mercoledì 11 giugno 2025

L’Uno per l’Altro per ritrovarsi UNO

 

 Commento al vangelo della Domenica della SS. Trinità – 15 giugno 2025 


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (16,12-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: 
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

 Commento

 La Chiesa celebra solennemente la Santissima Trinità la domenica successiva alla Pentecoste. C’è un nesso logico a tale successione di celebrazioni, ed è nel fatto che proprio lo Spirito di Dio, al compimento della Pasqua di Cristo Gesù, guidandoci a tutta la verità, rivela la trinità delle persone divine nella loro unica natura, come ascolteremo nella Prefazio della Messa. Lo spirito Santo in fondo si rivela mostrandoci fino in fondo quello che nemmeno Gesù poteva dirci compiutamente di se stesso nella sua vita terrena, perché non avremmo potuto capire, o – come dice Gesù – non saremmo stati capaci di portarne il peso. La conoscenza per via interiore, per intuizione spirituale, a noi sembra meno credibile perché non sottoponibile alla verifica scientifica, ma sono sempre le certezze del cuore a farci decidere per le scelte più importanti
Vi potrebbe stupire il fatto che la parola ‘Trinità’ non compare in nessuno versetto dei quattro vangeli o degli altri scritti neo testamentari: questo non perché sia una invenzione della Chiesa, ma perché i nostri padri nella fede cristiana trovarono delle espressioni per rendere più esplicite le affermazioni di Gesù riportate dagli apostoli. 
La cosa da sottolineare è che lo Spirito Santo glorifica Gesù cioè lo manifesta nella vita della Chiesa, così come Gesù a sua volta ha manifestato, ha glorificato, nell’arco di tutta la sua esistenza il volto di Dio Padre.
Noi, uomini di questo mondo, a volte cerchiamo gloria mettendo in luce e al centro la nostra persona; nella comunione della Santissima trinità, ogni persona sussiste (si presenta a noi) rivelando l’altro. Non dovrebbe sfuggirci, quindi, che, creati ad immagine e somiglianza di Dio, anche noi uomini troveremmo molta più luce e gioia - e soprattutto troveremmo noi stessi - se ci adoperassimo per far spazio ai fratelli, riconoscendoli nella loro dignità, nella loro alterità rispetto a noi!


venerdì 6 giugno 2025

Lo Spirito soffia nella parola custodita

 
Commento al vangelo della domenica di Pentecoste – 8 giugno 2025

 


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (14,15-16.23-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. 
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».


Commento

 Dopo la celebrazione dell’Ascensione riviviamo in questa domenica la realtà della Pentecoste, uno di quegli eventi della storia che più di ogni altro ci rivela la presenza e l’azione del divino nell’umano: non per altro chiamiamo simili eventi “misteri”. La pentecoste rappresentò per gli apostoli la palese manifestazione dell’azione del Paràclito, del Consolatore, dello Spirito di Dio nella nascente comunità cristiana, come ci viene raccontato dalla prima lettura odierna tratta dal primo capitolo degli Atti degli apostoli. Questo avvenne, infatti, secondo la promessa che Gesù aveva già fatto in vita ai suoi discepoli, - lo abbiamo appena ascoltato - e questo continua ad avvenire per noi che pur viviamo a distanza di così tanto tempo, se sapremo osservare, cioè se sapremo far tesoro delle sue parole.
Chi ama il Signore Gesù, infatti, sicuramente custodirà gelosamente e attentamente gli insegnamenti riportati nei suoi quattro vangeli, nel resto della Scrittura, e in ciò che gli apostoli ci hanno tramandato. Ed è in quelle parole che l’uomo di oggi trova la presenza e il volto di Cristo vivo nel suo Spirito, che a sua volta ci orienta al volto del Padre. 
All’inizio del primo racconto della creazione riportato dal libro della Genesi c’è una parola con cui Dio crea e fa tutte le cose. Ci ricordiamo quel ritornello: ‘Dio disse sia luce,… sia il firmamento,… e così avvenne’. Anche all’inizio del Nuovo testamento, la nascita del Salvatore Gesù viene annunciata da un angelo che trasmette un messaggio  straordinario alla vergine Maria, a proposito del quale l’evangelista Giovanni dirà: ‘e il Verbo si fece carne’; tutto parte sempre da una parola divina che viene incontro all’uomo, e tutto si ricrea continuamente grazie alla potenza dello Spirito divino che soffia attraverso la stessa parola.
La pentecoste, lo ripetiamo, l’azione dello Spirito Santo in noi, sarà sempre possibile per chi saprà dimorare in Gesù che disse appunto: “Le parole che vi ho detto sono spirito e vita” (Gv 6,63b).


giovedì 29 maggio 2025

Scomparso ma non assente

 

