fra Damiano Angelucci da Fano ( OFM Capp): frate itinerante
domenica 29 dicembre 2013
Festa Santa Famiglia. 29 dicembre 2013
Vietato l'ingresso ai maggiori di …
TESTO ( Mt 2, 13-15; 19-23 )
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
COMMENTO
Lo sposo di Maria era un uomo che sognava spesso: stando al Vangelo di Matteo almeno in quattro occasioni: una prima volta un angelo gli "spiega" la gravidanza di Maria ( Mt 1,20), e poi i tre episodi del brano in questione.
Spesso nella Bibbia il sogno non è la sede dell'ir-razionalità, ma piuttosto della sovra-razionalità, un "luogo" in cui Dio si comunica e si lascia intravedere, un "luogo" che è imprendibile dai sensi della ragione , che appunto è al di là del definibile.
E' durante il sonno del primo uomo che Dio modella a partire dalla carne di lui la prima donna; è durante un sogno che Giacobbe intuisce la presenza di Dio nel luogo in cui si trovava. Per venire a fatti più recenti , è durante un sogno che i Magi sono avvertiti di non tornare da Erode a fargli il resoconto di ciò che avevano visto.
Per comprendere certe cose la ragione non basta! Le cose di Dio , certe ispirazioni che vengono dall'Alto possono essere colte solo con una percezione intima , sintetica , immediata , intuitiva.
Quello che avviene in un sogno in fondo è difficilmente spiegabile: rimane sempre qualcosa dai contorni sfumati, ne resta piuttosto una sensazione, come un sapore, una sorta di "retro gusto".
Giuseppe obbedisce a dei sogni, obbedisce alla voce di Dio che non gli chiede di capire, di cogliere una logica, ma di accogliere il Mistero che si fa strada e che per far questo ha bisogno della sua strada e dei suoi passi.
Giuseppe , uomo umile davanti a Dio e umile laddove la ragione umana vorrebbe de-finire, limitare i contorni di tutto, possedere le spiegazioni di tutto, comprendere le ragioni remote e i fini ultimi.
Giuseppe, uomo dell'abbandono . Abbandonarsi alle sorti e al destino di un bambino e di una " ragazza madre ". Un abbandono che fiorisce nel giardino della fede semplice e umile dei puri di cuore.
Le sorti del Regno del Dio hanno bisogno di una fede come quella di Maria e di Giuseppe, coppia inedita nella storia della Bibbia, coppia "capo-lavoro" della Grazia di Dio e dell'umiltà umana.
Potremmo domandarci all'infinito cosa ne sarebbe stato dei piani di Dio se la libertà di Maria o di Giuseppe avesse detto " NO ! "
Ma perché chiedersi gli infiniti modi con cui Dio ci avrebbe potuto salvare? La salvezza ha questo volto: l'umiltà di un bambino, scarrozzato a destra e a sinistra, come fosse un pacco, di Natale appunto.
Mi fa' pensare a tanti bambini in Bénin: sballottati dalle schiene delle loro mamme alla polvere delle loro dimore, e trasportati sulle moto poco meglio di un sacco, in due, tre, a volte anche in quattro.
Il racconto ci presenta Gesù in balia degli eventi, di una storia che sembra trascinarlo qua e là secondo il capriccio di un potente di turno. Ma sarà invece proprio Lui a cambiare la sorte degli eventi. Per capire il modo di operare di Dio bisogna essere piccoli come il piccolo Gesù, bisogna partire dal basso, bisogna accogliere questa storia , la mia , quella di questo frangente. Forse una storia che mi sta schiacciando, che mi fa' sentire naufrago anziché navigante, vagabondo anziché pellegrino, precario anziché confermato, una storia che mi attraversa senza lasciarsi vivere e decifrare.
Qui e adesso nasce il piccolo Gesù: nel momento in cui lo celebriamo come nel giorno in cui nacque a Nazareth. Gesù si fa' piccolo nel mio cuore, si fa' speranza concreta nel mio cuore, e che chiede di essere alimentata , cresciuta, custodita. Bisogna però essere piccoli come lui, lasciando che l'inevitabile ci sballotti qua e là; e chiudere gli occhi come Giuseppe, lasciandosi prendere per mano dalle nostre più intime e segrete ispirazioni. Tutto può cambiare, ma non per chi troppe volte ha l'abitudine dire " …ormai! ", per quelli che pensano che ci siano sempre e solo strade a senso unico con divieto di inversione.
Anche una vita banale può diventare bella. L'invito di Nazareth è a farsi piccoli , ad accettare quello che siamo e quello che abbiamo perché … chi avrebbe potuto immaginare che la Salvezza di tutto si rendesse presente in una stalla? Generalmente tra la paglia di una stalla si trova altro! In quella di Betlemme per noi c'è Tutto.
Per capire il sole sfolgorante di Pasqua e non lasciarsene abbagliare bisogna farsi familiari della piccola luce di Natale. Quella luce sarà troppo forte e imprendibile se non avremo preso dimestichezza con la piccola stella di Nazareth.
Auguri a tutti i " minorenni " del mondo.
Fra Damiano Angelucci da Fano.
venerdì 20 dicembre 2013
Commento Vangelo IV Dom di Avvento. 22 dic 2013
Ciò che non si osa sperare
Testo (Mt 1,18-25)
La nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo.
Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe e, prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe, suo marito, che era uomo giusto e non voleva esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente. 20 Ma mentre aveva queste cose nell'animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. 21 Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati».
22 Tutto ciò avvenne, affinché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
23 «La vergine sarà incinta e partorirà un figlio,
al quale sarà posto nome Emmanuele»,
che tradotto vuol dire: «Dio con noi».
24 Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie; 25 e non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio; e gli pose nome Gesù.
Commento
Giuseppe figlio di Davide, ma di una linea marginale della sua discendenza; Giuseppe forse sapeva di non avere più nel DNA familiare i presupposti per essere o per generare il profeta-messia atteso dai giudei come salvatore. Tuttavia , proprio laddove la nostra umanità non può arrivare , può giungere Dio con il suo potente amore, per compiere l’inattendibile e l’inimmaginabile. Il merito di Giuseppe? Aver capito che comunque Maria lo avrebbe reso felice, anche se non poteva immaginare come. Giuseppe non ha cercato una moglie della sua tribù, quella di Giuda, non si è preoccupato di custodire una discendenza adeguata alle sue radici, ma ha cercato le bellezza del cuore.
