Come una bandiera
TESTO (Gv 3, 13-17)
13 Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo. 14 «E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, 15 affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. 16 Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. 17 Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
COMMENTO
Momento culminante di ogni premiazione di una competizione sportiva di livello mondiale è l’innalzamento della bandiera del paese del vincitore con l’esecuzione dell’inno nazionale. In quella bandiera che sale sul pennone più alto non è solo simboleggiata la vittoria di un atleta o di una squadra, ma vi si ritrova il sano orgoglio e senso di appartenenza di un’ intera collettività nazionale.
Ciascun connazionale del vincitore, pur non avendo fatto niente per vincere quella medaglia, si sentirà felice di ascoltare il proprio inno nazionale e vedere, al culmine della cerimonia, i colori del proprio paese innalzati al centro della scena. Tutto ciò avviene secondo un certo senso di transfert emotivo e di auto-riconoscimento in colui che nella nazionalità condivide una parte importante dei propri sentimenti.
In questo splendido colloquio notturno, Gesù annuncia a Nicodémo che “… come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Anche qui si parla di una vittoria, e direi di una vittoria più decisiva, quanto meno più definitiva: quella dell’amore sull’odio, del perdono sul rancore, del dono sull’auto-possesso. La vittoria della croce sulla morte.
La partecipazione alla vittoria del Figlio di Dio è ben più di uno shock emotivo, è la partecipazione reale ai suoi frutti, ai suoi benefici. Incredibile a dirsi ma è proprio così: la vittoria sugli avversari, fondamentalmente sulla morte e sul suo atleta-campione che è il peccato, è stata riportata da Gesù ma il premio è per tutti quelli che credono in Lui.
Credere in lui non potrà certo significare solamente guardare un crocifisso e contemplare la sua morte. Nel contesto evangelico credere significa sempre anche coinvolgersi, aderire con la propria vita alle sorti del Maestro, seguire le sue tracce, prendere la propria croce e seguirlo, cioè vivere atti di accoglienza e di misericordia, di semplice carità, di perdono verso l’offensore, di accettazione delle avversità pur nella lotta: gesti questi, che da soli non potrebbero mai valere ad aprirci le porte della vita eterna, ma che vissuti in comunione con Cristo diventano segni della nostra fede che salva.
Il solo titolo di merito di noi cristiani, la nostra bandiera, il nostro vanto è la croce di Gesù, perché “Dio non ha mandato Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.