mercoledì 18 ottobre 2017

Commento al Vangelo di Domenica 22 ottobre 2017, XXIX Dom TO anno A

  

… L’AVETE FATTO A ME       


TESTO (Mt 22,15-21)

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. 
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».


COMMENTO

Gesù conosce la malizia dei suoi interlocutori e per questo non spreca parole. Il suo parlare è ermetico e conciso in proporzione alla chiusura del cuore di chi lo ascolta. La questione posta a Gesù infatti non nasce da un desiderio di verità ma da un desiderio perverso, di trovare un appiglio per accusarlo. Le parole quindi sono misurate, essenziali, sobrie. Per capire se sia bene o no pagare il tributo all’impero romano, è sufficiente ricordare che occorre rendere ad ogni autorità ciò che gli spetta, seguendo il massimo e più onnicomprensivo criterio di giustizia: “a ciascuno il suo”. 

La risposta così equilibrata e calibrata non è frutto di mediazione per evitare le spiacevoli conseguenze di un “si” o un “no” netto, ma della consapevolezza che le due autorità sono comunque legate: tutto appartiene a Dio e quindi qualsivoglia potestà umana rientra nella volontà, fosse anche permissiva, di Dio. 

L’iscrizione e l’immagine di Tiberio Cesare sulla moneta dicono che a lui spetta qualcosa, un certo riconoscimento della sua potestà. Usando però la stessa modalità espressiva di Gesù, possiamo e dobbiamo dire che sul volto di ogni uomo, soprattutto il più svantaggiato e sfavorito, brilla l’immagine dell’uomo-Gesù. C’è un’immagine divina che brilla in ciascun uomo che chiede un rispetto ancora più grande ed ancora più sacro, perché tutto è in funzione dell’uomo e della sua salvezza. Dirà San Paolo: “Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3,21).

Con la sua risposta Gesù pone un fondamentale criterio di discernimento alla base di ogni problema di rapporto tra sfera politica e religiosa. Se occorre rendere a Dio ciò che a Lui spetta, ebbene occorrerà riconoscere che tutto viene da lui, anche l’autorità umana, anche il giusto rispetto ai Cesari di turno; ma nella persona stessa di Gesù si comprende il volto di un Dio che è altresì tutto donato all’uomo, per la sua eterna realizzazione.

 Nessun uomo, nessuna organizzazione o associazione umana potrà o dovrà travalicare i confini della dignità dell’uomo. Perché è per lui che Dio si è incarnato, umiliato nella morte di croce e poi risorto nella gloria. Ogni uomo varrà sempre ben di più della moneta più preziosa, perché in lui rimarrà impresso per sempre il volto di un Dio sofferente che ha preso sulle spalle la nostra storia di dolore.