giovedì 7 marzo 2024

Un morto che cammina?

  

Commento al vangelo della IV domenica di Quaresima, anno B – 10 marzo 2024
 

Il morto che cammina? (dead man walking)
 

Dal Vangelo secondo Giovanni (3,14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

 Commento

 Sembra che in alcuni penitenziari americani il passaggio del condannato a morte fosse accompagnato dal proclama “l’uomo morto che cammina”. La cosa è abbastanza macabra, e ancor più macabra è che tutt’ora esista la pena capitale in qualche angolo del mondo. Nel brano di vangelo di oggi Gesù spinge il nostro sguardo oltre la soglia della vita terrena, e ci invita piuttosto a prendere in seria considerazione il nostro destino finale.
Chi non vorrebbe vivere, felice, in eterno! Gesù ci offre una ricetta talmente semplice da essere trascurata, anche perché assolutamente a costo zero, e noi sappiamo che le cose “a costo zero” destano il sospetto di una fregatura. La ricetta, invece, è credere n lui, credere che lui, Gesù di Nazaret, è il volto di un Dio misericordioso, è il figlio di Dio mandato nel mondo per prendere su di sé le conseguenze nefaste di tutti i nostri peccati, quelle conseguenze che, se non fosse per la misericordia di Dio, noi stessi avremmo prodotto su di noi portandocele nei secoli dei secoli, e non certo provenienti da un Dio che castiga come talvolta ci hanno insegnato a dire in quell’orrendo atto di dolore. (…peccando ho meritato i tuoi castighi).
Gesù dice: “…bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.” E ancora aggiunge: “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

Allora deduciamo da questo brano, come da tanti altri passaggi della sacra Scrittura, che il Signore è signore della vita. La vita eterna è sì un premio, ma non da comprare o da meritare in senso proprio, ma da accogliere dalle mani di colui che è via, la verità e la vita, e che la dona a chi confida nel suo nome. 

Se ad una persona avvelenata venisse offerto un antidoto e se questi lo rifiutasse, di chi sarebbe la colpa? Se presumiamo di entrare nella vita eterna per meriti nostri, senza la grazia di Cristo, allora sì che saremmo veramente un morto che cammina! Propongo allora di acclamare spesso il nome di Gesù invocando la sua misericordia, soprattutto per non aver creduto al suo amore. 

E vi propongo di farlo con la più breve tra tutte le nove formule di “Atto di dolore” proposte nel Rito della Penitenza della Chiesa cattolica italiana: “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.