venerdì 14 novembre 2025

A causa del nome di Gesù

  

Commento al Vangelo della XXXIII Domenica del TO/C – 16 novembre 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (21,5-19)

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. 
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».


Commento

“A causa del mio nome”! Giunti ormai al termine dell’anno liturgico (Domenica prossima lo concluderemo con la Solennità di Cristo Re) il vangelo ci fa riflettere sulla portata paradossale della venuta di Gesù nel mondo. Egli è il Dio con noi, l’Emmanuele, eppure a causa della sua persona - cioè del suo nome - i suoi discepoli saranno traditi perfino negli affetti più intimi e normalmente più sicuri, quelli dei familiari.

La vicenda del popolo di Dio non sarà diversa da quella del suo capo e non potrà che avere un carattere pasquale, cioè di passione, morte e resurrezione, cioè di glorificazione finale. Possiamo sentirci terrorizzati di fronte agli sconvolgimenti (cosmici, politici e personali) annunciati da Gesù ma la sua promessa è chiara e senza limitazioni: “Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”, per dire che la resurrezione finale riguarderà ciascuno di noi, sarà anche il nostro destino, e sarà molto concreta, fisica, pur passando attraverso la purificazione da un mondo segnato dalle conseguenze del male degli uomini.

 Chiara la prospettiva finale, chiarissima e senza sconti anche il percorso faticoso di avvicinamento alla vittoria finale: la fede in Cristo salvatore non ci sottrarrà alle doglie del parto del mondo nuovo che si avvicina ma ci sosterrà nel cammino. La fede in Cristo ci renderà sempre certi della vittoria finale perché la fede è sostanza (sostegno) delle cose che noi speriamo (cf. Eb 11,1). 
Ci occorrerà solo perseverare nella fede perché quello che ci si prepara davanti non è la fine ma il fine della nostra storia.

giovedì 6 novembre 2025

Cristo Gesù, la dimora di Dio con gli uomini

 

Commento al Vangelo della Festa della Dedicaz. Basilica Lateranense (Domenica 9 nov 2025; sostituisce i testi della XXXII TO/C)

 

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-22)

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». 
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

 

Commento

Anche questa Domenica le letture di una festa (quella della Dedicazione della Basilica lateranense in Roma) prevalgono su quelle della XXXII Domenica.
Il vendere/comprare e cambiar moneta nel tempio di Gerusalemme era cosa ammessa dalle regole, tenuto conto della quantità notevole di sacrifici che occorreva fare (quella parte del tempio all’aperto dove venivano sacrificati gli animali era di fatto una sorta di mattatoio) , e inoltre per comprare gli animali da sacrificare occorreva convertire la moneta corrente considerata impura con una moneta adatta che si trovava nel tempio. Il problema è che quell’attività e quei sacrifici erano diventati “mercato”, non solo nel senso di una loro strumentalizzazione in vista solo del dio denaro, ma anche nel senso spirituale del tentativo di comprare la benevolenza divina.

 Il primo tipo di mercato è particolarmente odioso e fonte di grande scandalo. Il secondo tipo - il mercanteggiare con Dio - è più sottile ma molto più frequente e probabilmente a volte si nasconde anche nel nostro modo di pregare Dio. Ad esempio, quando ci lamentiamo che nonostante la nostra onestà e la nostra pratica cristiana ingiustamente Dio ha permesso ci capitasse qualche dolore o avvenimento avverso, emerge qui una mentalità che ha il sapore del “mercato”: “se prego, faccio il buono, e magari vado anche a Messa, Dio dovrebbe proteggermi da ogni disgrazia”. Trattiamo in tal modo il Signore come fosse un’Assicurazione-contro i danni o come fosse l’INPS.

 Il Signore distrugge questa vecchia religiosità, ma lo fa a partire dalla sua stessa vita, dal suo stesso corpo crocifisso: Lui, il Figlio di Dio fatto uomo, non rivendica per sé alcun potere di fronte a chi ingiustamente lo accuserà e annuncia anzi la misericordia di Dio per tutti gli uomini. Proprio da Gesù Signore, crocifisso, risorto e asceso al Cielo, dal suo stesso corpo, sgorga ora il fiume di grazia che riceviamo principalmente nei sacramenti attraverso il suo corpo spirituale, storico, che è la Chiesa. Allora quando entriamo in una chiesa-edificio lasciamoci richiamare a quella dimora, a quel porto sicuro, che è Cristo morto e risorto per noi nel cui cuore tutti siamo chiamati ad entrare, o a ritornare se mai ne fossimo usciti. 

venerdì 31 ottobre 2025

Una promessa su cui riflettere

 

Commemorazione di tutti i fedeli defunti – 2 novembre 2025 - I messa –


Dal Vangelo di Giovanni (6,37-40)

 In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
 

Commento

 Tra le tre Messe con relative letture, che possono essere celebrate in questo giorno di “Commemorazione di tutti i defunti” scegliamo la prima che ci presenta un brano del Vangelo di Giovanni, tratto dal discorso di Gesù nella sinagoga di Cafàrnao, dopo la esaltante vicenda della moltiplicazione dei pani.

 Gesù anzitutto ribadisce la sua sostanziale filialità rispetto a Dio Padre. Egli non ha una volontà autonoma, come invece noi uomini vorremmo spesso avere. No: Gesù – il Figlio di Dio per natura sua – è venuto per fare la volontà del Padre suo - e nostro - che è nei Cieli. 
Qual è la volontà di Dio padre? Che Gesù non perda, cioè che non si faccia sfuggire dal suo abbraccio d’amore misericordioso, nessuno di noi uomini.

