venerdì 28 febbraio 2025

Per non diventare allergici alla paglia!

 

Commento al vangelo della VIII domenica del Tempo Ordinario/C – 2 marzo 2025

 

+ Dal Vangelo secondo Luca (6,39-45)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

 
Commento

 Preoccupante o consolante, a seconda dei casi: prima o poi gli atteggiamenti, i gesti e le parole della nostra vita riveleranno ciò di cui ci siamo nutriti, i maestri che abbiamo ascoltato, le scuole di pensiero che abbiamo frequentato. Non si può tener nascosto il contenuto del nostro cuore, ci dice Gesù. Ma allora sarà necessario, per chi fosse interessato alla pratica del bene – speriamo tutti – avvicinarsi alla sorgente del bene, ricordando l’episodio del giovane ricco quando il Signore viene interpellato su ciò che di buono occorre fare per avere la vita eterna (cf. Mt 19,16-17): “Buono è uno solo”. O nella versione dell’evangelista Luca: “Nessuno è buono se non Dio solo” (Lc 18,19).

La nostra esistenza può essere piena di difetti, (chi non li ha?), ma la cosa decisiva, molto consolante dal mio punto di vista, è che alla fine, nelle relazioni con le persone, e da ultimo nell’incontro faccia a faccia col volto del Signore, emergerà il desiderio di lui, cioè di bene e di verità che ci ha accompagnato lungo la vita. Troppo spesso si valuta la propria esperienza di fede solo sulla base della capacità di essere vincenti su tale o tal altra debolezza, ma ciò che veramente conta è custodire nel cuore la sua presenza e il Signore, anche se dovesse trovare chiusa una porta, speriamo possa trovarne aperta un’altra. Facciamo dunque nostra la raccomandazione di San Francesco: “e sempre costruiamo in noi una casa e una dimora permanente a lui” (FF 61). Sarà il miglior antidoto per eventuali allergie a paglia o pagliuzze!

 

mercoledì 19 febbraio 2025

Amarsi un po’…aiuta a non morire

 

Commento al vangelo della VII domenica del Tempo Ordinario, anno C – 23 febbraio 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (6,27-38)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

 

 Commento

Ci troviamo ai vertici della paradossalità degli insegnamenti di Gesù: il perdono dei nemici, l’amore dei nemici, dare e donarsi senza aspettarsi nulla in cambio. Cose impossibili e fuori dell’umano se non fosse che chi parla, colui che le sta proponendo a noi ascoltatori la ha vissute lui per primo. Non sono cose fuori dell’umano perché tutta la vita di Gesù è la vita divina tradotta nel linguaggio umano, è la vita del figlio unigenito dell’Altissimo che nella sua volontà (sottolineo: umana!) accetta fino alla fine di vivere come Dio propone.

Forse proprio questo ci sfugge e ci trasmette l’idea di una strutturale impraticabilità dei suoi insegnamenti: Gesù era così compiutamente uomo, oltre ad essere vero Dio, da avere anche una libera volontà umana. Lo sto dicendo in pochi secondi e con poche parole ma la questione fu dibattuta vivacemente nei primi secoli del cristianesimo, a tal punto da richiedere la convocazione di un Concilio ecumenico, cioè generale, di tutti i vescovi della Chiesa. Alcuni che a fatica avevano accettato l’idea che Gesù fosse anche un vero uomo, affermavano però che tale umanità fosse incompleta e che in lui ci fosse solo una volontà divina.

Invece no: Gesù aveva anche una volontà umana, con la quale si sottomise al volere del Padre. Ricorderete Gesù nell’orto degli ulivi: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. (Lc 22,42).

Non solo quindi è possibile vivere lo stile dell’amore evangelico, ma ne abbiamo anche la possibilità, perché abbiamo Gesù che intercede continuamente a nostro favore. (cf. Eb. 7,25) lui che continua a donarci la sua forza e il suo amore gratuitamente. Ora è chiaro che se l’uomo cerca la ricompensa umana, il beneficio e il contraccambio per i suoi atti decade dal regime della Grazia. Se il nostro bene si rivolge a chi già ce ne fa, o a chi abbiamo la speranza che ce lo renda, non siamo più nell’atteggiamento di chi sa di aver già ricevuto tanto. L’uomo del vangelo invece non compie gesti d’amore per avere contropartite ma perché si sente lui per primo, proprio perché imperfetto, oggetto di un amore infinito, e chiamato a ricambiare tale amore attraverso gesti di gratuità ai fratelli, buoni o malvagi che siano.

giovedì 13 febbraio 2025

Le presunte utopie, e quelle vere

 

Commento al vangelo della VI domenica del Tempo Ordinario, anno C – 16 febbraio 2025


+ Dal Vangelo secondo Luca (6,17.20-26)

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».


