martedì 21 ottobre 2025

Il medico è venuto per i malati, non per chi si crede sano

 Commento al Vangelo della XXX Domenica del Tempo Ord., anno C – 26 ott 2025
    

+ Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Commento

Due uomini che salgono al tempio, luogo simbolico della presenza di Dio, e tutti e due per pregare Dio. Interessante scoprire quale atteggiamento c’è al fondo delle loro parole. Aiutano in tal senso anche gli stessi verbi usati. Chiaramente qui è Gesù che costruisce ad arte, curando ogni dettaglio, questa storia immaginaria ma tanto simile al vero.

 Il fariseo, colui che apparteneva al movimento laicale dei separati, dei puri (il termine fariseo indica esattamente questo: puro) descrive la sua situazione. Usa verbi tutti al modo indicativo: cioè presenta, indica a Dio la sua propria giustizia, e in fondo chiede a Dio semplicemente di prendere atto che lui è già giusto. Sembra proprio che questo non abbia nemmeno bisogno di un salvatore, si salva già da solo con la bontà delle sue azioni. Il pubblicano, ladro per definizione (purtroppo a quei tempi succedeva spesso che chi amministrava il denaro pubblico, lo rubava e lo metteva in saccoccia!) supplica e basta. L’unica cosa che dice è “Abbi pietà di me peccatore”.

 Gesù non canonizza il suo essere ladro, certamente no, bensì il suo affidarsi alla misericordia di Dio, quando il fariseo invece non si confronta con Dio, ma si misura con il pubblicano che, ai suoi occhi è certamente peggio di lui.

Dal vangelo di domenica scorsa abbiamo appreso che nella preghiera otteniamo da subito la grazia di scoprirci abitati, sposati, dall’amore di Gesù e quindi figli; nel vangelo di questa domenica, in aggiunta, capiamo che tale grazia trova spazio solo in un cuore umile, in chi crede che tutto, anche quel poco o tanto di buono che riesce a fare, è sempre dono dell’infinito amore del Signore. Rispetto a tale amore di Dio padre, se lo si capisce, ci si sentirà sempre in debito di gratitudine. Da qui sorge la preghiera di supplica della misericordia. Dice il salmo: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza, e invocherò il nome del Signore” (Sal 115).

venerdì 17 ottobre 2025

Un Padre che diventa iniquo per chi non ha un cuore sposato

  

Commento al vangelo della XXIX domenica del Tempo Ord. / C – 19 ottobre 2025


Dal vangelo di Luca (18,1-8)
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Commento

 Tanti uomini di fede si sono interrogati nel corso della storia su come poter mettere in pratica questo invito di Gesù a “pregare sempre”, e per di più “senza stancarsi mai”.  Gesù porta ad esempio una parabola di un giudice iniquo, cioè palesemente ingiusto, di fronte ad una vedova che al tempo era l’immagine di una persona molto debole e socialmente marginale.

Ma la vedova che prega con insistenza può sicuramente rappresentare tutta la Chiesa, sposa di Cristo, che in attesa del ritorno del suo sposo, in fondo vive una condizione di privazione o, se volete, di vedovanza. Se è vero che gli invitati alle nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro …Gesù ammonisce, alludendo a se stesso, che “verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto e allora, in quei giorni, digiuneranno.” (Mc 2,20). Certamente Gesù non verrà mai meno alla promessa fatta agli apostoli quando, risorto, appare loro in Galilea e solennemente proclama: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), versetto con cui si chiude fra l’altro il Vangelo di Matteo. Tuttavia, è anche vero che tra la sua prima venuta e la sua ultima e definitiva venuta i credenti vivono il tempo della Grazia, il tempo in cui è data all’umanità il Kàiros, l’opportunità della conversione, facilitato appunto dal digiuno e dalla penitenza in generale. Infatti, dice San Pietro: “Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt, 3,9).
Il Signore attende a concludere, meglio: a compiere la storia perché desidera, così possiamo dedurre da tutta la Scrittura, che quanta più parte dell’umanità possa accogliere la sua salvezza e passare dalla Grazia alla Gloria, al compimento del pellegrinaggio di questa vita terrena.

