lunedì 12 maggio 2014

Commento al Vangelo della V Domenica di Pasqua anno A. 18 maggio 2014



Una strada sicura


TESTO   ( Gv 14, 1-12 )

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».



 

COMMENTO
 

Leggendo il brano di questa Domenica  ci si accorge che la  fede non è semplicemente un’ attesa ma piuttosto un cammino, spesso tortuoso e impervio, dove ad ogni svolta si apre un’ulteriore parziale visione del luminoso destino finale, dove il Signore Gesù è già arrivato per riservarci un posto. Lungo questo cammino quindi non si può stare fermi, occorre mettere un passo dopo l’altro, ci sono cioè delle cose da fare, delle opere da compiere, le stesse che Gesù ci ha preparato e ci ha affidato, addirittura più grandi di quelle fatte da lui stesso.
 

Per arrivare alla casa del Padre, alla gioia finale del Paradiso bisogna infatti passare tramite Gesù, ma appunto il suo essere “via” significa che il suo modo di essere uomo è quello vero, quello che corrisponde al nostro innato desiderio di verità , di bontà, di felicità, di senso dell’esistere.  Il tutto potrebbe essere riassunto dicendo che mentre Gesù ci viene incontro, noi dobbiamo andare incontro a Lui. 

Tutto quello che era necessario per salvarci, lo ha già fatto Gesù; nel tempo presente il nostro compito è di accogliere e assumere su di noi questo destino di salvezza camminando verso Lui e vivendo nell’osservanza dei suoi comandamenti, potremmo dire della sua segnaletica stradale. Gesù è il nostro cammino ma nello stesso tempo è anche il nostro punto d’arrivo, la nostra destinazione, il “luogo” e la persona dove possiamo trovare la casa del Padre, cioè casa nostra. La fede è un cammino lungo il quale la vita di Cristo deve divenire pian piano anche la nostra, un cammino lungo il quale apprendere tutta la verità di ciò che sono.
 

Sarà bene ricordare che se Gesù è la via per tornare “a casa”, si tratta sempre e comunque di una “via crucis”. Come San Paolo dobbiamo dire (cf Col 1,24) “completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo”. L’esperienza di Gesù deve diventare anche mia esperienza personale e la sola cosa che “manca” alla realizzazione della mia salvezza è il mio “si” incondizionato alla sua volontà, un “si” detto con tutta la mia vita, anche nel dolore e nello sconforto, sapendo che dove c’è la croce sovrabbondano le consolazioni del Signore: la croce accolta per amore di Dio è l'unico luogo dove si può pregustare qui in terra la gioia del Paradiso.
 

San Pio da Pietrelcina è stato un uomo che ha sofferto moltissimo, eppure lui stesso diceva che sperimentava tali e tante consolazioni da parte del Signore che a volte si sentiva quasi sulla soglia del Paradiso. Per dare un nuovo “via” alla nostra esistenza faremmo bene ad accogliere la verità della vita che Cristo ci svela, e parte di tale verità è che la sofferenza esiste per tutti, è ineliminabile, ma se vissuta in unione al Signore Gesù crocifisso può diventare luogo di profonda intimità divina e inimmaginabili consolazioni.

venerdì 9 maggio 2014

Commento al Vangelo della IV Domenica di Pasqua, anno A. 11 maggio 2014



La porta della gioia 



TESTO (Gv 10,1-10)

1 «In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. 3 A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. 4 Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5 Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei».
6 Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono quali fossero le cose che diceva loro. 7 Perciò Gesù di nuovo disse loro: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura. 10 Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.


COMMENTO
  
Noi conosciamo bene la forma che deve avere quell’unica porta che accede al recinto del gregge, la porta con la quale Gesù stesso si identifica: quella della croce. I farisei cercavano gloria l’uno dall’altro, cercavano di fare a tutti i costi proseliti (e Gesù dice che poi trovatone uno, erano capaci di renderlo pure peggio di loro) ma lo facevano più per affermare il loro prestigio che per la gloria di Dio. Chi è venuto dopo Gesù e in suo nome non è venuto per “rubare” ma per donare, meglio ancora, per donarsi e dare la propria vita per il gregge scegliendo di passare per la porta della croce. 

