venerdì 26 settembre 2025

Il pericoloso sonno della coscienza

  

Commento al Vangelo della XXVI Domenica del Tempo Ordinario/C – 28.09.2025


Dal Vangelo secondo Luca (16,19-31)

 In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Commento

 Lazzaro non ha bussato alla porta del ricco, non ha alzato la voce per gridare giustizia: in questo racconto parabolico di Gesù possiamo immaginare che la disgrazia di Lazzaro fosse così grande da non dargli nemmeno la forza per chiedere. Doveva essere piuttosto questo ricco ad accorgersi di colui che si sarebbe accontentato anche delle briciole di quella mensa. La ricchezza in se, non è un peccato! Magari tutti gli uomini della terra fossero ricchi abbastanza per non avere problemi a procurarsi abbondante cibo per ogni giorno, ma evidentemente non è così. Per questo sulla ricchezza di quell’uomo, come sulla ricchezza di ogni uomo concreto di questo mondo grava una “ipoteca sociale”. Non abbiamo un diritto pieno di goderla solo per noi.

 Prima di godere liberamente dei propri beni, ogni uomo è chiamato ad interrogarsi su quanta parte di essi egli possa e debba condividere con chi non ne ha a sufficienza per una vita dignitosa. Invece a volte, troppo spesso, il benessere non porta alla condivisione ma anzi chiude gli occhi, tappa le orecchie, indurisce il cuore fino a perdere la propria dignità. Nella parabola, non a caso, questo uomo ricco, non ha nemmeno un nome, a significare che la mancanza di solidarietà con i bisognosi rende anonimi e privi di consistenza.
Ecco allora che se la ricchezza di mezzi economici permette in questa vita di essere al centro dell’attenzione e di godere di qualche consolazione, alla resa dei conti finale emergerà con durezza la profonda inconsistenza di colui che ha chiuso il cuore al povero.
Lasciamoci quindi evangelizzare dai poveri. In mezzo ai tormenti l’uomo ricco, compresa l’inevitabilità della sua pena, spera che almeno qualcuno, o lo stesso Lazzaro vada ad ammonire i suoi fratelli e suo Padre.

 I poveri hanno una missione nei confronti dell’umanità, quella di dare a tutti la possibilità di incontrare in essi e tramite essi il volto di Cristo povero, ed esserne evangelizzati. Quel volto che ci parla anche tramite Mosè e i profeti, cioè tramite le scritture. Ma se anche di fronte ad esse l’egoismo ci rende ciechi,  allora…più che sperare che qualcuno risorga dai morti e venga ad avvertirci, occorre sperare che ci si risvegli in tempo dal torpore della propria coscienza! 

venerdì 19 settembre 2025

Semplici come colombe, prudenti come serpenti

 

 Commento al Vangelo della XXV Domenica TO/C – 21 settembre 2025


Dal Vangelo secondo Luca (16,1-13)

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: 
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».



Commento

 Sembra che Gesù abbia proprio ragione: i figli di questo mondo sono molto scaltri e abili nel trafficare e nel gestire i propri interessi materiali, nello stabilire con i loro pari rapporti di reciproca convenienza. Facile constatare che alcuni, forse molti, per ammucchiare autorevolezza, posizioni sociali di eccellenza, denaro, sono disposti a fare dei sacrifici che i figli della luce, cioè gli uomini discepoli del Regno di Dio, raramente hanno voglia di fare. 
C’è una furbizia per trafficare gli affari umani, c’è una furbizia anche per trafficare le cose di Dio. Tra le brevi esortazioni di Gesù, ce n’è anche una – tra le mie preferite – che esorta ad essere “semplici come le colombe e prudenti come i serpenti” (Mt 10,16).

 Perdonare tutto e a tutti è la cosa più intelligente e conveniente che ci può venire in mente di fare, in vista dell’avvento definitivo del regno di Dio. Questa parabola viene raccontata da Gesù proprio dopo aver raccontato le tre famose parabole della misericordia, tra cui eccelle quella del Padre misericordioso ( o del figlio prodigo ). In esse Gesù racconta quanto è grande il perdono di Dio, nostro padre, nei nostri confronti. Nella parabola di oggi che segue immediatamente, possiamo vedervi un ammonimento su come amministrare la misericordia ricevuta, facendola approdare al cuore dei fratelli.
Di fronte alla grandezza immensa dell’amore di Dio per ciascuno di noi ci dovremmo sentire tutti come quell’amministratore disonesto che ha mal gestito tanta abbondanza, e potremmo, dovremmo, almeno risanare i rapporti con i nostri compagni di cammino, condonando loro il più possibile eventuali addebiti verso noi, e anche facendoci condonare eventuali nostri addebiti nei loro confronti.

Una suora fondatrice di una piccola congregazione religiosa qualche anno fa, al sopraggiungere della sua morte, ebbe cura di rintracciare tutte le persone che potevano avercela con lei, e addirittura riuscì a rintracciare anche una telefonista di un ‘call center’ alla quale aveva risposto in modo seccato. Pensate un po’: quanta saggezza in questa anima nel prepararsi ad arrivare dinanzi al Dio di ogni misericordia e di ogni grazia!