 Commento al vangelo della Solennità dell’Ascensione - 1 giugno 2025


 Dal Vangelo secondo Luca (24,46-53)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

Commento

 'Poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio’: Il vangelo di Luca si chiude con delle parole che descrivono la gioia della comunità apostolica, nonostante la scomparsa dai loro occhi del loro maestro Gesù. I quaranta giorni in cui lo hanno visto risorto, che nella narrazione di Luca sembrano essere in realtà un unico giorno, hanno confermato nel loro cuore che Gesù era veramente risorto, accreditando così la pretesa di questo di essere il Figlio di Dio, l’unico in grado di sconfiggere la morte, e quindi di essere il salvatore degli uomini.
Questo tempo pasquale, e le varie liturgie che la Chiesa ha celebrato, dovrebbero aver rafforzato anche nei cristiani di oggi la certezza che tutto ciò sia veramente avvenuto nella persona di Gesù.
Eppure l’evento dell’Ascensione aggiunge un dettaglio importante: se con le sue apparizioni dopo la morte, il Cristo manifesta la sua gloria in un contesto umano, con l’Ascensione la sua gloria assume una pienezza anche divina, ed è in tale pienezza e da tale pienezza che egli può rivestire di potenza dall’Alto i suoi discepoli, donando lo Spirito Santo; ma di questo parleremo domenica prossima, solennità di Pentecoste.
 In definitiva con l’incarnazione il Figlio di Dio è entrato nell’umanità; ora con l’Ascensione è l’umanità (quella di Cristo anzitutto) che entra nel cuore di Dio. Nulla di umano è più estraneo a Dio. Abbiamo la certezza che non ci sia più nemmeno un minimo palpito del cuore di un qualsiasi uomo di una qualsiasi epoca che sfugga alla conoscenza, per esperienza diretta, di Dio stesso.


sabato 24 maggio 2025

Il noi di Dio

 

Commento al vangelo della VI domenica di Pasqua, anno C – 25 maggio 2025


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (14,23-29)

 In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».


Commento

 Se noi amassimo Gesù dovremmo e potremmo anche noi rallegrarci del fatto che egli non è più presente in mezzo a noi in carne e ossa. Perché di fatto, tornato nella gloria del Padre dopo la sua resurrezione, egli è ancora più presente a noi uomini, di quanto lo fosse fisicamente in quel tempo.
I discepoli avevano un’esperienza frontale del loro maestro, appunto come di una persona davanti a loro, ma noi ora, soprattutto i battezzati nel suo spirito, ne abbiamo un’esperienza intima e interiore. Nel nome di Cristo, grazie cioè alla persona e nella persona di Cristo, Dio padre ci ha donato lo Spirito Santo, che è esattamente la comunione fatta-persona dei due.
In una sua catechesi Papa Francesco disse che lo Spirito Santo non è solamente la terza persona della Trinità, ma potrebbe essere anche definita la prima persona al plurale della Trinità. Aggiungo io che lo Spirito Santo è paraclito, cioè consolatore, perché ci dona il “noi” di Dio, il suo essere comunione.
In un contesto sociale come quello attuale dove il male emergente sembra essere sempre più la solitudine, la presenza interiore di Gesù grazie al suo Spirito che egli ci ha mandato dal seno del Padre, è veramente una bella notizia.
La pace che ci dona Gesù, per tale ragione, non è assolutamente paragonabile alla pace concepita da chi vuole eliminare il nemico. La pace frutto della divina comunione, Dio stesso, prende dimora nell’uomo che osserva la legge dell’amore e del dono, che non cerca l’eliminazione del nemico, ma che cerca tutte le vie perché il nemico diventi amico.


giovedì 15 maggio 2025

“Sparire perché rimanga Gesù”

 

 Commento al vangelo della V domenica di Pasqua, anno C – 18 maggio 2025


Dal Vangelo secondo Giovanni (13,31-35)

 Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».