Ma ancora una volta, ulteriore passaggio, è necessario che l’uomo accolga lo sguardo misericordioso di Gesù salvatore. Il nostro destino di vita eterna, e che oggi auspichiamo per tutti i nostri cari defunti, non è automatico: suppone che ogni uomo, raggiunto in un modo o in un altro, più o meno esplicitamente, dalla misericordia di Dio, sappia incrociare quello sguardo e accoglierlo, e credendo in lui, affidandosi a lui, lasciarsi condurre nel regno della vita vera, quella che non avrà fine, quella vita che solo Gesù ci potrà donare facendoci uscire dai nostri sepolcri; è mai esistito un uomo sulla terra che ha promesso cose simili? Forse no. Ma la cosa interessante è che Gesù, essendo risorto lui per primo, ha reso molto credibile tale promessa.

martedì 21 ottobre 2025

Il medico è venuto per i malati, non per chi si crede sano

 Commento al Vangelo della XXX Domenica del Tempo Ord., anno C – 26 ott 2025
    

+ Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Commento

Due uomini che salgono al tempio, luogo simbolico della presenza di Dio, e tutti e due per pregare Dio. Interessante scoprire quale atteggiamento c’è al fondo delle loro parole. Aiutano in tal senso anche gli stessi verbi usati. Chiaramente qui è Gesù che costruisce ad arte, curando ogni dettaglio, questa storia immaginaria ma tanto simile al vero.

 Il fariseo, colui che apparteneva al movimento laicale dei separati, dei puri (il termine fariseo indica esattamente questo: puro) descrive la sua situazione. Usa verbi tutti al modo indicativo: cioè presenta, indica a Dio la sua propria giustizia, e in fondo chiede a Dio semplicemente di prendere atto che lui è già giusto. Sembra proprio che questo non abbia nemmeno bisogno di un salvatore, si salva già da solo con la bontà delle sue azioni. Il pubblicano, ladro per definizione (purtroppo a quei tempi succedeva spesso che chi amministrava il denaro pubblico, lo rubava e lo metteva in saccoccia!) supplica e basta. L’unica cosa che dice è “Abbi pietà di me peccatore”.

 Gesù non canonizza il suo essere ladro, certamente no, bensì il suo affidarsi alla misericordia di Dio, quando il fariseo invece non si confronta con Dio, ma si misura con il pubblicano che, ai suoi occhi è certamente peggio di lui.

Dal vangelo di domenica scorsa abbiamo appreso che nella preghiera otteniamo da subito la grazia di scoprirci abitati, sposati, dall’amore di Gesù e quindi figli; nel vangelo di questa domenica, in aggiunta, capiamo che tale grazia trova spazio solo in un cuore umile, in chi crede che tutto, anche quel poco o tanto di buono che riesce a fare, è sempre dono dell’infinito amore del Signore. Rispetto a tale amore di Dio padre, se lo si capisce, ci si sentirà sempre in debito di gratitudine. Da qui sorge la preghiera di supplica della misericordia. Dice il salmo: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza, e invocherò il nome del Signore” (Sal 115).

venerdì 17 ottobre 2025

Un Padre che diventa iniquo per chi non ha un cuore sposato

  

Commento al vangelo della XXIX domenica del Tempo Ord. / C – 19 ottobre 2025


Dal vangelo di Luca (18,1-8)
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Commento

 Tanti uomini di fede si sono interrogati nel corso della storia su come poter mettere in pratica questo invito di Gesù a “pregare sempre”, e per di più “senza stancarsi mai”.  Gesù porta ad esempio una parabola di un giudice iniquo, cioè palesemente ingiusto, di fronte ad una vedova che al tempo era l’immagine di una persona molto debole e socialmente marginale.

Ma la vedova che prega con insistenza può sicuramente rappresentare tutta la Chiesa, sposa di Cristo, che in attesa del ritorno del suo sposo, in fondo vive una condizione di privazione o, se volete, di vedovanza. Se è vero che gli invitati alle nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro …Gesù ammonisce, alludendo a se stesso, che “verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto e allora, in quei giorni, digiuneranno.” (Mc 2,20). Certamente Gesù non verrà mai meno alla promessa fatta agli apostoli quando, risorto, appare loro in Galilea e solennemente proclama: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), versetto con cui si chiude fra l’altro il Vangelo di Matteo. Tuttavia, è anche vero che tra la sua prima venuta e la sua ultima e definitiva venuta i credenti vivono il tempo della Grazia, il tempo in cui è data all’umanità il Kàiros, l’opportunità della conversione, facilitato appunto dal digiuno e dalla penitenza in generale. Infatti, dice San Pietro: “Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt, 3,9).
Il Signore attende a concludere, meglio: a compiere la storia perché desidera, così possiamo dedurre da tutta la Scrittura, che quanta più parte dell’umanità possa accogliere la sua salvezza e passare dalla Grazia alla Gloria, al compimento del pellegrinaggio di questa vita terrena.