 E se invece di aspettare di arrivare a fine corsa, ci preparassimo prima?... cercando di ricucire - là dove è possibile - relazioni con i nostri offensori e con i nostri offesi?


venerdì 12 settembre 2025

Per salvare, non per condannare

 

Commento al Vangelo della Festa ‘Esaltazione Santa Croce’ – 14 sett 2025 (XXIV Dom TO)


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: 
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Commento

 Oggi, 14 settembre, la Domenica coincide con il giorno in cui la Chiesa celebra la festa della ‘Esaltazione della Santa Croce’; per questo leggiamo il Vangelo proprio di questa festa e non quello della XXIV Domenica.
Siamo nel mezzo del colloquio notturno tra Gesù e un capo dei Giudei, chiamato Nicodémo, il quale pone al Maestro una domanda molto sensata: ‘Come si può rinascere una seconda volta quando si è già grandi?’ Gesù porta Nicodemo a spostarsi dal piano naturale, biologico, a quello soprannaturale. La vita biologica, prima o poi finisce. La vita eterna, quella di cui parla Gesù, ci viene donata, o meglio restituita, ad opera del Figlio di Dio fatto uomo, Gesù: egli che abitava i cieli è disceso fra noi per rivestirsi della nostra umanità e per riportare questo vestito con sé nella dimora del Cielo, dove regna col Padre e lo Spirito.

 In tutto questo passaggio c’era un inciampo, cioè la chiusura e la durezza del cuore dell’uomo, il quale ha pensato che Dio fosse invidioso della sua gioia, che fosse suo antagonista. Questa infatti è la radice del peccato: il pensare che Dio sia mio nemico. Ecco perché Gesù ribadisce che Dio «non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

L’ostacolo, il peccato dell’uomo, culminato nella condanna a morte è diventato però nella vicenda storica di Gesù il passaggio decisivo alla vittoria. Quindi, facciamo bene attenzione: Gesù non è venuto in terra a dirci che dobbiamo soffrire per ottenere la vita eterna, quanto piuttosto a dirci che quel luogo di supplizio e di odio, che storicamente fu una croce, poté diventare grazie al suo abbandono alla volontà del Padre, un luogo di amore, di salvezza e di riconciliazione tra Dio e l’uomo. La croce è una croce luminosa se è abitata dalla presenza di Cristo, altrimenti è croce e basta!  
La vita dell’uomo è cosparsa di momenti tragici, umanamente irrisolvibili. Nella grazia e nell’amore di Gesù Signore, possiamo trasformare questi stessi momenti in luoghi di rinascita e di ingresso in una nuova prospettiva di eternità.  



giovedì 4 settembre 2025

Fare bene i conti

 

 Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario/C – 7 settembre 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)


In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


Commento

 Gesù chiede al suo discepolo lo stesso tipo di relazione che lui per primo ha vissuto con il Padre, e nella imminente Pasqua offrirà la forza del suo divino Spirito per rendere possibile tutto questo. Gesù non ha certamente odiato nessuno ma tutto ha vissuto, inclusa la sua vita familiare, alla luce della sua figliolanza divina. Arriverà a dire: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Sappiamo che il motivo fondamentale della rabbia e della condanna dei capi ebrei fu non tanto provocata da qualche azione sbagliata ma da quella che alle loro orecchie suonava come un’insopportabile bestemmia: Gesù, a loro detta, pur essendo uomo si faceva uguale a Dio (Cf Gv 10,34).

 Eppure, Gesù non ha temuto la loro condanna e veramente ha amato il Padre e ha dato testimonianza di lui e del suo amore fino ad accettare di offrire liberamente la sua vita.

La volontà umana di Gesù si è consegnata alla volontà divina e ha reso anche la sua morte solamente un passaggio momentaneo, seppur doloroso, verso la gloria eterna, sua e del Padre. Sembrerà assurdo ma di quella gloria siamo chiamati a far parte anche noi, e prima di intraprendere il viaggio, occorre capire bene con che forze vogliamo compierlo. Gesù dice: “da solo, con le tue forze, non arriverai lontano, non potrai sconfiggere le forze del male che sono ben più forti della tua buona volontà! Hai bisogno di consegnarmi la tua libertà, di dire come ho detto io: sia fatta la tua e non la mia volontà (cf Lc 22,42), e ricevere il mio santo spirito che ti guiderà alla verità tutta intera e alla vittoria finale”.

mercoledì 27 agosto 2025

Il ‘merito’ di riconoscersi graziati e senza meriti

 

Commento al vangelo della XXII domenica del Tempo Ordinario, anno C – 31 agosto 2025


Dal vangelo di Luca (14,1. 7-14)

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
 

Commento

 Gesù ha qualcosa da dire a tutti gli intervenuti, ospitanti e ospiti. Chi riceve un invito dovrebbe evitare in tutti i modi di vantare un qualche privilegio, o un posto d’onore, ma semplicemente ricordarsi che è un invitato, ed è lì perché la benevolenza di chi organizza la festa di nozze lo ha incluso tra i presenti. Nessuno ha un titolo di merito in più degli altri. Viene alla mente la parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna. Quel padrone vuole dare all’operaio che ha lavorato solo un’ora la stessa paga promessa al collega delle 6 di mattina. La bontà di colui che invita, in pratica, rende insignificante ogni differenza nel livello di collaborazione umana, fosse anche aver lavorato qualche ora in più.