Commento

 Quando Gesù parla del figlio dell’uomo parla sempre di se stesso. La piena coscienza di Gesù del tradimento di Giuda che si è appena allontanato dal cenacolo, rende manifesta da subito, la totale disponibilità di Gesù a fare della propria vita un dono: un dono al Padre per il bene e la salvezza degli uomini. La gloria che si manifesta in lui non è una gloria individuale, un titolo di merito assolutamente personale, ma al contrario è la manifestazione di un amore di un altro, quello di Dio padre che si rende presente in lui. Per tale ragione anche Dio padre è glorificato e manifestato in lui.
Secondo il pensare comune degli uomini una persona riceve gloria quando emerge dalla massa per aver compiuto un’impresa straordinaria, per aver dimostrato di valere più degli altri su qualche aspetto della vita. Dalla parole e dagli insegnamenti del Signore invece veniamo a capire che il più grande merito di Gesù è stato quello di aver compiuto fino alla fine la volontà del Padre: accogliere il suo amore e renderglielo attraverso l’amore agli uomini. L’amore richiede anzitutto una grande umiltà, mettere da parte il proprio “io” per fare spazio all’altro.
La vera gloria dell’uomo, di conseguenza, non potrà che avere lo stesso timbro: quello della spoliazione del proprio vanto personale, della ricerca della gloria personale, per far spazio all’amore infinito di Dio. Se i discepoli sapranno amarsi, se nelle loro relazioni interpersonali sapranno mettere al primo posto il fratello, avranno dimostrato e mostrato nel miglior modo possibile che al centro del loro cuore c’è la presenza dell’inesauribile fonte dell’amore che è Dio. Anche il neo eletto Papa Leone ci ha ricordato che al discepolo del Signore occorre “sparire” per far posto a Gesù.
 


venerdì 9 maggio 2025

Per Cristo al Padre

  

Commento al vangelo della IV domenica di Pasqua, anno C – 11 maggio 2025


 Dal Vangelo secondo Giovanni (10,27-30)

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
 

Commento

Da poche ore è stato eletto il nuovo vescovo di Roma, che presiede alla comunione di tutta la Chiesa cattolica. Sappiamo fin d’ora che la forza dello Spirito lo assisterà per accompagnare tutti gli uomini a Cristo, o meglio per far sì che essi non si sottraggono alla sua custodia amorosa. Nessuna forza esterna può strapparci da essa, solo il nostro libero rifiuto. Ma egli è il pastore del gregge dell’umanità nel quale Dio stesso si è immedesimato e reso presente in mezzo a noi: da qui la scandalosa affermazione di Gesù, ‘Io e il Padre siamo una cosa sola’, che farà decidere definitivamente i capi dei giudei per la sua condanna; Lui, il Dio fatto uomo, accusato di essere un uomo che si fa Dio!
Gesù è l’unico uomo che permette l’accesso al cuore stesso di Dio Padre. Nessuno, lo ripetiamo, potrà strapparci dalle mani di Cristo perché di lui, e solo di Lui, Dio si è compiaciuto. Cristo è il divino pastore che accompagna ai pascoli della vita eterna, della vita senza fine. Ogni altra mediazione umana deve portare a Cristo, ad inserirsi nel suo corpo spirituale che è la Chiesa, appunto, i cui confini non è detto coincidano sempre e necessariamente con i suoi segni visibili.
Se può essere utile un esempio, immaginiamo di essere in un’isola in cui ci sia un unico aeroporto. Esso è l’unico luogo adatto a farci decollare verso il ‘Cielo’ e portarci in un'altra terra, ma tutti i mezzi di trasporto potranno essere utili e buoni per raggiungere questo luogo. Vale a dire: Gesù è l’unico aeroporto, l’unica mediazione per il Cielo, ma tutte le mediazioni umane saranno buone e belle nella misura in cui ci additeranno e ci condurranno all’ascolto della sua Parola, all’accoglienza della sua Grazia, alla totale fiducia nel suo amore che salva.

sabato 3 maggio 2025

Vuoti a rendere

 

 Commento al vangelo della III domenica di Pasqua, anno C – 4 maggio 2025

 
                                                              
Dal Vangelo secondo Giovanni (Forma breve): Gv 21,1-14

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

 

Commento

 Pietro, il pescatore che doveva diventare nella parola di Gesù il “pescatore di uomini” (cf Mc 1,17) è tornato alla pesca tradizionale. I pesci. Tutto sembra essere rientrato nell'ordinarietà, ma non possiamo pensare che il cuore dei discepoli non custodisca profondamente la memoria di quegli anni intensi, di incontri, di parole ricevute dal maestro, di segni eclatanti, fino a quelle due apparizioni avvenute dopo la passione e morte, di cui abbiamo ascoltato domenica scorsa. Impossibile! La brace sotto la cenere non è ancora spenta, cioè: la speranza di una novità assoluta nell’apparente ritorno alla vita ordinaria è più che mai viva. Anche nel cuore di ogni uomo non si spegne mai quell’insopprimibile domanda di felicità, quella certezza più intuita che dimostrata che da qualche parte esista il senso tanto ricercato della propria esistenza.
La domanda di Gesù “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” vuole condurre quei discepoli a constatare la loro povertà, il loro vuoto, ma per preparare i loro cuori all’enorme stupore che seguirà alla pesca sulla forza della sua parola.
Bisognerebbe accettare le proprie sconfitte per vincere le battaglie decisive; saper riconoscere che le nostre ricerche di basso profilo di vita, di bellezza, di gioia non stanno conducendo a niente. Gesù accetta la passione, fa la sua pasqua e entra con la sua umanità nella gloria del Padre. Anche noi uomini, sulla barca di Pietro e i suoi discepoli – cioè la Chiesa – possiamo fare Pasqua, cioè ripartire dal riconoscimento che non abbiamo nulla di veramente nutriente per la nostra vita, e trovare nella parola viva di Gesù vivo la svolta per una pesca abbondante.

