venerdì 27 maggio 2011

Commento al Vangelo VI Dom Pasqua 29 maggio 2011

Figli di chi ?
(cf Gv 14, 15-21)

Testo

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Commento

Figli di chi? E’ una domanda che ci potrebbe far tornare indietro nel tempo, ad altre epoche della storia quando la famiglia, il lignaggio, la parentela e la classe sociale contavano più della persona e del valore realmente dimostrato. Anche qui in Bénin la paternità identifica in maniera chiarissima la persona. Molti cognomi finiscono con il suffisso “vi” che significa “figlio di” e allora non è infrequente sentire cognomi come Akakpovi (figlio di Akakpo), Adjovi (figlio di Adjo), Lokovi (figlio di Loko).
Oltre a questo la paternità identifica anche colui che genera: devo confessare che ancora non conosco il nome del signore e della signora che vengono a darci una mano per lavorare la terra del convento qui a Ouidah. Da tutti sono conosciuti come Papà Claude e Maman Claude, cioè il papà e la mamma di Claude, che sarebbe il primogenito dei loro cinque figli: l’essere padre o madre di qualcuno identifica dunque anche i genitori. Per questo quando delle ragazze italiane vengono qui rimangono un po’ stupite del fatto che la prima domanda che la gente pone loro non è se sono sposate o fidanzate, ma se hanno figli e quanti.

La paternità di Dio non è privilegio esclusivo di qualcuno ma un dono gratuito per ogni uomo, anche per quelli che purtroppo non arriveranno mai ad ascoltare queste stupende parole di Gesù: “Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi”. Questa paternità non si esaurisce nell’atto creativo di un momento, come se Egli fosse quel grande orologiaio di cui qualcuno ha parlato, che costruisce una sveglia e dopo averla caricata aspetta passivamente che s’arresti. Se si vuole restare nell’esempio, dovremmo piuttosto dire che se il Signore è un orologiaio, i suoi orologi vanno tutti a corrente elettrica e continuano a funzionare perché Lui non lascia un solo attimo senza corrente elettrica la sua bottega planetaria. La creazione è un atto d’amore infinito che ci genera e ri-genera attimo per attimo.

La paternità di Dio che si manifesta nella creazione e ancor più nella seconda creazione, cioè la redenzione operata da suo Figlio unigenito Gesù Cristo, è un atto d’amore senza fine, un respiro che non si esaurirà più, neppure alla fine del mondo: fin tanto che Lui è Dio, noi resteremo sempre figli suoi. La promessa di Gesù è degna di fede: ”Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi”. Proprio Gesù è colui che ristabilisce i “collegamenti” interrotti, colui che dal Padre è venuto per amore e al Padre ritorna per ristabilire da parte dell’uomo l’accoglienza a questo paterno amore, un’accoglienza perduta col peccato di Adamo e i peccati a seguire; una paternità quindi che non ci è stata mai tolta, ma che l’uomo da un certo momento in poi ha escluso dal panorama delle sue scelte. Gesù è venuto per mostrarci il volto misericordioso del Padre e ritorna al Padre per mostrare a Lui il volto accogliente e pentito di una umanità rinnovata, purificata e riconciliata.
 Nell’attesa del suo ritorno Gesù implora per noi dal Padre la più bella consolazione, il dono dell’amore stesso. Nel Vangelo di Domenica scorsa Gesù si è definito la via, la verità, la vita: dunque lo spirito di verità è il suo stesso spirito, il suo stesso soffio d’amore, un soffio che lo ha sospinto verso di noi e che nel momento della sua morte rimetterà nelle mani del Padre. (“Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” - Lc 23,45 -). Il grande Consolatore è un amore inossidabile, è l’amore divino, è la terza persona della Trinità, è l’amore “andata e ritorno”; il mondo non lo conosce perché non ha riconosciuto in Gesù l’inviato del Padre; il mondo che cerca se stesso non può comprendere il linguaggio del dono e della gratuità usato da Gesù.

E noi, sotto quale paternità ci vogliamo mettere? Vogliamo vivere di questo amore o di qualcosa d’altro? Se fossimo coscienti che siamo stati fatti per saziarci dell’amore di Dio, come potremmo pensare di trovare dei sostitutivi a un amore così immenso? Quale altra consolazione il nostro cuore potrà trovare per rimpiazzare ciò che viene da Dio, che è immenso, infinito, sublime e che è Dio stesso? San Francesco inizia proprio così il Cantico di Frate Sole: “Altissimo, Onnipotente, Bon Signore, tue so’le laude , la Gloria l’Onore et omne benedictione. A te solo se konfanno o Altissimo, et nullo homo è digno te mentovare”.

Sotto quale paternità ci vogliamo mettere?
Un’altra immagine mi viene in mente a partire dagli usi locali beninesi. Quando c’è la morte di un papà (o più raramente di una mamma) tutti i vari figli provvedono innanzitutto a far conservare il corpo in una cella frigorifera all’obitorio. Nel frattempo i figli delle varie mogli si rintracciano e organizzano il ricevimento e le celebrazioni varie. La cosa significativa è che i figli e nipoti del defunto si raggruppano a seconda della moglie da cui provengono e quelli che discendono dalla stessa madre preparano per il giorno del funerale un abito dello stesso colore e tipo, in maniera tale da identificarsi chiaramente.  Questo mi fa’ riflettere sul fatto che anche noi dobbiamo scegliere un “habitus”, un comportamento che identifichi la nostra figliolanza. Per noi obbedire ai comandamenti di Gesù significa infatti scegliere di rientrare nel solco della sua figliolanza divina, scegliere il suo stesso itinerario, vivere la sua Grazia e della sua Grazia, cioè del suo amore. “Cristo Gesù patì per voi, lasciandovi un esempio, affinché ne seguiate le orme” – 1 Pt 2,21-.

Scegliere il peccato sarebbe invece come scegliere di restare al buio quando fuori splende il sole, rifiutare di godere i benefici della paternità di Dio che non vuole imporsi per forza a nessuno! Ancora San Francesco, questa volta in fondo al Cantico di Frate Sole, dice: “Laudato sii mio Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale nullo homo vivente può scappare. Guai a quelli che muoiono nei peccati mortali, beati quelli che ella troverà nelle tue volontà, che’ la seconda morte non gli farà male!”

Oggi, 27 maggio 2011, mancano 175 giorni all’arrivo di Papa Benedetto XVI in Bénin.