Non ci sono meriti umani nella salvezza di Dio, se non quello di cogliere i segni della sua presenza che lui sempre ci dà, con tutta l’umiltà che questo richiede. E la bellezza del cuore di Maria si è rivelata nel non cercare di salvare la faccia a tutti i costi, ma nell’abbandonarsi solamente alla volontà di Dio così come l’ha compresa nell’annuncio dell’angelo, accettando di sopportare il sospetto e la derisione degli uomini; il cuore di Maria e di Giuseppe è un cuore pulito che non cerca compromessi, né scorciatoie o toppe che a volte producono danni peggiori di quelli che vorrebbero riparare.
Dio ci ama e ci salva gratis ma entra dove trova porte aperte.
venerdì 13 dicembre 2013
Commento al Vangelo III Dom Avvento anno A; 15 dicembre 2013
Segni Credibili Di Gioia Nuova
TESTO ( Mt 11,2-11 )
2 Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: 3 «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». 4 Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: 5 I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, 6 e beato colui che non si scandalizza di me». 7 Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! 9 E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. 10 Egli è colui, del quale sta scritto:
Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero
che preparerà la tua via davanti a te.
11 In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
COMMENTO
La piena conoscenza della persona di Cristo rimane incolmabile anche per Giovanni Battista che pure lo aveva battezzato nelle acque del Giordano e al quale era stato rivelato: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt3,17).
Gesù è mistero, cioè evento umano che porta in sé il divino, per definizione incontenibile nella mente umana, tanto che solo quando Egli si sarà definitivamente manifestato “… lo vedremo così come egli è” (I Gv 3, 2). Per questo Gesù alla domanda di Giovanni: “ Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?», non può che rinviarlo alla lettura dei suoi gesti, delle sue guarigioni, di quei segni che da una parte confermano le attese dei profeti, e dall’altro proclamano la beatitudine di chi non si scandalizza di lui, di chi proprio come il Battista è disposto a pagare di persona la fedeltà alla verità.
La nostra esperienza di Cristo deve dunque avvenire primariamente non per una conoscenza intellettuale, concettuale , e neppure per un’osservanza di norme morali, ma in un incontro con la sua presenza nella storia: la contemplazione delle bellezze del creato, la vita di preghiera e sacramentale che ci comunicano la sua presenza di Grazia, la compassione di chi è fragile, debole, di tutti coloro la cui condizione marginale è stata scelta da Colui che “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” (cfr Fil 2,1-11).
Ricordiamo ciò che Benedetto XVI ha scritto e Papa Francesco ripreso nella sua recente Esortazione Apostolica: “«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». (Deus Caritas est, 1).
lunedì 9 dicembre 2013
Commento al Vangelo II Domenica di Avvento. 8 dicembre 2013
Una Grazia Non Meritata
TESTO ( Lc 1, 26 – 38 )
26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
COMMENTO
La seconda Domenica di Avvento cede il passo alla Solennità dell’Immacolata Concezione. Se il Vangelo di quella ci avrebbe posto dinanzi la figura di Giovanni Battista, uomo zelante e annunciatore zelante dell’inaugurazione del Regno di Dio, il Vangelo di questa Festa mariana ci propone a modello la persona di Maria, personaggio altrettanto forte e determinato, sebbene solo apparentemente più discreto.
Il Vangelo di Luca di fatto si apre con il racconto di due annunciazioni. La prima rivolta a Zaccaria, uomo giusto, che con sua moglie Elisabetta osservava irreprensibile la legge e le prescrizioni del Signore ( cfr Lc 1, 6 ) e che stava officiando nel tempio del Signore, luogo sacro per eccellenza. La seconda rivolta a Maria, promessa sposa di uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, che viveva in una regione crocevia di diverse etnie e quindi abitata da molti pagani.
Zaccaria esita e dubita che il Signore possa esaudire ciò che tuttavia lui e sua moglie ormai da tempo avevano chiesto: il dono di un figlio. Maria non esita a credere al dono di un figlio dono dello Spirito, non solo impossibile sul piano della natura dato che non conosceva uomo, ma anche inatteso e oltre le sue aspettative. Nei due contesti così diversi e per certi versi opposti, dove la giustizia umana si confronta alla semplicità della vita umile e nascosta di Maria di Nazareth, contempliamo l’assoluto primato della grazia divina, perché “nulla è impossibile a Dio”.
Per Maria la pienezza di benevolenza divina rende possibile ciò che all’uomo resta incomprensibile, il dono di una maternità verginale, e quindi non ricercata, che diventa maternità universale e di ogni creatura perché nel suo figlio Gesù tutti gli uomini sono rigenerati a vita nuova. Tutto questo passa per il suo assenso libero, illuminato certo dalla grazia e tuttavia profondamente umano perché la grazia del Signore non annulla né limita la libertà dell’uomo ma anzi la rende possibile. Allo stesso tempo non sarà certo l’umiltà a meritarci la grazia perché questa precede sempre ogni merito e giustizia umana, ma piuttosto l’assenso dell’uomo rende possibile la sua piena manifestazione e soprattutto la realizzazione dei suoi doni. Sant’Agostino ebbe a dire a tal riguardo: “cerca la virtù, cerca il merito; non troverai altro che la grazia”.
Per questo anche per noi dovrebbe valere l’invito a credere alle “impossibili” possibilità di Dio, certi che nell’umile servizio quotidiano della nostra carità potranno rivelarsi doni al momento impensabili.
TESTO ( Lc 1, 26 – 38 )
26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
COMMENTO
La seconda Domenica di Avvento cede il passo alla Solennità dell’Immacolata Concezione. Se il Vangelo di quella ci avrebbe posto dinanzi la figura di Giovanni Battista, uomo zelante e annunciatore zelante dell’inaugurazione del Regno di Dio, il Vangelo di questa Festa mariana ci propone a modello la persona di Maria, personaggio altrettanto forte e determinato, sebbene solo apparentemente più discreto.
Il Vangelo di Luca di fatto si apre con il racconto di due annunciazioni. La prima rivolta a Zaccaria, uomo giusto, che con sua moglie Elisabetta osservava irreprensibile la legge e le prescrizioni del Signore ( cfr Lc 1, 6 ) e che stava officiando nel tempio del Signore, luogo sacro per eccellenza. La seconda rivolta a Maria, promessa sposa di uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, che viveva in una regione crocevia di diverse etnie e quindi abitata da molti pagani.
Zaccaria esita e dubita che il Signore possa esaudire ciò che tuttavia lui e sua moglie ormai da tempo avevano chiesto: il dono di un figlio. Maria non esita a credere al dono di un figlio dono dello Spirito, non solo impossibile sul piano della natura dato che non conosceva uomo, ma anche inatteso e oltre le sue aspettative. Nei due contesti così diversi e per certi versi opposti, dove la giustizia umana si confronta alla semplicità della vita umile e nascosta di Maria di Nazareth, contempliamo l’assoluto primato della grazia divina, perché “nulla è impossibile a Dio”.
