C’È PROSTITUTA E PROSTITUTA
(cf Mt 21, 28-32)
TESTO
«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.
COMMENTO
Gesù non ha mai canonizzato nessun mestiere, nemmeno il suo, tanto meno quello della prostituta o dell’esattore di imposte (pubblicano). Se dice ai sommi sacerdoti e agli anziani che i pubblicani e le prostitute gli passeranno avanti è perché, mentre i sommi sacerdoti e gli anziani dicono e non fanno, gli altri invece hanno creduto, hanno riconosciuto il loro vuoto totale, il fatto cioè di essersi venduti totalmente, corpo e anima, al Dio denaro.
Non dimentichiamo 1 Tm 6,10: “L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali”. Gesù canonizza quindi non una categoria di persone ma quelli che hanno ammesso la vergognosa peccaminosità di ciò che stavano facendo, il vuoto e il nulla in cui stavano navigando.
Un giorno quando ero in Italia una prostituta mi ha detto: “Padre, ogni tanto mi viene a trovare un amico, facciamo qualcosa e poi mi lascia un po’ di soldi”.
Invece qualche tempo fa’ qui a Ouidah ho incontrato una prostituta che mi ha detto: “Padre, fino ad adesso ho fatto la prostituta!”. Una non ha il coraggio di dire pane al pane e vino al vino. L’altra guarda in faccia alla realtà e si lascia guardare da essa.
Chiamare le cose per quello che sono, l’umile ammissione delle proprie brutture ci farà intraprendere un cammino di conversione: solo l’umile riconoscimento del proprio nulla, della propria nudità è punto di partenza per accogliere la salvezza di Cristo.
Oggi, 24 settembre 2011, mancano 55 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin, a Dio piacendo.
fra Damiano Angelucci da Fano ( OFM Capp): frate itinerante
sabato 24 settembre 2011
sabato 17 settembre 2011
Commento al Vangelo XXV Dom TO anno A, 18 settembre 2011.
Padrone assoluto
(Cf Mt 20, 1-16)
TESTO
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
COMMENTO
Due cose sfuggono agli operai dell’alba. La prima è che la generosità del loro datore di lavoro non toglie niente alla loro paga, che corrisponde a quanto era stato pattuito. La seconda è che il padrone della vigna è appunto il padrone assoluto e non deve chiedere il permesso di ciò che fa.
Il pensare degli operai dell’alba è il pensare dell’uomo che dista dal pensare di Dio come la terra dal cielo (ci dice Isaia nella prima lettura). Nelle ristrettezza delle cose umane è ragionevole temere che l’abbondanza data all’altro tolga qualcosa a me; avrei tutto il diritto di lamentarmi se il mio datore di lavoro largheggiasse troppo con i miei colleghi, perché nel lungo termine questa eccessiva generosità impoverirà l’azienda e potrà compromettere i miei futuri stipendi. Inoltre l’azienda del mio padrone, benché giuridicamente resti del mi padrone, è anche mia in quanto io vi lavoro e il suo prosperare e produrre reddito dipende anche da me. Nelle ristrettezza delle cose umane l’economia è la scienza di ciò che per definizione in natura è scarso. Nella grandezza delle cose di Dio alla Grazia non esiste limite né restrizione: la sovrabbondanza elargita al fratello non mi toglie niente. Se il mio fratello è stato ricolmato di doni dall’alto, questo non impedisce che anche io possa ricevere abbondantemente dalle mani del Signore.
Secondariamente la Grazia di Dio è tutta di Dio. L’uomo non vi entra in nessuno modo. La Grazia che ci salva viene tutta dal Signore Dio; l’uomo non ne è com-propietario nemmeno in minima parte: può solo accoglierla o rifiutarla.
Ecco perché la gelosia non ha ragione di essere. Dobbiamo solo rallegrarci della generosità smisurata di Dio perché … hai visto mai che noi , operai dell’alba, ci ritroviamo ad essere invece operai del tramonto?
Oggi, sabato 17 settembre 2011, mancano 62 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin. A Dio piacendo.
(Cf Mt 20, 1-16)
TESTO
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
COMMENTO
Due cose sfuggono agli operai dell’alba. La prima è che la generosità del loro datore di lavoro non toglie niente alla loro paga, che corrisponde a quanto era stato pattuito. La seconda è che il padrone della vigna è appunto il padrone assoluto e non deve chiedere il permesso di ciò che fa.