 I discepoli di Cristo sono chiamati a saper relativizzare tutto ciò che appartiene a questo mondo, vivendo sempre nella comunione ecclesiale che oggettivamente prega sempre. Possiamo essere sicuri, infatti che in ogni istante ci sarà un fratello, una sorella o una comunità religiosa che, in qualche angolo della terra, in comunione con la Chiesa, sta supplicando Dio Padre. Singolarmente presi non potremo certo pregare sempre, ma vivendo in comunione tra noi, nel corpo ecclesiale, saremo sempre davanti al volto del Padre, che non tarderà ad esaudirci, perché – come dice il Salmo – “per Lui mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”. Inoltre, un cuore che supplica con fiducia il Signore saprà vedere in Dio non più un giudice iniquo, ma il volto paterno di un Dio misericordioso. Quale frutto più bello possiamo raccogliere dalla preghiera!  


venerdì 10 ottobre 2025

Prima l'amore o la religione?

 

 Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del T. Ordinario/C – 12 ottobre 2025

 

+ Dal Vangelo secondo Luca (17,11-19)

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. 
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

 Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».



Commento

 Raramente Gesù viene chiamato dai suoi interlocutori anche con il suo nome proprio. “Maestro, Signore, Rabbi (che poi significa Maestro)” sono appellativi più frequenti, come in questo caso. Questo dice una decisa confidenza dei lebbrosi nei suoi confronti e il desiderio di una relazione diretta senza la mediazione di alcun tipo di ruolo, aggrappati solamente a quel nome – Gesù - che in ebraico significava appunto “Jahvé salva”. Salvezza da quella mortale malattia e salvezza da quella condizione di marginalità – una vera e propria morte sociale - a cui erano conseguentemente condannati, come tutti i malati di lebbra.

Gesù risponde all’invocazione di aiuto rispettando gli usi legali e cultuali prescritti dalla legge e codificati dal libro del Levitico, e li invia ai sacerdoti. Da notare che occorreva andare a presentarsi dai sacerdoti dopo essere stati guariti, e quindi Gesù li invita a credere che già era in atto la loro purificazione.

 In effetti “mentre essi andavano”, cioè prima di arrivare dai sacerdoti, “furono purificati”. A questo punto, secondo la legge essi avrebbero dovuto comunque  andare a presentarsi dai sacerdoti, ma uno straniero, un samaritano, preferisce tornare indietro lodando Dio, per ringraziare Gesù, gettandosi ai suoi piedi. E viene lodato da Gesù, perché prima del gesto religioso di osservanza della norma cultuale, egli compie un gesto di riconoscenza, un’espressione sincera del suo cuore. Gli altri nove non necessariamente furono ingrati, ma preferirono prima andare a espletare il “dovere religioso”, l’osservanza della norma.

 Potremmo trarre un insegnamento: la precedenza temporale che il samaritano accorda al gesto di gratitudine verso Gesù, rispetto al compito cultuale di andare dai sacerdoti, viene lodata da Gesù proprio perché corrisponde ad una priorità della vita spirituale. La prima preoccupazione che il fedele discepolo di Cristo deve avere non è quella di osservare delle regole (per quanto giuste e sacre), o di stare dentro delle strutture religiose, ma di custodire in tutto questo un atteggiamento di gratitudine verso il Signore che, solo, che dona la salvezza definitiva e completa, liberandoci dalla lebbra del male, di qualsiasi tipo. Se non c’è la consapevolezza di avere già ricevuto la salvezza da Dio nella persona e nella Pasqua del Signore Gesù, tutti i vari adempimenti religiosi saranno vuoti e privi di salvezza. Custodiamo sempre gratitudine per tutto ciò che il Signore ha già fatto - e sta facendo - per noi, perché anche a noi possa dire un giorno, quel giorno: “La tua fede ti ha salvato”.  

domenica 5 ottobre 2025

La bellezza della gratuità, inutile.

  

Commento al Vangelo della XXVII domenica del Tempo Ord/C – 5 ottobre 2025

 

Dal Vangelo di Luca (17,5-10)
 

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». 
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».



Commento

 Gli apostoli chiedono un supplemento di fede perché il Maestro ha appena domandato loro di saper perdonare anche sette volte al giorno un ipotetico fratello se dovesse ritornare pentito sette volte per la stessa colpa. Qui capiamo cosa vuol dire partecipare alla vita divina di Cristo.
Pur rimanendo noi creature, la nostra fede, intesa come fiducia in Dio, attraverso l’unione a Cristo, ci permette di avere la forza del suo stesso Spirito divino e quindi condividere i suoi stessi atteggiamenti: primo far tutti la sua misericordia.

