venerdì 31 ottobre 2025

Una promessa su cui riflettere

 

Commemorazione di tutti i fedeli defunti – 2 novembre 2025 - I messa –


Dal Vangelo di Giovanni (6,37-40)

 In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
 

Commento

 Tra le tre Messe con relative letture, che possono essere celebrate in questo giorno di “Commemorazione di tutti i defunti” scegliamo la prima che ci presenta un brano del Vangelo di Giovanni, tratto dal discorso di Gesù nella sinagoga di Cafàrnao, dopo la esaltante vicenda della moltiplicazione dei pani.

 Gesù anzitutto ribadisce la sua sostanziale filialità rispetto a Dio Padre. Egli non ha una volontà autonoma, come invece noi uomini vorremmo spesso avere. No: Gesù – il Figlio di Dio per natura sua – è venuto per fare la volontà del Padre suo - e nostro - che è nei Cieli. 
Qual è la volontà di Dio padre? Che Gesù non perda, cioè che non si faccia sfuggire dal suo abbraccio d’amore misericordioso, nessuno di noi uomini.

Ma ancora una volta, ulteriore passaggio, è necessario che l’uomo accolga lo sguardo misericordioso di Gesù salvatore. Il nostro destino di vita eterna, e che oggi auspichiamo per tutti i nostri cari defunti, non è automatico: suppone che ogni uomo, raggiunto in un modo o in un altro, più o meno esplicitamente, dalla misericordia di Dio, sappia incrociare quello sguardo e accoglierlo, e credendo in lui, affidandosi a lui, lasciarsi condurre nel regno della vita vera, quella che non avrà fine, quella vita che solo Gesù ci potrà donare facendoci uscire dai nostri sepolcri; è mai esistito un uomo sulla terra che ha promesso cose simili? Forse no. Ma la cosa interessante è che Gesù, essendo risorto lui per primo, ha reso molto credibile tale promessa.

martedì 21 ottobre 2025

Il medico è venuto per i malati, non per chi si crede sano

 Commento al Vangelo della XXX Domenica del Tempo Ord., anno C – 26 ott 2025
    

+ Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Commento

Due uomini che salgono al tempio, luogo simbolico della presenza di Dio, e tutti e due per pregare Dio. Interessante scoprire quale atteggiamento c’è al fondo delle loro parole. Aiutano in tal senso anche gli stessi verbi usati. Chiaramente qui è Gesù che costruisce ad arte, curando ogni dettaglio, questa storia immaginaria ma tanto simile al vero.

 Il fariseo, colui che apparteneva al movimento laicale dei separati, dei puri (il termine fariseo indica esattamente questo: puro) descrive la sua situazione. Usa verbi tutti al modo indicativo: cioè presenta, indica a Dio la sua propria giustizia, e in fondo chiede a Dio semplicemente di prendere atto che lui è già giusto. Sembra proprio che questo non abbia nemmeno bisogno di un salvatore, si salva già da solo con la bontà delle sue azioni. Il pubblicano, ladro per definizione (purtroppo a quei tempi succedeva spesso che chi amministrava il denaro pubblico, lo rubava e lo metteva in saccoccia!) supplica e basta. L’unica cosa che dice è “Abbi pietà di me peccatore”.

 Gesù non canonizza il suo essere ladro, certamente no, bensì il suo affidarsi alla misericordia di Dio, quando il fariseo invece non si confronta con Dio, ma si misura con il pubblicano che, ai suoi occhi è certamente peggio di lui.