 I discepoli di Cristo sono chiamati a saper relativizzare tutto ciò che appartiene a questo mondo, vivendo sempre nella comunione ecclesiale che oggettivamente prega sempre. Possiamo essere sicuri, infatti che in ogni istante ci sarà un fratello, una sorella o una comunità religiosa che, in qualche angolo della terra, in comunione con la Chiesa, sta supplicando Dio Padre. Singolarmente presi non potremo certo pregare sempre, ma vivendo in comunione tra noi, nel corpo ecclesiale, saremo sempre davanti al volto del Padre, che non tarderà ad esaudirci, perché – come dice il Salmo – “per Lui mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”. Inoltre, un cuore che supplica con fiducia il Signore saprà vedere in Dio non più un giudice iniquo, ma il volto paterno di un Dio misericordioso. Quale frutto più bello possiamo raccogliere dalla preghiera!  


venerdì 10 ottobre 2025

Prima l'amore o la religione?

 

 Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del T. Ordinario/C – 12 ottobre 2025

 

+ Dal Vangelo secondo Luca (17,11-19)

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. 
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

 Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».



Commento

 Raramente Gesù viene chiamato dai suoi interlocutori anche con il suo nome proprio. “Maestro, Signore, Rabbi (che poi significa Maestro)” sono appellativi più frequenti, come in questo caso. Questo dice una decisa confidenza dei lebbrosi nei suoi confronti e il desiderio di una relazione diretta senza la mediazione di alcun tipo di ruolo, aggrappati solamente a quel nome – Gesù - che in ebraico significava appunto “Jahvé salva”. Salvezza da quella mortale malattia e salvezza da quella condizione di marginalità – una vera e propria morte sociale - a cui erano conseguentemente condannati, come tutti i malati di lebbra.

Gesù risponde all’invocazione di aiuto rispettando gli usi legali e cultuali prescritti dalla legge e codificati dal libro del Levitico, e li invia ai sacerdoti. Da notare che occorreva andare a presentarsi dai sacerdoti dopo essere stati guariti, e quindi Gesù li invita a credere che già era in atto la loro purificazione.

 In effetti “mentre essi andavano”, cioè prima di arrivare dai sacerdoti, “furono purificati”. A questo punto, secondo la legge essi avrebbero dovuto comunque  andare a presentarsi dai sacerdoti, ma uno straniero, un samaritano, preferisce tornare indietro lodando Dio, per ringraziare Gesù, gettandosi ai suoi piedi. E viene lodato da Gesù, perché prima del gesto religioso di osservanza della norma cultuale, egli compie un gesto di riconoscenza, un’espressione sincera del suo cuore. Gli altri nove non necessariamente furono ingrati, ma preferirono prima andare a espletare il “dovere religioso”, l’osservanza della norma.

 Potremmo trarre un insegnamento: la precedenza temporale che il samaritano accorda al gesto di gratitudine verso Gesù, rispetto al compito cultuale di andare dai sacerdoti, viene lodata da Gesù proprio perché corrisponde ad una priorità della vita spirituale. La prima preoccupazione che il fedele discepolo di Cristo deve avere non è quella di osservare delle regole (per quanto giuste e sacre), o di stare dentro delle strutture religiose, ma di custodire in tutto questo un atteggiamento di gratitudine verso il Signore che, solo, che dona la salvezza definitiva e completa, liberandoci dalla lebbra del male, di qualsiasi tipo. Se non c’è la consapevolezza di avere già ricevuto la salvezza da Dio nella persona e nella Pasqua del Signore Gesù, tutti i vari adempimenti religiosi saranno vuoti e privi di salvezza. Custodiamo sempre gratitudine per tutto ciò che il Signore ha già fatto - e sta facendo - per noi, perché anche a noi possa dire un giorno, quel giorno: “La tua fede ti ha salvato”.  

domenica 5 ottobre 2025

La bellezza della gratuità, inutile.

  

Commento al Vangelo della XXVII domenica del Tempo Ord/C – 5 ottobre 2025

 

Dal Vangelo di Luca (17,5-10)
 

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». 
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».



Commento

 Gli apostoli chiedono un supplemento di fede perché il Maestro ha appena domandato loro di saper perdonare anche sette volte al giorno un ipotetico fratello se dovesse ritornare pentito sette volte per la stessa colpa. Qui capiamo cosa vuol dire partecipare alla vita divina di Cristo.
Pur rimanendo noi creature, la nostra fede, intesa come fiducia in Dio, attraverso l’unione a Cristo, ci permette di avere la forza del suo stesso Spirito divino e quindi condividere i suoi stessi atteggiamenti: primo far tutti la sua misericordia.

Quale altro beneficio potremmo, allora, desiderare o ricercare? Se con un granellino di fiducia in Lui, possiamo arrivare a perdonare come ha fatto lui, a sradicare il nostro cuore dalla nostra terra di peccato e trapiantarlo nella nuova realtà del corpo di Cristo; cosa ci mancherà ancora?

