza essere dei nostri, fate piuttosto attenzione a non dare scandalo per le vostre incoerenze rispetto alla vostra scelta di seguirmi!
La fede in Cristo, soprattutto dal momento della sua ascensione, passa necessariamente tramite l’esperienza e l’incontro con i suoi messaggeri, con i suoi fedeli, con i suoi ministri, ma se questi nei fatti smentiscono il messaggio di cui si dicono portatori, ecco che viene messa in discussione l’autorità della fonte stessa. Inevitabili gli scandali, dice Gesù, ma guai a coloro per colpa dei quali essi avvengono.
Il fascino del potere … spirituale
TESTO (Mc 9,30-37)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
COMMENTO
Se solo alcune di queste parole di Gesù fossero state prese sempre sul serio nel corso di questi due mila anni di cristianesimo, ci saremmo risparmiate tante delusioni! Mentre i discepoli del Maestro discutono su chi fosse il più grande, Gesù afferma: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Purtroppo certe forme esteriori della Chiesa e certe modalità istituzionali non aiutano in nessun modo a trasmettere l’idea che tra i discepoli di Cristo l’autorità è un servizio, cioè un mettersi al di sotto dei fratelli per sostenere e supportare il loro cammino.
Invece si sono sempre rese presenti forme più o meno nascoste di clericalismo, vale a dire di assolutizzazione della propria autorità da parte di quella gerarchia a cui il Signore aveva affidato il compito di pascere il gregge, con il comando di essere i primi a dare la vita per i fratelli.
Non credo di sbagliarmi però se dico che l’appropriarsi del proprio servizio nella chiesa come fosse un privilegio ed un potere propri, non è difetto solo di presbiteri e vescovi ma anche un brutto esempio seguito da molti laici, a volte ben più clericali dei preti. Quante volte nelle comunità cristiane si deve constatare la persistenza di vere e proprie sacche di potere, cioè ambiti della vita parrocchiale o ecclesiale assolutamente intoccabili e riservati da decenni agli stessi personaggi che ne fanno un presidio, un piccolo regno personale, un luogo di affermazione del proprio ingombrante “io”, in cui nessuno può criticare, fosse anche la legittima autorità, sotto minaccia di interrompere ogni collaborazione. Del tipo: “o si fa come dico io oppure me ne vado”.
Essere il primo, per Gesù, significa essere il primo a salire sulla croce, essere il primo a sacrificare se stesso pur di far vivere nella comunione e nella pace la propria comunità.
Per me e non per gli altri
TESTO (Mc 8,27-35)
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
COMMENTO
Quante volte facciamo cose o viviamo esperienze attratti dal gusto di poterle raccontare, di poter dire che abbiamo visto qualcosa di sensazionale, che in quella data occasione noi c’eravamo.
Ho notato tante volte in certi luoghi d’arte o di attrazione turistica che la preoccupazione più grande di fare dei selfie o foto di gruppo anziché fermarsi nella contemplazione di quella bellezza.
Viviamo in una moda più centrata sull’esternazione e sulla divulgazione che sulla ricerca della profondità e del senso di ciò che facciamo.
Gesù chiede un itinerario diverso, cerca una relazione personale. Da quello che dicono gli altri su di lui vuole arrivare a quello che ognuno di noi pensa di lui, in un rapporto a “tu per tu”.
Nella voce di Pietro che parla a nome dei discepoli c’è simbolicamente la voce di tutta la Chiesa che da duemila anni continua a dire: “Tu sei il Cristo”.
Siamo certi che questa voce chiara, vera e guidata dallo Spirito Santo, non verrà mai meno, anche se forse sarà sempre più ridotta nei numeri e nell’estensione geografica. Sappiamo che fino alla fine dei tempi la voce di Pietro continuerà a risuonare in qualche sparuto angolo della terra. “Tu sei il Cristo”.