Il segno più sicuro di credibilità di colui che pretende essere pastore o semplicemente educatore degli altri è il sacrificio di sé, sull’esempio di Gesù. Chi non accetta di perdere qualcosa, chi non accetta di rischiare un po’ della sua vita perdendosi per gli altri, rende palese la ricerca di fini personali ed egoistici, la ricerca dell’auto-affermazione attraverso una mera apparenza di dedizione al prossimo, la meschina ambizione di poter dire a se stesso: “… ma guardate quante pecore nel mio recinto! Sono o non sono un bravo pastore!?”

Un pastore che non sa soffrire per i propri fedeli, che non sa sopportare in silenzio l’incomprensione o l’ingratitudine del suo gregge, o anche un genitore che non accetta l’umiliazione dell’ironia nel proporre un’educazione contro-corrente, costui è un falso pastore come quelli di cui parlava il profeta Ezechiele: “Dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono se stessi! […] Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge” (Ez 34,2-3).

Colui che si dona invece vuole solo che gli altri abbiano la vita, e la vita in abbondanza, cosicché ognuno “… entrerà, uscirà e troverà pascolo”. San Paolo direbbe: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Cor 1,24). 

Che ognuno scelga la sua porta, ma quella che permette di accedere al cuore degli uomini è solo una: Cristo Gesù con il suo stile di vita, quello di chi non è venuto per essere servito e fare la propria volontà, ma per fare la volontà di Dio Padre, servire e dare la vita per gli altri.

martedì 29 aprile 2014

Commento al Vangelo della III Domenica di Pasqua anno A. 4 maggio 2014



LA PEDAGOGIA DELL’ASCOLTO 


TESTO ( Lc 24, 13-35 )

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 

Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 

Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.


COMMENTO

Un giornalista e fervente cattolico di Cotonou (Repubblica del Benin) , un giorno mi espresse la sua preoccupazione per i tanti battezzati che passavano o ritornavano nelle numerose sette esistenti. Tante persone si facevano battezzare e altrettante, a suo dire, ne uscivano. In quell’ambiente la sofferenza fisica, la penuria di mezzi per curarsi, la ricerca di benessere in effetti spinge spesso a delle scorciatoie di questo tipo nell’aspettativa di trovare la religione migliore e che aiuti meglio a risolvere i problemi più urgenti. Se è lecito domandarsi cosa siano venuti a cercare nella Chiesa di Cristo coloro che se ne distaccano così rapidamente, tuttavia da parte nostra occorrerà domandarsi se abbiamo saputo imitare la pedagogia del nostro Maestro così ben delineata nel racconto dei discepoli di Emmaus. 

Quali mezzi e quanto tempo impieghiamo noi per impersonare quel Gesù risorto che si fa accanto a questi due uomini delusi in cammino verso Emmaus? Gesù ha fatto qualcosa di molto semplice: si è fatto raccontare la storia di quegli ultimi giorni, la storia di quegli straordinari eventi quale essi stessi l’avevano vissuta. Il Vangelo ci dice che i loro occhi non erano stati capaci di riconoscere Gesù, che avevano il volto triste, che fino a qualche momento prima avevano sperato che fosse stato proprio Gesù a liberare Israele. Gesù ascolta pazientemente e poi comincia a spiegare loro tutto ciò che nelle scritture lo riguardava,  ed è così che il cuore dei due discepoli inizia a scaldarsi, i loro occhi tornano a vedere, fino alla sera quando lo riconoscono mentre spezza il pane.

 Credo che questo brano sia meno un rimprovero dell’incredulità dei due discepoli delusi, per quanto Gesù li definisca “cuori senza intelligenza e lenti a credere”, e più un esempio per tutti noi cristiani, chiamati ad essere testimoni di Gesù. La verità ha bisogno di relazione per comunicarsi, ha bisogno di ascolto. Noi frati, preti e cristiani in genere impegnati nell’evangelizzazione, dovremmo imparare a predicare un minuto per ogni 10 minuti di ascolto. In Benin come in tutti i luoghi del mondo, immagino,  l’annuncio cristiano ha bisogno di passare attraverso una relazione di amicizia, di comunione, di dialogo. La dimensione relazionale è di un’importanza cruciale.

 Ce lo ricorda anche Papa Francesco nell’esortazione Evangilii Gaudium: 
“127. Ora che la Chiesa desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. […] 128. In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore”.

martedì 22 aprile 2014

Commento al Vangelo della II Domenica di Pasqua. 27 aprile 2014.