Il pensare degli operai dell’alba è il pensare dell’uomo che dista dal pensare di Dio come la terra dal cielo (ci dice Isaia nella prima lettura). Nelle ristrettezza delle cose umane è ragionevole temere che l’abbondanza data all’altro tolga qualcosa a me; avrei tutto il diritto di lamentarmi se il mio datore di lavoro largheggiasse troppo con i miei colleghi, perché nel lungo termine questa eccessiva generosità impoverirà l’azienda e potrà compromettere i miei futuri stipendi. Inoltre l’azienda del mio padrone, benché giuridicamente resti del mi padrone, è anche mia in quanto io vi lavoro e il suo prosperare e produrre reddito dipende anche da me. Nelle ristrettezza delle cose umane l’economia è la scienza di ciò che per definizione in natura è scarso. Nella grandezza delle cose di Dio alla Grazia non esiste limite né restrizione: la sovrabbondanza elargita al fratello non mi toglie niente. Se il mio fratello è stato ricolmato di doni dall’alto, questo non impedisce che anche io possa ricevere abbondantemente dalle mani del Signore.
Secondariamente la Grazia di Dio è tutta di Dio. L’uomo non vi entra in nessuno modo. La Grazia che ci salva viene tutta dal Signore Dio; l’uomo non ne è com-propietario nemmeno in minima parte: può solo accoglierla o rifiutarla.
Ecco perché la gelosia non ha ragione di essere. Dobbiamo solo rallegrarci della generosità smisurata di Dio perché … hai visto mai che noi , operai dell’alba, ci ritroviamo ad essere invece operai del tramonto?
Oggi, sabato 17 settembre 2011, mancano 62 giorni all'arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Benin. A Dio piacendo.
sabato 10 settembre 2011
Commento al Vangelo XXIV Dom TO anno A, 10 settembre 2011.
Libertà vo’ cercando
(Cf Mt 18, 21-35)
TESTO
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».
COMMENTO
Cosa significhi perdonare 70 volte 7 non è questione di matematica ; senza che nessuno si affatichi oltre modo, il risultato è 490. Ma il Signore non voleva dire che bisogna contare fino a 490 prima di dare sfogo alla vendetta. Il messaggio è che bisogna perdonare all’infinito, così come il Signore ci perdona all’infinito, e che l’unica chiave per uscire dalla prigione del rancore è il perdono. Anche in questo caso devo dichiarare la mia impressione dell’assoluta uguaglianza del cuore umano a tutte le latitudini: quaggiù in Bénin sento spesso le stesse tristi storie di persone che non riescono a perdonare che sentivo in Italia. Forse cambia la maniera di dare libero sfogo al rancore e all’odio: da noi quando si vuole rendere del male a qualcuno si va dall’avvocato per intentare una causa; quaggiù spesso si va dal fattucchiere per fare un maleficio ( qui si chiamano gri-gri). Chi non riesce a perdonare soffre molto, molto di più di colui che non viene perdonato e che potrebbe neppure sapere di essere oggetto di rancore.
L’elemento strano e innaturale della parabola è rivelativo: come può un creditore condonare e poi pentirsi di aver condonato e tornare a esigere il regolamento del suo debito? Proprio qui sta il punto: quel padrone che ci viene a riacchiappare per le orecchie quando non siamo capaci di condonare i nostri cento denari ai nostri debitori, è proprio la nostra coscienza. Se non siamo capaci di rimettere i debiti ai nostri debitori, non potremo mai sentirci perdonati da Dio; ci sentiremo sempre intrappolati nei nostri peccati. Se non crediamo alla bellezza e alla forza liberante della misericordia resteremo sempre lì con le nostre catene, prigionieri di noi stessi. Quel 70 volte 7 può essere riferito anche ad un solo episodio, ad un solo evento terribile che è stato uno schiaffo insopportabile al solo ripensarci. Ogni volta che ci ripensiamo e che ripensiamo a chi ci ha offeso, il nostro cuore chiede di essere liberato e chiede alla nostra volontà di perdonare. E se 70 volte 7 ripenso alla stessa persona che mi ha umiliato, 70 volte 7 la mia coscienza chiede libertà, amnistia e implora alla nostra libera volontà di perdonare , almeno nel desiderio, cioè dal cuore.
