sabato 31 dicembre 2011

Commento al Vangelo di Domenica 1 gennaio 2012.

CREDENTI  O  CREDULONI?
(Lc 2,16-21)

TESTO

 Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
 Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.

COMMENTO

Una volta un Vescovo italiano diceva che quando si smette di essere credenti, si diventa creduloni. La distinzione mi sembra molto pertinente e non è fondata sul disprezzo per tutto ciò che non rientra nel “credo” cristiano; piuttosto sulla concretezza e sulla ricchezza di segni che i testimoni di Cristo hanno sperimentato e vissuto. Nel Vangelo di oggi ne abbiamo qualche esempio: Maria precedentemente aveva ricevuto da Dio un messaggio sconvolgente,  invitata a credere che sarebbe diventata la Madre dell’Altissimo, la Madre del Figlio di Dio. La sua fede tuttavia non è cieca, ma pienamente umana cioè ragionevole, perché il Signore che ci ha dato l’intelligenza non può chiederci di oscurarla, ma solo di orientarla alla ricerca della Verità. L’angelo offre un segno per farle comprendere che tutto è possibile a Dio. “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile” Lc 1,36. E Maria crede, ma giustamente parte in viaggio, va’ da Elisabetta, constata la verità delle parole dell’angelo, e continua il suo cammino di fede. E poi la nascita del bambino Gesù, senza essersi unita a Giuseppe .
 Alla grotta di Betlemme, Maria riceve poi un altro annuncio, quello dei pastori che “… dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Ancora una volta Maria usa il suo discernimento per tessere insieme tutti questi avvenimenti e le parole udite, per scendere nella profondità di ciò che sta vivendo.
Anche i pastori ricevono un annuncio e un invito ad andare a verificare e a toccare di persona. Si fidano perché sono uomini semplici, puliti e senza pregiudizi, e anche perché sanno che possono verificare ciò che è stato detto loro: “troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”; i pastori vanno e vedono quello che era stato loro annunciato e “ poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.”
A volte mi stupisco di come la fede cristiana abbia potuto attecchire, tutto sommato, abbastanza profondamente in tanti contesti di povertà e di miseria, come qui Bénin ad esempio. Mi stupisco perché le sette sovente predicano il successo economico, l’emancipazione sociale; le religioni tradizionali garantiscono l’immunità da tutti i mali terreni e celesti; i musulmani propongono cinque precetti di base per la pace eterna. Noi cristiani invece predichiamo la Croce! E ciò nonostante c’è qualcuno disposto ad abbracciarla, forse con motivazioni da purificare, ma con un SI a un Dio crocifisso. Chi glielo fa’ fare? Credo che colui che è puro e onesto non può non accorgersi che la Parola del Signore è luce, che scalda il cuore, che mantiene quello che dice, perché non propone facili successi  ma la concretezza di un Salvatore, uomo come noi, sofferente come noi, e glorioso come lo saremo noi un giorno. Tempo fa’ una signora di qui mi ha detto che prima frequentava una chiesa protestante ma poi si è accorta che le mancava quel pane spezzato sull’altare dei cattolici, quel Pane segno d’Amore perfetto e puro, quel Pane divino, segno e presenza di Dio. Fede o creduloneria? Anche lei un giorno è partita verso una chiesa e tornando, ha  glorificato e lodato Dio per tutto quello che aveva udito e visto, come gli era stato detto.
Maria ci insegna la vera fede: serbare tutte queste cose nel cuore, meditare, fare silenzio, ascoltare la Parola e guardare oltre le apparenze le cose che mi passano attorno.

sabato 24 dicembre 2011

Commento al Vangelo di Natale 2011.


IL PRESEPE DI OUIDAH

TESTO ( Lc 2,1-14 )
  In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».