Quale utilità più grande, quale beneficio più desiderabile per l’uomo rispetto a quello di abitare nella casa del Padre, di respirare la sua amicizia, di essere capaci di guardare e accogliere il fratello, anche quello peccatore, con la stessa sua grandezza d’animo!
La semplicità del servo richiesta da Gesù è proprio ciò che aveva perduto il fratello maggiore nella parabola del figlio prodigo (o del padre misericordioso), perché questi, nella sua apparente obbedienza al padre, in fondo al cuore custodiva un desiderio di ricompensa, non essendo capace di gustare la bellezza della vita in quella casa, e il calore umano dell’affetto del padre.

venerdì 26 settembre 2025

Il pericoloso sonno della coscienza

  

Commento al Vangelo della XXVI Domenica del Tempo Ordinario/C – 28.09.2025


Dal Vangelo secondo Luca (16,19-31)

 In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Commento

 Lazzaro non ha bussato alla porta del ricco, non ha alzato la voce per gridare giustizia: in questo racconto parabolico di Gesù possiamo immaginare che la disgrazia di Lazzaro fosse così grande da non dargli nemmeno la forza per chiedere. Doveva essere piuttosto questo ricco ad accorgersi di colui che si sarebbe accontentato anche delle briciole di quella mensa. La ricchezza in se, non è un peccato! Magari tutti gli uomini della terra fossero ricchi abbastanza per non avere problemi a procurarsi abbondante cibo per ogni giorno, ma evidentemente non è così. Per questo sulla ricchezza di quell’uomo, come sulla ricchezza di ogni uomo concreto di questo mondo grava una “ipoteca sociale”. Non abbiamo un diritto pieno di goderla solo per noi.

 Prima di godere liberamente dei propri beni, ogni uomo è chiamato ad interrogarsi su quanta parte di essi egli possa e debba condividere con chi non ne ha a sufficienza per una vita dignitosa. Invece a volte, troppo spesso, il benessere non porta alla condivisione ma anzi chiude gli occhi, tappa le orecchie, indurisce il cuore fino a perdere la propria dignità. Nella parabola, non a caso, questo uomo ricco, non ha nemmeno un nome, a significare che la mancanza di solidarietà con i bisognosi rende anonimi e privi di consistenza.
Ecco allora che se la ricchezza di mezzi economici permette in questa vita di essere al centro dell’attenzione e di godere di qualche consolazione, alla resa dei conti finale emergerà con durezza la profonda inconsistenza di colui che ha chiuso il cuore al povero.
Lasciamoci quindi evangelizzare dai poveri. In mezzo ai tormenti l’uomo ricco, compresa l’inevitabilità della sua pena, spera che almeno qualcuno, o lo stesso Lazzaro vada ad ammonire i suoi fratelli e suo Padre.

 I poveri hanno una missione nei confronti dell’umanità, quella di dare a tutti la possibilità di incontrare in essi e tramite essi il volto di Cristo povero, ed esserne evangelizzati. Quel volto che ci parla anche tramite Mosè e i profeti, cioè tramite le scritture. Ma se anche di fronte ad esse l’egoismo ci rende ciechi,  allora…più che sperare che qualcuno risorga dai morti e venga ad avvertirci, occorre sperare che ci si risvegli in tempo dal torpore della propria coscienza! 

venerdì 19 settembre 2025

Semplici come colombe, prudenti come serpenti

 

 Commento al Vangelo della XXV Domenica TO/C – 21 settembre 2025


Dal Vangelo secondo Luca (16,1-13)

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: 
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».



Commento

 Sembra che Gesù abbia proprio ragione: i figli di questo mondo sono molto scaltri e abili nel trafficare e nel gestire i propri interessi materiali, nello stabilire con i loro pari rapporti di reciproca convenienza. Facile constatare che alcuni, forse molti, per ammucchiare autorevolezza, posizioni sociali di eccellenza, denaro, sono disposti a fare dei sacrifici che i figli della luce, cioè gli uomini discepoli del Regno di Dio, raramente hanno voglia di fare. 
C’è una furbizia per trafficare gli affari umani, c’è una furbizia anche per trafficare le cose di Dio. Tra le brevi esortazioni di Gesù, ce n’è anche una – tra le mie preferite – che esorta ad essere “semplici come le colombe e prudenti come i serpenti” (Mt 10,16).

 Perdonare tutto e a tutti è la cosa più intelligente e conveniente che ci può venire in mente di fare, in vista dell’avvento definitivo del regno di Dio. Questa parabola viene raccontata da Gesù proprio dopo aver raccontato le tre famose parabole della misericordia, tra cui eccelle quella del Padre misericordioso ( o del figlio prodigo ). In esse Gesù racconta quanto è grande il perdono di Dio, nostro padre, nei nostri confronti. Nella parabola di oggi che segue immediatamente, possiamo vedervi un ammonimento su come amministrare la misericordia ricevuta, facendola approdare al cuore dei fratelli.
Di fronte alla grandezza immensa dell’amore di Dio per ciascuno di noi ci dovremmo sentire tutti come quell’amministratore disonesto che ha mal gestito tanta abbondanza, e potremmo, dovremmo, almeno risanare i rapporti con i nostri compagni di cammino, condonando loro il più possibile eventuali addebiti verso noi, e anche facendoci condonare eventuali nostri addebiti nei loro confronti.

Una suora fondatrice di una piccola congregazione religiosa qualche anno fa, al sopraggiungere della sua morte, ebbe cura di rintracciare tutte le persone che potevano avercela con lei, e addirittura riuscì a rintracciare anche una telefonista di un ‘call center’ alla quale aveva risposto in modo seccato. Pensate un po’: quanta saggezza in questa anima nel prepararsi ad arrivare dinanzi al Dio di ogni misericordia e di ogni grazia!

