Maternità del cuore
TESTO (Lc 1,39-45)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
COMMENTO
Grande il merito della Vergine Maria per aver dato carne al Figlio di Dio, ancor più grande il suo merito per aver creduto alla sua Parola. Questo è quello che dice anche Gesù nel vangelo quando all’esclamazione di stupore di una donna di mezzo la folla “«Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Egli stesso rispose: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». (Lc 11,27-28)
Anche Elisabetta dovette intuire la grandezza della fede di Maria e infatti la proclama beata perché ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto. La grandezza di Maria non è nella carne, ma anzitutto nel suo cuore … che sa affidarsi.
Anche noi siamo chiamati alla maternità della fede, anche noi siamo chiamati a generare la fede nei cuori dei contemporanei. Ovviamente il privilegio della maternità di Gesù appartiene solamente alla Vergine Maria, la cui purezza della fede sorpassa quella di ogni altra creatura, ma tutti i credenti in Cristo, membri della Chiesa che è madre, sono chiamati a custodirlo nel cuore per trasmetterne la presenza ai fratelli.
San Francesco d’Assisi, entusiasta poeta del mistero dell’Incarnazione di Dio, non poté non cogliere la ricchezza delle relazioni spirituali, e quindi reali, che si generano tra un credente e il Signore Gesù.
Egli scrive nella lettera ai Fedeli:
Siamo sposi, quando l'anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l'azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è in cielo. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l'amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri. (Lettera ai fedeli ff 200).
Le “agenda” della conversione
TESTO (Lc 3,10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo
COMMENTO
Nel Vangelo di oggi risuona di fatto come un ritornello: “cosa dobbiamo fare”. Tutti se lo chiedono, tutte le categorie più implicate nelle ingiustizie diffuse del tempo. Tale ritornello, come tutte le parole della Sacra Scrittura deve uscire dalla pagina del testo ed entrare nelle pagine della nostra coscienza.
Anche noi che ascoltiamo siamo interpellati da questa domanda: “Cosa dobbiamo fare?” Io religioso, e noi operai, impiegati, liberi professionisti, dipendenti pubblici…cosa dobbiamo fare per evitare di essere ritenuti alberi senza frutto da tagliare e gettare nel fuoco? (cfr Lc 3,9).
Ristabilire un minimo di giustizia: ecco quello che chiede Giovanni Battista per l’imminente arrivo del Cristo. Per quanto sembrino radicali ed esigenti le richieste di Giovanni, esse in realtà non chiedono un mutamento delle condizioni di vita: il militare continuerà a fare il militare, l’esattore continuerà a fare l’esattore. Solo il Figlio di Dio, Gesù potrà eventualmente chiedere di lasciare tutto il resto per andare dietro lui.
Siamo certi che solo il Signore Gesù potrà dare a ciascuno un cuore nuovo, un cuore da figli, e questo lo farà immergendo la nostra vita nello Spirito Santo, nell’esperienza della Pentecoste, nella presenza concreta dell’amore comunionale di Dio. Fino a quel momento qualsiasi uomo è comunque nella condizione di dare un giudizio di verità sulle tante situazioni di sopruso e squilibrio sociale; quel lume di naturale ragionevolezza che lo abita non potrà lasciarlo chiuso al grido degli oppressi e degli ultimi della società.
Senza un minimo desiderio di verità e di bene, senza questa minima presa di coscienza, ed una concreta risposta, il Signore passerà invano davanti la porta dei nostri cuori, perché troverà, irrimediabilmente, solo una porta chiusa.
LE SOLITE BUCHE DA TAPPARE
TESTO (Lc 3,1-6)
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!»
COMMENTO
In quel lontano anno così dettagliatamente indicato dall’evangelista Luca la parola di Dio venne su un uomo che, buon per lui e per noi, non era sordo. Giovanni, figlio di Zaccaria, “visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Lc 1,80) e in quello spazio libero dai frastuoni e dalle luci del mondo la parola di Dio trovò accoglienza nella sua vita.
E Giovanni non può che riproporre agli uomini la sua stessa esperienza di Grazia, di incontro positivo e benefico con la parola di Dio. Il suo battesimo di conversione avverrà laddove egli ha fatto l’incontro che attendeva e il deserto sarà il luogo spirituale che proporrà agli uomini di Israele: un luogo senza cime e senza dirupi, senza asperità, perché i piedi del messaggero arrivino a destinazione e perché ogni uomo veda senza ingombro alcuno la salvezza di Dio.