 L’invito alla festa di nozze dell’agnello è assolutamente gratuito e destinato a tutti, ma proprio colui che penserà di essere destinatario di un’attenzione maggiore rispetto agli altri, si troverà irrimediabilmente retrocesso all’ultimo posto; al contrario, chi avrà accolto l’amore del Padre con totale umiltà, come ha fatto il Figlio Gesù, condividerà con lui la sua eterna gioia.

 La stessa cosa vale per chi si trova ad amministrare la benevolenza del Padre. Tutto quello che l’uomo farà per gli altri dovrà avere sempre il carattere della restituzione, della condivisione di qualcosa che gratuitamente si è anzitutto ricevuto in dono. Fare qualcosa per gli altri, come invitare ad un banchetto, con l’idea di avere un contraccambio, perderà ogni connotato della gratuità, e non potrà permettere di partecipare della gioia eterna riservata ai figli di Dio, di coloro che sanno di aver tutto ricevuto e di dover in questa terra solamente riprodurre quella corrente di dono che originariamente e permanentemente li investe. In definitiva l’unico titolo di credito che potremo far valere davanti a Dio è l’aver dimostrato nei fatti di aver sempre creduto all’inesauribilità del suo amore spargendolo e condividendolo con i compagni di cammino. 

giovedì 14 agosto 2025

Per tutti ma non con tutti

  

Commento al Vangelo della XX domenica del Tempo Ordinario, anno C – 17 agosto 2025

Dal vangelo di Luca (12,49-53)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».


Commento

  A volte la divisione, la separazione dagli uomini è inevitabile, addirittura necessaria. La carità di Dio, la carità che è Dio, coincide con la verità e questa ha delle esigenze che si impongono anche sulle regole del quieto vivere. Già dodicenne Gesù afferma davanti ai suoi genitori che lo cercavano la necessità prioritaria si mettersi al servizio del regno di Dio. Ricorderete quell’episodio narrato dall’evangelista Luca in cui Maria e Giuseppe ritrovano il loro figlio che si era attardato nel tempio di Gerusalemme e di fronte al loro rimprovero egli risponde: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). 

Forse San Francesco d’Assisi poteva diventare santo anche rimanendo nella bottega di stoffe del padre, ma in un dato momento della sua vita, la voce del Signore, del Cristo povero umile gli ha fatto sentire il suo appello a seguirlo, e così fu per lui impossibile sottostare alle logiche familiari del profitto e della scalata sociale. Quando ridette le vesti al padre, egli disse pubblicamente: “D’ora in poi potrò dire liberamente: Padre nostro, che sei nei cieli, non padre Pietro di Bernardone. Ecco, non solo gli restituisco il denaro, ma gli rendo pure tutte le vesti. Così andrò nudo incontro al Signore” (FF 597 Tommaso da Celano).

Non fece un gesto di disprezzo o di odio al padre, ma un gesto di verità, davanti a Dio, a se stesso e alla sua famiglia. La pace, dono messianico, dono che Gesù annuncia da risorto ai suoi apostoli entrando nel cenacolo la sera di Pasqua, non ha nulla a che vedere con dei compromessi basati sulle reciproche minacce, e sul reciproco timore. Si attribuisce al pragmatismo degli antichi romani l’adagio: “Si vis pacem para bellum” cioè: ‘ se vuoi la pace, prepara la guerra’. Non è così per Gesù. La pace che egli porta è piuttosto una pace disarmata, e per questo disarmante, ed è basata su quel fuoco d’amore che egli è venuto a portare sulla terra per accenderlo nel cuore degli uomini a iniziare dal suo.

Che male c’è!

 

 Commento al Vangelo della XIX Domenica del TO, anno C – 10 agosto 2025    


Dal Vangelo secondo Luca 12,32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. 
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 

Commento

 La sonnolenza da cui guardarci non è certamente quella del corpo, ma quella dello spirito. Gesù ha appena rivolto un lungo discorso ai suoi discepoli sul pericolo delle ricchezze, sulla necessità di accontentarsi di quanto è necessario per vivere senza avere il cuore in ansia per il domani. 
In effetti, sono proprio quelli che vegliano la notte per curare i propri affari e accumulare i beni, a far addormentare i propri sensi spirituali. “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (v. 37) dice Gesù. Il sonno spirituale è la condizione di chi non si preoccupa di cosa entri nel ‘campo’, nel recinto della propria vita. Quando Gesù racconta la parabola della zizzania dice che “mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò” (Mt 13,25). 
In definitiva capiamo da questa esortazione di Gesù che la nostra vita non potrai mai essere neutra rispetto alla scelta del bene o del male. A volte, in modo molto superficiale, anche chi avrebbe fatto, o avrebbe voluto fare, una scelta di vita cristiana accoglie delle logiche molto lontane dal vangelo; perché? Perché non si è vigilanti. ‘Fanno tutti così’, o a volte il massimo dell’impegno a fare discernimento è espresso dalla domanda: “che male c’è?”. Raramente ci si pone la questione più decisiva: “Qual è il bene di questa o quest’altra scelta?” La vigilanza richiesta è di essere sempre attenti ad accogliere il bene che il Signore vuole seminare ogni giorno nel campo della nostra esistenza e questo comporta anche un attivo adoperarsi per non accontentarsi della prima cosa che ci viene proposta, ma di cercare sempre il bene più grande, tra le scelte possibili. Il Signore stesso allora passerà a servirci, perché il suo servizio è aver dato la vita per gli uomini che guardano a lui, Sommo bene.  