Oggi, sabato 10 settembre 2011, mancano 69 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.
(Cf Mt 18, 21-35)
TESTO
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».
COMMENTO
Cosa significhi perdonare 70 volte 7 non è questione di matematica ; senza che nessuno si affatichi oltre modo, il risultato è 490. Ma il Signore non voleva dire che bisogna contare fino a 490 prima di dare sfogo alla vendetta. Il messaggio è che bisogna perdonare all’infinito, così come il Signore ci perdona all’infinito, e che l’unica chiave per uscire dalla prigione del rancore è il perdono. Anche in questo caso devo dichiarare la mia impressione dell’assoluta uguaglianza del cuore umano a tutte le latitudini: quaggiù in Bénin sento spesso le stesse tristi storie di persone che non riescono a perdonare che sentivo in Italia. Forse cambia la maniera di dare libero sfogo al rancore e all’odio: da noi quando si vuole rendere del male a qualcuno si va dall’avvocato per intentare una causa; quaggiù spesso si va dal fattucchiere per fare un maleficio ( qui si chiamano gri-gri). Chi non riesce a perdonare soffre molto, molto di più di colui che non viene perdonato e che potrebbe neppure sapere di essere oggetto di rancore.
L’elemento strano e innaturale della parabola è rivelativo: come può un creditore condonare e poi pentirsi di aver condonato e tornare a esigere il regolamento del suo debito? Proprio qui sta il punto: quel padrone che ci viene a riacchiappare per le orecchie quando non siamo capaci di condonare i nostri cento denari ai nostri debitori, è proprio la nostra coscienza. Se non siamo capaci di rimettere i debiti ai nostri debitori, non potremo mai sentirci perdonati da Dio; ci sentiremo sempre intrappolati nei nostri peccati. Se non crediamo alla bellezza e alla forza liberante della misericordia resteremo sempre lì con le nostre catene, prigionieri di noi stessi. Quel 70 volte 7 può essere riferito anche ad un solo episodio, ad un solo evento terribile che è stato uno schiaffo insopportabile al solo ripensarci. Ogni volta che ci ripensiamo e che ripensiamo a chi ci ha offeso, il nostro cuore chiede di essere liberato e chiede alla nostra volontà di perdonare. E se 70 volte 7 ripenso alla stessa persona che mi ha umiliato, 70 volte 7 la mia coscienza chiede libertà, amnistia e implora alla nostra libera volontà di perdonare , almeno nel desiderio, cioè dal cuore.
Oggi, sabato 10 settembre 2011, mancano 69 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.
sabato 3 settembre 2011
Commento al Vangelo XXIII Dom TO anno A, 3 settembre 2011.
La forza della comunione
(cf Mt 18, 15 – 20)
TESTO
Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
COMMENTO
Il Signore si fida enormemente dei suoi discepoli e si affida alla loro mediazione a tal punto da legare le cose del Cielo a quelle della terra. Mentre Gesù ci fa’ pregare dicendo “sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra” ( … cioè che la storia umana possa coincidere con i progetti di Dio), Lui da parte sua ci assicura che le decisioni disciplinari della comunità dei suoi discepoli quaggiù, saranno sempre ratificate tali e quali nella Comunità divina di lassù.
Come possa fidarsi e affidarsi così tanto a una comunità di uomini è spiegabile solo a partire dalla presenza di Cristo risorto in mezzo a questa comunità. La Chiesa non verrà mai meno fino alla fine del mondo proprio perché essa è il corpo di Cristo (vivo) presente nella storia del mondo di ogni tempo.