 E se invece di aspettare di arrivare a fine corsa, ci preparassimo prima?... cercando di ricucire - là dove è possibile - relazioni con i nostri offensori e con i nostri offesi?


venerdì 12 settembre 2025

Per salvare, non per condannare

 

Commento al Vangelo della Festa ‘Esaltazione Santa Croce’ – 14 sett 2025 (XXIV Dom TO)


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: 
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Commento

 Oggi, 14 settembre, la Domenica coincide con il giorno in cui la Chiesa celebra la festa della ‘Esaltazione della Santa Croce’; per questo leggiamo il Vangelo proprio di questa festa e non quello della XXIV Domenica.
Siamo nel mezzo del colloquio notturno tra Gesù e un capo dei Giudei, chiamato Nicodémo, il quale pone al Maestro una domanda molto sensata: ‘Come si può rinascere una seconda volta quando si è già grandi?’ Gesù porta Nicodemo a spostarsi dal piano naturale, biologico, a quello soprannaturale. La vita biologica, prima o poi finisce. La vita eterna, quella di cui parla Gesù, ci viene donata, o meglio restituita, ad opera del Figlio di Dio fatto uomo, Gesù: egli che abitava i cieli è disceso fra noi per rivestirsi della nostra umanità e per riportare questo vestito con sé nella dimora del Cielo, dove regna col Padre e lo Spirito.

 In tutto questo passaggio c’era un inciampo, cioè la chiusura e la durezza del cuore dell’uomo, il quale ha pensato che Dio fosse invidioso della sua gioia, che fosse suo antagonista. Questa infatti è la radice del peccato: il pensare che Dio sia mio nemico. Ecco perché Gesù ribadisce che Dio «non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

L’ostacolo, il peccato dell’uomo, culminato nella condanna a morte è diventato però nella vicenda storica di Gesù il passaggio decisivo alla vittoria. Quindi, facciamo bene attenzione: Gesù non è venuto in terra a dirci che dobbiamo soffrire per ottenere la vita eterna, quanto piuttosto a dirci che quel luogo di supplizio e di odio, che storicamente fu una croce, poté diventare grazie al suo abbandono alla volontà del Padre, un luogo di amore, di salvezza e di riconciliazione tra Dio e l’uomo. La croce è una croce luminosa se è abitata dalla presenza di Cristo, altrimenti è croce e basta!  
La vita dell’uomo è cosparsa di momenti tragici, umanamente irrisolvibili. Nella grazia e nell’amore di Gesù Signore, possiamo trasformare questi stessi momenti in luoghi di rinascita e di ingresso in una nuova prospettiva di eternità.  



giovedì 4 settembre 2025

Fare bene i conti

 

 Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario/C – 7 settembre 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)


In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


Commento

 Gesù chiede al suo discepolo lo stesso tipo di relazione che lui per primo ha vissuto con il Padre, e nella imminente Pasqua offrirà la forza del suo divino Spirito per rendere possibile tutto questo. Gesù non ha certamente odiato nessuno ma tutto ha vissuto, inclusa la sua vita familiare, alla luce della sua figliolanza divina. Arriverà a dire: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Sappiamo che il motivo fondamentale della rabbia e della condanna dei capi ebrei fu non tanto provocata da qualche azione sbagliata ma da quella che alle loro orecchie suonava come un’insopportabile bestemmia: Gesù, a loro detta, pur essendo uomo si faceva uguale a Dio (Cf Gv 10,34).

 Eppure, Gesù non ha temuto la loro condanna e veramente ha amato il Padre e ha dato testimonianza di lui e del suo amore fino ad accettare di offrire liberamente la sua vita.

La volontà umana di Gesù si è consegnata alla volontà divina e ha reso anche la sua morte solamente un passaggio momentaneo, seppur doloroso, verso la gloria eterna, sua e del Padre. Sembrerà assurdo ma di quella gloria siamo chiamati a far parte anche noi, e prima di intraprendere il viaggio, occorre capire bene con che forze vogliamo compierlo. Gesù dice: “da solo, con le tue forze, non arriverai lontano, non potrai sconfiggere le forze del male che sono ben più forti della tua buona volontà! Hai bisogno di consegnarmi la tua libertà, di dire come ho detto io: sia fatta la tua e non la mia volontà (cf Lc 22,42), e ricevere il mio santo spirito che ti guiderà alla verità tutta intera e alla vittoria finale”.

mercoledì 27 agosto 2025

Il ‘merito’ di riconoscersi graziati e senza meriti

 

Commento al vangelo della XXII domenica del Tempo Ordinario, anno C – 31 agosto 2025


Dal vangelo di Luca (14,1. 7-14)

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
 

Commento

 Gesù ha qualcosa da dire a tutti gli intervenuti, ospitanti e ospiti. Chi riceve un invito dovrebbe evitare in tutti i modi di vantare un qualche privilegio, o un posto d’onore, ma semplicemente ricordarsi che è un invitato, ed è lì perché la benevolenza di chi organizza la festa di nozze lo ha incluso tra i presenti. Nessuno ha un titolo di merito in più degli altri. Viene alla mente la parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna. Quel padrone vuole dare all’operaio che ha lavorato solo un’ora la stessa paga promessa al collega delle 6 di mattina. La bontà di colui che invita, in pratica, rende insignificante ogni differenza nel livello di collaborazione umana, fosse anche aver lavorato qualche ora in più.

 L’invito alla festa di nozze dell’agnello è assolutamente gratuito e destinato a tutti, ma proprio colui che penserà di essere destinatario di un’attenzione maggiore rispetto agli altri, si troverà irrimediabilmente retrocesso all’ultimo posto; al contrario, chi avrà accolto l’amore del Padre con totale umiltà, come ha fatto il Figlio Gesù, condividerà con lui la sua eterna gioia.