Per Maria la pienezza di benevolenza divina rende possibile ciò che all’uomo resta incomprensibile, il dono di una maternità verginale, e quindi non ricercata, che diventa maternità universale e di ogni creatura perché nel suo figlio Gesù tutti gli uomini sono rigenerati a vita nuova. Tutto questo passa per il suo assenso libero, illuminato certo dalla grazia e tuttavia profondamente umano perché la grazia del Signore non annulla né limita la libertà dell’uomo ma anzi la rende possibile. Allo stesso tempo non sarà certo l’umiltà a meritarci la grazia perché questa precede sempre ogni merito e giustizia umana, ma piuttosto l’assenso dell’uomo rende possibile la sua piena manifestazione e soprattutto la realizzazione dei suoi doni. Sant’Agostino ebbe a dire a tal riguardo: “cerca la virtù, cerca il merito; non troverai altro che la grazia”.
Per questo anche per noi dovrebbe valere l’invito a credere alle “impossibili” possibilità di Dio, certi che nell’umile servizio quotidiano della nostra carità potranno rivelarsi doni al momento impensabili.
sabato 30 novembre 2013
Commento Vangelo I Dom Avvento anno A. 1 dicembre 2013
La Grazia pegno della Gloria
TESTO (Mt 24, 37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
COMMENTO
Decisamente una buona notizia. Ci viene risparmiata la fatica di dover prevedere il momento del ritorno del Signore. Gesù dà un appuntamento piuttosto vago, apparentemente un "non appuntamento": " a l'ora che non pensate il Figlio dell'uomo verrà".
Il Figlio dell'uomo è Gesù stesso nella veste di giudice ( misericordioso ) e non ce lo dice per incutere paura ma per prepararci a quello che necessariamente dovrà avvenire quando , secondo la profezia di Daniele, uno “simile a Figlio dell'uomo” ( cfr Dan 7,13-14 ) comparirà sulle nubi e a lui verranno affidati potere , regno e gloria.
Gesù in realtà non abbandona mai la storia dell’uomo. Egli è sempre con noi così come ha promesso: " Io sono con voi fino alla fine del mondo" ( Mt 28,20) . Non ci inganni il fatto che Gesù parli del suo secondo Avvento come se ci fosse una partenza e poi un ritorno, perché Egli vuole semplicemente dire che da dopo l'Ascensione continua a camminare con noi , ad essere presente con il suo Spirito e che solo alla fine di questa nostra storia tornerà ad essere visibile a tutti come alla prima venuta. Questa volta però il suo rendersi visibile non sarà più nell'umiltà di una condizione umana sofferente e oltraggiata come due mila anni fa', ma nella luce splendente, gloriosa della sua divinità, per giudicare i vivi e i morti e per ricapitolare tutta la storia nelle sue mani ( misericordiose ).
Prima dell'incarnazione potremmo dire che la storia ha seguito una linea orizzontale, una fase di sviluppo, di progressione in avanti verso il punto culminante del suo corso, la venuta del Messia appunto. Alla sua prima venuta Cristo ha compiuto tutta l'Opera della nostra redenzione, in modo perfetto, totale, ma inaugurale; infatti noi uomini siamo si salvi, ma al momento solo nella speranza.
Dopo l’evento pasquale la storia continua il suo corso, ma questa volta verso l'Alto. Se prima era la fase dello sviluppo, ora siamo nella fase della ricapitolazione. Stiamo vivendo la ricapitolazione finale e ognuno di noi ha la possibilità e la responsabilità di accogliere e quindi completare nella propria vita ( cfr Col 1,24) l'opera della redenzione realizzata da Cristo. Se necessario fino alla croce. Dunque il Signore è venuto nella carne, viene ogni momento nella Grazia, e verrà nell’ultimo giorno nella Gloria.
Ne deriva che l’atteggiamento a cui siamo richiamati è quello della sobrietà, della vigilanza continua, della veglia del cuore, per poter corrispondere alla sua Grazia in ogni momento, sia che siamo nel campo sia che maciniamo alla mola. Questa attesa operosa è il cammino della santità così ben delineato nelle parole di San J.M. Escrivà:
Ma non dimenticate che santi non si nasce: il santo si forgia nel continuo gioco della grazia divina e della corrispondenza umana (…). Pertanto ti dico che, se vuoi comportarti da cristiano coerente (…) devi mettere una cura estrema nei particolari più minuti, perché la santità che il Signore esige da te si ottiene compiendo con amore di Dio il lavoro, i doveri di ogni giorno, che quasi sempre sono un tessuto di cose piccole.
(Amici di Dio, 7)
venerdì 22 novembre 2013
Commento al vangelo della Domenica di Cristo Re. 24 novembre 2013
Roma o Gerusalemme?
TESTO ( Lc 23, 35-43 )
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
COMMENTO
Che ha a che fare Roma con Gerusalemme, il regno con la croce? Che ha a che fare Atene con Gerusalemme, la sapienza umana con la sapienza della croce? Tutti chiedono a Gesù di mostrare la sua forza, la sua divinità. Dopo tutto non ha forse dato segni eclatanti dei suoi poteri soprannaturali, arrivando perfino a resuscitare i morti? I capi religiosi, i militari, un condannato, sembrano essere i rappresentanti di situazioni di vita che reclamano da Gesù la dimostrazione di quello che Lui ha detto di essere. Così è quando una religiosità affrettata e superficiale, la voglia di potere e il dolore della sofferenza reclamano da Dio una soluzione immediata e pronta. Gesù tace, ma promette il paradiso a chi con fede si affida a Lui. Proprio in questo momento in cui si gioca il suo destino, Gesù non comanda alle potenze della natura o del Cielo, perché il suo destino è nelle mani del Padre e Lui per primo vi si abbandona. Gesù si abbandona al suo destino e porta con sé in questo itinerario di abbandono e di vera liberazione anche il ladrone pentito che , dirà qualcuno, ladro fino all’ultimo arriva perfino a rubare nell’ultimo istante “il paradiso”.
Gesù non domina. Gesù governa. Egli non è venuto per esercitare un dominio sul creato e sugli uomini ma piuttosto per governarli alla meta, alla pienezza del Regno dei Cieli. Non è venuto per rivendicare e denunciare i delitti di “lesa maestà” ma anzi per farsi carico della nostra debole umanità e per ri-orientarla alla sua fontale armonia, a Dio Padre. Chi ha una qualche autorità sugli uomini e non conosce le debolezze e i limiti del suo prossimo può solo dominare e comandare. Chi oltre all’autorità conosce il cuore dell’uomo con le sue ferite, sa quello che chiede perché lo ha sperimentato, e allora condurrà , governerà il suo popolo dandogli l’esempio, aprendo la porta del Regno di Dio con la sua croce, e entrandovi Lui per primo.
venerdì 15 novembre 2013
Commento al Vangelo XXXIII Dom TO anno C. 17 novembre 2013
Croce ® ( marchio registrato )
TESTO ( Lc 21,5-19 )
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare.
Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
COMMENTO
Credevo che l’Italia fosse un ottimo esempio di “ regno del tarocco ” . Andando in Benin mi son dovuto ricredere perché laggiù nella vicina Nigeria son capaci di imitare, o meglio ci provano, qualsiasi prodotto di marca. Dico ci provano perché poi sulla distanza ti accorgi che anche le migliori imitazioni non durano nulla; ma questo non importa poi tanto al medio consumatore africano che si accontenta di attirare un po’ di attenzione sulla sua T-shirt di “Dolce e Gabbana” o sulla sua “Laqoste”, scritto (con la q di quadro).
Esiste il tarocco e la contraffazione anche del nome di Cristo e Gesù ce ne mette in guardia. “Verranno nel mio nome dicendo ‘sono io’… non andate dietro a loro”. Quanto è vero che nel corso dei secoli il nome di Gesù è stato manipolato, strumentalizzato, strapazzato, girato e rigirato per gli intenti più bassi e di palese auto esaltazione! Con il nome di Cristo sulla bocca c’è chi ha fatto (e sta facendo) carriera in politica, negli affari o nel quartiere.
Qual è allora il test di verità dell’autentico discepolo di Cristo? Il trucco per distinguere l’originale dalle imitazioni? Chi ha il copyright del nome di Cristo? Gesù stesso indirettamente fornisce il criterio guida: la capacità di sopportare tradimento e persecuzione, ingiuste accuse e morte; la capacità di sopportare e perseverare. Colui che sa portare la croce e non cerca il successo delle folle, colui che sa sopportare infermità e tribolazione, come dice Francesco d’Assisi nel Cantico di frate Sole. Questi sono gli uomini capaci di annunciare la fragilità dei valori mondani del successo, del potere, della bellezza esteriore, perché cose destinate tutte a finire. Come il tempio di Gerusalemme che attirava tanto l’ammirazione dei giudei del tempo e che effettivamente doveva essere di uno splendore quasi unico.
Tutto passa perché tutto è incamminato verso il nuovo mondo, quello a cui ci vuole traghettare con la sua croce il Signore nostro Cristo Gesù. La sua croce è la sola via d’accesso ai cieli nuovi e alla terra nuova e la denuncia che non vale la pena fare compromessi con chi offre solo prospettive di corto respiro. Ma proprio San Francesco ha portato nella sua carne quel marchio di autenticità di una vera esperienza cristiana: le sue stimmate sono come una firma di autentificazione da parte dell’autore che ha riconosciuto nel suo servo un esemplare conforme all’originale.
lunedì 11 novembre 2013
Commento al Vangelo XXXII Dom TO anno C. 10 novembre 2013
POLIGAMI IN PARADISO?
TESTO ( Lc 20,27-38 )
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
COMMENTO
I sadducei del tempo di Gesù non erano poi così diversi da tanti nostri cristiani: convinti si della fedeltà delle promesse di Dio riguardo un’era di pace e di giustizia, e di vittoria definitiva sul male e sulla morte, ma molto perplessi per non dire scettici sulla resurrezione dei corpi.
Tuttavia, come potrebbe il Signore averci donato un corpo con i suoi cinque sensi senza poi farlo partecipare al suo progetto di salvezza? Come potrebbe la gioia del paradiso, alla resurrezione dei giusti, essere completa e piena se non fosse vissuta anche nella nostra corporeità? Immaginiamoci di partecipare ad un concerto o ad una partita di calcio ove ci venisse richiesto di tacere, di non battere le mani, e di non alzarci in piedi, nemmeno in caso di goal; forse non varrebbe nemmeno la pena prendervi parte o comunque non sarebbe un coinvolgimento pieno e soddisfacente nell’evento.
La visione e la presenza di Cristo glorioso invece sazierà tutte le nostre aspirazioni di bene, di vita bella e tutti i nostri più profondi bisogni di affetto. Ecco perché pur continuando ad essere uomini, cioè esseri corporeo-spirituali, la nuzialità non sarà necessaria: proprio perché immersa nella realtà dell'Amore che è Dio stesso di cui essa era segno e anticipazione.
lunedì 4 novembre 2013
Commento al Vangelo della XXXI Dom TO anno C. 3 novembre 2013
ACCOGLIERE PER DONARE
TESTO (Lc 19,1-10)
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
COMMENTO
La salvezza ha per noi il volto e il nome di Gesù di Nazareth: il Figlio dell’uomo, come spesso amava lui stesso definirsi, che è venuto a ritrovare ciò che era smarrito e perduto. In questo uomo e in nessun altro è data la via d’uscita da un sistema di rapporti basati sul potere, sulla forza contrattuale, sullo stretto legame di reciprocità “faccio per ottenere”.
Noi possiamo e dobbiamo metterci nei panni del piccolo Zaccheo che si arrampica dove può alla ricerca di Gesù con quella sua piccolezza che diventa benedetta e provvidenziale, dal momento che lo spinge ad andare più alto degli altri e gli permette di incrociare lo sguardo del Maestro.
Tuttavia se la salvezza è già entrata nella nostra casa, cioè nella nostra vita, possiamo e dobbiamo dismettere i panni di Zaccheo e rivestirci di quelli di Gesù per interpretare noi la sua missione di recupero di tanta umanità perduta, smarrita e quindi triste. Papa Francesco ce lo sta dicendo spesso: dobbiamo uscire, andare fuori, verso le periferie. Se questo non deve restare uno slogan vuoto di contenuto, dopo aver accolto la Parola di Dio nel nostro cuore e rivestiti dei suoi stessi sentimenti di umiltà, andiamo fisicamente a trovare tanti conoscenti che sono profondamente disperati, che non hanno più il gusto di vivere; portiamo loro un po’ della gioia di aver accolto la salvezza in casa nostra.
giovedì 31 ottobre 2013
Solennità di TUTTI I SANTI. 1 novembre 2013
PARTIRE DAL(LA) FINE
TESTO (Mt 5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
COMMENTO
Propongo una lettura alla rovescia di tutta la Bibbia, dall’Apocalisse alla Genesi, così da stupirsi dapprima della meravigliosa bellezza della Gerusalemme celeste per arrivare alle testimonianze della resurrezione di Cristo fatte dai pilastri della Chiesa, passando per i Vangeli dove si narra la stupenda vittoria di Gesù sul male e sulla morte, per arrivare alle origini della nostra caduta e della creazione. Così la smetteremmo di scandalizzarci della sofferenza, della cattiveria e del male degli uomini, e tutte queste tristi realtà sarebbero illuminate dalla gloria futura che ci attende e dalla definitiva vittoria di Cristo, vittoria che sarà anche la nostra e di tutti i santi.