In quella voce ci sarà anche la nostra vita? Questo dipenderà dalla nostra capacità di accettare la sfida della relazione diretta col Mistero, con quella domanda che giace nel cuore di ciascuno: “Chi sono io per te?”
Nessuno la sente in modo fisico in questi termini, ma il richiamo ad una vita felice, piena, ricca di senso, porta in sé la domanda del Dio fatto uomo venuto per riportarci alla radice della vita.
Qualsiasi esperienza, incontro, o vicenda potrebbe portarci a questa domanda, se non ci lasciassimo sempre prendere dalla preoccupazione di cosa raccontare o di cosa poter fotografare o trattenere per poi pubblicarlo a beneficio di cosiddetti amici virtuali.
La riapertura della via del Cielo
TESTO ( Mc 7,31-35 )
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
COMMENTO
Eravamo tutti molto piccoli, ma chi scrive e molti di voi che siete in ascolto, nel giorno del Battesimo, abbiamo ricevuto la stessa esortazione fatta da Gesù in aramaico all’anonimo sordomuto di cui abbiamo appena sentito nel Vangelo. Alla fine del rito del Battesimo, infatti, il sacerdote (o il diacono) si accosta al bambino e facendo un segno di croce sulle labbra e sugli orecchi dice:
Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti,
ti conceda di ascoltare presto la sua parola,
e di professare la tua fede,
a lode e gloria di Dio Padre.
Interessante: la capacità di ascoltare e di parlare in modo sapiente, cioè secondo la fede del Signore, non è una conquista dell’uomo anzitutto, ma frutto dell’intervento gratuito della potenza di Dio.
Dovremmo ricordarlo ogni tanto, perché sempre più si va diffondendo l’idea che non sia il caso di far ricevere ai bambini il Battesimo lasciando a loro eventualmente la scelta in età adulta.
L’episodio evangelico invece, ricco di simbolismi, ci accompagna ad una riflessione in senso opposto. Tutto è dono, tutto è Grazia. L’uomo da solo, lasciato a se stesso, e quindi ai condizionamenti del mondo, non sarebbe capace di intendere la sapienza di Dio, e di conseguenza non potrebbe neppure proferire parole di saggezza.
Abbiamo ascoltato due Domeniche fa che Gesù dice: “Nessuno viene a me se non gli è concesso dal Padre” (Gv 6,65)… cioè all’inizio e prima di ogni parola di assenso umano c’è un intervento della Grazia divina.
Altro aspetto importante. Questa Grazia passa attraverso l’umanità di Gesù.
L’uomo Gesù, nel suo essere Dio fatto uomo, si pone con tutto se stesso e con tutte le sue facoltà sensitive, “in mezzo” fra Dio e l’uomo.
I suoi occhi sono rivolti al cielo, il sospiro accompagna la sua preghiera a Dio Padre, mentre la sua saliva tocca la lingua, le sue dita sfiorano gli orecchi. In questo quadro Gesù si manifesta fisicamente proprio come colui che riapre la via tra il Padre e l’uomo. Per Lui, grazie a Lui e in Lui ci è dato di ritrovare l’unico Padre fonte di ogni altra paternità e maternità… il Padre che è nei cieli
Estote Parati! ... vigilate
TESTO (Mc 7,1-8.14-15.21-23)
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
COMMENTO
Nell’antico Israele le raccomandazioni legate alla religione si intrecciano spesso con ragioni di tipo sanitario. Pensate alla ovvia necessità di lavarsi le mani prima dei pasti, soprattutto in quel contesto storico–geografico dove con le mani si toccava di tutto e di più, specie quando si tornava da luoghi affollatissimi come il mercato.
Gesù coglie l’occasione per andare ancora una volta al cuore dei precetti ebraici ed infatti parla del cuore, non certo il muscolo cardiaco, ma la facoltà più onnicomprensiva, sintetica e profonda dell’uomo dove si percepiscono i sentimenti, si esercita il discernimento, e dove si forma la volontà.