Domenica scorsa nelle due messe che ho celebrato ho posto all’assemblea delle domande un po’ trabocchetto. Siccome si parlava del mandato di Cristo a Pietro ( “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” ) l’ho preso un po’ alla larga e ho chiesto se conoscevano il nome del capo del Benin; tutti hanno correttamente risposto che si chiama Thomas Yayi Boni. Ho chiesto se qualcuno conosceva il nome del capo della Francia; anche in questo caso molti hanno risposto che si chiama Nicolas Sarkozy. Perfino alla domanda sul nome del capo dell’Italia qualcuno ha detto che si chiama Monsieur Berlusconì ( ma chi l’ha detto che all’estero, dell’Italia, si conoscono solo le cose brutte!) . Ma alla domanda sul capo della Chiesa Cattolica tutti hanno risposto a colpo sicuro che si chiama Benedetto XVI. A dire il vero tutti tranne una ragazzina di 12 anni che ha detto che il capo della Chiesa è Gesù. Per fortuna l’innocenza dei fanciulli! Infatti il nostro capo è Cristo, perché Cristo è vivo, dato che è risorto. Proprio Lui continua a essere presente nel fedele che con senso di responsabilità si prende la briga di correggere la colpa del fratello. Proprio Lui si rende presente quando due si mettono d’accordo per domandare qualcosa al Padre celeste e infatti l’unico a cui Dio non può rifiutare niente è proprio suo Figlio. Di fronte alla potenza della comunione dei discepoli di Cristo, un cristiano dovrebbe sentirsi sempre “il fiato” sul collo ed essere responsabile di tanti fratelli che si perdono. Siamone certi: quando nella Chiesa vengono alla luce gravi scandali, sicuramente c’è uno che ha sbagliato ma ce ne sono almeno dieci che hanno taciuto, e che invece di essere state pietre sono state solo fango.
Oggi, sabato 3 settembre 2011, mancano 76 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.
(cf Mt 18, 15 – 20)
TESTO
Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
COMMENTO
Il Signore si fida enormemente dei suoi discepoli e si affida alla loro mediazione a tal punto da legare le cose del Cielo a quelle della terra. Mentre Gesù ci fa’ pregare dicendo “sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra” ( … cioè che la storia umana possa coincidere con i progetti di Dio), Lui da parte sua ci assicura che le decisioni disciplinari della comunità dei suoi discepoli quaggiù, saranno sempre ratificate tali e quali nella Comunità divina di lassù.
Come possa fidarsi e affidarsi così tanto a una comunità di uomini è spiegabile solo a partire dalla presenza di Cristo risorto in mezzo a questa comunità. La Chiesa non verrà mai meno fino alla fine del mondo proprio perché essa è il corpo di Cristo (vivo) presente nella storia del mondo di ogni tempo.
Domenica scorsa nelle due messe che ho celebrato ho posto all’assemblea delle domande un po’ trabocchetto. Siccome si parlava del mandato di Cristo a Pietro ( “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” ) l’ho preso un po’ alla larga e ho chiesto se conoscevano il nome del capo del Benin; tutti hanno correttamente risposto che si chiama Thomas Yayi Boni. Ho chiesto se qualcuno conosceva il nome del capo della Francia; anche in questo caso molti hanno risposto che si chiama Nicolas Sarkozy. Perfino alla domanda sul nome del capo dell’Italia qualcuno ha detto che si chiama Monsieur Berlusconì ( ma chi l’ha detto che all’estero, dell’Italia, si conoscono solo le cose brutte!) . Ma alla domanda sul capo della Chiesa Cattolica tutti hanno risposto a colpo sicuro che si chiama Benedetto XVI. A dire il vero tutti tranne una ragazzina di 12 anni che ha detto che il capo della Chiesa è Gesù. Per fortuna l’innocenza dei fanciulli! Infatti il nostro capo è Cristo, perché Cristo è vivo, dato che è risorto. Proprio Lui continua a essere presente nel fedele che con senso di responsabilità si prende la briga di correggere la colpa del fratello. Proprio Lui si rende presente quando due si mettono d’accordo per domandare qualcosa al Padre celeste e infatti l’unico a cui Dio non può rifiutare niente è proprio suo Figlio. Di fronte alla potenza della comunione dei discepoli di Cristo, un cristiano dovrebbe sentirsi sempre “il fiato” sul collo ed essere responsabile di tanti fratelli che si perdono. Siamone certi: quando nella Chiesa vengono alla luce gravi scandali, sicuramente c’è uno che ha sbagliato ma ce ne sono almeno dieci che hanno taciuto, e che invece di essere state pietre sono state solo fango.
Oggi, sabato 3 settembre 2011, mancano 76 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI qui in Bénin. A Dio piacendo.
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