giovedì 24 aprile 2025

Una beatitudine per tutti

 

 Commento al vangelo della II domenica di Pasqua – 27 aprile 2025

 


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Commento

 C’è una beatitudine, nonostante tutto, per l’apostolo Tommaso, passato alla storia per essere stato il credente che ha bisogno di toccare: egli tocca e vede Gesù vivo con i segni della passione nel suo corpo, ma fa comunque un atto di fede nel credere di trovarsi di fronte al suo Signore e suo Dio, non un semplice uomo.
E c’è una beatitudine per noi uomini di oggi, che non abbiamo visto e (forse) abbiamo creduto. L’evangelista Giovanni opportunamente ci informa che tutto quello che di Gesù è stato scritto nel suo vangelo è una selezione tra tanti segni che egli fece “in presenza dei suoi discepoli”, perché possiamo credere che “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio”. La nostra fede nasce quindi dall’ascolto delle testimonianze di coloro che hanno fatto un’esperienza diretta del Signore Gesù, dall’inizio della sua vita pubblica fino alle apparizioni dopo la resurrezione, passando per il calvario della passione; ma nasce anche dalla testimonianza di vita di coloro che professano la fede in Cristo Signore.
Quante volte dobbiamo constatare la verità di quanto disse Paolo VI nel 1975: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN, 41). Anche in questo caso si fa l’esperienza di un’umanità, con i suoi limiti e difetti, eppure tramite quella si fa esperienza della di un’altra umanità, quella di Cristo Signore, che aveva preannunciato di immedesimarsi in coloro che in suo nome avrebbero annunciato le sue parole di misericordia: “Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato” (Gv 13,20).


giovedì 17 aprile 2025

Oltre la morte

 

 Commento al vangelo della Veglia di Pasqua – 20 aprile 2025


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (20,1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.


Commento

 Abbiamo ascoltato un racconto che parla di resurrezione , della resurrezione di Cristo in  particolare , ma la parola che ricorre più frequentemente in questi pochi versetti del vangelo di Giovanni è:‘sepolcro’.
Coloro che fanno esperienza del sepolcro sono gli stessi che per primi fanno esperienza della resurrezione del Signore. Maria Maddalena addirittura sarà la prima a vedere Gesù risorto perché ha avuto il merito di ‘sostare’ presso il sepolcro, di non fuggire il dramma ma al contrario di custodire sotto quelle lacrime la speranza di non aver perso definitivamente il suo Maestro.
Pietro e Giovanni corrono, ma per arrivare alla fede devono comunque ‘entrare’ dento la tomba e completare la loro esperienza della morte di Gesù.
Tutto questo è emblematico della realtà della vita nella quale se non si ha il coraggio di accettarne i limiti e il termine finale della morte, si potrà solo evitare il pensiero di questa, ritardarla il più possibile, o addirittura anticiparla pensando in questo mondo di dominarla. L’uomo da solo, facendo forza solo sulle sue risorse biologiche e naturali cerca appunto di esorcizzare la morte ma non la può oltrepassare. Gesù invece la attraversa, e non per ritornare alla vita precedente – come fu nel caso di Lazzaro che uscì si dal sepolcro ma per riacquistare una vita sempre connotata dalla temporalità e dalla fragilità – ma per passare ad una pienezza nuova, definitiva, ed eterna. Non solo: Gesù aprì questo varco per tutti gli uomini che hanno creduto e credono nel suo nome e che in questo nome fanno già esperienza dell’uomo nuovo rigenerato in Lui.
In questo tempo di Pasqua che ci accompagnerà fino alla festa di Pentecoste (8 giugno), faremo bene ad accogliere l’abbondante parola della liturgia che ci invita a vivere - già al presente - da uomini risorti, nello Spirito di Cristo, nell’attesa che il nostro uomo interiore che “si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16) giunga al suo splendore finale.


sabato 12 aprile 2025

Ci ha amato fino alla fine

 

 Commento al vangelo della domenica delle Palme, anno C – 13 aprile 2027


+ Dal Vangelo secondo Luca (19,28-40)

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».
Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno».
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!».
Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

Commento

 La cronaca di questi ultimi mesi ci obbliga ad assistere a scenari di guerra molto vicini a noi. Le guerre, forse, finché durerà questo mondo non finiranno mai, ma almeno abbiamo la certezza che la misericordia di Dio e la sua compassione per noi uomini avranno durata sempre maggiore, fino all’eternità. Nella domenica attuale, detta delle Palme, noi contempliamo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e ascolteremo, come il venerdì santo, la lunga narrazione della passione di Cristo. 