giovedì 31 luglio 2025

Quali beni e quale Bene

 

Commento al Vangelo della XVIII domenica del TO, anno C - 3 agosto 2025


Dal Vangelo secondo Luca (12,13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

 Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».


Commento

 Due tipi di stoltezza si sommano nei ragionamenti di questo ipotetico uomo ricco. Anzitutto nessuno può essere sicuro della lunghezza della propria vita. Non è un’affermazione, questa, del Catechismo ma di quanto più constatabile c’è nella vita: non possiamo essere sicuri del nostro domani, e neppure ci sentiamo rassicurati dal fatto che prima o poi, comunque, raggiungeremo tutti il posto fisso!

La seconda stoltezza dell’uomo della parabola di oggi è che, in ogni caso, per quanto la vita possa essere lunga, non potremo portare con noi nulla dei beni che saremo riusciti ad accumulare quaggiù. Beh, di fatto, anche questo può essere oggetto di verifica: è sufficiente osservare quante dispute sorgono sulle ricchezze lasciate da chi è salito al Padre. Non nasce forse da una disputa su un’eredità l’episodio dell’odierno vangelo ! Ecco la domanda, allora: “Quello che hai preparato, di chi sarà?” 
L’uomo invece che arricchisce davanti a Dio è colui che si preoccupa di tesaurizzare, di accumulare gli unici beni che possono essere traslocati oltre il termine della vita biologica: quelli condivisi e donati agli altri. Costui non avrà da temere la morte improvvisa perché sempre in ogni momento il Signore lo troverà indaffarato a costruire il regno dell’amore in lui e intorno a lui, e inoltre troverà poi moltiplicati tutti i suoi sforzi compiuti in questo mondo.

Quindi il messaggio è proprio racchiuso nella frase di Gesù: La vita, quella vera, quella che dura oltre la soglia del tempo, non dipende da ciò che si possiede qui in questo mondo. Possiamo aggiungere: dipende piuttosto da ciò che si è capaci di donare agli altri. Non solo beni materiali, ma anche il nostro tempo, la pazienza, la compassione. Sinteticamente: qualcosa della nostra stessa vita, perché - dice Gesù - “chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. (Mt 16,25). 

giovedì 24 luglio 2025

La luce trasfigurante della preghiera

 

 Commento al Vangelo della XVII Domenica del TO, anno C – 27 luglio 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (11,1-13)

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


Commento

 Quel discepolo chiese a Gesù di insegnare loro a pregare dopo che Gesù stesso ebbe terminato di vivere un tempo di preghiera. I vangeli ci raccontano un unico episodio della trasfigurazione del volto di Gesù, ma è facile immaginare che ogni volta che questi si ritirava in solitudine per mettersi alla presenza di Dio Padre, la sua persona dovesse trasmettere una forza e una presenza effettivamente divina, al di là del fatto che Gesù – lo sappiamo – era Dio fin dal concepimento nel grembo di Maria sua madre. Ricordiamo che anche Mosè, scendendo dal monte Sinai dopo aver incontrato il Signore, aveva la pelle del suo viso che era divenuta raggiante (cf. Es 34,30).
I discepoli, quindi, provano a chiedere una via di accesso a quella intimità che il loro Maestro sperimentava con Dio Padre. E in effetti la prima cosa che Gesù propone ai discepoli di tutti i tempi è proprio quella di rivolgersi a Dio chiamandolo ‘Padre’. Non vogliamo ora entrare in un commento dettagliato delle singole espressioni, ma questo vale la pena di essere sottolineato: chiamare Dio ‘padre’, in modo confidenziale. Direbbe il salmo 130: “come bimbo svezzato in braccio a sua madre”, per mettersi anzitutto alla sua presenza con atteggiamento umile ma fiducioso, come farebbe un figlio, normale, verso i suoi genitori. Questa intima confidenza è proprio ciò che viene realizzata dallo Spirito Santo in noi, che è comunione del Padre e del Figlio, il dono per eccellenza.
Don Luigi Giussani diceva che “In un certo senso ciò che brama il santo non è la santità come perfezione; è la santità come incontro, appoggio, adesione, immedesimazione con Gesù Cristo” (Giussani, Alla ricerca del volto umano, pag 171).