Proprio in questo ambito occorrerà essere ben vigilanti e sobri, perché se è vero che l’uomo deve temere ciò che entra nel suo corpo, cioè deve custodire diligentemente la salute fisica, quanto più dovrà essere solerte nel custodire nel Bene l’integralità e la pienezza della sua persona, quell’ambito di vita in cui egli è solo con se stesso e con il Dio-Padre suo che è nei cieli; quell’ambito che sotto l’aspetto della decisione morale possiamo anche chiamare “coscienza”.
Tuttavia, se è vero come diceva Sant’Agostino, di cui abbiamo celebrato la memoria giorni fa che noi siamo stati creati per l’amore di Dio e che il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Lui, come è possibile che dal cuore escano i propositi di male?
Ecco allora che Gesù ci invita non solo a fare attenzione alla salute fisica (curando l’igiene e l’alimentazione) ma molto di più a vigilare sul nostro cuore, cioè sui nostri pensieri e sui nostri sentimenti, vigilare su cosa ci passa per la testa.
Alcuni padri spirituali suggeriscono di non scandalizzarsi quando passano per la testa pensieri brutti e malevoli.
D’altronde Santa Teresa d’Avila diceva che la fantasia è la “pazzarella di casa”. Piuttosto dovremmo in questi casi dire a questi pensieri: “Da dove sei venuto? Io non ti voglio. Non ti ho dato il permesso di entrare nel mio cuore.
Vi sembrerà giochetto da bambini, ma è proprio a chi ha il cuore semplice come un bambino che appartiene il Regno dei Cieli.
Vigiliamo sempre sul nostro cuore.
La Passione che guida
TESTO (Gv 6,60-69)
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
COMMENTO
In questi giorni si sta concludendo al meeting di Rimini una bellissima mostra dal titolo “Enjoy the game” su alcuni campioni dello sport di straordinari longevità e talento.
Ascoltando la narrazione dei loro sogni e dei loro sacrifici capisci che ancora prima che dei fuoriclasse, essi sono degli uomini che esprimono amore per quello che fanno, impegno, e soprattutto capacità di rinunciare a tanto altro, a tutto quello che non è direttamente finalizzato al loro obiettivo.
Una passione smisurata guida un campione dello sport alla realizzazione del suo desiderio profondo. Una passione smisurata può guidare un qualsiasi uomo a giocare tutta la vita quando intuisce che nel raggiungimento di quel risultato potrebbe risiedere la sua più grande realizzazione umana. Forse si potrebbe sbagliare. Ma forse no.
In questo capitolo 6 del vangelo di Giovanni Gesù conclude un lungo discorso sulla necessità del pane di vita, della sua stessa vita per avere la vita eterna. La carne non giova a nulla, è lo Spirito che dà la vita. Solo l’amore, in questo caso il fuoco dell’amore divino, lo Spirito Santo, può permettere di superare barriere apparentemente insuperabili, prima fra tutte la morte, la fine di questa vita terrena.
Gesù è l’unico che è disceso dal Cielo, e resta l’unico che per il Cielo può riaprire la via. Ma per percorrere questo itinerario “la carne non giova a nulla”, nessuna realtà di questo mondo può condurre a fare il grande salto. Solo le parole di Cristo sono Spirito, sono vita … “eterna”.
Ecco allora il nostro grande allenamento: vivere tutte le realtà di questo mondo come secondarie, o se vogliamo come occasione di incontro con il volto di Cristo, con il suo cuore, con la sua stessa Passione, con la sua parola creatrice, che fa ogni cosa dal nulla, e che rigenera ogni cosa dal nulla.
Il cibo del suo corpo, la Santa Eucaristia non è anzitutto carne, ma è Spirito, è passione divina che supera, attraversandoli, qualsiasi sacrificio e prova, necessari per restare ancorati ad un progetto d’amore che non finisca nel breve respiro di un'illusione.