Un modo diverso di porsi domande che non sia sempre quello che si blocca allo scandalo del dolore innocente chiedendosi il perché di tanta sofferenza conseguenza della caduta originale, ma che parta dalla bellezza della vittoria di Cristo, dal profumo del suo e nostro destino , dal fascino di quello che ci aspetta, passato tutto e dopo aver sopportato tutto. Questo tutto che sta nel mezzo diventerebbe molto più soave e ci farebbe esclamare come a Sant’Agostino: “Felice colpa che ci meritò un così grande Redentore”.
sabato 26 ottobre 2013
Commento al Vangelo XXX Dom TO anno C. 27 ottobre 2013
Fissando il Signore
TESTO (Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
COMMENTO
Lo spirito di competizione e di arrivismo inquina i rapporti umani e a volte anche quelli spirituali, perché ci porta a fare la gara sull’altro anziché sul traguardo da raggiungere. La meta del nostro pellegrinaggio è l’incontro con il Signore e già possiamo in anticipo assaporarla se apriamo la nostra coscienza alla sua legge di amore, alla sua Parola, alla pratica sincera dei suoi comandamenti. Ecco, dovremmo fare la gara su di lui, capendo quanto mi manca al traguardo; perché così facendo avremo sempre qualche lacuna da colmare e troveremo nella sua misericordia il necessario per restare al passo e confidare serenamente nel raggiungimento della meta.
Invece spesso facciamo come il fariseo che non pensa al traguardo ma semplicemente a stare davanti all’avversario. E il suo cuore è chiuso davanti ai tesori di Grazia del Signore perché il suo dire grazie è sterile , vuoto, senza contenuto. Certo, lui dice “O Dio, ti ringrazio … ” ma poi fa l’elenco delle cose che lui stesso è capace di fare e delle cose sbagliate che altri fanno e che lui non fa. Non riconosce che la sua giustizia viene da Dio e che da lui ha imparato la via del bene, ma al contrario attribuisce a se stesso ogni sua opera buona.
sabato 19 ottobre 2013
Commento al Vangelo XXIX Dom TO anno C. 20 ottobre 2013
ABBI FEDE, E METTICI IL GATTO
TESTO (Lc 18, 1-8)
Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: "Rendimi giustizia sul mio avversario". Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: "Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa"». Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»
COMMENTO
Si dice che anni fa’ un nostro confratello fu invitato da un contadino a benedire la sua stalla perché era infestata da topi. Il mite confratello invocò la benedizione del Signore con un apposito formulario che una volta esisteva per questo e altri problemi simili della vita di campagna. Terminata la benedizione il contadino esitante chiese al frate: “Padre, funzionerà?” E il frate prontamente rispose: “Ma fratello, abbi fede! E mettici il gatto”.
La vedova della parabola è l’immagine di una persona priva di ogni potere, forza o strumento di convincimento; tuttavia ella mette in opera tutto quello che può fare e chiede giustizia con insistenza, fino a importunare il giudice.
Gesù ci dice: se il giudice iniquo fa giustizia a colei che la importuna, quanto più Dio che è sommamente buono non farà giustizia a tutti noi? La forza della preghiera è misteriosa ma potente, sposta le montagne della nostra indifferenza e delle nostre paure. Stranamente è una forza che più si usa e più si rigenera.
TESTO (Lc 18, 1-8)
Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: "Rendimi giustizia sul mio avversario". Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: "Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa"». Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»
COMMENTO
Si dice che anni fa’ un nostro confratello fu invitato da un contadino a benedire la sua stalla perché era infestata da topi. Il mite confratello invocò la benedizione del Signore con un apposito formulario che una volta esisteva per questo e altri problemi simili della vita di campagna. Terminata la benedizione il contadino esitante chiese al frate: “Padre, funzionerà?” E il frate prontamente rispose: “Ma fratello, abbi fede! E mettici il gatto”.
La vedova della parabola è l’immagine di una persona priva di ogni potere, forza o strumento di convincimento; tuttavia ella mette in opera tutto quello che può fare e chiede giustizia con insistenza, fino a importunare il giudice.
Gesù ci dice: se il giudice iniquo fa giustizia a colei che la importuna, quanto più Dio che è sommamente buono non farà giustizia a tutti noi? La forza della preghiera è misteriosa ma potente, sposta le montagne della nostra indifferenza e delle nostre paure. Stranamente è una forza che più si usa e più si rigenera.
sabato 12 ottobre 2013
Commento Vangelo XXVIII Dom TO anno C. 13 0ttobre 2013
Vivere nel ringraziamento
Testo ( Lc 17,11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».
Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
COMMENTO
Se dovessimo fare un titolo di giornale con il suo stile sintetico, lapidario e che invogli alla lettura, potremmo scrivere: “dieci guariti, un solo superstite”. Oppure, a voler calcare un po’ più la mano: “La lebbra dell’ingratitudine”.
Gesù non si presenta come un guaritore dei giorni nostri ma come un Salvatore, come uno che ci salva dalla morte eterna perché ci salva dalla radice che l’ha provocata: il peccato e il male.
Purtroppo uno solo di questi dieci intuisce la portata divina della guarigione apportata da Gesù, mentre gli altri si fermano al dato fisico, immediato. Diciamo che si accontentano di molto poco, delle briciole, di una guarigione che non li salverà dalla malattia irreversibile della chiusura alla Grazia di Dio personificata da Gesù di Nazareth.
Il samaritano invece torna da Gesù a rendergli lode e grazie perché ha riconosciuto che in quest’uomo c’è qualcosa di grande, ben più grande della ritrovata salute. Gesù è la fonte di ogni Grazia, di ogni misericordia. Possiamo sperimentarlo anche noi ogni giorno: il dono ricevuto è cosa bella che gratifica sempre, ma la gratitudine salva perché apre il cuore alla risposta, al riconoscimento che tutto ci viene donato, che da soli non siamo nulla e che tutto riceviamo. E di qui, lungo questo cammino, possiamo risalire alla fonte e ad arrivare a dire come San Francesco d’Assisi: “Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende […] Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore”
Testo ( Lc 17,11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».
Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
COMMENTO
Se dovessimo fare un titolo di giornale con il suo stile sintetico, lapidario e che invogli alla lettura, potremmo scrivere: “dieci guariti, un solo superstite”. Oppure, a voler calcare un po’ più la mano: “La lebbra dell’ingratitudine”.
Gesù non si presenta come un guaritore dei giorni nostri ma come un Salvatore, come uno che ci salva dalla morte eterna perché ci salva dalla radice che l’ha provocata: il peccato e il male.
Purtroppo uno solo di questi dieci intuisce la portata divina della guarigione apportata da Gesù, mentre gli altri si fermano al dato fisico, immediato. Diciamo che si accontentano di molto poco, delle briciole, di una guarigione che non li salverà dalla malattia irreversibile della chiusura alla Grazia di Dio personificata da Gesù di Nazareth.
Il samaritano invece torna da Gesù a rendergli lode e grazie perché ha riconosciuto che in quest’uomo c’è qualcosa di grande, ben più grande della ritrovata salute. Gesù è la fonte di ogni Grazia, di ogni misericordia. Possiamo sperimentarlo anche noi ogni giorno: il dono ricevuto è cosa bella che gratifica sempre, ma la gratitudine salva perché apre il cuore alla risposta, al riconoscimento che tutto ci viene donato, che da soli non siamo nulla e che tutto riceviamo. E di qui, lungo questo cammino, possiamo risalire alla fonte e ad arrivare a dire come San Francesco d’Assisi: “Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende […] Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore”
domenica 6 ottobre 2013
Commento al Vangelo XXVII Domenica TO anno C. 6 ottobre 2013
VOLARE ALTO
TESTO (Lc 17,5-10)
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
COMMENTO
Di fede non ce n’è mai abbastanza, perché ci si sente sempre un po’ allo scoperto quando l’imprevisto sorprende o quando il dolore che non aspetteresti ti prende il cuore. Un filosofo del secolo scorso, Bergson, diceva che occorrerebbe un “supplemento d’anima”: potremmo dire che a volte sentiamo la mancanza di quel di più che porti il nostro cuore più in alto per scorgere prospettive ancora ignote, o per arrivare ad intuire la destinazione della strada che stiamo percorrendo.
In realtà capiamo che non servirebbe a nulla sradicare un gelso da terra e piantarlo in mare ma che sarebbe molto più utile sradicare dalle nostre coscienze il peso dei rancori e delle offese non perdonate, l’amarezza dell’affetto non ricambiato e quell’incredulità che impedisce di volare alto e di guardare lontano.
Anche noi come gli apostoli chiediamo al Signore: dacci un supplemento d’anima, “accresci in noi la fede”!
domenica 29 settembre 2013
Commento al Vangelo XXVI Dom TO Anno C. 29 sett 2013
LA GINNASTICA DEL CUORE
TESTO ( Lc 16, 19 – 31 )
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
COMMENTO
La Beata Teresa di Calcutta diceva di essere scandalizzata non tanto dall’esistenza dei poveri quanto dallo spreco dei ricchi. La storia-parabola che Gesù ci racconta mette l’attenzione su un pericolo molto concreto legato al possesso dei beni: la cecità della coscienza. Quest’uomo ricco non mancava di nulla tranne che della cosa più importante, cioè della sensibilità del cuore, della capacità di accorgersi che qualcuno davanti alla sua porta si sarebbe accontentato anche solo delle sue briciole, tanto era indigente. Il ricco ha ormai un cuore intorpidito e sclerotizzato dalla cupidigia del godimento immediato.
Non dobbiamo attendere che qualcuno bussi alla nostra porta per farci prossimi ma dobbiamo essere noi ad essere sempre vigilanti nella sobrietà del cuore e della vita in generale. Affidarsi alla fugace soddisfazione di ciò che passa ci impedisce di vedere il volto di Gesù nel bisognoso, e questo ci chiude in modo definitivo le porte della salvezza.
sabato 21 settembre 2013
Commento al Vangelo XXV Dom TO anno C. 22 settembre 2013
DISONESTI PER IL REGNO DEI CIELI
TESTO ( Lc 16,1-13)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
COMMENTO
Poteva andare diversamente ma in noi uomini di fatto si è infiltrato un germe di disonestà nel modo di amministare i tantissimi doni che il Signore ci ha fatto, primo tra tutti la vita, e ci ritroviamo così incapaci di corrispondere a così tanta Grazia ricevuta. La parabola raccontata da Gesù è molto realista , parte dalla nostra situazione di umanità ferita, fotografa quell’umanità che aveva davanti agli occhi: naturalmente bella ma ferita a morte dal peccato dell’egoismo e della ribellione.
Quale è il paradosso in tutto ciò? Direi proprio l’invito ad andare fino in fondo nella nostra disonestà e nella nostra infedeltà, donando il più possibile i tesori che amministriamo per conto del padrone ai nostri fratelli, a quelli che come noi sono debitori verso il “Padrone”.
L’elogio fatto dal padrone al suo amministratore infedele è assolutamente paradossale, ma proprio qui si trova il trucco narrativo di Gesù, il suo voler racchiudere le perle del suo insegnamento in aspetti che stupiscono la logica comune. Continuare ad essere disonesti, a dar via le ricchezze del Padrone, privilegiando tuttavia i fratelli perché siano proprio questi ad accoglierlo quando si resterà senza nulla.
Anche noi un giorno ci troveremo spogli di tutto, nudi dinanzi al giudizio di Dio, ricchi solamente di ciò che avremo donato agli altri. Ecco allora che il Signore di ogni Grazia ci affiderà la ricchezza vera, quella che dura per la vita eterna, e come si dice nel rito delle esequie saranno proprio i beneficiari della nostra generosità (con la ricchezza altrui) ad accoglierci alle porte del Paradiso.
sabato 14 settembre 2013
Commento al Vangelo XXIV Dom TO anno C; 15 settembre 2013.
LA VERA EREDITA’
TESTO ( Lc 15, 1 – 32 )
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare.
Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
COMMENTO
… Eppure il Padre ha lasciato qualcosa di infinitamente grande in eredità al figlio minore, qualcosa di molto più decisivo e importante della parte di patrimonio che tuttavia non ha avuto remore nello spartire e distribuire: la memoria di un’esperienza di tenerezza e di comunione che aveva il sapore del Cielo e la fragranza delle cose di Dio.
Il figlio minore “ … allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te”. Aveva dilapidato tutto, tutto il suo patrimonio, la sua dignità, i suoi privilegi, ma ciò che rimaneva in lui valeva più di tutte le altre e cioè la consapevolezza di essere desiderato, atteso, la certezza che il Padre, nella peggiore delle ipotesi, non lo avrebbe trattato peggio dei suoi salariati. Ecco allora che si mette in cammino, perché la vergogna e l’umiliazione dell’essere stato battuto dalla vita e dalle proprie illusioni sono sconfitte a loro volta dall’unico possesso rimastogli , cioè la certezza del trovare accoglienza.
