Ciechi si, ma non al buio.(Cf Gv 9,1-41)
La luce, come l'acqua di Domenica scorsa, è anch'essa segno di salvezza. La luce scaccia le tenebre e le tenebre, sia fisiche che morali, sono il luogo dove si opera il male. Qui in Bénin la luce è l'unico mezzo di difesa contro il brigantaggio e i ladri in generale. Immersi nella boscaglia non ha senso né utilità erigere muri o mettere filo spinato, l'unica difesa è illuminare. La cosa che temono di più i ladri è di essere visti in faccia. Per il resto non temono nulla.
Alla grande veglia della notte di Pasqua, il primo atto di quella che giustamente è considerata la madre di tutte le veglie, è appunto la liturgia della luce. Per tre volte l'acclamazione "Cristo luce del mondo!" ci strappa al buio della nostra ignoranza e del nostro pecato.
A partire dal vangelo di questa Domenica siamo già proiettati in questo grande tema, Cristo luce del mondo, e ciò si realizza a partire dell'episodio del cieco nato: un uomo cieco dalla nascita che mendicava il suo vivere quotidiano e che senza nulla chiedere riceve il tocco benefico di Gesù. Questi fa del fango mescolando della terra con la sua saliva, la spalma sugli occhi del cieco il quale, dopo essersi lavato nella piscina di Siloe (Inviato), torna a vedere.
Eppure quel mondo pre-esisteva al cieco. Certo quel cieco non ne aveva alcuna percezione visiva perché viveva al buio, ma un buio soggettivo provocato dalla sua cecità, non dalla mancanza di luce.
La luce di Dio ha sempre brillato nel mondo fin dalla sua creazione, ma gli uomini hanno chiuso i loro occhi. Come? Volgendo le spalle a Dio, peccando contro Lui, volendosi appropriare della conoscenza del bene e del male che può appartenere solo a Dio creatore. Così facendo non hanno spento la luce, ma hanno spento i loro occhi, si sono tolti la possibilità di vedere le cose per quello che sono nella verità, e da lì sono nati tutti i problemi dell'uomo: cosmici, umani e spirituali, e da lì l'uomo ha iniziato a chiamare bene ciò che Bene non è, e a chiamare male ciò che male non è.
Ecco la Grazia di Cristo che viene a salvarci dalle conseguenze disastrose del nostro peccato, che viene a illuminarci, o se volete ad aprirci gli occhi. Quel cero pasquale acceso la notte di Pasqua, simbolo di Gesù risorto, ci parla! Ci dice che senza quella luce siamo al buio. Lui c'è sempre, brilla sempre, ma noi volendo fare a meno di quella luce prendiamo lucciole per lanterne e così possiamo cadere al più piccolo ostacolo. Quel cero pasquale poi viene acceso unicamente per noi in due momenti essenziali della nostra esistenza terrena: il giorno del nostro Battesimo e il giorno delle nostre esequie. L'inizio e la fine: a testimoniare che quella luce non ci abbandona mai, che non si spegnerà mai: Ma noi di quella luce cosa ne stiamo facendo? Continuiamo a crederci in–dipendenti dalla Grazia di Cristo, o ci abbandoniamo a lui e alla sua misericordia? Facciamo come i farisei che credono di vedere e restano nel peccato? E per i quali Gesù dice: "Se voi foste ciechi, voi non avreste alcun peccato; ma voi dite: Noi vediamo! Il vostro peccato rimane" (Gv 9,41).
Oppure facciamo come il cieco nato che riconosce la Grazia e a partire dalla Grazia ricevuta fa la sua professione di fede in Cristo e dice ad occhi aperti: "Credo Signore" (Gv 9,38).
Facciamo atto di umiltà e diciamoci: sono cieco! Quando sono triste e non sono contento devo dirmi: sono cieco, non sto vedendo le meraviglie di Dio nella mia vita! Non è che non ci sono; sono io che non le vedo, perché il mio peccato mi rende cieco. Quando vivo lontano dai sacramenti perché mi sto facendo un Dio a mia immagine e somiglianza devo dirmi: sono cieco, non sto guardando il mondo alla vera luce che è quella di Cristo che ha affidato la sua Luce (la Grazia di Dio) alla sua Chiesa.
Cari amici, fate come noi cappuccini immersi nella boscaglia del Bénin: tenete sempre la luce accesa!
Oggi, 2 aprile, mancano 230 giorni all'arrivo di Benedetto XVI in Bénin