Possiamo dire che la preghiera del Signore, il Padre nostro, ci permette - non tanto e non anzitutto con le parole ma con l’atteggiamento del cuore che richiede - di entrare nelle disposizioni di Gesù, di – appunto – immedesimarci con Gesù. Lui certamente figlio di Dio per natura, noi figli per grazia ricevuta, per l’energia del suo Santo Spirito. La prima cosa a cui dobbiamo tendere – allora - non è la perfezione morale, ma di metterci e di restare sempre alla presenza del Signore. Quando dovessimo smarrirla non basteranno tutti paradisi artificiali di questo mondo a compensare questa mancanza. In una canzone dei primi anni ‘80 Renato Zero diceva, non a torto, che “un drogato è soltanto un malato di nostalgia”. 

venerdì 18 luglio 2025

L’uomo della soglia

  

Commento al vangelo della XVI Domenica del Tempo Ordinario, anno C – 20 luglio 2025


Dal Vangelo secondo Luca (10,38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. 
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Commento 

 Nel primo documento del suo pontificato papa Francesco scrive: “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte”. (EG 3).
Vuole dire che non siamo noi che andiamo in cerca del Signore ma è piuttosto lui che ci viene a cercare, per portarci la sua gioia e lo fa attendendo il nostro ritorno anche quando ci siamo allontanati.
La casa delle due sorelle Marta e Maria è l’immagine simbolica del cuore dell’uomo, come pure lo è la tenda in cui Abramo riceve la visita di tre misteriosi personaggi a Mamre, di cui si parla nella prima lettura di questa domenica.
Sempre il Signore viene a visitarci. Lo può fare incontrandoci nella sofferenza di un malato nella quale  chiede di essere visitato, o nella disgrazia di una vittima di violenza nella quale chiede di essere soccorso: pensate alla parabola del buon samaritano di domenica scorsa. Molti di voi stanno vivendo momenti di riposo: ebbene, certamente il Signore ci può visitare anche nella bellezza di un paesaggio, o di una creazione artistica. 
La preferenza che Gesù accorda alla scelta di Maria di sedersi in ascolto della sua parola, rispetto al totale coinvolgimento di Marta nel servire (nel servire Gesù per altro) non è necessariamente il dare la  priorità della vita contemplativa sulla vita attiva, quanto il sottolineare la profondità che siamo invitati a custodire in tutte le cose che facciamo; soprattutto di questi tempi in cui ormai la tecnologia ci potrebbe spingere alla superficialità permettendoci di fare due-tre cose alla volta: guidare la macchina e parlare al telefono (sempre in viva voce, speriamo), pranzare e rispondere a dei messaggi, e così via. 
Certamente, non potremo mai fare a meno di spazi di silenzio per ascoltare il silenzio, e per ascoltare nel silenzio le indicazioni della nostra coscienza, ma l’atteggiamento di Maria, l’ascolto della parola del Signore, lo scegliersi la parte migliore è anche, e forse soprattutto, custodire profondità e pacatezza in ogni cosa o mansione che assolviamo nella giornata. Concludo con una citazione del grande Sant’Agostino che nelle Confessioni scrisse: “Signore, tu eri dentro di me, ma io ero fuori: E là ti cercavo.” Proprio così: il Signore chiede ospitalità in casa nostra, nel nostro cuore, ma si mette sulla soglia e lì ci attende.

giovedì 10 luglio 2025

La pienezza della Legge

 

 Commento al Vangelo della XV domenica del TO, anno C – 13 luglio 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (10,25-37)


In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

Commento

 Al capitolo XXVIII de I Promessi sposi Alessandro Manzoni riporta una considerazione dell’anonimo autore a cui fittiziamente egli attribuisce il suo romanzo: “… si dovrebbe pensare piú a far bene, che a star bene: e cosí si finirebbe anche a star meglio". 
Se permettete, questa è un’ottima sintesi del senso del comandamento dell’amore, e dell’amore al prossimo in particolare, che ci viene trasmesso dall’odierna parabola del buon samaritano. Non possiamo amare e prenderci cura dell’altro solo in virtù dell’obbedienza ad un comandamento, (anche venisse da Dio in persona!) ma possiamo farlo solo a partire da almeno due considerazioni.
La prima è che la compassione, l’attenzione per l’altro non dobbiamo inventarcela noi, perché Dio per primo ha amato noi e ci ha messo il suo amore nel cuore. Gesù è il vero buon samaritano della storia, della storia di ogni uomo, di ogni mal capitato che sulle strade di questo mondo è mezzo morto non necessariamente per delle percosse, ma perché gli è stata sottratta una prospettiva di speranza, di un avvenire felice, o perché vittima delle sue false illusioni, e sappiamo bene che quanto più inconsistenti sono le illusioni, tanto più disastrose sono le delusioni.
La seconda è che la legge dell’amore è impressa nel cuore dell’uomo. Prima di farla scrivere su tavole di pietra, Dio ha impresso il senso tutti i comandamenti nel profondo del nostro cuore, per cui disobbedire ad essi è fondamentalmente un disobbedire alla nostra umanità, alla nostra capacità e possibilità di una pienezza di vita, o se preferite, alla possibilità di felicità.
Ecco perché San Paolo scrivendo ai cristiani della Galazia dice che “Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal 5,14).
Questo che vengo di dire non è più scontato neppure nella mentalità di alcuni cristiani contemporanei, sostenitori del principio: “prima ci sono io - o noi - e poi eventualmente gli altri (come di fatto pensarono il levita e il sacerdote).
Ma forse avranno letto un vangelo diverso da quello di Gesù di Nazaret!