La parabola di Gesù poi continua mettendoci dinanzi gli occhi la realtà dell’amore paterno di Dio che ci stupisce perché va ben oltre le nostre aspettative. Tuttavia varrebbe la pena di meditare ancora a lungo su questo figlio minore che rappresenta le numerose esperienze di uscita e di ritorno che noi facciamo rispetto alla tenerezza di Dio Padre, e su quel filo sottile che nei nostri cammini di allontanamento ci permetterà sempre di fare marcia indietro che è rappresentato dalla certezza che lassù qualcuno ci ama e ci amerà sempre, nell’attesa di un ritorno e di un ritorno anzitutto in me stesso, fino a toccare il più profondo dei desideri, il desiderio di essere desiderati, cercati e amati.
Anche noi, se abbiamo fatto esperienza dell’amore di Dio Padre, dobbiamo farcene trasmettitori verso i nostri figli. Malgrado le nostre più grandi attenzioni di educatori, questi potranno sprecare la loro vita, fare le esperienze più disastrose con le relative conseguenze, ma non dovranno mai perdere la certezza di poter essere un giorno ri-accolti, e questo può avvenire solamente se avremo saputo trasmettergli, fosse anche una volta sola, la certezza di essere amati.
Tale certezza è il vero cordone ombelicale che non sarà mai reciso, il cordone della vita che lascia liberi e che fa sempre crescere, che ci trasmette la vita divina , e che il figlio maggiore della parabola non si è ancora accorto di avere.
sabato 7 settembre 2013
Commento al Vangelo XXIII Dom TO Anno C; 8 sett 2013.
LE BUONE DISPOSIZIONI DEL CERCATORE
TESTO ( Lc 14, 25-33 )
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
COMMENTO
Non aveva odio nel cuore Francesco d’Assisi quando spogliandosi nudo di fronte al Vescovo per ridare le vesti al padre proclamò solennemente: “d’ora in poi non dirò più Padre Pietro di Bernardone ma Padre nostro che sei nei cieli…”. La sua fu una scelta di gerarchie di valori , di ordine da istaurare nelle cose della vita, di un nuovo modo di relazionarsi con le persone e le cose del mondo a partire da un incontro personale e coinvolgente col Cristo Gesù, rivelatore dell’amore di Dio Padre.
L’amore di Cristo non porta al disprezzo, né degli affetti, né del creato, neppure del denaro che è pur necessario per acquisire l’essenziale per vivere; resta il fatto che esso non rende possibile la convivenza con altro che gli resti al pari perché esso è la fonte rigeneratrice della vita stessa.
Tuttavia nel Vangelo di oggi c’è qualcosa di più. Non solo il Signore chiede a chi lo ha conosciuto di essere al primo posto nella gerarchia dei valori esistenziali per poter donare la sua gioia, ma già solo per incamminarsi su questo itinerario di scoperta e discepolato è richiesto di metter tutto da parte e di disporsi a qualsiasi rinuncia che si dovesse rendere necessaria.
La scelta di essere discepolo di Cristo e di mettersi alla sua scuola comporta certo un’adesione di partenza dell'intelletto e del cuore, la quale però rivelerà la sua concretezza nel fare scelte forti, nel liberarsi da tanti pesi che ritardano il cammino, o che addirittura lo impediscono. Chi non ha questa libertà interiore resterà al palo, la sua scelta cristiana sarà senza fiato, senza esiti.
Saremmo disposti a dire come dice Charles De Foucauld “Padre mio, io mi abbandono a Te, fa' di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature: non desidero nient'altro, mio Dio…”?
Se non lo fossimo poco senso avrebbe continuare a pregare "padre nostro che sei nei cieli ... sia fatta la tua volontà"
mercoledì 21 agosto 2013
Commento al Vangelo XXI Dom TO anno C. 25 agosto 2013
…PER SCELTA, NON PER CASO
TESTO
+ Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,22-30)
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
COMMENTO
Pochi o molti, per il Signore quelli che non entreranno nel Regno dei cieli saranno sempre molti. Troppi!
Per un cuore di Padre la sola idea che alcuni dei propri figli non arrivino a comprendere la pazzia dell’amore con cui sono stati amati e salvati è una follia, una follia di dolore e di pena. Non serve conoscere le percentuali di ammissione al mega-concorso per il Paradiso, conoscendo quanti saranno i beati sul totale dei concorrenti; non serve perché il termine di confronto non sono gli altri, ma solo la persona di Cristo.
Non dobbiamo fare la gara sul primo dei non ammessi cercando di tenere la distanza sul plotone degli esclusi, quanto piuttosto fissare lo sguardo del cuore su Colui che ci da la vittoria.
E’ vero: la porta è stretta, ma lo è perché ha l’ampiezza limitata della larghezza della croce; lo è perché non ci si entra per sbaglio o per caso ma perché si sceglie di entrare in relazione intima con Gesù. Cosa serve mangiare e cenare in sua presenza, ascoltare i suoi insegnamenti se poi non ci lasciamo riconoscere dal suo amore? Se non ci lasciamo coinvolgere nella sua persona, entrando nella sua relazione di abbandono nelle mani del Padre, e nella sua relazione di dono totale per i fratelli?
venerdì 16 agosto 2013
Commento Vangelo XX Dom TO anno C. 18 agosto 2013.
Divisioni che uniscono
TESTO ( Lc 12, 49 – 53 )
49 «Io sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto desidero che fosse già acceso. 50 Ora io ho un battesimo di cui devo essere battezzato, e come sono angustiato finché non sia compiuto. 51 Pensate voi che sia venuto a mettere pace sulla terra? No, vi dico, ma piuttosto divisione; 52 perché, d'ora in avanti, cinque persone in una casa saranno divise; tre contro due e due contro tre. 53 Il padre sarà diviso contro il figlio e il figlio contro il padre; la madre contro la figlia e la figlia contro la madre; la suocera contro la sua nuora e la nuora contro la sua suocera».
COMMENTO
Fuoco, battesimo, divisione: tre parole concatenate, che si arricchiscono di senso l’una con l’altra. Il fuoco che Gesù è venuto a “gettare” sulla terra è lo stesso nel quale egli sarà battezzato e cioè immerso: è il fuoco dell’amore di Dio, talmente forte e totalizzante che brucia tutto il resto perché niente può resistergli o restare intatto.
