sabato 16 settembre 2017

Commento al Vangelo di Domenica 17 settembre 2017, XXIV del TO anno A




    La forza disarmante del perdono


TESTO (Mt 18,21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».


COMMENTO

All’ingresso del Sermig di Torino ho notato una scritta su pietra a caratteri cubitali che diceva ( e continua a dire ) a chi varca quella soglia: “l’Amore è disarmante”. Mi sembra una frase ad effetto, sintetica, ricca e carica di significato; ma c’è anche qualcosa di più, cioè una grande verità: che la forza dell’amore vince su tutto, anche sulle logiche di violenza, di morte e di sopraffazione. 

L’amore, che nella situazione contingente e concreta di un’offesa assume il volto del perdono, è l’unico atteggiamento vincente. Vorrei dire addirittura: è l’unico atteggiamento conveniente anche dal punto di vista pratico, prima di ogni riflessione di tipo evangelico. L’odio genera odio, l’offesa suscita e accende la rivalsa, in una spirale inarrestabile in cui l’unico antidoto può essere solo un atteggiamento esattamente opposto, che non tiene conto del male subito, pur continuando a reclamare e a domandare giustizia. 

Ma proprio a questo proposito il perdono viene spesso frainteso con l’arrendevolezza, con la rinuncia a far valere qualsivoglia principio di giustizia, con la paura. Il perdono è invece la suprema forma di Carità, l’atto di amore più grande, che non rinuncia alla giustizia ma anzi la supera. Chi chiede giustizia reclama ciò che a lui spetta, esige riparazione e di essere reintegrato nella condizione prima dell’offesa (per quanto possibile); chi perdona reclama, oltre la giustizia, un bene ancora più grande: il bene dell’altro, il bene che è la persona stessa, pur portatore di offese.

La parabola di Gesù mette in luce il circuito vitale del perdono. Il racconto riportato ha un blocco logico. Chi condona un debito non può normalmente ritornare sui suoi passi. Chi strappa una cambiale da riscuotere non può più vantare il suo credito. Ma proprio su questo punto strano, invece, si gioca il messaggio di Gesù: se non perdoniamo interrompiamo la comunicazione con la fonte della misericordia che è il cuore di Dio Padre. Non perdonare a chi ci fa un torto sarebbe come rescindere il legame con Colui che, solo, perdonandoci tutto ci dà la forza di perdonare.