Nella profezia di Isaia, a cui allude il testo evangelico, si annuncia il cammino di ritorno in Giudea degli ebrei esuli a Babilonia guidato dalla presenza del Signore. Nel contesto della predicazione del Battista viene invece annunciato un cammino di ritorno più interiore e meno geografico. Sono i cuori che dovranno tornare ad accorgersi della presenza misericordiosa di Dio Padre. Spianare le vie impervie e raddrizzare le vie tortuose significherà dunque permettere al Signore di toccare la propria vita
In un testo liturgico dell’Avvento diciamo infatti: “Ora egli (il Signore) viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno.” (Prefazio Avvento I/A).
Questo breve testo ci dice che tra la prima venuta del Signore nella carne di 2 mila anni fa e quella definitiva di cui non conosciamo il momento, ogni circostanza ed ogni incontro segnano per noi un avvento, una venuta della presenza del Dio fatto uomo tra noi
In ogni frangente il Signore ci associa alla sua umanità sofferente e allo stesso tempo già gloriosa. Avremo però gli stessi sentimenti di curiosità e di attesa che furono nel cuore di Giovanni Battista? Dovremo sempre essere consapevoli che non ci saranno mai risposte sufficienti per i cuori tortuosi, impervi, cioè chiusi e senza domande.
Una salvezza “nuvolosa”
TESTO (Lc 21,25-28.34-36)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
COMMENTO
Per gli ebrei la salvezza passò dal mare, tramite il mar Rosso per la precisione; per i discepoli del Messia Cristo Gesù la salvezza passerà tramite il cielo, perché è scritto che sulle nubi verrà il Figlio dell’uomo, personaggio annunciato dal profeta Daniele per la venuta definitiva del Regno di Dio, di cui abbiamo parlato proprio domenica scorsa. Quel figlio dell’uomo è però il Dio fatto uomo, è proprio il figlio di Dio che si è reso figlio di un uomo per riportare tutti i figli di questa umanità nella figliolanza divina.
Nella seconda preghiera eucaristica che il sacerdote proclama prima della consacrazione del pane e del vino si dice “Egli (il Cristo) è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose, e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria”.
Tuttavia, proprio perché la salvezza passa per il Cielo, essa è già alla nostra portata in ogni momento, giacché Gesù non sta parlando di una nube e del cielo in senso astronomico ma del Cielo-luogo spirituale che si rende presente laddove c’è un cuore in cerca di Dio. Il Signore ci esorta a vegliare in ogni momento “pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere”.
Significa che ogni momento è un attimo opportuno di Grazia che ci viene dato; ogni momento è accompagnato dalla presenza del Signore che certo si manifesterà in modo potente e definitivo solo alla fine di questo tempo storico, ma che qui e adesso ci offre comunque la capacità di sfuggire ai pesi di un mondo che offrendoci soluzioni parziali e individualiste, rende la vita insopportabile e triste.
UN AMORE CHE VINCE
TESTO ( Gv 18,33-37 )
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
COMMENTO
Gesù ha appena concluso la più lunga e più importante preghiera che i 4 vangeli ci riportano (cfr Giovanni 17) nella quale prega il Padre perché gli uomini siano salvi dallo spirito del mondo e possano contemplare la sua Gloria infinita.
Ora Gesù si trova proprio dinanzi a un re di questo mondo, Pilato. Gesù però non si mette in competizione ma indica un Regno diverso, che appunto non è di questo mondo ma che tuttavia non ne è estraneo.
Gesù si proclama re, l’unico versetto dei Vangeli in cui lo dice apertamente, ma un Re che viene non per distruggere altri regni, ma per manifestare il potere unico e indistruttibile del Regno di Dio, in cui Giustizia e Pace si baceranno (secondo la profezia di Isaia ) e non saranno mai sopraffatte da alcun potere umano.
La relazione tra il Regno di Dio e le realtà di quaggiù deriva dal fatto che Gesù è venuto per manifestare a noi la potenza invincibile della misericordia divina e della giustizia divina; per questo egli accetta di farsi uccidere ingiustamente, per manifestare che la sua autorità è l’unica che può sopravanzare qualsiasi altra autorità e potere umano. Gesù è re dell’universo perché anche nel tempo, oltreché nello spazio, il suo amore abbraccerà tutti i cuori che vengono dalla verità, che cioè sono sinceramente animati dal desiderio di ciò che veramente dura in eterno, anche oltre la morte.