Dal vangelo di domenica scorsa abbiamo appreso che nella preghiera otteniamo da subito la grazia di scoprirci abitati, sposati, dall’amore di Gesù e quindi figli; nel vangelo di questa domenica, in aggiunta, capiamo che tale grazia trova spazio solo in un cuore umile, in chi crede che tutto, anche quel poco o tanto di buono che riesce a fare, è sempre dono dell’infinito amore del Signore. Rispetto a tale amore di Dio padre, se lo si capisce, ci si sentirà sempre in debito di gratitudine. Da qui sorge la preghiera di supplica della misericordia. Dice il salmo: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza, e invocherò il nome del Signore” (Sal 115).

venerdì 17 ottobre 2025

Un Padre che diventa iniquo per chi non ha un cuore sposato

  

Commento al vangelo della XXIX domenica del Tempo Ord. / C – 19 ottobre 2025


Dal vangelo di Luca (18,1-8)
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Commento

 Tanti uomini di fede si sono interrogati nel corso della storia su come poter mettere in pratica questo invito di Gesù a “pregare sempre”, e per di più “senza stancarsi mai”.  Gesù porta ad esempio una parabola di un giudice iniquo, cioè palesemente ingiusto, di fronte ad una vedova che al tempo era l’immagine di una persona molto debole e socialmente marginale.

Ma la vedova che prega con insistenza può sicuramente rappresentare tutta la Chiesa, sposa di Cristo, che in attesa del ritorno del suo sposo, in fondo vive una condizione di privazione o, se volete, di vedovanza. Se è vero che gli invitati alle nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro …Gesù ammonisce, alludendo a se stesso, che “verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto e allora, in quei giorni, digiuneranno.” (Mc 2,20). Certamente Gesù non verrà mai meno alla promessa fatta agli apostoli quando, risorto, appare loro in Galilea e solennemente proclama: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), versetto con cui si chiude fra l’altro il Vangelo di Matteo. Tuttavia, è anche vero che tra la sua prima venuta e la sua ultima e definitiva venuta i credenti vivono il tempo della Grazia, il tempo in cui è data all’umanità il Kàiros, l’opportunità della conversione, facilitato appunto dal digiuno e dalla penitenza in generale. Infatti, dice San Pietro: “Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt, 3,9).
Il Signore attende a concludere, meglio: a compiere la storia perché desidera, così possiamo dedurre da tutta la Scrittura, che quanta più parte dell’umanità possa accogliere la sua salvezza e passare dalla Grazia alla Gloria, al compimento del pellegrinaggio di questa vita terrena.

 I discepoli di Cristo sono chiamati a saper relativizzare tutto ciò che appartiene a questo mondo, vivendo sempre nella comunione ecclesiale che oggettivamente prega sempre. Possiamo essere sicuri, infatti che in ogni istante ci sarà un fratello, una sorella o una comunità religiosa che, in qualche angolo della terra, in comunione con la Chiesa, sta supplicando Dio Padre. Singolarmente presi non potremo certo pregare sempre, ma vivendo in comunione tra noi, nel corpo ecclesiale, saremo sempre davanti al volto del Padre, che non tarderà ad esaudirci, perché – come dice il Salmo – “per Lui mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”. Inoltre, un cuore che supplica con fiducia il Signore saprà vedere in Dio non più un giudice iniquo, ma il volto paterno di un Dio misericordioso. Quale frutto più bello possiamo raccogliere dalla preghiera!  


venerdì 10 ottobre 2025

Prima l'amore o la religione?

 

 Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del T. Ordinario/C – 12 ottobre 2025

 

+ Dal Vangelo secondo Luca (17,11-19)

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. 
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

 Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».



Commento

 Raramente Gesù viene chiamato dai suoi interlocutori anche con il suo nome proprio. “Maestro, Signore, Rabbi (che poi significa Maestro)” sono appellativi più frequenti, come in questo caso. Questo dice una decisa confidenza dei lebbrosi nei suoi confronti e il desiderio di una relazione diretta senza la mediazione di alcun tipo di ruolo, aggrappati solamente a quel nome – Gesù - che in ebraico significava appunto “Jahvé salva”. Salvezza da quella mortale malattia e salvezza da quella condizione di marginalità – una vera e propria morte sociale - a cui erano conseguentemente condannati, come tutti i malati di lebbra.

