venerdì 7 settembre 2012

Commento al Vangelo XXIII Dom TO Anno B, 9 settembre 2012

Una fiammella e il roveto ardente

TESTO (cf Mc 7,31-37)

31 Gesù partì di nuovo dalla regione di Tiro e, passando per Sidone, tornò verso il mar di Galilea attraversando il territorio della Decapoli.
32 Condussero da lui un sordo che parlava a stento; e lo pregarono che gli imponesse le mani. 33 Egli lo condusse fuori dalla folla, in disparte, gli mise le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34 poi, alzando gli occhi al cielo, sospirò e gli disse: «Effatà!» che vuol dire: «Apriti!» 35 E gli si aprirono gli orecchi; e subito gli si sciolse la lingua e parlava bene. 36 Gesù ordinò loro di non parlarne a nessuno; ma più lo vietava loro e più lo divulgavano; 37 ed erano pieni di stupore e dicevano: «Egli ha fatto ogni cosa bene; i sordi li fa udire, e i muti li fa parlare».


COMMENTO

Il tentativo di Gesù di non rivelare immediatamente a tutti la sua identità di Messia, cioè di Salvatore prescelto da Dio per il riscatto d’Israele, è meglio noto come “segreto messianico”: molti in Israele a quel tempo aspettavano una liberazione politica e un riscatto sociale rispetto all’oppressione del potere imperiale romano, e a dir il vero molto pochi sono stati i periodi della storia in cui Israele ha goduto di una piena e totale autonomia.

 
Gesù non vuole confondere e non vuole confondersi con i movimenti politici e le correnti più estremiste del tempo, perché il suo modo di essere Messia è altra cosa e il Regno che annuncia è fatto di amore, di perdono e di giustizia. Le guarigioni che opera non sono fine a se stesse ma servono a provocare la riflessione personale, a far prendere coscienza che in Lui c’è una Presenza divina.

 
Il Vangelo ci dice che Gesù “… alzando gli occhi al cielo, sospirò …”; Egli stabilisce e anzitutto una comunione con l’Alto, con Colui che lo ha inviato. Ma gli uomini sono distratti dal segno prodigioso e raccontano che “ha fatto bene ogni cosa; i sordi li fa udire, e i muti li fa parlare”.
Gesù preferirebbe che quegli uomini che hanno assistito all’evento riflettessero bene nel loro cuore al significato, alla portata e al valore dell’accaduto. I miracoli di Gesù sono come delle micce, delle fiammelle che dovrebbero far esplodere il fuoco del Regno di Dio nelle nostre vite prima di essere portate agli altri, come il fuoco del roveto ardente di Mosè che era segno della presenza di Dio e che non consumava mai il roveto stesso. Invece ci si ferma al sensazionale, al prodigioso … alla piccola fiammella,  senza andare alla ricerca del messaggio, senza fermarsi ad ascoltare integralmente l’evento, senza innescare la grande fiamma dell’amore di Dio in noi.

 
Raccontare a tutti le guarigioni e i segni prodigiosi di Gesù non è servito a molto perché quei tali che l’hanno fatto, come nel testo odierno, hanno trasmesso una fiammella senza accendere il Regno di Dio nelle loro vite, e non hanno in alcun modo trasmesso l’esperienza profonda di un incontro personale con il Messia. Essi mi fanno pensare ai tanti uomini, africani e europei nella stessa misura, che vagano attraverso tante e diverse esperienze del sacro senza approdare a nulla, in costante ricerca del prodigioso senza alcun esito, perché incapaci di vivere profondamente le loro esperienze.

 
Difatti, quanti di quei miracolati hanno “capito” Gesù, quanti lo hanno seguito fino alla fine? Il Vangelo ci parla di una sola creatura che è associata alla persona di Gesù dall’inizio alla fine: Maria di Nazareth. E di Lei non a caso si dice che “meditava queste cose nel suo cuore”.
Che tante grazie di cui il Signore cosparge la nostra vita siano un occasione di discernimento, di ascolto orante, di gioia discreta. Allora sì che sarà la nostra vita potrà parlare prima delle nostre parole, e il roveto ardente della presenza di Dio acceso in noi potrà scaldare i cuori di tanti.