 La stessa cosa vale per chi si trova ad amministrare la benevolenza del Padre. Tutto quello che l’uomo farà per gli altri dovrà avere sempre il carattere della restituzione, della condivisione di qualcosa che gratuitamente si è anzitutto ricevuto in dono. Fare qualcosa per gli altri, come invitare ad un banchetto, con l’idea di avere un contraccambio, perderà ogni connotato della gratuità, e non potrà permettere di partecipare della gioia eterna riservata ai figli di Dio, di coloro che sanno di aver tutto ricevuto e di dover in questa terra solamente riprodurre quella corrente di dono che originariamente e permanentemente li investe. In definitiva l’unico titolo di credito che potremo far valere davanti a Dio è l’aver dimostrato nei fatti di aver sempre creduto all’inesauribilità del suo amore spargendolo e condividendolo con i compagni di cammino. 

giovedì 14 agosto 2025

Per tutti ma non con tutti

  

Commento al Vangelo della XX domenica del Tempo Ordinario, anno C – 17 agosto 2025

Dal vangelo di Luca (12,49-53)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».


Commento

  A volte la divisione, la separazione dagli uomini è inevitabile, addirittura necessaria. La carità di Dio, la carità che è Dio, coincide con la verità e questa ha delle esigenze che si impongono anche sulle regole del quieto vivere. Già dodicenne Gesù afferma davanti ai suoi genitori che lo cercavano la necessità prioritaria si mettersi al servizio del regno di Dio. Ricorderete quell’episodio narrato dall’evangelista Luca in cui Maria e Giuseppe ritrovano il loro figlio che si era attardato nel tempio di Gerusalemme e di fronte al loro rimprovero egli risponde: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). 

Forse San Francesco d’Assisi poteva diventare santo anche rimanendo nella bottega di stoffe del padre, ma in un dato momento della sua vita, la voce del Signore, del Cristo povero umile gli ha fatto sentire il suo appello a seguirlo, e così fu per lui impossibile sottostare alle logiche familiari del profitto e della scalata sociale. Quando ridette le vesti al padre, egli disse pubblicamente: “D’ora in poi potrò dire liberamente: Padre nostro, che sei nei cieli, non padre Pietro di Bernardone. Ecco, non solo gli restituisco il denaro, ma gli rendo pure tutte le vesti. Così andrò nudo incontro al Signore” (FF 597 Tommaso da Celano).

Non fece un gesto di disprezzo o di odio al padre, ma un gesto di verità, davanti a Dio, a se stesso e alla sua famiglia. La pace, dono messianico, dono che Gesù annuncia da risorto ai suoi apostoli entrando nel cenacolo la sera di Pasqua, non ha nulla a che vedere con dei compromessi basati sulle reciproche minacce, e sul reciproco timore. Si attribuisce al pragmatismo degli antichi romani l’adagio: “Si vis pacem para bellum” cioè: ‘ se vuoi la pace, prepara la guerra’. Non è così per Gesù. La pace che egli porta è piuttosto una pace disarmata, e per questo disarmante, ed è basata su quel fuoco d’amore che egli è venuto a portare sulla terra per accenderlo nel cuore degli uomini a iniziare dal suo.

Che male c’è!

 

 Commento al Vangelo della XIX Domenica del TO, anno C – 10 agosto 2025    


Dal Vangelo secondo Luca 12,32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. 
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 

Commento

 La sonnolenza da cui guardarci non è certamente quella del corpo, ma quella dello spirito. Gesù ha appena rivolto un lungo discorso ai suoi discepoli sul pericolo delle ricchezze, sulla necessità di accontentarsi di quanto è necessario per vivere senza avere il cuore in ansia per il domani. 
In effetti, sono proprio quelli che vegliano la notte per curare i propri affari e accumulare i beni, a far addormentare i propri sensi spirituali. “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (v. 37) dice Gesù. Il sonno spirituale è la condizione di chi non si preoccupa di cosa entri nel ‘campo’, nel recinto della propria vita. Quando Gesù racconta la parabola della zizzania dice che “mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò” (Mt 13,25). 
In definitiva capiamo da questa esortazione di Gesù che la nostra vita non potrai mai essere neutra rispetto alla scelta del bene o del male. A volte, in modo molto superficiale, anche chi avrebbe fatto, o avrebbe voluto fare, una scelta di vita cristiana accoglie delle logiche molto lontane dal vangelo; perché? Perché non si è vigilanti. ‘Fanno tutti così’, o a volte il massimo dell’impegno a fare discernimento è espresso dalla domanda: “che male c’è?”. Raramente ci si pone la questione più decisiva: “Qual è il bene di questa o quest’altra scelta?” La vigilanza richiesta è di essere sempre attenti ad accogliere il bene che il Signore vuole seminare ogni giorno nel campo della nostra esistenza e questo comporta anche un attivo adoperarsi per non accontentarsi della prima cosa che ci viene proposta, ma di cercare sempre il bene più grande, tra le scelte possibili. Il Signore stesso allora passerà a servirci, perché il suo servizio è aver dato la vita per gli uomini che guardano a lui, Sommo bene.  

giovedì 31 luglio 2025

Quali beni e quale Bene

 

Commento al Vangelo della XVIII domenica del TO, anno C - 3 agosto 2025


Dal Vangelo secondo Luca (12,13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

 Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».