Si racconta che al termine del breve incontro di San Francesco col Sultano di Damietta in Egitto, Malek al- Kamel, questi abbia detto al Santo di Assisi: “prega per me che Dio mi riveli come meglio io lo debba servire”. Capiamo che coloro che vengono e che nascono col desiderio della verità, di ciò che è buono e giusto veramente, non disprezzeranno mai la voce di chi, vivendo del suo stesso spirito, parleranno in nome di Cristo.
Chi guida la nave?
TESTO (Mc 13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
COMMENTO
Scriveva un filosofo dell’800: “«La nave è in mano al cuoco di bordo. E ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani». Chissà cosa direbbe oggi questo pensatore! Senza andare tanto lontano ma fermandoci ad ascoltare i nostri vicini, parenti e amici, capiamo che non interessa andare a fondo nella comprensione di ciò che stiamo vivendo, della direzione che stiamo dando alla nostra vita, alla nostra società, e soprattutto della direzione che altri stanno dando al nostro tempo.
Proprio perché siamo interessati soprattutto a quello che si mangerà, non siamo attenti ai segni dei tempi, a quella pianta di fico il cui ramo tenero annuncia imminente l’estate. Ci è risparmiato indovinare quale sarà il giorno ultimo del giudizio finale in cui Cristo tornerà a giudicare i vivi e i morti, tanto più che neppure Gesù ha detto di conoscerlo; ma quanto meno in tanti eventi e situazioni riceviamo segni ben più eloquenti di un ramo di fico che preannuncia cambio di stagione; dovremmo avvertire la temporaneità e l’instabilità delle tradizionali certezze. Il grande gestore di fondi di investimento Soros diceva che per l’uomo ci sono solo due investimenti sicuri: il mattone e i figli, intendendo per mattone gli investimenti immobiliari. Ora neanche più la case sono sicure e provocano più tasse che profitti e neanche sui figli si investe. Su cosa stiamo investendo? In quale direzione conviene orientare la navigazione?
Siamo sempre molto connessi, molto informati su tutto, ma pochissimi e pochissimo si occupano di cogliere il senso degli eventi, e in quale direzione sta girando il vento. Papa Francesco ci ha detto che viviamo non un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento di epoca. Quale epoca ci lasciamo alle spalle, e verso quale epoca ci stiamo incamminando?
Ulisse era un navigatore che viaggiava su e giù per i mari ma aveva un’isola, Itaca, da cui era partito e alla quale voleva ritornare. Qual è la nostra origine , e dove vogliamo approdare. Gesù figlio di Dio ci rivela una paternità e a quella paternità ci vuole orientare perché in quel cuore troveremo finalmente pace, conforto e consolazione. Non sarà forse il caso di spegnere i megafoni di bordo e in un sobrio digiuno dal superfluo del mondo ritrovare la voce di quel Padre dei cieli che ci dice: “io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo!”. (Mt 28,20)
La vedova anti-borghese
TESTO ( Mc 12, 41-44)
In quel tempo, Gesù, seduto di fronte al tesoro [nel tempio], osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
COMMENTO
Soren Kierkegaard definiva borghese colui per il quale “il troppo e il troppo poco rovinano tutto”. Nell’accezione deteriore che ormai ha assunto, l’atteggiamento borghese è quello di chi non dice di “no” a niente ma neppure si coinvolge in niente, in una sorta di equilibrio che non è frutto di sapienza, ma del desiderio di non rischiare in nulla e in nessun modo.
Proprio il contrario di questa vedova, non anziana necessariamente e quindi poteva anche avere tanti anni ancora da vivere, la quale getta tutto ciò che aveva per vivere.
Forse sarà un caso ma l’evangelista ci specifica che aveva due spiccioli, e quindi poteva teoricamente fare “metà e metà”. La donna offre tutto a Dio, tutto quanto aveva per vivere. L'atto di offerta diventa ben più di un dare qualcosa, diviene l’offerta della propria vita, di tutta la sua esistenza.
Se si potesse tradurre in parole il pensiero della vedova e mettere una nuvoletta sopra la sua testa, come nei fumetti, potremmo leggervi: “Dio mio, non ho più niente, quel poco che ho è troppo poco per poter contare su di esso; prendi tutto, perché la mia vita è solo nelle tue mani”.
La tentazione dell’uomo ricco invece, che in questo caso sembra un atteggiamento compiuto, è quello di contare sulle proprie sostanze. In fondo quando si pensa di avere le proprie sicurezze, l’offrire qualcosa di proprio a Dio diventa più un atto devozionale e molto meno un atto esistenziale di affidamento.