Nel gergo militare si dice che un territorio può dirsi occupato quando il suolo è calpestato dai piedi dei soldati (boots on the ground). Noi cristiani possiamo e dobbiamo dire che Dio certamente dall’eternità è amore misericordioso, ma è nella persona di Gesù che si è definitivamente rivelato con un volto umano, e con Gesù e in Gesù ha messo “piede” definitivamente nel cuore dell’uomo, nel senso che ci ha dato la possibilità di amare con il suo stesso cuore, e di sconfiggere per sempre l’odio. Più di ogni altra mia parola, mi voglio far forte delle parole di Papa Francesco scritte al paragrafo 203 della sua ultima enciclica “Dilexit nos”:
Egli ci permette di amare come Lui ha amato e così Egli stesso ama e serve attraverso di noi. Se da un lato sembra rimpicciolirsi, annientarsi, perché ha voluto mostrare il suo amore mediante i nostri gesti, dall’altro, nelle più semplici opere di misericordia, il suo Cuore viene glorificato e manifesta tutta la sua grandezza. Un cuore umano che fa spazio all’amore di Cristo attraverso la fiducia totale e gli permette di espandersi nella propria vita con il suo fuoco, diventa capace di amare gli altri come [ha fatto] Cristo, facendosi piccolo e vicino a tutti. (fine citazione).

La novità totale che la Passione di Cristo ci rivela è proprio questa: Gesù ci ama non solo con un cuore divino, ma anche con un cuore umano che stabilmente bussa e chiede il permesso di dargli spazio nella nostra esistenza.

domenica 6 aprile 2025

La Misericordia e la misera

 

 Commento al vangelo della V domenica di quaresima, anno C – 6 aprile 2025


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 

Commento

     Gesù nel vangelo ha detto che “la verità vi renderà liberi” (Gv 8,32) e in un altro passo: “Io sono la via, la verità, la vita”. La verità rivelata da Gesù è la misericordia di Dio, la amorevolezza di un Padre che  - come ascoltavamo domenica scorsa – attende sempre il ritorno a casa di un figlio.
Ma la verità divina manifestata da Gesù (purtroppo) può essere usata da chi non ha un cuore toccato dall’amore di Dio, come pietre da scagliare contro chi sbaglia. La legge di Dio , di per sé giusta, scritta su tavole di pietra per Mosé e per gli altri israeliti, può diventare pietre da scagliare contro chi sbaglia, pietre per lapidare la fragilità del fratello. In questo tempo quaresimale ripetiamo spesso un’antifona liturgica che dice: “Io sono il vivente , dice il Signore, non voglio la morte del peccatore ma che si converta e viva”. Di fronte alla donna adultera ( e intanto mi domando dove era finito l’uomo adultero ! ) Gesù non smentisce la tradizione dei padri ma invita a fare un passo decisivo in avanti, o se volete, in profondità: l’applicazione della misericordia verso chi sbaglia. Al colmo della giustizia, e al fondamento di essa non può che esserci la misericordia, cioè un cuore attento alla miseria umana. Anche gli antichi romani (insigni giuristi) l’avevano capito e dicevano “Summum ius, summa iniuria”, cioè: al colmo della giustizia c’è la massima ingiustizia. Se restiamo sul piano umano, e cerchiamo di spaccare il capello, come si suol dire, per applicare inflessibilmente la legge, faremo disastri. Il Signore ci riveli le vie del suo cuore che unisce in modo mirabile giustizia e misericordia.


giovedì 27 marzo 2025

Il padre prodigo di misericordia

 

 Commento al vangelo della IV domenica di Quaresima, anno C – 30 marzo 2025



+ Dal Vangelo secondo Luca (15,1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».