venerdì 4 luglio 2025

Preghiera di Papa Leone XIV per la rete mondiale di preghiera - luglio 2025

 

Spirito Santo, tu, luce della nostra intelligenza,
soffio e dolcezza nelle nostre decisioni,
dammi la grazia di ascoltare attentamente la tua voce
per discernere i passaggi segreti del mio cuore,
perché io possa cogliere ciò che è veramente importante per te
e liberare il mio cuore dai suoi tormenti.
Ti chiedo la grazia di imparare a fermarmi,
per prendere coscienza del mio modo di agire,
dei sentimenti che mi abitano,
dei pensieri che mi invadono
e che, molto spesso, nemmeno percepisco.
Desidero che le mie scelte
mi conducano alla gioia del Vangelo.
Anche se dovrò attraversare momenti di dubbio e di stanchezza,
anche se dovrò combattere, riflettere, cercare, ricominciare…
Perché, alla fine del cammino,
la tua consolazione è il frutto di una decisione giusta.
Concedimi di conoscere meglio ciò che mi anima,
per respingere ciò che mi allontana da Cristo,
e per amarlo e servirlo sempre di più.
Amen.

giovedì 3 luglio 2025

Credenti e quindi credibili

 

 Commento al vangelo della XIV Domenica del TO, anno C – 6 luglio 2025


Dal Vangelo secondo Luca (10,1-9 forma breve)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. 
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

 

 Commento

C’è molto più di un’indicazione da galateo del buon discepolo: nelle raccomandazioni date da Gesù ai 72, inviati nei luoghi dove egli stava per recarsi, c’è la trasmissione di una forma di vita che esprime e manifesta una sostanza, una realtà presente e operante: quella del Regno di Dio. Infatti le uniche parole che  Gesù invita a proclamare sono: “Pace a questa casa” e “E’ vicino a voi il regno di Dio”. La pace è il primo annuncio che da risorto Gesù dirà ai suoi apostoli riuniti nel cenacolo la sera del giorno stesso della sua risurrezione. Quindi è come se quei 72 annunciassero in anticipo quello che Gesù realizzerà nel suo corpo al compimento della sua Pasqua, cioè della sua Passione morte e resurrezione; come se la luce dell’evento pasquale potesse illuminare fin da subito la speranza degli amici di Gesù e di chi li accoglie.

Oltre a questo il loro stesso stile di vita, assolutamente sobrio e libero dalle più semplici esigenze materiali, fino ad accontentarsi di ciò che verrà loro dato da mangiare (ripetuto per ben due volte) testimonia la loro assoluta fiducia in colui che li ha inviati. Dirà San Paolo qualche anno più tardi che, dopo aver a lungo pregato il Signore di essere liberato da una non meglio precisata ‘spina nella carne’, il Signore stesso gli disse: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9). 
Ecco perché i discepoli di Cristo Gesù non dovranno mai temere l’indigenza e tutte le condizioni sfavorevoli che dovranno fronteggiare, anche causate della stessa fede di cui si faranno portatori. 
Anzi, proprio il loro andare per il mondo in quel modo indicato da Gesù sarà il miglior modo per dire con la vita, prima che con le parole, la fiducia nella forza vincente e liberante dell’amore di Dio, di quello che Gesù chiama il regno di Dio’.

 Grazie alla testimonianza di credibilità degli inviati del Signore sarà allora possibile un incontro personale di ciascuno con lui. Questo avvenne in quel frangente raccontato dal vangelo di oggi, ma avviene anche ai nostri giorni: quando ci sono cristiani sinceramente credenti e quindi credibili si creano le condizioni più favorevoli perché le persone facciano esperienza della presenza del Signore.

giovedì 26 giugno 2025

Chi sei tu, chi sono io?

 

 Commento al vangelo della Solennità dei SS. Pietro e Paolo (in luogo XIII Dom TO) – 29 giugno 2025

 

 
 Dal Vangelo secondo Matteo (16,13-19)

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». 
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».


Commento

 Sembra molto riduttiva e limitante la scelta di Gesù di edificare la propria comunità, la propria Chiesa sulla persona di Pietro. Ma molto più limitante allora è la scelta da parte di Dio di farsi uomo, di assumere una semplice – ma completa – natura umana nella persona dello stesso Gesù.

 Detto in altra maniera: è faticoso credere che Gesù possa aver scelto di confermare, ratificare nei cieli tutte le decisioni prese dal collegio apostolico con a capo Pietro e i suoi successori. Ma è molto più ardito credere che Gesù di Nazaret, uomo in carne e ossa come noi, sia stato davvero non solo il Cristo ma addirittura, il Figlio del Dio vivente, cioè lui stesso Dio come il Padre celeste.
Il grande salto della fede non è la Chiesa in rapporto a Cristo, ma Cristo in rapporto a Dio. L’incarico di Gesù al pescatore di Galilea: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» allora è il riconoscimento che la professione di fede di quest’ultimo resterà il riferimento di tutta la comunità credente, il punto di ancoraggio insostituibile.