Gesù risponde all’invocazione di aiuto rispettando gli usi legali e cultuali prescritti dalla legge e codificati dal libro del Levitico, e li invia ai sacerdoti. Da notare che occorreva andare a presentarsi dai sacerdoti dopo essere stati guariti, e quindi Gesù li invita a credere che già era in atto la loro purificazione.

 In effetti “mentre essi andavano”, cioè prima di arrivare dai sacerdoti, “furono purificati”. A questo punto, secondo la legge essi avrebbero dovuto comunque  andare a presentarsi dai sacerdoti, ma uno straniero, un samaritano, preferisce tornare indietro lodando Dio, per ringraziare Gesù, gettandosi ai suoi piedi. E viene lodato da Gesù, perché prima del gesto religioso di osservanza della norma cultuale, egli compie un gesto di riconoscenza, un’espressione sincera del suo cuore. Gli altri nove non necessariamente furono ingrati, ma preferirono prima andare a espletare il “dovere religioso”, l’osservanza della norma.

 Potremmo trarre un insegnamento: la precedenza temporale che il samaritano accorda al gesto di gratitudine verso Gesù, rispetto al compito cultuale di andare dai sacerdoti, viene lodata da Gesù proprio perché corrisponde ad una priorità della vita spirituale. La prima preoccupazione che il fedele discepolo di Cristo deve avere non è quella di osservare delle regole (per quanto giuste e sacre), o di stare dentro delle strutture religiose, ma di custodire in tutto questo un atteggiamento di gratitudine verso il Signore che, solo, che dona la salvezza definitiva e completa, liberandoci dalla lebbra del male, di qualsiasi tipo. Se non c’è la consapevolezza di avere già ricevuto la salvezza da Dio nella persona e nella Pasqua del Signore Gesù, tutti i vari adempimenti religiosi saranno vuoti e privi di salvezza. Custodiamo sempre gratitudine per tutto ciò che il Signore ha già fatto - e sta facendo - per noi, perché anche a noi possa dire un giorno, quel giorno: “La tua fede ti ha salvato”.  

domenica 5 ottobre 2025

La bellezza della gratuità, inutile.

  

Commento al Vangelo della XXVII domenica del Tempo Ord/C – 5 ottobre 2025

 

Dal Vangelo di Luca (17,5-10)
 

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». 
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».



Commento

 Gli apostoli chiedono un supplemento di fede perché il Maestro ha appena domandato loro di saper perdonare anche sette volte al giorno un ipotetico fratello se dovesse ritornare pentito sette volte per la stessa colpa. Qui capiamo cosa vuol dire partecipare alla vita divina di Cristo.
Pur rimanendo noi creature, la nostra fede, intesa come fiducia in Dio, attraverso l’unione a Cristo, ci permette di avere la forza del suo stesso Spirito divino e quindi condividere i suoi stessi atteggiamenti: primo far tutti la sua misericordia.

Quale altro beneficio potremmo, allora, desiderare o ricercare? Se con un granellino di fiducia in Lui, possiamo arrivare a perdonare come ha fatto lui, a sradicare il nostro cuore dalla nostra terra di peccato e trapiantarlo nella nuova realtà del corpo di Cristo; cosa ci mancherà ancora?

Quale utilità più grande, quale beneficio più desiderabile per l’uomo rispetto a quello di abitare nella casa del Padre, di respirare la sua amicizia, di essere capaci di guardare e accogliere il fratello, anche quello peccatore, con la stessa sua grandezza d’animo!
La semplicità del servo richiesta da Gesù è proprio ciò che aveva perduto il fratello maggiore nella parabola del figlio prodigo (o del padre misericordioso), perché questi, nella sua apparente obbedienza al padre, in fondo al cuore custodiva un desiderio di ricompensa, non essendo capace di gustare la bellezza della vita in quella casa, e il calore umano dell’affetto del padre.