Commento

Ci troviamo di fronte ad uno dei capolavori delle narrazioni di Gesù di Nazaret, forse la parabola più citata, con quell’immagine del “figlio prodigo” sulla via del ritorno che viene spesso ripresa per descrivere drammatiche situazioni di ripensamenti e di marce indietro della vita.
Ultimamente è stata ribattezzata: la parabola del padre misericordioso, spostando così l’attenzione sull’atteggiamento di colui che, secondo l’intenzione di Gesù, rappresenta il modo di agire di Dio Padre. Ma potremmo anche definirla la parabola del “padre prodigo di misericordia”.
C’è, infatti, un padre generosissimo, ben più prodigo del suo proverbiale figlio che lo sollecita a dargli la parte che gli spetta; e benché ancora vivo egli addirittura divide tutto i suoi averi tra i due fratelli, come a dire che mette tutta la sua vita nelle loro mani. Ma il piccolo di casa ha ormai il cuore sordo a qualsiasi gesto di delicatezza, perché si sente schiavo, si sente privo di vita, come se il padre non gliela avesse ancora donata del tutto. Egli è l’immagine delle tante persone che vivono la relazione con Dio in modo servile, oppressivo, come se questi fosse geloso della nostra felicità.
Il figlio grande, saltando all’altro estremo del racconto, è poco meglio, o se volete poco peggio del fratello. Egli invece è l’immagine di chi vive la relazione con Dio come se questo fosse un datore di lavoro: ‘faccio quello che mi comanda, ma dopo mi deve dare la paga’, altrimenti scatta la rivendicazione sindacale. Una vita obbediente, ma senza cuore, senza mai sentirsi veramente a casa propria.
A questo punto ci domandiamo: dove sta il figlio che sa vivere da figlio, Secondo il cuore di Dio? Ecco: è proprio colui che sta raccontando la parabola. Gesù è il figlio vero, quello che nella casa di suo padre non si sente né schiavo né commerciante, ma semplicemente figlio. Gesù in effetti è la manifestazione, la rivelazione, o se volete l’incarnazione di quell’amore totale di Dio padre che dona tutto se stesso purché i suoi figli abbiano vita e l’abbiano in abbondanza; anche a costo di correre il rischio di vedere sprecati i suoi doni. Ma a lui va bene così, purché ai figli non venga risparmiato neanche una minima frazione del suo amore, e perché la sua misericordia, comunque, è di una abbondanza inesauribile. A questo punto sta a noi decidere dove abitare, e quale modello seguire nella relazione con Dio: schiavo, commerciante o figlio?


venerdì 21 marzo 2025

Grazie e dis-grazie

 

Commento al vangelo della III domenica di Quaresima/C – 23 marzo 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (13,1-9)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».


Commento

 Sarà forse una coincidenza, ma nella giornata di oggi è già il terzo decesso che mi viene comunicato. Si muore, questa è una evidenza; ma ce ne è una ancora peggiore di quella che sperimentiamo biologicamente, ed è la seconda morte, quella di cui parla l’Apocalisse alla fine del testo (capitolo 20,14): “… lo stagno di fuoco”, con l’aggravante dell’eternità. 

Allora Gesù provocatoriamente conduce i suoi interlocutori a non fermare l’attenzione alla vicende terrene, benché a volte possano essere costellate di eventi tragici e molto dolorosi. Quei galilei che subirono l’offesa sacrilega del proprio sangue mescolato a quello dei sacrifici, o quei poveri gerosolimitani che morirono schiacciati dal crollo di una torre non hanno subito una punizione divina, perché non in questa epoca del mondo avviene il giudizio sull’uomo da parte di Dio, ma alla fine di tutto, quando il Signore tornerà a giudicare i vivi e i morti. Di questo bisogna invece preoccuparsi perché, se non accoglieremo la grazia della misericordia di Dio, se non ci convertiamo, periremo allo stesso modo di quegli uomini di cui sopra. Anzi, se posso aggiungere, di una morte peggiore proprio perché definitiva.

Cosa possiamo dire allora delle tante disgrazie che vediamo attorno? Ci servano solo di monito per prendere coscienza della brevità e della fragilità della nostra vita, senza cadere nella tentazione di vedervi un castigo divino, cosa purtroppo ancora assai diffusa tra i cristiani del nostro tempo. Quella che noi consideriamo una dis-grazia potrebbe invece trasformarsi in un momento di “grazia”, di verità, di presa di coscienza della propria precarietà e richiamarci a ciò che invece resta per la vita eterna: l’amore di Dio. Cristo Signore è il divino vignaiolo che con pazienza attende che l’albero della nostra vita porti frutti di giustizia e di bontà.
Concludo con una citazione letteraria tratta dalle ultime righe de I Promessi sposi di Alessandro Manzoni. Egli dice che la sintesi della storia che ha raccontato è che i guai “… la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore”.


giovedì 13 marzo 2025

Ascoltatelo!