In questo giorno solenne dei santi Pietro e Paolo – che quest’anno coincide con la domenica - noi cristiani, e in questo caso, noi cristiani di appartenenza cattolica, celebriamo il coraggio, la disponibilità e l’accoglienza all’ispirazione divina che ha permesso a Pietro di intuire l’identità profonda di Gesù e di diventare il continuatore della missione del suo maestro per tutti cristiani del mondo, insieme a quell’altro grande apostolo che è san Paolo.
Se siamo qui ad ascoltare questo vangelo a 2 mila anni di distanza è perché qualcuno ha avuto il coraggio di crederlo vero, e di trasmetterlo fino a dare la vita. Quindi quella domanda di Gesù resta significativa e attuale anche per ciascuno di noi: «Ma voi, chi dite che io sia?» Si, la domanda continua a risuonare per ciascuno di noi: “Chi è per te Gesù di Nazaret?”
 

venerdì 20 giugno 2025

Questione di gratitudine

 

Commento al vangelo della Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo (Corpus Domini) – 22 giugno 2025



+ Dal Vangelo secondo Luca (9,11-17)

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. 
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Commento

 Fossimo stati noi in una situazione simile, a chi sarebbe venuto in mente di ringraziare il Signore! E invece è proprio ciò che fa Gesù: di fronte a una folla da stadio – diremmo noi: fatta di 5 mila uomini più donne e bambini – egli prese quel cibo palesemente scarso e “alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione.” Nel culto ebraico la benedizione è sinonimo di ringraziamento. Esattamente lo stesso atteggiamento che egli ebbe durante la sua ultima cena con gli apostoli.
Il testo del vangelo di oggi è stato ovviamente scelto per accompagnare l’odierna Solennità del Corpus Domini ( Santissimo Corpo e Sangue di Cristo ). C’è una fortissima analogia tra la apparente scarsezza di quei 5 pani e due pesci per quella folla stanca e affamata, e la apparente scarsezza dell’amore di Cristo effuso al Padre per noi nel sacrificio della croce.
Il gesto del pane moltiplicato è molto eloquente proprio per questo: se qui Cristo si rivela Signore e Dio perché pur partendo dal poco, pochissimo, che noi uomini possiamo rendergli, egli è capace di sfamare il nostro nulla, nel Sacramento dell’eucaristia egli ha posto in modo definitivo il segno efficace del suo amore, che si moltiplica all’infinito, nel tempo e nello spazio, ogni qualvolta si celebra la Santa Messa.  Quel pane eucaristico è sovrabbondante e lo sarà fino alla fine dei tempi per accompagnare tutta l’umanità di tutti i tempi e i luoghi, fino alla fine del pellegrinaggio terreno. In Cristo, grazie a Lui, e al sostegno irrinunciabile del suo corpo eucaristico, noi creature giungeremo, sani e salvi, all’incontro finale col Padre. Resta un’ultima domanda: sapremo inserirci nella preghiera di ringraziamento di Gesù al Padre? O al contrario continueremo a lamentarci che il cibo è poco, che ci manca tutto, che tutto sembra perso, che non ci aiuta nessuno? La moltiplicazione della grazia, per quanto sta in noi, è anzitutto questione di gratitudine al Padre, fiducia nella presenza perenne del suo Figlio con noi e in noi, e custodia della comunione con il prossimo nello Santo Spirito di Dio.

mercoledì 11 giugno 2025

L’Uno per l’Altro per ritrovarsi UNO

 

 Commento al vangelo della Domenica della SS. Trinità – 15 giugno 2025 


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (16,12-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: 
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

 Commento

 La Chiesa celebra solennemente la Santissima Trinità la domenica successiva alla Pentecoste. C’è un nesso logico a tale successione di celebrazioni, ed è nel fatto che proprio lo Spirito di Dio, al compimento della Pasqua di Cristo Gesù, guidandoci a tutta la verità, rivela la trinità delle persone divine nella loro unica natura, come ascolteremo nella Prefazio della Messa. Lo spirito Santo in fondo si rivela mostrandoci fino in fondo quello che nemmeno Gesù poteva dirci compiutamente di se stesso nella sua vita terrena, perché non avremmo potuto capire, o – come dice Gesù – non saremmo stati capaci di portarne il peso. La conoscenza per via interiore, per intuizione spirituale, a noi sembra meno credibile perché non sottoponibile alla verifica scientifica, ma sono sempre le certezze del cuore a farci decidere per le scelte più importanti
Vi potrebbe stupire il fatto che la parola ‘Trinità’ non compare in nessuno versetto dei quattro vangeli o degli altri scritti neo testamentari: questo non perché sia una invenzione della Chiesa, ma perché i nostri padri nella fede cristiana trovarono delle espressioni per rendere più esplicite le affermazioni di Gesù riportate dagli apostoli. 
La cosa da sottolineare è che lo Spirito Santo glorifica Gesù cioè lo manifesta nella vita della Chiesa, così come Gesù a sua volta ha manifestato, ha glorificato, nell’arco di tutta la sua esistenza il volto di Dio Padre.
Noi, uomini di questo mondo, a volte cerchiamo gloria mettendo in luce e al centro la nostra persona; nella comunione della Santissima trinità, ogni persona sussiste (si presenta a noi) rivelando l’altro. Non dovrebbe sfuggirci, quindi, che, creati ad immagine e somiglianza di Dio, anche noi uomini troveremmo molta più luce e gioia - e soprattutto troveremmo noi stessi - se ci adoperassimo per far spazio ai fratelli, riconoscendoli nella loro dignità, nella loro alterità rispetto a noi!