Gesù di Nazareth è venuto a rivelarci e a portarci nella sua persona tutta la potenza dell’amore di Dio ed è per questo amore che Egli è capace di sopportare il rifiuto dei capi della legge, la condanna morte e il supplizio della croce, perché esso è più forte anche della morte. In questo amore Gesù vuole essere immerso perché anche noi uomini possiamo in esso riscaldarci e “bruciare” le nostre ipocrisie, calcoli di convenienza, compromessi col male, tutte cose che ci portano a preferire le amicizie umane a quella di Dio.
Chi coglie la grandezza della persona di Gesù non può perdere di vista la differenza tra una comunione e dei legami basati sull’amore di Dio che chiedono verità, coerenza e amore fino al sacrificio, e una comunione basata su elementi solamente umani, fossero anche di sangue, che però non possono durare in eterno ma restare solamente confinati alla vita terrena.
domenica 11 agosto 2013
Commento Vangelo XIX Dom TO anno C. 11 agosto 2013
VIGILANZA E SOBRIETA’
TESTO ( Lc 12, 32-48 )
32 Non temere, piccolo gregge; perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno.
33 Vendete i vostri beni, e dateli in elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nel cielo, dove ladro non si avvicina e tignola non rode. 34 Perché dov'è il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore.
35 «I vostri fianchi siano cinti, e le vostre lampade accese; 36 siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando tornerà dalle nozze, per aprirgli appena giungerà e busserà. 37 Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38 Se giungerà alla seconda o alla terza vigilia e li troverà così, beati loro! 39 Sappiate questo, che se il padrone di casa conoscesse a che ora verrà il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi siate pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate».
41 Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi, o anche per tutti?» 42 Il Signore rispose: «Chi è dunque l'amministratore fedele e prudente che il padrone costituirà sui suoi domestici per dar loro a suo tempo la loro porzione di viveri? 43 Beato quel servo che il padrone, al suo arrivo, troverà intento a far così. 44 In verità vi dico che lo costituirà su tutti i suoi beni. 45 Ma se quel servo dice in cuor suo: "Il mio padrone tarda a venire"; e comincia a battere i servi e le serve, a mangiare, bere e ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se lo aspetta e nell'ora che non sa, e lo punirà severamente, e gli assegnerà la sorte degli infedeli. 47 Quel servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 ma colui che non l'ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne riceverà poche. A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà.
COMMENTO
Inevitabilmente ognuno irrigherà e concimerà il campo nel quale ha seminato e trascurerà la terra lasciata a riposo nella quale permetterà che cresca qualsiasi cosa.
Se io dovessi investire tutti o gran parte dei miei risparmi in titoli di borsa, non potrei fare a meno di andare a guardare tutti i giorni sul giornale le quotazioni di quegli stessi titoli a cui ho affidato il frutto del mio lavoro e dei miei sacrifici. Dove è il nostro tesoro, là sarà anche il nostro cuore, cioè le nostre attenzioni, le nostre preoccupazioni, il nostro tempo.
Il Signore sa bene che di fronte alla scelta iniziale di seguirlo possono seguire la stanchezza, i richiami dell’egoisomo e della chiusura in se stessi. Dovremmo aggiungere quindi che l’investimento nel tesoro inesauribile nei cieli non è una scelta fatta una volta per sempre ma piuttosto una scelta di cuore che richiede vigilanza e sobrietà di vita.
martedì 6 agosto 2013
Commento Vangelo XVIII Dom TO Anno C. 4 agosto 2013
QUALE INVESTIMENTO?
TESTO
13 Or uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». 14 Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?» 15 Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita». 16 E disse loro questa parabola:
«La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; 17 egli ragionava così, fra sé: "Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?" E disse: 18 "Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, 19 e dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti'". 20 Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?" 21 Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio».
COMMENTO
Ecco il pericolo delle ricchezze: la sonnolenza dell’anima che porta alla chiusura dei nostri rapporti con Dio e con i fratelli. Quest’uomo venuto a chiedere giustizia a Gesù è un esempio e un’ammonizione per tutti noi: cerca Gesù non perché interessato a lui ma perché possa dirimere le sue questioni di eredità col fratello con il quale non riesce a dialogare e trovare un accordo.
Chi investe nei beni non può investire nelle relazioni interpersonali: o l’uno o l’altro. Non è sotto accusa il denaro ma la logica dell’accumulo , il fatto di ricercare in esso la propria tranquillità e sicurezza impedendo di accumulare il vero tesoro di una profonda intimità con Dio e con i fratelli.
E noi su cosa investiamo il nostro tempo e le nostre energie mentali e affettive: sui beni materiali pur necessari, o sulle relazioni con Dio e le persone?
lunedì 22 luglio 2013
Commento al Vangelo XVII Dom TO Anno C. 28 luglio 2013
ANCHE LA PAROLACCE VALGONO
TESTO ( Lc 11, 1-13 )
1 Gesù era stato in disparte a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2 Egli disse loro: «Quando pregate, dite:
"Padre, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; 3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano; 4 e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore; e non ci esporre alla tentazione"».5 Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte e gli dice: "Amico, prestami tre pani, 6 perché un amico mi è arrivato in casa da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti"; 7 e se quello dal di dentro gli risponde: "Non darmi fastidio; la porta è già chiusa, e i miei bambini sono con me a letto, io non posso alzarmi per darteli", 8 io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono. 9 Io altresì vi dico: chiedete con perseveranza, e vi sarà dato; cercate senza stancarvi, e troverete; bussate ripetutamente, e vi sarà aperto. 10 Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa. 11 E chi è quel padre fra di voi che, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? O se gli chiede un pesce, gli dia invece un serpente? 12 Oppure se gli chiede un uovo, gli dia uno scorpione? 13 Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!»
COMMENTO
L’immagine più evocativa della preghiera che trovo nella Bibbia è la lotta di Giacobbe con Dio (cfr Gn 32, 23- 33). Giacobbe , nonostante sia stato colpito dal misterioso uomo che inizia una lotta con lui, non si arrende e vuole essere da lui benedetto. La preghiera , più in generale il rapporto con Dio, assume anche i caratteri di una lotta. Il Signore non si lascia prendere, né facilmente afferrare dalle nostre pretese , anzi a volte il tempo passato con lui sembra letteralmente perso.
Solo chi persevera ed è costante nella preghiera sarà benedetto, potrà vedere esaudite le sue domande nel modo più vero e completo, cioè alla maniera divina , come dice Papa Francesco, e potrà vedere saziata la sua fame. In questa lotta intima l’anima deve essere viva, interrogare Dio, affidarsi a lui, anche arrabbiarsi se necessario. Egli è vivo e noi dobbiamo affrontarlo da uomini vivi e non da cadaveri.
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