Commento

 Davanti Gesù c’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente ma Gesù proclama queste beatitudini accompagnate da altrettanti guai – ci dice l’evangelista - alzati gli occhi verso i suoi discepoli. Non a tutta la folla ma ai suoi discepoli, quasi ad operare un’ulteriore chiara distinzione tra chi lo potrà seguire e chi non è nelle condizioni idonee. Gesù è il più povero tra i poveri per essere disceso dalla sua condizione divina ed avere assunto la fragilità della condizione umana: molto significativo che per rivolgersi ai suoi debba alzare lo sguardo per guardarli dal basso verso l’alto.
Questa è la cattedra del maestro Gesù: la sua umiltà infinita. Infinita come infinita è la Maestà dalla quale egli discese per riportare la nostra umanità ferita alla gloria originaria nella comunione di Dio padre.

Per questo può valer la pena sopportare la povertà, la fame, le lacrime e la riprovazione degli uomini (ammesso che non sia a rischio la sopravvivenza immediata) piuttosto che ricorrere alla violenza, alla rivendicazione minacciosa, alla strategia dell’odio, perché alla fine sarà il Signore a darci la ricchezza quella vera, insieme al pane quotidiano. 

Viviamo nell’oblio più totale degli insegnamenti della storia che è veramente maestra di vita, ma che ha sempre meno discepoli. Le guerre più ‘giuste’ e ‘sacrosante’, hanno mai prodotto qualche effetto positivo di lunga durata? La lotta non violenta di Gandi, i decenni passati in carcere di Nelson Mandela che ha lottato con successo contro l’apartheid, le strategie vincenti di pace di Martin Luther King non ci hanno insegnato nulla?
Le beatitudini proclamate da Gesù, siatene certi, non sono utopiche. Sono molto più utopiche le idee di chi progetta villaggi turistici su terre ferite da migliaia di morti e di deportati.


giovedì 6 febbraio 2025

La pesca è abbondante ma i pescatori sono pochi

 

 Commento al vangelo della V domenica del Tempo Ordinario C – 9 febbraio 2025


Dal Vangelo secondo Luca (5,1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore, infatti, aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.


Commento

 Simon Pietro si sente indegno ma anche irrimediabilmente attratto da questo tale Gesù di Nazaret alle cui ginocchia egli si getta, profondamente convinto che proprio lui poteva ‘risolvere’ la sua inadeguatezza. La chiamata del Signore non è commisurata e proporzionata – per nostra fortuna – ad una nostra autonoma dignità ma alla dignità che da lui solo possiamo ricevere se confidiamo nelle sue parole che hanno il sapore dell’eternità.   
Vorrei corredare quanto dico citando due uomini di indubbia statura spirituale. 

Il primo, don Oreste Benzi, diceva che Dio non sceglie i capaci ma rende capaci quelli che sceglie. Questa frase la scrivo spesso ai miei confratelli che ricevono incarichi ecclesiali importanti. Pietro non è migliore di altri: è stato scelto dal Signore, non sappiamo perché proprio lui, per una particolare missione, quella di confermare nella fede i suoi fratelli, e per questo è stato accompagnato dalla sua particolare vicinanza e ispirazione, nonostante l’iniziale rinnegamento. 

Il secondo, Papa Francesco, nella lettera Patris corde, con cui indisse nel 2020 un anno dedicato a San Giuseppe, al paragrafo n. 2 scrive: La storia della salvezza si compie «nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) attraverso le nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza.  

“Non temere”. Questa parola è anche per noi. A ciascuno di noi il Signore affida una missione, più o meno visibile agli occhi del mondo, ma ugualmente importante per avvicinare altri uomini alla presenza del Signore Gesù, vivente, che tramite noi li potrà toccare e salvare dalla tristezza e dal vuoto di una vita senza amore. Le reti non si spezzeranno. Buona pesca!