venerdì 6 giugno 2025

Lo Spirito soffia nella parola custodita

 
Commento al vangelo della domenica di Pentecoste – 8 giugno 2025

 


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (14,15-16.23-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. 
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».


Commento

 Dopo la celebrazione dell’Ascensione riviviamo in questa domenica la realtà della Pentecoste, uno di quegli eventi della storia che più di ogni altro ci rivela la presenza e l’azione del divino nell’umano: non per altro chiamiamo simili eventi “misteri”. La pentecoste rappresentò per gli apostoli la palese manifestazione dell’azione del Paràclito, del Consolatore, dello Spirito di Dio nella nascente comunità cristiana, come ci viene raccontato dalla prima lettura odierna tratta dal primo capitolo degli Atti degli apostoli. Questo avvenne, infatti, secondo la promessa che Gesù aveva già fatto in vita ai suoi discepoli, - lo abbiamo appena ascoltato - e questo continua ad avvenire per noi che pur viviamo a distanza di così tanto tempo, se sapremo osservare, cioè se sapremo far tesoro delle sue parole.
Chi ama il Signore Gesù, infatti, sicuramente custodirà gelosamente e attentamente gli insegnamenti riportati nei suoi quattro vangeli, nel resto della Scrittura, e in ciò che gli apostoli ci hanno tramandato. Ed è in quelle parole che l’uomo di oggi trova la presenza e il volto di Cristo vivo nel suo Spirito, che a sua volta ci orienta al volto del Padre. 
All’inizio del primo racconto della creazione riportato dal libro della Genesi c’è una parola con cui Dio crea e fa tutte le cose. Ci ricordiamo quel ritornello: ‘Dio disse sia luce,… sia il firmamento,… e così avvenne’. Anche all’inizio del Nuovo testamento, la nascita del Salvatore Gesù viene annunciata da un angelo che trasmette un messaggio  straordinario alla vergine Maria, a proposito del quale l’evangelista Giovanni dirà: ‘e il Verbo si fece carne’; tutto parte sempre da una parola divina che viene incontro all’uomo, e tutto si ricrea continuamente grazie alla potenza dello Spirito divino che soffia attraverso la stessa parola.
La pentecoste, lo ripetiamo, l’azione dello Spirito Santo in noi, sarà sempre possibile per chi saprà dimorare in Gesù che disse appunto: “Le parole che vi ho detto sono spirito e vita” (Gv 6,63b).


giovedì 29 maggio 2025

Scomparso ma non assente

 

 Commento al vangelo della Solennità dell’Ascensione - 1 giugno 2025


 Dal Vangelo secondo Luca (24,46-53)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

Commento

 'Poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio’: Il vangelo di Luca si chiude con delle parole che descrivono la gioia della comunità apostolica, nonostante la scomparsa dai loro occhi del loro maestro Gesù. I quaranta giorni in cui lo hanno visto risorto, che nella narrazione di Luca sembrano essere in realtà un unico giorno, hanno confermato nel loro cuore che Gesù era veramente risorto, accreditando così la pretesa di questo di essere il Figlio di Dio, l’unico in grado di sconfiggere la morte, e quindi di essere il salvatore degli uomini.
Questo tempo pasquale, e le varie liturgie che la Chiesa ha celebrato, dovrebbero aver rafforzato anche nei cristiani di oggi la certezza che tutto ciò sia veramente avvenuto nella persona di Gesù.
Eppure l’evento dell’Ascensione aggiunge un dettaglio importante: se con le sue apparizioni dopo la morte, il Cristo manifesta la sua gloria in un contesto umano, con l’Ascensione la sua gloria assume una pienezza anche divina, ed è in tale pienezza e da tale pienezza che egli può rivestire di potenza dall’Alto i suoi discepoli, donando lo Spirito Santo; ma di questo parleremo domenica prossima, solennità di Pentecoste.
 In definitiva con l’incarnazione il Figlio di Dio è entrato nell’umanità; ora con l’Ascensione è l’umanità (quella di Cristo anzitutto) che entra nel cuore di Dio. Nulla di umano è più estraneo a Dio. Abbiamo la certezza che non ci sia più nemmeno un minimo palpito del cuore di un qualsiasi uomo di una qualsiasi epoca che sfugga alla conoscenza, per esperienza diretta, di Dio stesso.