Commento

 Due tipi di stoltezza si sommano nei ragionamenti di questo ipotetico uomo ricco. Anzitutto nessuno può essere sicuro della lunghezza della propria vita. Non è un’affermazione, questa, del Catechismo ma di quanto più constatabile c’è nella vita: non possiamo essere sicuri del nostro domani, e neppure ci sentiamo rassicurati dal fatto che prima o poi, comunque, raggiungeremo tutti il posto fisso!

La seconda stoltezza dell’uomo della parabola di oggi è che, in ogni caso, per quanto la vita possa essere lunga, non potremo portare con noi nulla dei beni che saremo riusciti ad accumulare quaggiù. Beh, di fatto, anche questo può essere oggetto di verifica: è sufficiente osservare quante dispute sorgono sulle ricchezze lasciate da chi è salito al Padre. Non nasce forse da una disputa su un’eredità l’episodio dell’odierno vangelo ! Ecco la domanda, allora: “Quello che hai preparato, di chi sarà?” 
L’uomo invece che arricchisce davanti a Dio è colui che si preoccupa di tesaurizzare, di accumulare gli unici beni che possono essere traslocati oltre il termine della vita biologica: quelli condivisi e donati agli altri. Costui non avrà da temere la morte improvvisa perché sempre in ogni momento il Signore lo troverà indaffarato a costruire il regno dell’amore in lui e intorno a lui, e inoltre troverà poi moltiplicati tutti i suoi sforzi compiuti in questo mondo.

Quindi il messaggio è proprio racchiuso nella frase di Gesù: La vita, quella vera, quella che dura oltre la soglia del tempo, non dipende da ciò che si possiede qui in questo mondo. Possiamo aggiungere: dipende piuttosto da ciò che si è capaci di donare agli altri. Non solo beni materiali, ma anche il nostro tempo, la pazienza, la compassione. Sinteticamente: qualcosa della nostra stessa vita, perché - dice Gesù - “chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. (Mt 16,25). 

giovedì 24 luglio 2025

La luce trasfigurante della preghiera

 

 Commento al Vangelo della XVII Domenica del TO, anno C – 27 luglio 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (11,1-13)

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


Commento

 Quel discepolo chiese a Gesù di insegnare loro a pregare dopo che Gesù stesso ebbe terminato di vivere un tempo di preghiera. I vangeli ci raccontano un unico episodio della trasfigurazione del volto di Gesù, ma è facile immaginare che ogni volta che questi si ritirava in solitudine per mettersi alla presenza di Dio Padre, la sua persona dovesse trasmettere una forza e una presenza effettivamente divina, al di là del fatto che Gesù – lo sappiamo – era Dio fin dal concepimento nel grembo di Maria sua madre. Ricordiamo che anche Mosè, scendendo dal monte Sinai dopo aver incontrato il Signore, aveva la pelle del suo viso che era divenuta raggiante (cf. Es 34,30).
I discepoli, quindi, provano a chiedere una via di accesso a quella intimità che il loro Maestro sperimentava con Dio Padre. E in effetti la prima cosa che Gesù propone ai discepoli di tutti i tempi è proprio quella di rivolgersi a Dio chiamandolo ‘Padre’. Non vogliamo ora entrare in un commento dettagliato delle singole espressioni, ma questo vale la pena di essere sottolineato: chiamare Dio ‘padre’, in modo confidenziale. Direbbe il salmo 130: “come bimbo svezzato in braccio a sua madre”, per mettersi anzitutto alla sua presenza con atteggiamento umile ma fiducioso, come farebbe un figlio, normale, verso i suoi genitori. Questa intima confidenza è proprio ciò che viene realizzata dallo Spirito Santo in noi, che è comunione del Padre e del Figlio, il dono per eccellenza.
Don Luigi Giussani diceva che “In un certo senso ciò che brama il santo non è la santità come perfezione; è la santità come incontro, appoggio, adesione, immedesimazione con Gesù Cristo” (Giussani, Alla ricerca del volto umano, pag 171).

Possiamo dire che la preghiera del Signore, il Padre nostro, ci permette - non tanto e non anzitutto con le parole ma con l’atteggiamento del cuore che richiede - di entrare nelle disposizioni di Gesù, di – appunto – immedesimarci con Gesù. Lui certamente figlio di Dio per natura, noi figli per grazia ricevuta, per l’energia del suo Santo Spirito. La prima cosa a cui dobbiamo tendere – allora - non è la perfezione morale, ma di metterci e di restare sempre alla presenza del Signore. Quando dovessimo smarrirla non basteranno tutti paradisi artificiali di questo mondo a compensare questa mancanza. In una canzone dei primi anni ‘80 Renato Zero diceva, non a torto, che “un drogato è soltanto un malato di nostalgia”. 

venerdì 18 luglio 2025

L’uomo della soglia

  

Commento al vangelo della XVI Domenica del Tempo Ordinario, anno C – 20 luglio 2025


Dal Vangelo secondo Luca (10,38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. 
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Commento 