 

Commento al vangelo della II domenica di Quaresima, anno C – 16 marzo 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (9,28-36)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Commento

 “Restò Gesù solo”. Al termine di un’esperienza tra lo straordinario e l’incredibile resta solo la presenza di Gesù. Nella sua persona, nelle sue parole, e nella sua promessa di restare sempre con noi, c’è veramente tutto.
Nel racconto dell’Anticristo di Solov’ev c’è un immaginario dialogo tra un nemico della fede e una guida dei cristiani, e a questo viene chiesto: “che cosa vi è più caro nel cristianesimo?” La risposta della guida spirituale non si fa attendere: “Quel che abbiamo di più caro nel cristianesimo è lo stesso Cristo, Lui stesso e tutto quello che da lui proviene, poiché sappiamo che in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”, (citando la Col 2,9)
La Trasfigurazione, seconda tappa domenicale del cammino quaresimale di ogni anno, ci pone davanti un anticipo dell’umanità gloriosa di Cristo, dopo aver celebrato domenica scorsa, la sua umanità sofferente e in lotta contro lo spirito del male. Quel corpo che per quaranta giorni ha digiunato e ha sopportato la tentazione del diavolo è ora rivestito di gloria sfolgorante, e avvolto da una nube nella quale risuona la voce di Dio padre.
In Gesù la natura umana riporta vittoria contro le seduzioni del male, e in Gesù ogni uomo può vivere un anticipo della gloria futura ed eterna. Il centro di tutta la nostra fede e della nostra speranza di vita eterna rimane sempre e solo Gesù. L’itinerario quaresimale potrebbe essere ispirato dal silenzio dei tre apostoli – Pietro, Giacomo e Giovanni – che “in quei giorni – ci dice l’evangelista - non riferirono a nessuno ciò che avevano visto”, forse perché quando un’esperienza oltrepassa le soglie dell’umano ha bisogno di essere meditata e rivissuta a lungo nel cuore. La presenza di Cristo Signore è ora definitivamente nella gloria di Dio ma abita anche stabilmente nella sua Chiesa e nella nostra anima e per questo la voce del Padre ora giunge anche a noi, in ogni istante della vita: “questi è il mio figlio, l’eletto: ascoltatelo!”  


venerdì 7 marzo 2025

Nei deserti di senso

 

 Commento al vangelo della I domenica di Quaresima/C – 9 marzo 2025


 Dal Vangelo secondo Luca (4,1-13)

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.


Commento

 Gesù è sospinto dallo Spirito Santo a fronteggiare fin da subito il nemico numero uno del genere umano, colui che per definizione è “divisore”, che vuole creare lontananza tra noi e da Dio. L’evangelista Luca lo chiama appunto diavolo. Tre sono gli ambiti relazionali in cui noi uomini ci muoviamo: rispetto a Dio, agli uomini, e alle cose, e proprio qui il tentatore cerca di portare fuori strada Gesù. 

«Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Ma Gesù subordina il suo bisogno di cibo (pur dopo quaranta giorni di digiuno) all’accettazione del disegno di Dio, quale esso sia. Poteva non essere sicuro di trovare altro cibo disponibile rispetto ai quei potenziali pani, ma si è fidato della volontà del Padre. Ricordiamo che nell’orto degli ulivi, all’altro capo del Vangelo, analogamente Gesù si affidò al Padre dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42). Ma in quel caso la volontà del Padre lo portò alla morte di croce, sebbene sappiamo che fu solo un passaggio temporaneo.
Mostrandogli tutti i regni della terra il diavolo disse ancora a Gesù «…Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Ma Gesù non vuole conquistare gli uomini con la forza, servendosi del male, ma piuttosto con la sua misericordia ad oltranza e con la sua umiltà, fino ad essere confuso con un malfattore.

Da ultimo il diavolo gli propone di mettere alla prova Dio stesso “Se tu sei il Figlio di Dio…”. Qui forse ci fu la tentazione più dura da superare per Gesù, perché lui in effetti era figlio di Dio. Anche mentre moriva in croce i capi lo derisero dicendo: “Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto” (Lc 23,35). Ma Cristo ha voluto vincere il male non da Dio, ma da uomo, accettando fino all’ultimo di vivere da figlio obbediente. E Gesù ha vinto anche per noi, per noi che rimproveriamo a Dio di non saper intervenire nei nostri mali e nelle nostre fatiche; per noi che diciamo: “se Dio è buono e ci ama, perché permette questa sofferenza?” 

Gesù ci offre un esempio ma soprattutto in lui, nella sua persona vivente, che ha attraversato la morte, ci offre la forza per fidarci ad oltranza del Padre, come ha fatto lui. In un film-commedia del 2003 intitolato “Una settimana da Dio” ad un uomo viene data la possibilità di mettersi al posto di Dio, da lui rimproverato di non essere all’altezza dei problemi del mondo. Nella storia molto fantasiosa la cosa interessante è che comunque alla fine della settimana il protagonista preferisce ritornare al “mestiere” di prima, e di lasciare a Dio il suo. Questo per dire che nelle apparenti contraddizioni della vita, nei deserti di senso e di prospettive che si creano anche nelle nostre vicissitudini non saremo mai soli e il Signore stesso, a suo modo e a suo tempo, ci svelerà tutto quello che ora non possiamo capire e le straordinarie vie attraverso le quali tutto si compirà.

venerdì 28 febbraio 2025

Per non diventare allergici alla paglia!