DEDICATO AGLI INCREDULI … MARTIRI


TESTO ( Gv 20,19-31)

 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».
 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo;
 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».


COMMENTO

Indubbiamente Tommaso detto Didimo (il gemello) è passato alla storia come colui che per credere ha avuto bisogno di vedere e di toccare, anche se il Vangelo non ci dice che di fatto Tommaso mise le sue dita sul costato di Gesù; e personalmente sono convinto che per fare quella mini professione di fede (‘Mio Signore e mio Dio’) gli fu sufficiente  vedere Gesù quale gli si presentò davanti agli occhi.

Tommaso è lo stesso che alla notizia della morte di Lazzaro e di fronte all’insistenza di Gesù di tornare in Giudea per andarlo a ri-animare, accetta di condividere fino in fondo il destino di Lui e dichiara apertamente: ‘andiamo anche noi a morire con lui!’ ( cf Gv 11,16 ). Tommaso sarà pure un incredulo, ma un incredulo martire, uno che ha il cuore pieno di passione, che cerca onestamente delle ragioni umane per credere, che non teme di compromettersi con Gesù e che alla fine arde dal desiderio di vederlo, di toccarlo, perché troppo grande deve essere stato il sentimento suscitato dalla notizia “Abbiamo visto il Signore!” .

 Non capita anche a noi, di fronte a una notizia meravigliosa, di reagire dicendo “non ci posso credere”?
Sarà per questa ragione, forse, che Gesù ha concesso il bis solo per lui, perché sapeva che la Grazia di quella nuova apparizione poteva non andare perduta. Se potesse servire veramente per aumentare la nostra fede, sono convinto che il Signore non risparmierebbe neppure a noi delle apparizioni straordinarie o dei segni strabilianti. Ma il Signore non sciupa le sua grazie. Ricordate il testo della parabola del povero Lazzaro e dell’uomo ricco (Lc 16,27-30)? “E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”.

La nostra fede non ha bisogno di segni ulteriori, ma di leggere nel profondo i tanti segni che il Signore ci ha già dato, e di cominciare ad amare seriamente, Dio e i fratelli.
Il Signore Gesù non avrebbe alcun problema a trasformare le pietre in pani, ma se poi i cuori restano duri come pietra e incapaci di condividere il pane … quale giovamento per la vita eterna?

Una fede troppo curiosa, troppo tesa alla ricerca del sensazionale e del miracolo, una fede così non troverà mai segni sufficienti per credere. Se il cuore non è disposto a donare e a sacrificarsi, i segni rimangono sulla pelle, non toccheranno l’anima e non cambieranno la vita. 
Chiediamo al Signore un supplemento di fede, ma nel frattempo “andiamo anche noi a morire con lui!’ 

martedì 15 aprile 2014

Commento al Vangelo di Pasqua. 20 aprile 2014



L’ardire della fede


TESTO ( Gv 20, 1-10)

1 Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. 2 Allora corse verso Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano messo».
3 Pietro e l'altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. 4 I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; 5 e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e vide le fasce per terra, 7 e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide, e credette. 9 Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. 10 I discepoli dunque se ne tornarono a casa.


COMMENTO


E’ grazie alla fede di questi discepoli che noi celebriamo la Pasqua di Cristo. Come delle ondate successive di un’umanità che cerca di approdare alla terra ferma della Verità e della Vita, questi tre padri nella fede si avvicinano progressivamente alla comprensione della Buona Novella.

Maria di Magdala si ferma di fronte alla pietra rotolata; sembra proprio incapace di avvicinarsi al mistero, di concepire anche lontanamente la possibilità di quello che Gesù aveva preannunziato; corre subito da Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, credendo che qualcuno abbia trafugato il corpo del Maestro. Il suo cuore  non è ancora pronto a decifrare quello che gli occhi hanno visto. 


Pietro e l’altro discepolo iniziano anche loro la propria rincorsa: il discepolo che Gesù amava, più giovane, corre più veloce, fa un passo più in là di Maria, giunge fino all’ingresso del sepolcro e senza entrarvi vi scorge le fasce per terra; Pietro invece vi entra e vede non solo le fasce ma anche il sudario svuotato e in luogo a parte. Ognuno va un po’ più lontano di chi lo precede come se quei passi fossero delle tracce su cui proseguire e per aprire il cammino a chi viene dopo.