COMMENTO

Nella nostra cappella di Ouidah fra Antonio e fra Alessandro hanno ambientato il presepe nel villaggio lacustre di Ganvié, un villaggio beninese non lontano da qui e situato in mezzo all’omonima laguna, fatto tutto di palafitte. Mi sembra simbolico: anticamente gli uomini andavano ad abitare nelle palafitte sia per proteggersi dagli animali terrestri e sia perché non trovavano un luogo ospitale nella terra ferma. Giuseppe e Maria non hanno trovato alloggio nella “sala comune” della famiglia di Giuseppe a Betlemme, e allora si sono dovuti accontentare di appoggiarsi “fuori”, in una piccola insenatura del muro esterno usata come stalla. Il Signore del mondo che ha creato tutto e ci ha dato ospitalità nel suo creato, non ha trovato accoglienza presso le sue creature; Lui che aveva il diritto di essere riconosciuto il Padre di tutto e di tutti non è stato accolto dai suoi figli; il Signore Gesù ha così pagato il conto dell’albergo per tutti. Da quando un uomo innocente come Gesù ha accettato di essere messo ai margini della storia, tutti gli emarginati della storia hanno diritto di essere reintegrati e perdonati: Gesù ha pagato il conto per tutti loro.
Si potrebbe fare un presepe un po’ meno poetico ma più provocante dove le statuette abbiano il volto di tutte le persone più indesiderate e scomode che conosciamo, cosicché l’incanto della stalla di Betlemme sia mitigato dalla consapevolezza che forse ci sono tante persone che volentieri manderemmo ad alloggiare in una stalla, tra la puzza degli animali.
Se Gesù non lo accogliamo così, insieme a tutti quelli che abbiamo escluso e mandato ad alloggiare “fuori di casa”, Lui resterà un estraneo, un personaggio della storia, da ammirare certo, ma che non entra nella mia storia, nella mia vita di tutti i giorni . Prima di stupirci di come sia stato possibile lasciare fuori di casa una ragazza incinta con il suo sposo, stupiamoci di come sia stato possibile serbare un qualche rancore per tanto tempo per certe offese ricevute, presunte o veramente tali.  
Per chi ha voglia di ri-nascere ecco la Bella Notizia di questa notte: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore".
La gioia! Viviamo anzitutto noi la gioia di essere stati gli esclusi reintegrati, i peccatori che sono stati accolti nel cuore misericordioso del Signore, le creature che sono state ricreate dal loro Creatore.

sabato 17 dicembre 2011

Commento al Vangelo IV Dom Avvento anno B, 18 dicembre 2011.

LASCIAMOLO PASSARE !