Quale altro beneficio potremmo, allora, desiderare o ricercare? Se con un granellino di fiducia in Lui, possiamo arrivare a perdonare come ha fatto lui, a sradicare il nostro cuore dalla nostra terra di peccato e trapiantarlo nella nuova realtà del corpo di Cristo; cosa ci mancherà ancora?

Quale utilità più grande, quale beneficio più desiderabile per l’uomo rispetto a quello di abitare nella casa del Padre, di respirare la sua amicizia, di essere capaci di guardare e accogliere il fratello, anche quello peccatore, con la stessa sua grandezza d’animo!
La semplicità del servo richiesta da Gesù è proprio ciò che aveva perduto il fratello maggiore nella parabola del figlio prodigo (o del padre misericordioso), perché questi, nella sua apparente obbedienza al padre, in fondo al cuore custodiva un desiderio di ricompensa, non essendo capace di gustare la bellezza della vita in quella casa, e il calore umano dell’affetto del padre.

venerdì 26 settembre 2025

Il pericoloso sonno della coscienza

  

Commento al Vangelo della XXVI Domenica del Tempo Ordinario/C – 28.09.2025


Dal Vangelo secondo Luca (16,19-31)

 In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Commento

 Lazzaro non ha bussato alla porta del ricco, non ha alzato la voce per gridare giustizia: in questo racconto parabolico di Gesù possiamo immaginare che la disgrazia di Lazzaro fosse così grande da non dargli nemmeno la forza per chiedere. Doveva essere piuttosto questo ricco ad accorgersi di colui che si sarebbe accontentato anche delle briciole di quella mensa. La ricchezza in se, non è un peccato! Magari tutti gli uomini della terra fossero ricchi abbastanza per non avere problemi a procurarsi abbondante cibo per ogni giorno, ma evidentemente non è così. Per questo sulla ricchezza di quell’uomo, come sulla ricchezza di ogni uomo concreto di questo mondo grava una “ipoteca sociale”. Non abbiamo un diritto pieno di goderla solo per noi.

 Prima di godere liberamente dei propri beni, ogni uomo è chiamato ad interrogarsi su quanta parte di essi egli possa e debba condividere con chi non ne ha a sufficienza per una vita dignitosa. Invece a volte, troppo spesso, il benessere non porta alla condivisione ma anzi chiude gli occhi, tappa le orecchie, indurisce il cuore fino a perdere la propria dignità. Nella parabola, non a caso, questo uomo ricco, non ha nemmeno un nome, a significare che la mancanza di solidarietà con i bisognosi rende anonimi e privi di consistenza.
Ecco allora che se la ricchezza di mezzi economici permette in questa vita di essere al centro dell’attenzione e di godere di qualche consolazione, alla resa dei conti finale emergerà con durezza la profonda inconsistenza di colui che ha chiuso il cuore al povero.
Lasciamoci quindi evangelizzare dai poveri. In mezzo ai tormenti l’uomo ricco, compresa l’inevitabilità della sua pena, spera che almeno qualcuno, o lo stesso Lazzaro vada ad ammonire i suoi fratelli e suo Padre.

 I poveri hanno una missione nei confronti dell’umanità, quella di dare a tutti la possibilità di incontrare in essi e tramite essi il volto di Cristo povero, ed esserne evangelizzati. Quel volto che ci parla anche tramite Mosè e i profeti, cioè tramite le scritture. Ma se anche di fronte ad esse l’egoismo ci rende ciechi,  allora…più che sperare che qualcuno risorga dai morti e venga ad avvertirci, occorre sperare che ci si risvegli in tempo dal torpore della propria coscienza! 

venerdì 19 settembre 2025

Semplici come colombe, prudenti come serpenti

 

 Commento al Vangelo della XXV Domenica TO/C – 21 settembre 2025


Dal Vangelo secondo Luca (16,1-13)

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: 
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».



Commento

 Sembra che Gesù abbia proprio ragione: i figli di questo mondo sono molto scaltri e abili nel trafficare e nel gestire i propri interessi materiali, nello stabilire con i loro pari rapporti di reciproca convenienza. Facile constatare che alcuni, forse molti, per ammucchiare autorevolezza, posizioni sociali di eccellenza, denaro, sono disposti a fare dei sacrifici che i figli della luce, cioè gli uomini discepoli del Regno di Dio, raramente hanno voglia di fare. 
C’è una furbizia per trafficare gli affari umani, c’è una furbizia anche per trafficare le cose di Dio. Tra le brevi esortazioni di Gesù, ce n’è anche una – tra le mie preferite – che esorta ad essere “semplici come le colombe e prudenti come i serpenti” (Mt 10,16).