 

Commento al vangelo della VIII domenica del Tempo Ordinario/C – 2 marzo 2025

 

+ Dal Vangelo secondo Luca (6,39-45)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

 
Commento

 Preoccupante o consolante, a seconda dei casi: prima o poi gli atteggiamenti, i gesti e le parole della nostra vita riveleranno ciò di cui ci siamo nutriti, i maestri che abbiamo ascoltato, le scuole di pensiero che abbiamo frequentato. Non si può tener nascosto il contenuto del nostro cuore, ci dice Gesù. Ma allora sarà necessario, per chi fosse interessato alla pratica del bene – speriamo tutti – avvicinarsi alla sorgente del bene, ricordando l’episodio del giovane ricco quando il Signore viene interpellato su ciò che di buono occorre fare per avere la vita eterna (cf. Mt 19,16-17): “Buono è uno solo”. O nella versione dell’evangelista Luca: “Nessuno è buono se non Dio solo” (Lc 18,19).

La nostra esistenza può essere piena di difetti, (chi non li ha?), ma la cosa decisiva, molto consolante dal mio punto di vista, è che alla fine, nelle relazioni con le persone, e da ultimo nell’incontro faccia a faccia col volto del Signore, emergerà il desiderio di lui, cioè di bene e di verità che ci ha accompagnato lungo la vita. Troppo spesso si valuta la propria esperienza di fede solo sulla base della capacità di essere vincenti su tale o tal altra debolezza, ma ciò che veramente conta è custodire nel cuore la sua presenza e il Signore, anche se dovesse trovare chiusa una porta, speriamo possa trovarne aperta un’altra. Facciamo dunque nostra la raccomandazione di San Francesco: “e sempre costruiamo in noi una casa e una dimora permanente a lui” (FF 61). Sarà il miglior antidoto per eventuali allergie a paglia o pagliuzze!

 

mercoledì 19 febbraio 2025

Amarsi un po’…aiuta a non morire

 

Commento al vangelo della VII domenica del Tempo Ordinario, anno C – 23 febbraio 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (6,27-38)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

 

 Commento

Ci troviamo ai vertici della paradossalità degli insegnamenti di Gesù: il perdono dei nemici, l’amore dei nemici, dare e donarsi senza aspettarsi nulla in cambio. Cose impossibili e fuori dell’umano se non fosse che chi parla, colui che le sta proponendo a noi ascoltatori la ha vissute lui per primo. Non sono cose fuori dell’umano perché tutta la vita di Gesù è la vita divina tradotta nel linguaggio umano, è la vita del figlio unigenito dell’Altissimo che nella sua volontà (sottolineo: umana!) accetta fino alla fine di vivere come Dio propone.

Forse proprio questo ci sfugge e ci trasmette l’idea di una strutturale impraticabilità dei suoi insegnamenti: Gesù era così compiutamente uomo, oltre ad essere vero Dio, da avere anche una libera volontà umana. Lo sto dicendo in pochi secondi e con poche parole ma la questione fu dibattuta vivacemente nei primi secoli del cristianesimo, a tal punto da richiedere la convocazione di un Concilio ecumenico, cioè generale, di tutti i vescovi della Chiesa. Alcuni che a fatica avevano accettato l’idea che Gesù fosse anche un vero uomo, affermavano però che tale umanità fosse incompleta e che in lui ci fosse solo una volontà divina.

Invece no: Gesù aveva anche una volontà umana, con la quale si sottomise al volere del Padre. Ricorderete Gesù nell’orto degli ulivi: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. (Lc 22,42).

Non solo quindi è possibile vivere lo stile dell’amore evangelico, ma ne abbiamo anche la possibilità, perché abbiamo Gesù che intercede continuamente a nostro favore. (cf. Eb. 7,25) lui che continua a donarci la sua forza e il suo amore gratuitamente. Ora è chiaro che se l’uomo cerca la ricompensa umana, il beneficio e il contraccambio per i suoi atti decade dal regime della Grazia. Se il nostro bene si rivolge a chi già ce ne fa, o a chi abbiamo la speranza che ce lo renda, non siamo più nell’atteggiamento di chi sa di aver già ricevuto tanto. L’uomo del vangelo invece non compie gesti d’amore per avere contropartite ma perché si sente lui per primo, proprio perché imperfetto, oggetto di un amore infinito, e chiamato a ricambiare tale amore attraverso gesti di gratuità ai fratelli, buoni o malvagi che siano.