TESTO ( Lc 1,26-38) 
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

COMMENTO


Il Signore non vuole fare con noi più di quello che noi siamo disposti a lasciargli fare. Potrà fare miracoli, prodigi inaspettati ma sempre a condizione che l’uomo riconosca la sua Potenza illimitata e accetti almeno l’idea che nulla a Lui è impossibile. Il Signore sorpassa sempre e va ben al di là dei progetti dell’uomo, ma di un uomo appunto che cammina alla ricerca del Bene e del compimento della volontà di Dio. Nella prima lettura Davide elabora l’idea di costruire una dimora maestosa per il Signore ma il Signore, tramite il profeta Natan, lo “sorpassa” e gli dice: no! Sono io che costruirò per te una dimora e farò di te una grande famiglia (cf 2Sam 7,5-15).
La Vergine Maria, come molte pie israelite, stava camminando verso una dignitosa e benedetta vita coniugale con Giuseppe, al quale era stata già promessa. Ma il Signore anche in questo caso la “sorpassa” e le propone delle Nozze divine. Lo Spirito Santo scenderà su di lei e colui che nascerà sarà il Figlio di Dio.
Facciamo bene quando ci occupiamo del nostro futuro e di quello dei nostri figli, quando elaboriamo progetti per realizzarci come uomini e cristiani, quando nel rispetto di quei comandamenti di Dio insegnatici da bambini, coltiviamo aspettative e sogni. Il Signore in fondo ci chiede anche in questo di preparargli la strada; e tuttavia nelle strade che gli prepariamo dovremmo fare anche la corsia di sorpasso, perché Lui possa sorprenderci come e quando sa fare solo Lui.
Cosa si può annunciare, qui in Bénin, a certi uomini che umanamente parlando non vedono prospettive davanti a loro, e non le vedono perché effettivamente non ne hanno? Si può solo ed unicamente annunciare le imprevedibili meraviglie di Dio. Questo il grande miracolo del Natale, ridestare il senso della Speranza cristiana, l’attesa di qualcosa che supera ogni aspettativa e prospettiva umana.  È questa la grande Speranza che vorrei potesse nascere la notte di Natale nel cuore di Rosa. Rosa è una giovane signora di Cotonou sposata e con due bambini piccoli. Ha fatto una cosa che non doveva fare e adesso è in carcere a Cotonou per scontare una pena di due anni. Le mancano un anno e mezzo, ma suo marito l’ha lasciata, i suoi colleghi di lavoro non vanno più a trovarla e per la sofferenza di vedere i suoi bambini piangere non vorrebbe neppure ricevere la loro visita. Neppure a dirlo, perderà anche il lavoro. Sono andato a trovarla in carcere, ma la sola cosa che le ho potuto dire è che a Dio tutto è possibile, e che non possiamo immaginare il bene che Lui può ricavare dalle situazioni più disastrose. Anche un carcere del terzo mondo può divenire un luogo di speranza.
In vista del prossimo Santo Natale, vorrei suggerire a tutti gli adulti che leggeranno queste righe di ritornare un po’ bambini: riprendete carta e penna e scrivete una lettera a Gesù bambino con tutti i “doni” che vorreste ricevere la mattina del 25, e poi chiudetela e aspettate.
Il Signore vi sorpasserà. Presto o tardi spunterà un giorno, siatene sicuri, in cui vi accorgerete letterina alla mano  che il Signore vi ha sorpassato. Lode e Gloria a Cristo Signore.
“A colui che in tutto ha potere di fare MOLTO PIÚ di quanto possiamo domandare o PENSARE, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.” ( Ef 3, 20-21 ).

sabato 10 dicembre 2011

Commento al Vangelo III Dom Avvento anno B, 11 dicembre 2011.

“CHI SEI TU, E CHI SONO IO?”

TESTO ( Gv 1,6-8. 19-28 )
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
 Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
 E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia».
 Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

COMMENTO
Un giorno San Francesco d’Assisi rivolse al Signore questa preghiera: “O mio Dio, chi sei Tu, e chi sono io?” La risposta alla prima domanda determina la risposta alla seconda. Se non conosciamo il vero volto di Dio, anche noi diventiamo degli sconosciuti a noi stessi e perdiamo il senso della nostra origine e quindi del nostro destino e della nostra missione.
Giovanni Battista aveva una chiarissima consapevolezza del suo essere solo la “voce” di Colui che era la Parola, la coscienza di avere la missione di preparare la strada. Giovanni il battezzatore è un grande perché sa di essere piccolo rispetto a Colui per il quale sta spendendo la sua vita. L’umiltà la conosce e la può spiegare solo chi coglie la grandezza di Dio. L’umiltà è si il risultato di un cammino di ascesi e di mortificazione, a condizione però che a monte vi sia un’esperienza di Dio che tocchi il cuore e che faccia decidere per Lui.
Il Papa Benedetto XVI, quando è venuto qui a Ouidah due settimane or sono, all’occasione dell’incontro per noi religiosi e sacerdoti ci ha detto che la più bella virtù che dobbiamo vivere è la trasparenza, la pulizia; ci ha portato l’esempio del cristallo che nella sua limpidezza lascia vedere e lascia passare la luce. L’umiltà non è silenzio (o comunque non sempre), ma annuncio della verità a partire dal riconoscimento del proprio posto nel mondo, nella società e nella Chiesa.

sabato 3 dicembre 2011

Commento al Vangelo II Dom Avvento anno B, 4 dicembre 2011.

BUCA … CON ACQUA

TESTO ( Mc 1,1-7 )
 Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
 Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada.
 Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri,
 si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».