 Nel primo documento del suo pontificato papa Francesco scrive: “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte”. (EG 3).
Vuole dire che non siamo noi che andiamo in cerca del Signore ma è piuttosto lui che ci viene a cercare, per portarci la sua gioia e lo fa attendendo il nostro ritorno anche quando ci siamo allontanati.
La casa delle due sorelle Marta e Maria è l’immagine simbolica del cuore dell’uomo, come pure lo è la tenda in cui Abramo riceve la visita di tre misteriosi personaggi a Mamre, di cui si parla nella prima lettura di questa domenica.
Sempre il Signore viene a visitarci. Lo può fare incontrandoci nella sofferenza di un malato nella quale  chiede di essere visitato, o nella disgrazia di una vittima di violenza nella quale chiede di essere soccorso: pensate alla parabola del buon samaritano di domenica scorsa. Molti di voi stanno vivendo momenti di riposo: ebbene, certamente il Signore ci può visitare anche nella bellezza di un paesaggio, o di una creazione artistica. 
La preferenza che Gesù accorda alla scelta di Maria di sedersi in ascolto della sua parola, rispetto al totale coinvolgimento di Marta nel servire (nel servire Gesù per altro) non è necessariamente il dare la  priorità della vita contemplativa sulla vita attiva, quanto il sottolineare la profondità che siamo invitati a custodire in tutte le cose che facciamo; soprattutto di questi tempi in cui ormai la tecnologia ci potrebbe spingere alla superficialità permettendoci di fare due-tre cose alla volta: guidare la macchina e parlare al telefono (sempre in viva voce, speriamo), pranzare e rispondere a dei messaggi, e così via. 
Certamente, non potremo mai fare a meno di spazi di silenzio per ascoltare il silenzio, e per ascoltare nel silenzio le indicazioni della nostra coscienza, ma l’atteggiamento di Maria, l’ascolto della parola del Signore, lo scegliersi la parte migliore è anche, e forse soprattutto, custodire profondità e pacatezza in ogni cosa o mansione che assolviamo nella giornata. Concludo con una citazione del grande Sant’Agostino che nelle Confessioni scrisse: “Signore, tu eri dentro di me, ma io ero fuori: E là ti cercavo.” Proprio così: il Signore chiede ospitalità in casa nostra, nel nostro cuore, ma si mette sulla soglia e lì ci attende.

giovedì 10 luglio 2025

La pienezza della Legge

 

 Commento al Vangelo della XV domenica del TO, anno C – 13 luglio 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (10,25-37)


In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

Commento

 Al capitolo XXVIII de I Promessi sposi Alessandro Manzoni riporta una considerazione dell’anonimo autore a cui fittiziamente egli attribuisce il suo romanzo: “… si dovrebbe pensare piú a far bene, che a star bene: e cosí si finirebbe anche a star meglio". 
Se permettete, questa è un’ottima sintesi del senso del comandamento dell’amore, e dell’amore al prossimo in particolare, che ci viene trasmesso dall’odierna parabola del buon samaritano. Non possiamo amare e prenderci cura dell’altro solo in virtù dell’obbedienza ad un comandamento, (anche venisse da Dio in persona!) ma possiamo farlo solo a partire da almeno due considerazioni.
La prima è che la compassione, l’attenzione per l’altro non dobbiamo inventarcela noi, perché Dio per primo ha amato noi e ci ha messo il suo amore nel cuore. Gesù è il vero buon samaritano della storia, della storia di ogni uomo, di ogni mal capitato che sulle strade di questo mondo è mezzo morto non necessariamente per delle percosse, ma perché gli è stata sottratta una prospettiva di speranza, di un avvenire felice, o perché vittima delle sue false illusioni, e sappiamo bene che quanto più inconsistenti sono le illusioni, tanto più disastrose sono le delusioni.
La seconda è che la legge dell’amore è impressa nel cuore dell’uomo. Prima di farla scrivere su tavole di pietra, Dio ha impresso il senso tutti i comandamenti nel profondo del nostro cuore, per cui disobbedire ad essi è fondamentalmente un disobbedire alla nostra umanità, alla nostra capacità e possibilità di una pienezza di vita, o se preferite, alla possibilità di felicità.
Ecco perché San Paolo scrivendo ai cristiani della Galazia dice che “Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal 5,14).
Questo che vengo di dire non è più scontato neppure nella mentalità di alcuni cristiani contemporanei, sostenitori del principio: “prima ci sono io - o noi - e poi eventualmente gli altri (come di fatto pensarono il levita e il sacerdote).
Ma forse avranno letto un vangelo diverso da quello di Gesù di Nazaret!



venerdì 4 luglio 2025

Preghiera di Papa Leone XIV per la rete mondiale di preghiera - luglio 2025

 

Spirito Santo, tu, luce della nostra intelligenza,
soffio e dolcezza nelle nostre decisioni,
dammi la grazia di ascoltare attentamente la tua voce
per discernere i passaggi segreti del mio cuore,
perché io possa cogliere ciò che è veramente importante per te
e liberare il mio cuore dai suoi tormenti.
Ti chiedo la grazia di imparare a fermarmi,
per prendere coscienza del mio modo di agire,
dei sentimenti che mi abitano,
dei pensieri che mi invadono
e che, molto spesso, nemmeno percepisco.
Desidero che le mie scelte
mi conducano alla gioia del Vangelo.
Anche se dovrò attraversare momenti di dubbio e di stanchezza,
anche se dovrò combattere, riflettere, cercare, ricominciare…
Perché, alla fine del cammino,
la tua consolazione è il frutto di una decisione giusta.
Concedimi di conoscere meglio ciò che mi anima,
per respingere ciò che mi allontana da Cristo,
e per amarlo e servirlo sempre di più.
Amen.