A questo punto il discepolo che Gesù amava e che si era arrestato all’entrata, è come rassicurato dall’ardire di Pietro; anche lui entra nel seplocro “e vide , e credette”. Ognuno dei tre è sostegno della fede degli altri due. Maria di Magdala accende la miccia, Pietro varca la soglia del sepolcro vuoto, l’altro discepolo ne coglie il mistero.

La fede non è un evento solitario ma un cammino che esige comunione con dei compagni di cordata dove ognuno abbia l’ardire di andare più lontano dell’altro per aprire sempre più in profondità la comprensione dell’evento “Gesù di Nazareth”. La tomba vuota e le sue apparizioni sono eventi testimoniati e tramandati, ma se il nostro cammino non fosse accompagnato da fratelli che condividono la nostra stessa strada e le nostre esperienze, rimarrebbero muti e incomprensibili. 


Non è sufficiente vedere, toccare, ascoltare con i sensi del corpo, perché la fede esige l’intelligenza del cuore, l’apertura al “possibile”, e questa oggettività del vedere con i sensi dello spirito ci è data anzitutto nella comunione di ascolto con coloro che hanno vissuto e mangiato con il Messia, e poi con coloro che anche oggi, come noi e con noi, cercano la luce nelle tenebre del dubbio e del dolore.

giovedì 10 aprile 2014

Commento al Vangelo della Domenica delle Palme. 13 aprile 2014

 

L’acqua di Pilato non lava

 

TESTO (Mt 26,14-27,66)

[...] 24 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». 25 E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». 26 Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
[...]


 

COMMENTO

E’ una realtà che si impone : l’acqua che Pilato ha usato per sciacquarsi le mani e proclamare la sua estraneità al problema-Gesù non ha assolto la sua funzione di purificazione. Pilato è rimasto e rimarrà al contrario il simbolo della vigliaccheria, della colpa di tutti quelli che, volendo togliersi dall’imbarazzo dei problemi, se ne fanno doppiamente responsabili, di tutti quelli che sperando di salvare “capra e cavoli”, perdono capra, cavoli e dignità, a perpetua vergogna. A livello di giustizia civile Gesù resta un accusato in attesa di giudizio.
Pilato consegna Gesù al linciaggio dei suoi fratelli, perché di questo si tratta. Il processo di Gesù resta un processo aperto sulla storia, un processo aperto alla sentenza che 


ognuno nel suo cuore è obbligato a pronunciare. Colpevole o innocente? Vero o falso?
 

Ci sono stati in questi 2000 anni talmente tanti uomini che hanno dato la vita per Cristo, talmente tanti uomini che al contrario si sono opposti con ogni violenza a tutto ciò che si riferiva a Cristo, che non si può più restare in posizione di neutralità. Due possibilità: o Cristo è veramente risorto dimostrando la sua divinità, oppure tutto ciò che si dice di Lui e che i successori degli Apostoli hanno continuato ad annunciare è un insieme di storie deformate e maliziosamente addomesticate per attribuirsi potere e prestigio.
Pilato ha un volto con delle fattezze molto simili a quelle dell’uomo occidentale contemporaneo, e forse molti altri volti.
 

In ragione di tale somiglianza Pilato evita di porsi il problema dell’identità di Gesù, lo lascia piuttosto risolvere alle folle, a quello che gli altri dicono di Lui, all’esito dell’ennesimo sondaggio di opinioni; dato che ormai chi fa politica non si preoccupa della ricerca del bene comune, ma di soddisfare il ventre di chi urla più forte. In fondo, nonostante la crisi si dorme al coperto, si mangia tre volte al giorno, grazie a una qualche pensione anche il futuro non è troppo incerto e di conseguenza a cosa serve prendere una decisione sull’identità di Gesù? La domanda poi sulla verità è ancor meno urgente: anche il Pilato versione originale chiese: “che cos’è la verità?” e non fece però più di tanto per darsi risposta.
 