COMMENTO


Confessore ordinario di un Monastero di clausura, ogni tanto devo fare un piccolo viaggio di qualche km per arrivare nei pressi di un ameno villaggio beninese al termine di una tipica pista di terra rossa. Per percorrere questo tratto di strada sterrata ci si impiega normalmente 20 minuti, ma durante e dopo la stagione delle piogge ci si può impiegare anche il doppio o il triplo: buche e piccoli crepacci obbligano a rallentare il cammino. Il risultato è che pur partendo alla stessa ora, arrivo tre quarti d’ora più tardi.
Giovanni il battezzatore non faceva di mestiere il cantoniere, ma ricevette il compito di preparare la strada al Messia. La prima cosa che fece fu di fare strada al Signore nella sua stessa vita: per questo andò nel deserto a spogliarsi e a far penitenza, per rinunciare al di più, per gettare la zavorra, per appianare le buche di quell’umanità ferita dal peccato che inevitabilmente rallentano l’arrivo del Signore. Egli annunciava la necessità della conversione, preparando anzitutto in se stesso la via della conversione. Quell’acqua in cui battezzava i suoi penitenti era un’acqua efficace per tappare le buche, per raddrizzare i sentieri e preparare la strada a Colui che veniva a battezzare nello Spirito donando la Salvezza.
Per comprendere il messaggio del Signore ci sono delle condizioni preliminari. Anzitutto la ricerca e l’amore della Verità; la sincerità con se stessi e con la propria coscienza; l’accettazione dei propri limiti umani e della propria fragilità. Ecco perché Gesù se la prendeva un po’ con i farisei: perché erano falsi, e quindi come potavano accogliere Chi veniva dalla verità? Erano orgogliosi, perché cercavano gloria l’uno dall’altro, e come potavano riconoscere la Gloria di chi cercava solo la Gloria di Dio? Erano orgogliosamente convinti di conoscere Dio, e come potevano vedere Colui che invece era venuto per guarire i ciechi?
Forse che anche noi non abbiamo bisogno di un “bagno” di umiltà per rivedere la nostra idea di Dio, per riconciliarci con noi stessi e per accettare che anche noi abbiamo delle buche da tappare?

sabato 26 novembre 2011

Commento al Vangelo I Dom Avvento anno B, 27 novembre 2011.

BEATI GLI INSONNI

TESTO (Mc 13, 33-37)
State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».

COMMENTO
Non si sa più se la percepiamo o no come una bella notizia, ma in ogni caso il Signore un giorno tornerà. Non si può fare il conto alla rovescia, come per la venuta del Papa qui in Bénin, ma l’oggetto dell’attesa è certo, più certo di ogni altro avvenimento della storia. Non ci resta che vegliare.
Ciascuno ha  “il suo posto” e ciascuno deve perseverare nel servizio affidatogli, e noi sappiamo che questa casa che il Padrone affida temporaneamente ai suoi servitori è la casa del Regno di Dio, la casa dove deve regnare l’amore e la pace. Ognuno di noi ha l’incarico di vivere e lavorare per il bene di tutti, perché questo ci chiede il Signore: edificare il Regno dell’amore nell’attesa del suo ritorno. Non si può pensare di essere a servizio di questo Regno pensando solamente al proprio portafoglio e vivendo solo per il lavoro e per la sicurezza economica della propria famiglia.  Bisogna uscire dallo schema “lavoro-guadagno-pago-pretendo” per essere discepoli di Cristo, e mettere la nostra vita a servizio degli altri, in modo gratuito.
La vigilanza è un atteggiamento di discernimento continuo tra il bene e il male, perché se c’è il male che fa’ rumore e notizia, c’è anche il male strisciante che si insinua silenziosamente nelle coscienze e che a piccoli passi allontana dall’Amore. A furia di dire “Che male c’è?” si va lontano, ci si chiude in se stessi, ci si addormenta e non ci si indigna più di niente. Il Signore lo dice anche a noi: “vegliate!”