 Perdonare tutto e a tutti è la cosa più intelligente e conveniente che ci può venire in mente di fare, in vista dell’avvento definitivo del regno di Dio. Questa parabola viene raccontata da Gesù proprio dopo aver raccontato le tre famose parabole della misericordia, tra cui eccelle quella del Padre misericordioso ( o del figlio prodigo ). In esse Gesù racconta quanto è grande il perdono di Dio, nostro padre, nei nostri confronti. Nella parabola di oggi che segue immediatamente, possiamo vedervi un ammonimento su come amministrare la misericordia ricevuta, facendola approdare al cuore dei fratelli.
Di fronte alla grandezza immensa dell’amore di Dio per ciascuno di noi ci dovremmo sentire tutti come quell’amministratore disonesto che ha mal gestito tanta abbondanza, e potremmo, dovremmo, almeno risanare i rapporti con i nostri compagni di cammino, condonando loro il più possibile eventuali addebiti verso noi, e anche facendoci condonare eventuali nostri addebiti nei loro confronti.

Una suora fondatrice di una piccola congregazione religiosa qualche anno fa, al sopraggiungere della sua morte, ebbe cura di rintracciare tutte le persone che potevano avercela con lei, e addirittura riuscì a rintracciare anche una telefonista di un ‘call center’ alla quale aveva risposto in modo seccato. Pensate un po’: quanta saggezza in questa anima nel prepararsi ad arrivare dinanzi al Dio di ogni misericordia e di ogni grazia!

 E se invece di aspettare di arrivare a fine corsa, ci preparassimo prima?... cercando di ricucire - là dove è possibile - relazioni con i nostri offensori e con i nostri offesi?


venerdì 12 settembre 2025

Per salvare, non per condannare

 

Commento al Vangelo della Festa ‘Esaltazione Santa Croce’ – 14 sett 2025 (XXIV Dom TO)


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: 
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Commento

 Oggi, 14 settembre, la Domenica coincide con il giorno in cui la Chiesa celebra la festa della ‘Esaltazione della Santa Croce’; per questo leggiamo il Vangelo proprio di questa festa e non quello della XXIV Domenica.
Siamo nel mezzo del colloquio notturno tra Gesù e un capo dei Giudei, chiamato Nicodémo, il quale pone al Maestro una domanda molto sensata: ‘Come si può rinascere una seconda volta quando si è già grandi?’ Gesù porta Nicodemo a spostarsi dal piano naturale, biologico, a quello soprannaturale. La vita biologica, prima o poi finisce. La vita eterna, quella di cui parla Gesù, ci viene donata, o meglio restituita, ad opera del Figlio di Dio fatto uomo, Gesù: egli che abitava i cieli è disceso fra noi per rivestirsi della nostra umanità e per riportare questo vestito con sé nella dimora del Cielo, dove regna col Padre e lo Spirito.

 In tutto questo passaggio c’era un inciampo, cioè la chiusura e la durezza del cuore dell’uomo, il quale ha pensato che Dio fosse invidioso della sua gioia, che fosse suo antagonista. Questa infatti è la radice del peccato: il pensare che Dio sia mio nemico. Ecco perché Gesù ribadisce che Dio «non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

L’ostacolo, il peccato dell’uomo, culminato nella condanna a morte è diventato però nella vicenda storica di Gesù il passaggio decisivo alla vittoria. Quindi, facciamo bene attenzione: Gesù non è venuto in terra a dirci che dobbiamo soffrire per ottenere la vita eterna, quanto piuttosto a dirci che quel luogo di supplizio e di odio, che storicamente fu una croce, poté diventare grazie al suo abbandono alla volontà del Padre, un luogo di amore, di salvezza e di riconciliazione tra Dio e l’uomo. La croce è una croce luminosa se è abitata dalla presenza di Cristo, altrimenti è croce e basta!  
La vita dell’uomo è cosparsa di momenti tragici, umanamente irrisolvibili. Nella grazia e nell’amore di Gesù Signore, possiamo trasformare questi stessi momenti in luoghi di rinascita e di ingresso in una nuova prospettiva di eternità.