Il Pilato, nostro contemporaneo più di quanto avremmo mai pensato: non scaccia Gesù dalla sua vita ma nemmeno fa niente per tenerlo in vita. L’acqua di Pilato continua ancora oggi ad essere molto usata, ma se duemila anni fa’ non poté purificare  il suo  opportunismo politico, tanto meno oggi può lavare le nostre coscienze colpevolmente distratte. E’ solo dal costato di Cristo che sgorga l’acqua nuova. Questa sì: quest’acqua lava, rigenera, dona vita, purifica, disseta e sgorga dall’unica sorgente del monte Calvario per tutti i crocifissi della storia, per tutti quelli hanno accolto la sfida delle beatitudini e che hanno saputo mettere le proprie spalle sotto la croce di Cristo.

giovedì 3 aprile 2014

Commento al Vangelo della V Domenica di Quaresima , anno A; 6 aprile 2014.



Andiamo anche noi a morire con lui!


TESTO
( cf Gv 11,1-45)
  
 Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. 2 Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3 Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».
4 All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5 Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. 6 Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. 7 Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8 I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9 Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10 ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». 11 Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». 13 Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. 14 Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15 e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». 16 Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
17 Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. 18 Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia 19 e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. 20 Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21 Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22 Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». 23 Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». 24 Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». 25 Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». 27 Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».
28 Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29 Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. 30 Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». 32 Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33 Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: 34 «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35 Gesù scoppiò in pianto. 36 Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». 37 Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».
38 Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. 39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43 E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44 Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».
45 Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.

 

Commento

Mi colpiscono nel Vangelo della “rianimazione” di Lazzaro proprio le parole di Tommaso, detto il gemello (Didimo): “andiamo anche noi a morire con lui!”. Nel Vangelo di Giovanni spesso i dialoghi sono intessuti di equivoci che svelano gradualmente il vero senso.
I suoi avevano appena espresso lo stupore per il desiderio di Gesù di tornare in Giudea (dove si trova Betania) dove poco tempo prima i giudei avevano cercato di lapidarlo ma di fronte alla sua risolutezza, Tommaso assume fino in fondo le conseguenze della sua scelta di seguire Maestro e dichiara: “andiamo anche noi a morire con lui”.
Gesù si avviava a Betania per fare il segno più grande dei sette raccontati dall’evangelista Giovanni, quello della resurrezione di Lazzaro, ma Tommaso pensa alla morte. Gesù è figlio della luce , Gesù è La Luce, come abbiamo ascoltato Domenica scorsa, ma l’uomo vede davanti a sé solo il muro della morte. Però Tommaso, detto il gemello, accetta la sfida di camminare con Gesù nelle 12 ore di luce del giorno durante le quali splende Gesù, luce del mondo e invita gli altri a fare lo stesso: “andiamo anche noi ….”.
Questo discepolo era soprannominato Didimo, che significa gemello. Gemello di chi? Dove è il fratello che dovrebbe rassomigliargli come una goccia d’acqua in quanto gemello? Fratello, sei tu che leggi. Il fratello gemello di Tommaso devo essere io che mi avvicino a Gesù attraverso questa parola di vita, per dire anche io: “andiamo …”
Gesù è luce del mondo, Gesù è la resurrezione, chi crede e vive in lui vivrà in eterno. Gesù pone anche a noi la domanda posta a Marta “Credi tu questo?”
La morte di chi ci è vicino ci strappa un pezzo di vita, ci fa dire come a Marta e poi a Maria: “Maestro, se tu fossi stato qui, nostro fratello Lazzaro non sarebbe morto”. Noi diciamo qualcosa di molto simile: “Signore, se è vero che sei Dio, perché permetti la morte di un giovane, pulito, onesto,  e lasci vivere troppo a lungo dittatori, assassini, pedofili etc.
Gesù ci pone una sola domanda: “Tu credi che io sono la resurrezione? Che chi crede e vive in me vivrà in eterno?”.
Se le nostra risposta è si e accettiamo l’esortazione del nostro fratello gemello Tommaso, e potremo trovare la forza di sopportare la fatica degli impegni familiari (figli ribelli, una fedeltà coniugale eroica da vivere, genitori che sembrano troppo severi …), la fatica del mio lavoro e della fedeltà a degli impegni presi, la fatica di orientare le nostre scelte secondo i criteri del Vangelo; in poche parole la forza di morire a noi stessi, e di accettare anche la morte fisica di chi perdendo la sua vita ci ha già tolto un po’ della nostra, anche se questo ci fa versare lacrime come è successo a Gesù.