venerdì 18 novembre 2011

Il PAPA E' QUI IN BENIN

Che la visita di Papa Benedetto XVI inziata oggi (18 novembre 2011) sia un evento per tutto il Bénin, cattolici e non, è un fatto incontestabile. Tutti sanno che gli occhi di una buona parte del mondo saranno puntati su questo piccolo paese dell’Africa dell’Ovest, appena una lingua di terra che corre da sud a nord per circa 1000 km e che è grande quanto un terzo del territorio italiano. Ci sono tanti elementi che concorrono a rendere questa visita carica di significati e di risonanze. Anzitutto il Santo Padre viene a chiudere le celebrazioni per il Giubileo dei 150 anni di evangelizzazione del Bénin.
Nel 1861 alcuni sacerdoti missionari della SMA (Società per le Missioni Africane) impiantarono la prima parrocchia sulla costa atlantica dell’attuale Bénin. Era il 18 aprile 1861. Una data simbolica evidentemente, perché anche in epoche precedenti i tentativi di evangelizzazione non erano mancati, senza alcun esito tuttavia, almeno da un punto di vista visibile. Vale la pena di ricordare che secondo la storia ufficiale del paese i primissimi evangelizzatori del Bénin furono una dozzina di frati cappuccini portoghesi che presero terra in queste coste nel 1600. La spedizione fu un fiasco totale, vale la pena ripetere, da un punto di vista umano: la metà di questi confratelli morì dopo appena una settimana di permanenza, stremata dalle varie febbri locali e dalla fatica del viaggio in nave che in quei tempi doveva essere già in se stessa un’impresa. La restante parte del gruppo rientrò dopo poco tempo. Non potremo mai conoscere il frutto che il sacrificio silenzioso e nascosto di tanti missionari ha prodotto per il progresso del Regno di Dio in queste terre africane, al di là dei risultati visibili.
Dal 1861 ad oggi la fede cristiana ha messo le radici in questo angolo del Golfo di Guinea, rallentata da enormi pregiudizi nei confronti dei missionari bianchi che portavano il Vangelo.
Non si deve dimenticare che fino a quel momento i bianchi che venivano su queste coste venivano con la divisa militare di questo o quell’altro esercito europeo, e che gli altri bianchi venivano per commerciare schiavi. Dal 1780 al 1848 (anno di abolizione dello schiavismo in queste zone) furono deportati da queste coste verso il Brasile qualcosa come 3 milioni e mezzo di schiavi, la metà dei quali morti in viaggio e gettati in mezzo all’Atlantico. Quando si va a visitare il museo nazionale di Ouidah, presso l’ex forte portoghese, la guida del Museo non manca di ricordare che i bianchi erano qualificati con tre “m”: militaires, marchands et missionaires: cioè militari, commercianti e missionari. Si capisce bene che uomo bianco non era affatto percepito come portatore di una “buona novella”, tutt’altro. Piuttosto portatore di morte.
Nonostante tutto il Vangelo ha portato i suoi frutti e ora la fede cristiana è ben radicata in tutto il paese, soprattutto qui al sud. Per dare qualche numero la sola Diocesi di Cotonou ha più di 300 preti diocesani , senza contare tutti i sacerdoti religiosi e i vari istituti di vita consacrata.
Al nord la situazione è differente: si è ancora alla prima evangelizzazione, con Diocesi di recentissima fondazione costituite da un esiguo numero di battezzati e con pochissimi pastori. Tanto per dare un altro esempio, la Diocesi di N’Dali, dove noi cappuccini abbiamo una comunità, ha appena una ventina di sacerdoti, di cui solo due autoctoni.


La visita del Papa è altresì l’occasione di consegnare ufficialmente a tutta la Chiesa l’esortazione apostolica post sinodale che fa seguito al Sinodo dei Vescovi del 2009 dal titolo: “ La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Il Santo Padre firmerà ufficialmente questo documento proprio nella Basilica di Ouidah, a pochi km da qui. La consegna di questo documento forse non suscita altrettante emozioni; la gran parte del popolo cristiano sembra estraneo a tutto ciò che si è discusso 2 anni fa’ a 4 mila km da qui, e forse si potrebbe anche cominciare a pensare al prossimo Sinodo per l’Africa, fosse anche tra 20 anni, fuori dalle mura vaticane e in terra africana. Tuttavia riconciliazione, giustizia e pace sono i perni della vera emancipazione africana e se i cristiani non sapranno esserne i primi e più credibili profeti e martiri, la Chiesa tradirà la sua identità di presenza del corpo crocifisso ma glorioso di Cristo, e l’Africa resterà sbriciolata nelle sue guerre, nelle sue povertà di fatto, malgrado le sue enormi ricchezze naturali.
In questo campo la Chiesa beninese , come tutta la chiesa Africana, deve lavorare più a livello particolare che globale, a iniziare dalla famiglia. Sebbene la grande famiglia allargata africana è una struttura portante della società, è altresì vero che rare sono le famiglie veramente unite e in armonia. Mi sembra che le guerre africane inter-etniche siano piuttosto radicate nelle ferite sanguinanti di famiglie, non solo di fatto, ma a volte puramente teoriche, con dei nuclei umani fondati si su vincoli di sangue ma a cui non corrispondono vincoli stabili di affetti e di accoglienza reciproca. Se il linguaggio del perdono, della riconciliazione e della pace non è un alfabeto che è appreso fin dall’infanzia, la società non potrà che parlare il linguaggio dell’affermazione di sé, dell’emancipazione personale, costi quel che costi. La pace è la grande chimera del continente africano: tutti l’invocano ma pochi protagonisti della vita sociale e politica sono disposti a riconoscere la carica velenosa e violenta di affermazioni e prese di posizione, tutte ispirate nelle intenzioni al benessere e alla ricerca della democrazia.


La pace è condizione essenziale per lo sviluppo e il progresso economico e umano. Se il Bénin, nonostante la quasi totale assenza di risorse naturali, vive un lento (molto lento) e progressivo sviluppo, lo si deve soprattutto alla mancanza da un secolo a questa parte di conflitti interni e con l’esterno. Forse la fortuna di questo paese è anche la sua povertà naturale che non ha mai attirato grandi appetiti internazionali e che non ha innescato pericolosi conflitti per l’accaparramento delle risorse economiche.


Il popolo beninese è in attesa, e non solo quello cattolico. I Vescovi hanno chiesto a tutti i fedeli e simpatizzanti della Chiesa di versare 500 franchi a testa acquistando un biglietto-ricevuta che resterà un ricordo della venuta del Papa. 500 franchi corrispondono a 75 centesimi di euro ma qui, se ci si accontenta, con 500 franchi si può fare pranzo.
Fervono i lavori per rattoppare le buche delle strade asfaltate che saranno percorse dal corteo papale. Il Seminario nazionale di Ouidah (St Gall), dove il Papa verrà sabato 19 per incontrare tutti noi religiosi e sacerdoti, sta ricostruendo la facciata del suo edificio e cercando di pavimentare alla meno peggio la strada di sabbia che lo separa dalla strada principale. L’economo del Seminario è venuto a chiedere a noi cappuccini di prestargli la macchina taglia erba per preparare il cortile dove il Papa ci riceverà; una settimana prima del grande evento tutti i 120 seminaristi interromperanno le lezioni per spazzolare a nuovo la loro casa, per accogliere al meglio il loro, il nostro, Pastore.
Una radio cattolica locale ha stampato e diffuso un CD con la Messa cantata in latino perché sembra che il Papa, Domenica 20, celebrerà la messa in latino. Pensare che qui neppure il francese, lingua ufficiale, è conosciuto da tutti! Ma pazienza: quel giorno la gente beninese vedrà che il secondo uomo vivente più importante della Chiesa è a casa loro, e ha percorso migliaia di km per venire ad incontrarli. Che parli latino o cinese poco importa. I gesti come sempre dicono più di tante parole.
Come il gesto che il Papa farà andando a visitare la tomba del suo amico Cardinal Bernardin Gantin, primo vescovo beninese di Cotonou e primo africano ad essere nominato prefetto di una Congregazione Pontificia. Un gesto di tenera amicizia, di affetto, come quello che in questo mese di novembre tanti di noi stanno facendo, andando a visitare le tombe dei propri cari. Anche un Papa vive di rapporti fraterni, amichevoli e informali. E qui in Bénin il Papa ha tanti amici che lo accoglieranno a cuore aperto.